commento su elezioni, mentalità, compiti



 
Piero Stafani, teologo e biblista, si rivela anche intelligente (molto intelligente) analista politico, nel senso ampio e profondo di "politica": cioè, il modo di vivere nella polis, quelli che Stefani chiama "stili di vita". I quali non riguardano solo i consumi e il vestirsi, il linguaggio e il denaro, la qualità delle relazioni e la considerazione del prossimo, dell'umanità e della natura, ma riguardano ancor più la radice umana, culturale, morale di questi comportamenti, quella che chiamiamo la "mentalità". Partiti, media, votazioni, sono importanti, ma il nocciolo determinante su diritti, democrazia, giustizia, pace, libertà, sta nelle mentalità, appunto.
Si guardi la conclusione del commento, sulle responsabilità e i compiti. Le chiese non sono citate, ma sono direttamente implicate. Stefani passi il suo commento a Franceschini (nella sua stessa città, Ferrara), ma tutti quelli che possono lo sviluppino nelle sedi di cultura e informazione, nei movimenti sociali, nelle chiese, nelle famiglie, in ogni agenzia educativa, e anche nei partiti.
Non così bene, ma abbiamo detto più volte anche noi, che questo è il punto, evidentemente.
In politica qualcuno accenna a una nuova unità alternativa. Troppo delusi per credervi facilmente, diremmo che debba essere una Partito Costituzionale. Nella Costituzione interamente intesa - mentre è tradita dalla mentalità dominante - ci sono tutti i valori e le regole necessari (con secondari aggiustamenti tecnici) al vivere insieme, e soprattutto c'è lo spirito che salvaguarda e raccoglie le migliori tradizioni civili e morali italiane, le uniche capaci di preparare un futuro umanizzante, anziché distruttivo.
Enrico Peyretti, Torino
 

09 06 13 Piero Stefani Elezioni preoccupanti

Elezioni: esiti preoccupanti

 

Il pensiero della settimana, n. 254

 

Nel gioco del tennis vi è chi batte e chi risponde, il primo è avvantaggiato, perciò, quando il game è vinto dal secondo, si dice che quest’ultimo gli ha strappato il servizio. I turni di battuta si susseguono però in modo prefissato. Nel volley la risposta vincente conquista invece il diritto di battere. Nel singolare, il tennis è una specie di duello; la palla a volo, dal canto suo, è uno sport di squadra. Tenuto conto di questi particolari, per indicare lo sport giocato negli ultimi mesi da Berlusconi e Franceschini bisognerebbe coniare un nome nuovo dalla natura ibrida: voltennis o tenvolley.

Si è trattato di un duello e Franceschini ha tentato di rispondere al meglio; in effetti è stato più aggressivo  del suo evanescente predecessore. Non è però mai riuscito a strappare la battuta a Berlusconi; la sua è stata sempre una replica. Nella partita di voltennis forse non  ha sfigurato; anzi, per molti, ha fornito una prestazione superiore al previsto; con tutto ciò il suo è stato sempre un gioco di rimessa.

La comunicazione massmediatica, che prospera con le antitesi duali, ha esasperato il confronto: quando Berlusconi batteva subito dopo bisognava evidenziare la risposta franceschiniana, senza mai invertire l’ordine. Avanti così per molti set. Alla fine il battitore ha avuto i muscoli un po’ appesantiti. Le vecchie regole dello sport, del resto, indicano che i risultati subiscono un decremento quando è dato troppo spazio a Venere e alle sue complicazioni. L’atleta principale è giunto perciò un po’ stanco  alla finalissima e la prova è stata meno brillante dell’esito sbandierato anzitempo. Ciò è stato sufficiente per affermare, troppo frettolosamente, che è tramontato il mito dell’imbattibilità dell’avversario. I commenti a caldo erano legati ancora alla logica del duello e non si preoccupavano delle dinamiche effettive presenti nella società italiana. È bastato attendere un giorno ed ecco la doccia scozzese delle amministrative. Per avere ragione non basta affermare che gli altri hanno torto, analogamente lo stop dell’avversario non significa automaticamente la propria vittoria.

Come è stato notato da più parti, la novità di queste elezioni è costituita dal contrasto tra il modesto risultato personale di Berlusconi e l’esito assai valido del centro-destra. Ciò può far balenare, per la prima volta, il sospetto  che l’egemonia di questo schieramento politico possa sopravvivere al suo leader. Per il Pdl è molto presto per dirlo. Si avranno idee più chiare dopo che, fra x anni, al suo interno si risolverà lo scontro per la successione.  Non è invece affatto presto affermare che i destini leghisti si sono emancipai dall’identificazione con il fondatore: l’espansivo radicamento territoriale della Lega è ormai un dato incontrovertibile. Anni addietro qualcuno poteva illudersi che Bossi sarebbe diventato solo una costola folcloristica di Berlusconi; oggi pensare così sarebbe semplicemente irresponsabile. Lo sfondamento della linea del Po è sintomo inequivocabile di un sentire sempre più diffuso nella società civile (o forse, per più versi, ormai incivile).

Per cinquant’anni l’egemonia della DC ha dato un aspetto moderato, centrista e persino pluralista all’incontro tra l’ordine pubblico (non importa se apparente) e il tornaconto privato. Senza sollecitare quest’ultimo, in effetti, in Italia è quasi impossibile essere politicamente vincenti. Crollata la DC e fortemente mutata la composizione  e la mentalità della società, è venuto meno anche il moderatismo. Non va mai dimenticato che la Lega è nata ed ha attecchito nelle vecchie roccaforti lombardo-venete della DC. Ciò è avvenuto proprio perché essa ha secolarizzato in modo rozzo il volto peggiore del cattolicesimo italiano (constatazione aperta davanti a noi da almeno vent’anni, ma sempre colpevolmente ignorata dalla CEI). Se si guardano le chiazze verdi sulla mappa del risultati elettorali, la memoria di quanto si è appena detto è ancora ben percepibile.

Lo sfondamento della linea del Po da parte della Lega dimostra che il suo bacino di consenso tende ad estendersi al di là della secolarizzazione del cattolicesimo: esso comincia a lucrare anche della secolarizzazione di quella «chiesa secolare» che fu il PCI. Nelle terre che furono di Peppone Bottazzi, la Lega, orami, è già il secondo partito. Nel comune di Bondeno il candidato sindaco che ha ottenuto più voti è un leghista figlio di un militante comunista e nipote di un partigiano.

Anche se nell’Italia della telepolitica e del tenvolley non è facile vederlo, a lungo termine le partite politiche si vincono sul piano etico-culturale (nel senso più ampio del termine). In quest’ottica rivendicare visi nuovi e puntare su simpatici e giovanili sorrisi friulani vale ben poco. La questione vera si gioca sugli stili di vita. Va da sé che questi ultimi  sono connessi a filo doppio alla situazione economica. Tuttavia per quanto il lavoro sia, come è ovvio, un fattore determinante, esso non è l’unico elemento che ha voce in capitolo. Aver lasciato da troppo tempo solo a frange estreme la facoltà di parlare di giustizia sociale non è stata scelta lungimirante; non lo è stata neppure aver, in pratica, ridicolizzato la memoria di moltitudini di militanti che hanno assunto la lotta per giustizia sociale (e non soltanto la Costituzione) come una ragione di vita. Questo lento sgretolamento  ha avuto i suoi effetti: quando i modi di pensare e di comportarsi della gente sono sempre più simili, non vi sono molte speranze che scatti la molla della differenza politica.

Affermare che bisogna modificare i modi di pensare e di vivere è un’espressione a tal punto generica da essere politicamente insignificante. Ciò non toglie che lì vi è un nodo effettivo e solo chi riuscirà ad affrontarlo con una strategia di ampio respiro potrà sperare, a tempi lunghi, di invertire la tendenza. Compito immane non gestibile né dall’Idv (che si alimenta solo di antiberlusconismo), né dall’attuale PD.

Piero Stefani

 

Allegato Rimosso