commento su elezioni, mentalità, compiti
- Subject: commento su elezioni, mentalità, compiti
- From: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
- Date: Sat, 13 Jun 2009 09:41:28 +0200
Piero Stafani, teologo e biblista, si rivela anche intelligente (molto
intelligente) analista politico, nel senso ampio e profondo di "politica": cioè,
il modo di vivere nella polis, quelli che Stefani chiama "stili di vita". I
quali non riguardano solo i consumi e il vestirsi, il linguaggio e il denaro, la
qualità delle relazioni e la considerazione del prossimo, dell'umanità e
della natura, ma riguardano ancor più la radice umana, culturale, morale di
questi comportamenti, quella che chiamiamo la "mentalità". Partiti, media,
votazioni, sono importanti, ma il nocciolo determinante su diritti, democrazia,
giustizia, pace, libertà, sta nelle mentalità, appunto.
Si guardi la conclusione del commento, sulle responsabilità e i compiti. Le
chiese non sono citate, ma sono direttamente implicate. Stefani passi il suo
commento a Franceschini (nella sua stessa città, Ferrara), ma tutti quelli che
possono lo sviluppino nelle sedi di cultura e informazione, nei movimenti
sociali, nelle chiese, nelle famiglie, in ogni agenzia educativa, e anche nei
partiti.
Non così bene, ma abbiamo detto più volte anche noi, che questo è il
punto, evidentemente.
In politica qualcuno accenna a una nuova unità alternativa. Troppo delusi
per credervi facilmente, diremmo che debba essere una Partito Costituzionale.
Nella Costituzione interamente intesa - mentre è tradita dalla mentalità
dominante - ci sono tutti i valori e le regole necessari (con secondari
aggiustamenti tecnici) al vivere insieme, e soprattutto c'è lo spirito che
salvaguarda e raccoglie le migliori tradizioni civili e morali italiane, le
uniche capaci di preparare un futuro umanizzante, anziché distruttivo.
Enrico Peyretti, Torino
09 06 13 Piero Stefani Elezioni preoccupantiElezioni: esiti preoccupanti Il pensiero della settimana, n. 254 Nel gioco del tennis vi è chi batte e chi risponde, il primo è avvantaggiato, perciò, quando il game è vinto dal secondo, si dice che quest’ultimo gli ha strappato il servizio. I turni di battuta si susseguono però in modo prefissato. Nel volley la risposta vincente conquista invece il diritto di battere. Nel singolare, il tennis è una specie di duello; la palla a volo, dal canto suo, è uno sport di squadra. Tenuto conto di questi particolari, per indicare lo sport giocato negli ultimi mesi da Berlusconi e Franceschini bisognerebbe coniare un nome nuovo dalla natura ibrida: voltennis o tenvolley. Si è trattato
di un duello e Franceschini ha tentato di rispondere al meglio; in effetti è
stato più aggressivo del suo
evanescente predecessore. Non è però mai riuscito a strappare la battuta a
Berlusconi; la sua è stata sempre una replica. Nella partita di voltennis forse
non ha sfigurato; anzi, per molti,
ha fornito una prestazione superiore al previsto; con tutto ciò il suo è stato
sempre un gioco di rimessa. La comunicazione
massmediatica, che prospera con le antitesi duali, ha esasperato il confronto:
quando Berlusconi batteva subito dopo bisognava evidenziare la risposta
franceschiniana, senza mai invertire l’ordine. Avanti così per molti set. Alla
fine il battitore ha avuto i muscoli un po’ appesantiti. Le vecchie regole dello
sport, del resto, indicano che i risultati subiscono un decremento quando è dato
troppo spazio a Venere e alle sue complicazioni. L’atleta principale è giunto
perciò un po’ stanco alla
finalissima e la prova è stata meno brillante dell’esito sbandierato anzitempo.
Ciò è stato sufficiente per affermare, troppo frettolosamente, che è tramontato
il mito dell’imbattibilità dell’avversario. I commenti a caldo erano legati
ancora alla logica del duello e non si preoccupavano delle dinamiche effettive
presenti nella società italiana. È bastato attendere un giorno ed ecco la doccia
scozzese delle amministrative. Per avere ragione non basta affermare che gli
altri hanno torto, analogamente lo stop dell’avversario non significa
automaticamente la propria vittoria. Come è stato notato da più
parti, la novità di queste elezioni è costituita dal contrasto tra il modesto
risultato personale di Berlusconi e l’esito assai valido del centro-destra. Ciò
può far balenare, per la prima volta, il sospetto che l’egemonia di questo schieramento
politico possa sopravvivere al suo leader. Per il Pdl è molto presto per dirlo.
Si avranno idee più chiare dopo che, fra x anni, al suo interno si risolverà lo
scontro per la successione. Non è
invece affatto presto affermare che i destini leghisti si sono emancipai
dall’identificazione con il fondatore: l’espansivo radicamento territoriale
della Lega è ormai un dato incontrovertibile. Anni addietro qualcuno poteva
illudersi che Bossi sarebbe diventato solo una costola folcloristica di
Berlusconi; oggi pensare così sarebbe semplicemente irresponsabile. Lo
sfondamento della linea del Po è sintomo inequivocabile di un sentire sempre più
diffuso nella società civile (o forse, per più versi, ormai
incivile). Per cinquant’anni l’egemonia
della DC ha dato un aspetto moderato, centrista e persino pluralista
all’incontro tra l’ordine pubblico (non importa se apparente) e il tornaconto
privato. Senza sollecitare quest’ultimo, in effetti, in Italia è quasi
impossibile essere politicamente vincenti. Crollata la DC e fortemente mutata la
composizione e la mentalità della
società, è venuto meno anche il moderatismo. Non va mai dimenticato che la Lega
è nata ed ha attecchito nelle vecchie roccaforti lombardo-venete della DC. Ciò è
avvenuto proprio perché essa ha secolarizzato in modo rozzo il volto peggiore
del cattolicesimo italiano (constatazione aperta davanti a noi da almeno
vent’anni, ma sempre colpevolmente ignorata dalla CEI). Se si guardano le
chiazze verdi sulla mappa del risultati elettorali, la memoria di quanto si è
appena detto è ancora ben percepibile. Lo sfondamento della linea
del Po da parte della Lega dimostra che il suo bacino di consenso tende ad
estendersi al di là della secolarizzazione del cattolicesimo: esso comincia a
lucrare anche della secolarizzazione di quella «chiesa secolare» che fu il PCI.
Nelle terre che furono di Peppone Bottazzi, la Lega, orami, è già il secondo
partito. Nel comune di Bondeno il candidato sindaco che ha ottenuto più voti è
un leghista figlio di un militante comunista e nipote di un
partigiano. Anche se nell’Italia della
telepolitica e del tenvolley non è facile vederlo, a lungo termine le partite
politiche si vincono sul piano etico-culturale (nel senso più ampio del
termine). In quest’ottica rivendicare visi nuovi e puntare su simpatici e
giovanili sorrisi friulani vale ben poco. La questione vera si gioca sugli stili
di vita. Va da sé che questi ultimi
sono connessi a filo doppio alla situazione economica. Tuttavia per
quanto il lavoro sia, come è ovvio, un fattore determinante, esso non è l’unico
elemento che ha voce in capitolo. Aver lasciato da troppo tempo solo a frange
estreme la facoltà di parlare di giustizia sociale non è stata scelta
lungimirante; non lo è stata neppure aver, in pratica, ridicolizzato la memoria
di moltitudini di militanti che hanno assunto la lotta per giustizia sociale (e
non soltanto la Costituzione) come una ragione di vita. Questo lento
sgretolamento ha avuto i suoi
effetti: quando i modi di pensare e di comportarsi della gente sono sempre più
simili, non vi sono molte speranze che scatti la molla della differenza
politica. Affermare che bisogna
modificare i modi di pensare e di vivere è un’espressione a tal punto generica
da essere politicamente insignificante. Ciò non toglie che lì vi è un nodo
effettivo e solo chi riuscirà ad affrontarlo con una strategia di ampio respiro
potrà sperare, a tempi lunghi, di invertire la tendenza. Compito immane non
gestibile né dall’Idv (che si alimenta solo di antiberlusconismo), né
dall’attuale PD. Piero Stefani |
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