In difesa del popolo sovrano
- Subject: In difesa del popolo sovrano
- From: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
- Date: Fri, 9 Oct 2009 09:06:01 +0200
Credo che i movimenti per la pace e la nonviolenza non debbano restare a guardare la crisi istituzionale gravissima in atto in Italia. La cultura di pace conosce la direzione della politica giusta. In questo momento non deve tacere. E' un dovere che prevale sulle attività e manifestazioni interne ai movimenti. E' in atto una violenza contro le regole, che fanno umana la convivenza. Non vorrei che la sinistra più frustrata e arrabbiata, quella che non sceglie la forza nonviolenta, venisse contagiata da questa violenza. I nostri movimenti possono agire nei contatti di base per sostenere lo spirito costituzionale, che è un vincolo di pace attiva, nello svolgersi libero, costruttivo, nonviolento, del legittimo conflitto politico. Propongo alcune riflessioni in questa linea. Ciao, Enrico
***
09 10 08 In difesa del popolo sovrano Dopo la condanna
costituzionale del “lodo Alfano” e il conflitto istituzionale che ne è
sciaguratamente seguito, andiamo alle radici della
questione. «La sovranità appartiene al
popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1
Costituzione italiana). Neppure la sovranità popolare è assoluta, né assoluta è
la volontà del popolo sovrano: deve essere esercitata entro i limiti dati e
nelle forme stabilite dalla Costituzione. Nessuna forza sociale è sciolta dalla
legge. Anche la forza del numero degli elettori è soggetta alla legge. La
coscienza personale, anche di uno solo, può sentire intimamente il dovere di
disobbedire una legge che sente ingiusta (obiezione di coscienza), ma nello
stesso tempo la obbedisce con l’accettare le conseguenze della propria
disobbedienza civile (al contrario della disobbedienza occulta), e così preme
lealmente per modificarla. La volontà anche della massima parte del popolo, non
può violare i limiti costituzionali e i valori umani e civili ivi individuati.
Tanto meno è al di sopra
delle legge chi viene eletto, pur legittimamente, dall’elettorato. È falso dire
che egli è un «primus super pares», come dice un dipendente politico di
Berlusconi. Addirittura, se si pensa moralmente e democraticamente un
“in-carico” politico come un servizio al bene comune, ogni eletto è, in certo
modo, «sotto», e non sopra i suoi concittadini, perché è “caricato” del dovere
di servirli. Così ha sempre sentito la migliore etica
politica. Legiferare, fare onestamente
le leggi che obbligano tutti, non è mai un semplice atto di forza, neppure della
forza del numero, ma deve avvenire secondo le «regole per fare le regole», cioè
nel pieno rispetto formale e sostanziale delle regole costituzionali. Il numero
non muta le regole, se non secondo le regole stesse. Il consenso popolare, oltre
che libero da forzature, deve essere anche «consenso informato», cioè fornito di
conoscenze per valutare qualità e scopi dei candidati a governare e l’azione dei
governanti. Occorre anche che il libero dibattito pubblico protegga il popolo
dal fascino che un uomo ricco e fortunato può suscitare sugli animi più deboli,
o resi tali da influenze condizionanti sull’immaginazione pubblica. È questo
precisamente il caso della fortuna politica di Berlusconi in Italia, fabbricata
prima con la bassezza diseducativa e la depressione morale delle televisioni
commerciali, e poi mietuta col consenso politico relativo. Il linguaggio e le arti
della pubblicità commerciale – che è stata bene definita «il fascismo del nostro
tempo» - trasferite nella politica, distruggono la libertà civica, perché, per
loro natura e finalità, intendono
aggirare la soglia critica delle persone e indurre a comportamenti realmente
imposti, e non decisi liberamente. Se questa è disonestà nel commercio, in
politica è delitto. Tutto il contrario di un “popolo della
libertà”! Poiché la ricchezza, con la
sua potenza sugli altri, è soltanto un potere di fatto, e non un potere legale,
deve essere soggetta, con particolare sorveglianza e oculatezza, alle regole di
giustizia. Il ricco deve essere più, e non meno dei comuni cittadini,
sorvegliato e controllato sulla legalità dei suoi atti. Se, nella gestione dei
suoi beni, un ricco avesse commesso scorrettezze o reati, dovrebbe essere punito
semmai più prontamente e severamente, e non meno dei comuni cittadini, nel caso
che al potere della ricchezza abbia cumulato un potere politico. Questo è,
evidentemente, il caso di Berlusconi, che invece ha approfittato del potere
politico per sottrarsi al controllo della giustizia. Egli ha sempre accusato
preventivamente i giudici, tutti i giudici che hanno avuto in mano cause sue,
per delegittimarne in anticipo il giudizio, o impedirne l’esercizio. Chi agisce
così corrompe alla radice lo spirito pubblico, si fa corruttore del popolo
sovrano, mina la legalità e la convivenza pacifica, semina servilismo, odio e
violenza. Ciò crea nell’uomo della strada ragionevole - se ancora è libero di
ragionare - ogni sospetto sulla cattiva coscienza di chi si sottrae in questo
modo al giudizio, e suscita nei meno onesti la voglia di imitare l’astuzia e la
frode dell’uomo forte, oppure di reagire per vie di fatto, invece che con le
regole della politica democratica. Proprio in antitesi al
potere della ricchezza, comunque raccolta, la prima parte dell’art. 1 definisce
l’Italia una «repubblica democratica, fondata sul lavoro». Fondata, cioè, sul
contributo di ognuno al bene comune. Chi ha più beni non ha più diritti, e
semmai ha più doveri. Chi ha beni insufficienti, che limitano di fatto la sua
libertà ed eguaglianza con gli altri cittadini, e impediscono il pieno sviluppo
della sua persona e la sua partecipazione effettiva alla vita del Paese, ha uno
speciale diritto – che il ricco non ha – a che la Repubblica operi con la
politica a rimuovere quegli ostacoli (così dispone il grande art. 3, la
“super-norma” della nostra esemplare Costituzione). L’azione politica, nella
Repubblica democratica, ha il compito di realizzare l’uguale dignità e libertà
di tutti, nella giustizia sociale, e assolutamente non ha da sancire la
disuguaglianza di fortuna. Il comportamento politico di
Berlusconi, fino alle vicende di questi giorni, lo lascia per ora formalmente
inamovibile, ma lo priva ulteriormente di rispettabilità politica, in quanto
eversore morale dell’etica necessaria nella “polis” umana e
civile. Enrico Peyretti |
- Prev by Date: Finmeccanica rimoderna gli Apache britannici
- Next by Date: chiara saraceno sull'insulto di B. a Rosy Bindi
- Previous by thread: Finmeccanica rimoderna gli Apache britannici
- Next by thread: chiara saraceno sull'insulto di B. a Rosy Bindi
- Indice: