I: Bahati njema





--- Mer 5/11/08, Bani Emanuele <banisalvi at tin.it> ha scritto:
Da: Bani Emanuele <banisalvi at tin.it>
Oggetto: Bahati njema
A: "Emanuele Bani" <vsindsgv at val.it>
Data: Mercoledì 5 novembre 2008, 20:56

L'amico Marco Mayer, ci consiglia di augurare bahati njema a Barack Obama.
Grazie Marco.
Un saluto a tutti
Emanuele Bani

Bahati njema, Barack Obama

5 Novembre 2008, 06:23
Bahati njema, Barack Obama

In swahili, una lingua della sua terra africana, bahati njema vuol dire buona fortuna. E’ un augurio per il primo presidente afro-americano degli Stati Uniti d’America. E’ un giorno che cambia la storia, da oggi i razzisti imparino a riflettere.

Alla fine di due anni di durissima campagna elettorale gli Stati Uniti hanno riscoperto il futuro.

Con una vittoria netta il senatore dell’Illinois sarà chiamato dai super elettori e poi dai cittadini The President of the United States, Mr. Barack Obama.

Era il lontano 1954, quando con la sentenza della Corte suprema  “Oliver Brown contro il comitato della pubblica istruzione di Topeka, Kansas”,  finiva la segregazione razziale nelle scuole. Il cammino della discriminazione dei neri aveva radici profonde e nonostante l’abolizione della schiavitù, nel 1896, sempre la Corte suprema, con la sentenza “Plessy contro Ferguson” aveva stabilito la dottrina del “Separate but equal”. Insomma, si eguali, ma ognuno al suo posto.

Così c’erano panchine per i bianchi e panchine per i neri, bar per i bianchi e bar per i neri, restroom, come si chiama la toilette in America, per bianchi e restroom per neri. La cultura Wasp (White Anglo-Saxon Protestant) aveva forza, richezza e potere.

Insomma, la patria della Dichiarazione di Indipendenza, forse la più bella carta costituzionale del mondo, era uno straordinario proposito muto e lo è stato fino a questa notte, quando i padri fondatori e i loro eredi hanno finalmente visto il XV emendamento del 1870 diventare realtà: “II diritto di voto dei cittadini degli Stati Uniti non potrà essere negato né misconosciuto dagli Stati Uniti, né da alcuno Stato, per ragioni di razza, colore o precedente condizione di schiavitù”.

Il diritto di voto è diventato diritto ad essere eletti.

Ed anche il 4 aprile del 1968 è finalmente in un altro secolo. Quella giornata maleddetta a Memphis, Tennesse, quando uno degli uomni che hanno permesso la grande svolta del 4 novembre del 2008 fu assassinato. Martin Luther King.

Da questa notte i razzisti, i segregazionisti, i cretini di tutto il mondo hanno perso l’argomento, sono soli nella propria miseria, finalmente messi al bando non solo dalla cutura e dagli ideali, ma anche dalla storia.

The president of the United States, Mr. Barack Obama non cambierà il volto del Paese. Certo gli Usa saranno diversi da quel posto arrogante e rozzo che George W. Bush e i neoconservatori hanno trascinato in una crisi drammatica ed ancora tutta da risolvere, ma giù in Georgia, nelle praterie del Texas, nei piccoli villaggi dell’Oregon o nella colta Boston, Massachusetts, i poveri resteranno poveri e un bacio in pubblico tra una donna bianca ed un uomo nero resterà come da sempre per alcuni un fastidio. La pancia d’America farà fatica ad amare questo figlio dell’Africa, ma lui alla Casa Bianca, per uno di quegli accidenti della sorte e della storia, il mondo l’ha cambiato ancor prima di arrivarci.

I nostri solerti politici hanno già cominciato a deformare le cose, le tv a straparlare, i giornali a disquisire.

Il carro del vincitore per le genti italiche ha un irresistibile fascino. Così che un popolo di solito restio a votare, come quello a stelle e strisce, lo ha fatto a milioni. Mentre qui, nell’Italia felice della nuova ‘modernità per azioni’ del cavaliere non si scelgono i candidati e neppure si fa più la fila ai seggi.

Noi di InviatoSpeciale non possiamo negare di essere felici, ma non per le posizioni politiche di Obama, ma per la fine di una odiosa discriminazione verso i fratelli neri.

E vogliamo concludere con un frase di ‘Usa today’, il giornale più diffuso oltreoceano: “In una elezione storica, che vede il primo afro-americano nominato candidato da un partito ed una donna prima vicepresidente dall’altro”.

Che invidia.



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