In swahili, una lingua della sua terra africana, bahati njema
vuol dire buona fortuna. E’ un augurio per il primo presidente afro-americano
degli Stati Uniti d’America. E’ un giorno che cambia la storia, da oggi i
razzisti imparino a riflettere.
Alla fine di due anni di durissima campagna elettorale gli Stati
Uniti hanno riscoperto il futuro.
Con una vittoria netta il senatore dell’Illinois sarà chiamato
dai super elettori e poi dai cittadini The President of the United States, Mr.
Barack Obama.
Era il lontano 1954, quando con la sentenza della Corte
suprema “Oliver Brown contro il comitato della pubblica istruzione di
Topeka, Kansas”, finiva la segregazione razziale nelle scuole. Il cammino
della discriminazione dei neri aveva radici profonde e nonostante l’abolizione
della schiavitù, nel 1896, sempre la Corte suprema, con la sentenza “Plessy
contro Ferguson” aveva stabilito la dottrina del “Separate but equal”. Insomma,
si eguali, ma ognuno al suo posto.
Così c’erano panchine per i bianchi e panchine per i neri, bar
per i bianchi e bar per i neri, restroom, come si chiama la toilette in America,
per bianchi e restroom per neri. La cultura Wasp (White Anglo-Saxon Protestant)
aveva forza, richezza e potere.
Insomma, la patria della Dichiarazione di Indipendenza, forse la
più bella carta costituzionale del mondo, era uno straordinario proposito muto e
lo è stato fino a questa notte, quando i padri fondatori e i loro eredi hanno
finalmente visto il XV emendamento del 1870 diventare realtà: “II diritto di
voto dei cittadini degli Stati Uniti non potrà essere negato né misconosciuto
dagli Stati Uniti, né da alcuno Stato, per ragioni di razza, colore o precedente
condizione di schiavitù”.
Il diritto di voto è diventato diritto ad essere
eletti.
Ed anche il 4 aprile del 1968 è finalmente in un altro secolo.
Quella giornata maleddetta a Memphis, Tennesse, quando uno degli uomni che hanno
permesso la grande svolta del 4 novembre del 2008 fu assassinato. Martin Luther
King.
Da questa notte i razzisti, i segregazionisti, i cretini di
tutto il mondo hanno perso l’argomento, sono soli nella propria miseria,
finalmente messi al bando non solo dalla cutura e dagli ideali, ma anche dalla
storia.
The president of the United States, Mr. Barack Obama non
cambierà il volto del Paese. Certo gli Usa saranno diversi da quel posto
arrogante e rozzo che George W. Bush e i neoconservatori hanno trascinato in una
crisi drammatica ed ancora tutta da risolvere, ma giù in Georgia, nelle praterie
del Texas, nei piccoli villaggi dell’Oregon o nella colta Boston, Massachusetts,
i poveri resteranno poveri e un bacio in pubblico tra una donna bianca ed un
uomo nero resterà come da sempre per alcuni un fastidio. La pancia d’America
farà fatica ad amare questo figlio dell’Africa, ma lui alla Casa Bianca, per uno
di quegli accidenti della sorte e della storia, il mondo l’ha cambiato ancor
prima di arrivarci.
I nostri solerti politici hanno già cominciato a deformare le
cose, le tv a straparlare, i giornali a disquisire.
Il carro del vincitore per le genti italiche ha un irresistibile
fascino. Così che un popolo di solito restio a votare, come quello a stelle e
strisce, lo ha fatto a milioni. Mentre qui, nell’Italia felice della nuova
‘modernità per azioni’ del cavaliere non si scelgono i candidati e neppure si fa
più la fila ai seggi.
Noi di InviatoSpeciale non possiamo negare di essere felici, ma
non per le posizioni politiche di Obama, ma per la fine di una odiosa
discriminazione verso i fratelli neri.
E vogliamo concludere con un frase di ‘Usa today’, il giornale
più diffuso oltreoceano: “In una elezione storica, che vede il primo
afro-americano nominato candidato da un partito ed una donna prima
vicepresidente dall’altro”.
Che invidia.