campo di solidarietà in Palestina "Tutti a raccolta"
- Subject: campo di solidarietà in Palestina "Tutti a raccolta"
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- Date: Wed, 05 Nov 2008 11:50:03 +0100
Testimonianze dei volontari e delle volontarie italian* al
campo della raccolta delle olive in Palestina, il campo e' organizzato
dalla campagna "Ponti non Muri" di Pax Christi Associazione per la Pace ufficio nazionale Betlemme,
Dheisheh Camp, 31 ottobre 2008 Tutti a raccolta 2008, team di internazionali di Pax Christi
Insieme
alle autorita' del Campo, il dott. Husseini ha accolto con grande
commozione questo segno di partecipazione all'immensa sofferenza dei
profughi che nel 1948 sono stati scacciati da più di quattrocento
villaggi e nel 2008 sono tutt'ora oppressi da una pesantissima
occupazione militare. Il Team
di Tutti a raccolta che in questi giorni condivide con il popolo
palestinese la fatica e la gioia della raccolta delle olive, ha
raggiunto la prigione a cielo aperto di Betlemme dopo aver monitorato
numerosissime violazioni dell'esercito di occupazione da Nablus a
Ramallah, ma vuole concentrare la sua denuncia sulla situazione
drammatica della Valle del Giordano. Ancora
una volta siamo qui. Non ha prevalso in noi la rassegnazione per
un’ingiustizia enormemente piu’ grande e capillarmente piu’ profonda di
quanto si sappia in Italia e si possa immaginare anche sapendo tutto... TRA TERRA RUBATA E CASE
DEMOLITE
Basta percorrere pochi chilometri nella
valle, per capire come l’estensione delle coltivazioni israeliane
costringano gli abitanti dei villaggi arabi ad una vita al limite della
soglia di povertà.
La frammentazione del territorio e i numerosi
check-point tra una enclave e un’altra sono arrivati perfino ad
impedire l’accesso all’istruzione ai bambini della valle.
L’associazione Jordan Valley Solidarity
(www.jordanvalleysolidarty.org),
costruendo scuole con il cemento in
zona C, dove sarebbe proibito, mira a creare uno stato di fatto sul
terreno e cerca un appoggio internazionale per evitare la demolizione
degli edifici. Nel villaggio di Fasail è stata da poco inaugurata la
scuola costruita in cemento per bambini dai 6 ai 12 anni. Valle del Giordano: qualcuno potrebbe pensare
che si ripresenta ancora il mito degli israeliani che fanno fiorire il
deserto...Ma ancora una volta questo avviene attraverso
l’espropriazione della terra palestinese e la demolizione delle case e
del futuro di questo popolo.
3 novembre 2008, Campo
profughi
di Shu’fat, Gerusalemme LE PRIGIONI DELLA
PALESTINA. Ci accoglie a Ramallah Abuna Michael raccontandoci di avere due fratelli in prigione solo perché appartenenti a partiti politici scomodi a Israele. Detenzione preventiva. Due anni di torture e violenze. Uno dei due, ora, è uscito, ma porta ancora i segni dei soprusi subiti sul proprio corpo. Purtroppo questa è una delle tante storie che il popolo palestinese può raccontare. Ma la prigione, qui in Palestina, ha diverse facce, una per ogni ingiustizia che l’esercito israeliano impone con la forza a questo popolo. Anche vivere in un campo
profughi
è come vivere in una prigione. In tanti luoghi del mondo si cammina tra le immondizie, si vive con precarietà di luce e acqua, scarsità di servizi sanitari, bassa scolarità, disoccupazione, fenomeni di tossicodipendenza etc. Ma qui è diverso. Oltre a tutto questo, i campi profughi che abbiamo visitato, Balata a Nablus, Dheisheh a Betlemme e Shu’fat a Gerusalemme, sono una vera e propria prigione a cielo aperto, un chilometro quadrato di umiliazione stretto da un imponente controllo militare mentre a poca distanza sorgono case e giardini irrigati con l’acqua sottratta ai campi stessi. L’ONU ha dovuto creare l’agenzia dell’UNRWA, organismo differente dall’UNHCR, responsabile dei rifugiati nel mondo, poiché quest’ultimo non è stato riconosciuto dallo stato di Israele. L’UNRWA, ha concesso per la costruzione di ogni campo profughi un chilometro quadrato, prevedendo una situazione temporanea. Ma da allora sono passati 60 anni. La popolazione è aumentata a dismisura dovendosi stringere tra confini che diventano sempre più stretti. Abbandonare lo status di rifugiato, per le popolazioni del campo, significherebbe rinunciare al diritto al ritorno, sancito dalle Nazioni Unite. Anche vivere a Qalqiliya è
come
vivere in una prigione. Qalqilya
era una città conosciuta
per i suoi terreni fertili, i suoi scambi commerciali ed il bacino
idrico che
riforniva d’acqua tutta la zona limitrofa. Ora è una città circondata
completamente dal muro e l’unico collegamento con l’esterno è il
check point controllato dagli israeliani, che permette di accedere agli
altri
territori della West Bank. L’acqua è stata rubata ai palestinesi e
l’intera vita quotidiana è sotto assedio. Dista solo Anche essere bambino non
tutela
dal vivere in prigione. Dalla seconda intifada, infatti, 6.000 bambini sono stati arrestati. L’accusa più frequente dell’arresto è il “lancio di pietre” per il quale la pena massima è di 20 anni. Molto spesso può avvenire anche dopo anni dal presunto atto violento e le prove vengono estorte su patteggiamento o peggio sotto tortura. Ma c’è chi sa evadere da
questa prigione. Abbiamo incontrato chi reagisce in modo non violento, chi si sottrae all’umiliazione e trova forza per creare scuole di musica come l’associazione Al Kamandjati o chi inventa una scuola di clownerie a Ramallah per raccontare con il sorriso la sua storia. Tutti a Raccolta 2008!
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