articolo la valle per rocca



"Resistenza e pace" per il n. 15 di Rocca.
 

Buone notizie

 

La parabola di Berlusconi, divenuto “indifendibile” per le “famiglie cristiane”, ha una bellissima morale: è più facile che un cammello passi nella cruna di un ago, che un ricco possa governare un Paese. Niente di ontologico, per carità: qui siamo nel regno della politica, non della metafisica. Ma appunto è così difficile, che senza una conversione non riesce. La ricchezza può far vincere le elezioni, ma poi ritorcersi contro chi le ha vinte.

Ciò dipende dal fatto che il ricco pensa di poter comprare tutto, e lo compra. Compra il potere, il consenso, i riflettori, gli avvocati, i cortigiani, gli agiografi, i testimoni, le scorte, le ville, i vulcani, e le donne. Di tutte le cose, tasse e terremoto, Milan e Parlamento, donne di immagine e sciupate, è l’utilizzatore finale. Ma c’è qualcosa che non può comprare, la Repubblica non è in vendita e il popolo, oltre un certo limite, non si fa usare. E così passa la figura di questo potere.

Delusa dal governo amico, che sembrava così vicino ai “valori cristiani”, la Chiesa a Roma può tornare a volare alto. E qui vorremmo segnalare due eventi di grande valore.

Il primo riguarda la Chiesa italiana, ed è una lettera scritta dalla Commissione per la dottrina della fede della Conferenza episcopale ai “cercatori di Dio”. Qui l’annuncio non sta tanto nel testo, che non è di quei testi abituati a farsi leggere, ma nel titolo. E l’annuncio consiste nel fatto che la Chiesa si rivolge agli uomini e alle donne del nostro tempo non distinguendoli in credenti e non credenti, cattolici e non cattolici, chierici e laici, ma accomunandoli tutti nella specie dei “cercatori di Dio”, a cui la Chiesa stessa riconosce di appartenere come credente se, come il documento arriva a dire, “il credente è un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere”, e se la Chiesa non si pone essa stessa come Dio in terra, ma come la sua luna che ne rifrange i raggi.

In una bella presentazione della lettera il suo maggiore autore, che è l’arcivescovo di Chieti Bruno Forte, dice che la pretesa della teologia cristiana degli ultimi secoli di assumere la rivelazione come una manifestazione totale di Dio e una sua esibizione senza riserve, “è il più grande tradimento che di essa si possa fare”, perché rivelare “è, sì, togliere un velo, ma è anche un più forte nascondere; rivelandosi l’Eterno non solo si è detto, ma si è anche più altamente taciuto”.

Si può sopperire a questa lacuna, a questo non del tutto conoscere, ricorrendo a una “legge naturale” che sarebbe da tutti intelligibile, e che la Chiesa potrebbe somministrare a tutti gli uomini come normativa per tutti, indipendentemente dalla fede?

No, non si può. E qui c’è l’altro evento ecclesiale di cui rallegrarsi. Si tratta di un documento del dicembre scorso della Commissione Teologica internazionale, l’organismo pontificio che già ci sorprese il 19 gennaio del 2007 con la buona notizia che anche i bambini morti senza battesimo vanno in Paradiso; ora la Commissione  ci fa sapere di essersi messa “alla ricerca di un’etica universale”, cioè di valori morali oggettivi comuni a tutti gli uomini, e di aver voluto gettare un “nuovo sguardo  sulla legge naturale”, per vedere se la risposta fosse in tale legge. Si trattava della riproposizione aggiornata dell’idea di un diritto naturale perenne e superiore al diritto positivo, considerato come inevitabilmente disordinato e incapace, anche nelle sue manifestazioni più alte come le Costituzioni o la Dichiarazione universale dei diritti umani, di veicolare contenuti di giustizia.

Ebbene tutto il documento, paradossalmente, dimostra che una legge naturale, intesa come un complesso normativo precostituito, astorico e uguale per tutti, non c’è: la legge naturale è quella scritta da Dio nel cuore di ogni uomo, che non ce l’ha ma la cerca, ognuno con la sua grazia, con la sua cultura, con le sue mani e alla luce della ragione. Non da solo, naturalmente. Sicché la legge naturale, in definitiva, è lo Spirito Santo, dato a tutti e operante in ciascuno, ma per definizione irriducibile a un sistema e tanto meno a un codice.

È dentro questo orizzonte che, come spiegava la Pacem in terris, gli esseri umani costruiscono il loro ordine, che in molti modi, e per lo più oltre la loro stessa aspettativa, raggiunge l’ordine voluto da Dio; e il diritto positivo che di quest’ordine umano è lo strumento e la norma, non è da buttare; certo, c’è del marcio in Danimarca, per dirla con Amleto, ma ci sono anche quei lumi che, a scrutarli, appaiono e si rivelano come “segni del tempo”, e ci aiutano a dare ragione della speranza che è in noi.

                                                    Raniero La Valle 

 
Allegato Rimosso