"Le chef du monde est noir"



Gombé, centre ville di Kinshasa, ieri mattina: il vigile ci fa segno di passare, poi si avvicina al finestrino e inzia a cantilenare "We're changing, we're changing, we're changing". Il suo sorriso mi contagia, dico solo "Obama.". Lui ride, ride, ride e mi fa l'ok con il pollice. Ci guardiamo per una manciata di secondi, il tempo di attraversare l'incrocio  e reimmetterci nella nostra corsia. Cazzo, mi viene da piangere. C'è un sole che spacca la testa e quest'uomo ci passa sotto la giornata. Non lo so mica se il suo stipendio, finalmente, comincia a riscuoterlo, ma so che oggi è felice e lo vuole dire al mondo.
Kinshasa, mercato centrale: accompagno una coppia di amici a comprare un sacco di riso perché non si sa mai, in certi casi è sempre meglio avere qualcosa da mangiare in dispensa quando se ne ha la possibilità.
Un ragazzo si sporge dal banco della carne. Si informa prima: mi chiede cosa ne penso della vittoria di Obama. Poi, quando gli racconto del brindisi della notte scorsa, mi sussurra "Madame, le chef du monde est noir".
Questa è Kinshasa ora, nonostante tutto. Sulla via del ritorno non posso fare a meno di pensare a Berlusconi: dovrà pur stringere la mano al presidente degli Stati Uniti. E me la rido, foss'anche per questi dieci minuti, me la rido.


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