30 giorni x 30 articoli: articoli 6-7-8



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30 giorni x 30 articoli.
Verso il 10 dicembre 2008: leggiamo insieme ogni giorno un articolo
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
Art. 6
“Nessuno è sconosciuto”
La Tavola della pace rinnova l’appello ai direttori dei TG della RAI:
bastano pochi secondi al giorno nei TG


Oggi, sabato 15 novembre 2008, leggiamo insieme il sesto articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Articolo 6 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
 “Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica”

Segue il commento del prof. Antonio Papisca.

“Avere personalità giuridica significa “esistere” per un ordinamento giuridico, naturalmente con diritti, doveri e responsabilità.
Il riconoscimento del fatto che la persona umana, in quano tale, è soggetto, non oggetto di diritto, è atto dovuto. Quale ritolare di diritti che ineriscono alla dignità umana, la persona nasce come soggetto giuridico. Gli ordinamenti giuridici non esisterebbero senza la persona umana, poiché questa ne è il fondamento.
L’immigrato irregolare o il Rom o i cosiddetti homeless (senza dimora) o sans-papiers non sono “sconosciuti” al diritto, tanto meno “inesistenti” per esso.
La “soggettività giuridica” è distinta dalla “cittadinanza”, come d’altronde stabilisce la Dichiarazione universale che dedica specificamente alla seconda l’articolo 15. Essa è uno status primordiale della persona, le cui modalità o articolazioni operative – per l’esercizio di diritti e di doveri - sono specificate appunto nello statuto di cittadinanza: questo avviene, storicamente, all’interno dei singoli ordinamenti statuali. 
La personalità giuridica dell’essere umano va distinta dalla personalità giuridica di strutture organizzate che sono create per il conseguimento di determinati fini: gli stati, i comuni, le organizzazioni intergovernative, le camere di commercio, le università, le associazioni. Per queste entità “derivate” si parla di “persone giuridiche” per distinguerle appunto dalle persone umane la cui soggettività giuridica, ripeto, ha carattere “originario”. E’ appena il caso di segnalare che la personalità giuridica degli enti derivati può essere di diritto pubblico o di diritto privato.
Nel caso degli enti e delle associazioni all’interno degli stati la personalità giuridica è “attribuita” o “concessa”,  diversamente che per le persone umane la cui soggettività giuridica, preesistendo al diritto positivo, è, deve essere semplicemente ‘riconosciuta’. Nei tempi, non propriamente preistorici, in cui studiavo il Diritto internazionale, nei relativi manuali trovavo un capitolo o, addirittura, un paragrafo intitolato: “L’individuo, oggetto del Diritto internazionale”. L’assunto era che soltanto gli Stati ne erano i soggetti, unici ed esclusivi: le persone umane erano ‘cosa loro’, come dire un affare interno alla rispettiva giurisdizione domestica. La dogmatica giuridica che argomentava sulla persona umana ‘oggetto’ è stata ampiamente usata ed abusata dalle ideologie che esaltavano, o addirittura deificavano, lo Stato come soggetto giuridico iperumano.
Con l’avvento del Diritto internazionale dei diritti umani, la persona umana viene liberata nella sua soggettività giuridica originaria e trionfa dunque sulla perniciossima  idolatria statualistica. Quella della persona umana è personalità giuiridica di diritto universale, un diritto super-costituzionale per sua intrinseca natura.”

30 giorni x 30 articoli.
Verso il 10 dicembre 2008: leggiamo insieme ogni giorno un articolo
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
Art. 7
“Tutti eguali davanti alla legge”
La Tavola della pace rinnova l’appello ai direttori dei TG della RAI:
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Oggi, domenica 16 novembre 2008, leggiamo insieme il settimo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Articolo 7 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
“Tutti sono eguali davanti alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione”.

Segue il commento del prof. Antonio Papisca.

“A che tipo di eguaglianza fa riferimento questo articolo? Eguaglianza meramente formale o eguaglianza sostanziale? Significa che tutti, egualmente, devono essere posti nella condizione di competere, e poi vinca il migliore? E’ l’eguaglianza dei migliori? Eguaglianza come meritocrazia? Chi ha bisogno d’assistenza o di cibo o di acqua potabile o di cure mediche o è senza lavoro (non per sua colpa) fa parte degli ‘eguali’? Gli immigrati, con o senza papiers, sono eguali ai ‘cittadini’?
La riposta è che  “dinnanzi alla legge” l’eguaglianza è quella proclamata dall’articolo 1, è eguaglianza sostanziale: si nasce ‘liberi ed eguali in dignità e diritti’: cioè,  prima che dinnanzi alla legge si è eguali già “prima della legge”.
Questo, in punto di diritto, quale premessa per dire, tra l’altro, che la cultura della meritocrazia non è un assoluto. In punto di fatto, la vita umana sul pianeta è solcata da una ragnatela di diseguaglianze e di discriminazioni. La povertà estrema è indicatore di drammatica diseguaglianza. In molte parti del mondo le donne non sono eguali ai maschi, addirittura si codifica e si esalta la ‘discriminazione positiva’ nei riguardi delle prime.
L’articolo 7 stabilisce che tutti hanno diritto ad una “eguale tutela da parte della legge”. All’eguaglianza per così dire ontica deve corrisponde la “eguale tutela da parte della legge”. Si passa ai fatti.
Il primo comma dell’articolo 3 della Costituzione italiana è in perfetta sintonia con l’articolo 7 della Dichiarazione universale. Il secondo comma va oltre, nel senso di dire qualcosa di più preciso su come garantire l’eguaglianza:
“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Certamente occorrono buone leggi ma, in tema di eguaglianza sostanziale, occorrono politiche che abbiano sempre presente il principio di interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti umani e lo traducano in termini concreti. “Rimuovere gli ostacoli” non è sinonimo di “correre ad ostacoli”. Per garantire l’eguaglianza non basta lo Stato di diritto, ci vuole anche lo Stato sociale. Una classe politica che inneggi al primo e si dimentichi del secondo è come se lanciasse la spugna, rinuncia ad assolvere a quelle responsabilità che la legittimano in quanto classe governante a livello nazionale e a livello internazionale. I grandi vessilliferi del neoliberismo e della de-regulation hanno svolto il mestiere di necrofori dell’eguaglianza sul piano mondiale.
L’articolo 7 della Dichiarazione si riferisce coerentemente anche alla discriminazione, quale nemica di “tutti i diritti umani per tutti” e dispone che le pubbliche autorità hanno l’obbligo di dar l’esempio nel prevenire e nel combattere sia la discriminazione (in tutte le sue forme, evidentemente) sia l’incitamento alla discriminazione. E’ qui il caso di segnalare che l’articolo 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici mette sotto lo stesso perentorio divieto sia la propaganda della guerra sia “qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza”.
Dovrebbe esser chiaro che quanto stabilito dall’articolo 7 della Dichiarazione va molto più in là della scritta “La legge è eguale per tutti” che troviamo nelle aule dei tribunali. Premesso che i tribunali sono comunque necessari e irrinunciabili, si deve dire che l’eguaglianza si persegue soprattutto prima e oltre le sentenze. L’articolo 7 dice che la legge “per tutti” è: lavoro, salute, educazione … .”

Antonio Papisca
Cattedra UNESCO “Diritti umani, democrazia e pace” presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova (antonino.papisca at unipd.it).

Tutte le attività promosse in vista del 10 dicembre sono pubblicate sul sito: www.perlapace.it.

Perugia, 16 novembre 2008

Ufficio Stampa Tavola della pace
Floriana Lenti 338/4770151
tel. +39  075 5734830 - Fax +39 075 5721234
 stampa at perlapace.it - www.perlapace.it







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Verso il 10 dicembre 2008: leggiamo insieme ogni giorno un articolo
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

Art. 8
"Diritto alla giustizia"
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Oggi, lunedì 17 novembre 2008, leggiamo insieme l'ottavo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Articolo 8 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

"Ogni individuo ha diritto ad un'effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge".


Segue il commento del prof. Antonio Papisca.

"Tutti devono essere in grado di adire un tribunale 'competente', certamente non per il gusto di intasare i palazzi di giustizia con dibattimenti e camere di consiglio fini a se stessi. L'obiettivo è di ottenere giustizia, a cominciare dall'accertamento imparziale dei fatti per arrivare alla riparazione e all'eventuale condanna.
La possibilità di ricorso deve essere effettiva per tutti. Questo significa che anche chi è analfabeta o povero o straniero deve essere messo nella reale condizione di avvalersi degli strumenti di garanzia dei suoi diritti. Il cosiddetto patrocinio gratuito o la presenza di un interprete nei casi in cui parte processuale sia uno straniero configurano altrettante possibilità concrete.
La carenza di cultura, se non proprio l'analfabetismo, e la povertà non devono costituire cause ostative per l'applicazione dell'articolo in questione. Se così fosse, ci sarebbe diniego di diritti fondamentali.
"Tribunali competenti": quando fu proclamata la Dichiarazione universale, tali erano soltanto i tribunali interni ai vari stati, i quali erano tenuti ad applicare quanto disposto dalle rispettive costituzioni e leggi nazionali. Oggi, la possibilità di ricorso ha uno spazio molto più ampio, va al di là della giurisdizione domestica. Abbiamo infatti, almeno in alcune 'regioni' del mondo, tribunali internazionali competenti proprio nella materia che qui interessa: la Corte europea dei diritti umani, la Corte interamericana dei diritti umani, la Corte africana dei diritti dell'uomo e dei popoli. Un volta esaurita la via giudiziaria 'interna' (in Italia, i tre gradi di giudizio: primo grado, appello, cassazione) è possibile per la singola persona adire direttamente queste magistrature sopranazionali, citando così sul banco degli accusati addirittura gli Stati. Ci si può rivolgere anche ai Tribunali speciali riguardanti i crimini perpetrati nella ex Jugoslavia e nel Rwanda, la Corte penale internazionale, la stessa Corte di giustizia dell'Unione Europa (che si interessa anche di diritti fondamentali). Occorre sottolineare che in virtù dello sviluppo organico del Diritto internazionale dei diritti umani, i tribunali nazionali, a cominciare dalle Corti costituzionali, devono applicare direttamente anche norme e principi di tale Diritto riconoscendo la primazìa sul diritto interno.
L'espressione "tribunali competenti" in sede internazionale deve essere intesa in modo più ampio, tale cioè da comprendere anche quegli organismi sopranazionali che svolgono funzioni di garanzia quasi-giudiziaria, in risposta a 'ricorsi individuali': tali sono i Comitati delle Nazioni Unite preposti a varie Convenzioni giuridiche (in materia di diritti civili e politici, tortura, discriminazione razziale, diritti dei bambini, discriminazioni contro le donne, diritti dei valoratori migranti, diritti delle persone con disabilità).
E' importante segnalare che la tutela dei diritti umani può essere, oggi, perseguita anche per via extra-giudiziaria, per esempio ricorrendo al Difensore Civico, al Tutore Pubblico dei Minori, alla Commissioni Nazionali per i Diritti Umani (ove esistenti). L'Italia ha Difensori civici a livello comunale, provinciale e regionale, ma non anche a livello nazionale. A questo livello, non ha neppure la Commissione Nazionale, come raccomandato con insistenza dalle Nazioni Unite e dal Consiglio d'Europa. L'Italia è uno dei tre paesi, fra i quarantasette membri del Consiglio d'Europa, che non è dotato di "competenti Istituzioni Nazionali per i Diritti Umani". Tra i motivi: sospetti e resistenze nel mondo politico (si temono 'contraltari'), sacche di ottusità e formalismo giuridico in altre sedi (che bisogno c'è, dicono, di Difensore civico se abbiamo degli ottimi Tar?). Non hanno capito niente. Tra gli altri Paesi, la Svezia si tiene ben caro il suo Ombudsman (di antica istituzione). In Spagna, il Difensore Civico si chiama 'Defensor del Pueblo' ed ha status di organo costituzionale.
Importante annotazione: ai Tribunali si ricorre quanto la presunta violazione dei diritti è avvenuta e si pagano profumatamente le spese processuali. Il Difensore Civico agisce in via preventiva e non costa nulla.

Antonio Papisca
Cattedra UNESCO "Diritti umani, democrazia e pace" presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell'Università di Padova (
antonino.papisca at unipd.it).

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Perugia, 17 novembre 2008

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