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Sul disorso di Obama a Oslo
- Subject: Sul disorso di Obama a Oslo
- From: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
- Date: Fri, 11 Dec 2009 10:57:39 +0100
11 dicembre 2009
Il discorso di Obama a Oslo è una sfida
alta alla cultura nonviolenta, che vuole costruire pace giusta ripudiando il
mezzo della guerra.
Obama ha detto che a volte la guerra è
strumento per la pace; che esiste una guerra "giusta" come questa in
Afghanistan; che un movimento nonviolento non avrebbe mai sconfitto Hitler; che
c'è differenza tra una guerra scelta e una guerra imposta dalla
necessità.
Sono arcinoti luoghi comuni del
"realismo" non volgarmente guerrafondaio, ma neppure determinato a "salvare le
future generazioni dal flagello della guerra" (prime parole del Preambolo dello
Statuto dell'Onu), dopo il terribile Novecento.
In sintesi telegrafica, possiamo dire
(cioè ripetere):
- La guerra può eliminare un potere
violento, ma affida sempre la decisione alla forza delle armi, non alle ragioni
del diritto. Armi e diritto possono coincidere per caso, non per loro natura.
"La guerra è l'antitesi del diritto: non fa vincere chi ha ragione, ma dà
ragione a chi vince" (Norberto Bobbio). "La guerra è un male perché fa più
malvagi di quanti ne toglie di mezzo" (Immanuel Kant). La guerra consacra le
ragioni stesse della violenza che vuole combattere, perché la imita e la
riproduce.
- Chi arriva tardi perde il treno. La
cultura politica democratica e nonviolenta avrebbe potuto evitare Hitler e poi
sbalzarlo democraticamente dal potere se fosse stata difesa e diffusa molto per
tempo nell'animo popolare e nelle istituzioni. E' in anticipo che si deve
combattere la tirannia. La guerra arriva sempre in ritardo. La vittoria in
guerra è sempre pregna di nuova violenza. La vittoria su Hitler ci ha dato
l'incombente universale morte atomica.
- Questa condanna storica vale anche per la
risposta bellica degli Usa al clamoroso attacco dell'11 settembre, contraccolpo
ingiustificabile di una secolare ingiustificabile violenza dell'occidente verso
il mondo esterno, di cui la rinascita islamica sente l'offesa e in qualche sua
componente reagisce con ingiustificabile violenza.
- Va riconosciuto, tuttavia, il caso
estremo e tragico in cui si ha il "dovere di uccidere" (parole di Gandhi)
chi sta sistematicamente uccidendo altri, se davvero non c'è nessun altro modo
di fermarlo. Ma il tirannicidio per necessità estrema non è la guerra, che
è violenza estesa, sistematica, indiscriminata, che sempre colpisce i
popoli assai più dei tiranni, con immensa ingiustizia, anche ora in
Afghanistan. Anche la corretta azione di polizia (statale o
internazionale) non è guerra: la polizia tende a ridurre la violenza, la guerra
tende ad accrescerla per imporsi sul più debole. Per vincere in guerra bisogna
diventare più violenti del nemico (avverte Gandhi).
- La guerra è assai più utile ai criminali
fabbricanti e trafficanti delle armi omicide, che non ai popoli che essa
vorrebbe liberare e difendere. Inoltre, tutti i popoli
potrebbero difendersi da soli con l'arma nonviolenta della estesa disobbedienza
civile ai poteri violenti, perché ogni potere consiste in definitiva soltanto
nell'essere obbedito (Etienne de la Boétie; Gene Sharp). Ciò sarebbe
possibile se la cultura della pace e della giustizia avesse voci e mezzi
per diffondere (più di quanto già faccia con pochissimi mezzi) la
conoscenza di questo diritto e possibilità dei popoli. In generale, i
governi impediscono la conoscenza di questi mezzi di difesa popolare
nonviolenta, perché, anche se eletti democraticamente, non vogliono che i popoli
abbiano reale possibilità di controllo sulla loro azione e potere.
- La democrazia, come reale potere
popolare, non è affatto facile. E' più facile obbedire a un capo. I popoli non
sono fatti interamente di santi e onesti. I vizi dei potenti sono latenti
nell'umanità comune. Se cala la vigilanza etico-civile, le democrazie degnerano
in autoritarismi, come accade ora drammaticamente e orribilmente in Italia. Kant
dice: non occorre che i cittadini siano angeli, basta che siano "diavoli
intelligenti"; cioè, nonostante i vizi umani, la conoscenza e l'intelligenza
possono portare a ridurre o eliminare le maggiori cause di sofferenza e
ingiustizia, come è la guerra, presunta e falsa soluzione dei più gravi
conflitti. L'umanità procede in civiltà se sa immaginare e istituire metodi più
umani nelle relazioni difficili. Questo è il compito della cultura politica
popolare, democratica. I governanti valgono e meritano riconoscimenti nella
precisa misura in cui non impediscono, ma rispettano e promuovono questa
umanizzazione.
e. p.
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