Roma 29 novembre:in 5000 con il popolo palestinese



Una onesta cronaca della manifestazione del 29 novembre sul www.rivistaonline.com (cè anche un reportage fotografico)
 
In 5000 con il popolo palestinese
di Alessandro Bernardini
foto Lucia Perrotta e Alessandro Serranò
08/12/2008

Roma 29 novembre 2008, una grande chiave capeggia il corteo, sorretta da donne e uomini. Tante chiavi scosse all'unisono anticipano il suono della pioggia che di lì a poco cadeva. La gente che è in piazza in solidarietà con il popolo palestinese, cammina lenta e rumorosa. Migliaia di bandiere, una immensa, sorretta da decine di persone attorno alla quale non si smette di ballare guidati da una musica ridondante e bellissima. Tante sigle, tanti striscioni, cartelli. Il solito corteo, o forse no, con qualche grigio slogan aggressivo, con tante facce, molto spesso le stesse, ma con molte che non si conoscono. Questo è il primo risultato di una manifestazione che riesce a mettere, per una volta, da parte le divergenze politiche e a chiamare insieme realtà che lavorano sulla Palestina con approcci, storie e analisi diverse. Una manifestazione difficile da organizzare perché difficile è il tema. Un tema che non porta in piazza folle oceaniche, né è coperto dai media tradizionali. Migliaia di macchine fotografiche e centinaia di videocamere immerse nella folla a raccontarsi la notizia, come ormai sempre più spesso accade. Quasi una garanzia di legittimità e di visibilità: non si va in onda, né sulle prime pagine dei giornali. Ci si va solo se succede qualcosa di brutto, se ci sono scontri, feriti, bandiere israeliane bruciate: Bad news are good news. E allora ci si organizza per raccontare. "Purtroppo" alla manifestazione non accade niente che possa fare brutta, e quindi buona, notizia. L'unica che appare sui giornali è che un gruppo di membri della comunità ebraica romana - presente in piazza Venezia per ascoltare e monitorare gli interventi dal palco allestito per l'occasione - denuncia alcuni cori "ignobili e parole vergognose" contro Israele partiti dal corteo. Il resto è nulla. Sui media si tace dei motivi, sugli altri linguaggi e sulle rivendicazioni della manifestazione, ma è prassi.

Tante chiavi fra le mani della gente e una chiave immensa simbolo del ritorno, della memoria e dell'appartenenza ad una storia scritta male. Scritta omettendo una parte di verità. Scritta a metà. Una storia mutilata. Una storia che nasce nella legittimità (la nascita dello Stato d'Israele) per presentarsi oggi, dopo sessanta anni come un racconto assurdo, carico di negazione e violenza: l'occupazione militare, il muro, la proliferazione delle colonie, i morti, l'espropriazione delle terre palestinesi, l'embargo economico e politico di Gaza, i bombardamenti e le incursioni dell'esercito israeliano, i missili su Israele, gli attacchi suicidi. 1948: la gioia per una nascita è per altri l'inizio di una tragedia: la Nakba, la catastrofe del popolo palestinese. Espulso dalla propria terra, più di 530 villaggi evacuati e distrutti. Altrove, lontano dalle proprie case, vivendo nei campi profughi. Alcuni fuggono nei paesi limitrofi intorno alla Palestina, altri all'interno della Palestina stessa. Altri ancora si disperdono nel mondo. Oggi i rifugiati palestinesi, stando ai dati del UNWRA (United Nations Relief and Works Agency for Palestinian Refugees in the Near East), sono circa cinque milioni.

Il 29 novembre non è una data a caso, ma scelta per il significato simbolico che ha per il popolo palestinese. Quello stesso giorno del 1947 l'Assemblea delle Nazioni Unite adotta la risoluzione 181 (II), nota come Risoluzione sulla Partizione che stabilisce la creazione in Palestina di uno Stato "Ebraico" e uno "Arabo" con Gerusalemme come cuore simbolico e politico, sottoposta ad un regime internazionale speciale. Dei due, solo Israele vede la luce. Sotto il cielo plumbeo di Roma, fra migliaia di teste, girando tra la folla si sente la voce della gente, le opinioni, i cori e lì la questione politica rientra prepotentemente dalla finestra. I manifestanti si spostano lungo il corteo a seconda della propria piattaforma. Si cerca un parcheggio "rappresentativo", così come in ogni manifestazione che sia sul precariato, sull'Alitalia o sulla Palestina. "Vita terra e libertà per il popolo palestinese", queste le parole sullo striscione portato dalle comunità palestinesi in Italia. In via Cavour al passaggio del corteo viene calato il grande telo firmato Sport Sotto l'Assedio. Dall'inizio alla fine della manifestazione si raccolgono foto per la campagna "Uno Scatto Contro l'Assedio". Piazza dell'Esquilino diventa per un giorno piazza Yasser Arafat. Manifestazioni di solidarietà arrivano dal presidente dei Partigiani del Lazio Rendina. Comitati, organizzazioni di base, centri sociali, associazioni, ong si ritrovano insieme in piazza per ascoltare gli interventi degli organizzatori e soprattutto dei due giovani palestinesi provenienti da realtà significative come Gaza e Chatila.

Ma 5000 persone sono tante o poche? Tante, se si considera l'omissis della politica italiana, di buona parte della sinistra e dell'assoluta negazione della questione palestinese del Partito Democratico come tema fondamentale in politica estera. Tante, se si considera il silenzio della comunità internazionale sulla "normalizzazione" dell'occupazione israeliana e sull'occultamento del diritto del popolo palestinese ad avere uno Stato. Esiste un involucro fatto di ipocrisia democratica che distingue nei media e nei programmi politici dell'occidente pacificato violenze e occupazioni "giuste" o "sopportabili" e altre da annientare in nome della pace e della democrazia. Sotto le chiavi che cadono dal cielo si è tornati a casa.