campo di solidarietà in Palestina "Tutti a raccolta"



Testimonianze dei volontari e delle volontarie italian* al campo della raccolta delle olive in Palestina, il campo e' organizzato dalla campagna "Ponti non Muri" di Pax Christi

Associazione per la Pace
ufficio nazionale



Betlemme, Dheisheh Camp, 31 ottobre 2008

 

Tutti a raccolta 2008, team di internazionali di Pax Christi

 

Dopo un lungo lavoro di sensibilizzazione in centinaia di città e comunità, scuole e parrocchie dal nord al sud dell'Italia, la Campagna Ponti e non muri ha oggi ufficialmente e concretamente "appeso" alla parete del centro giovanile del Campo profughi l'impegno preso da tante persone che, consegnando una loro chiave di casa, hanno scelto di conoscere e condividere la storia e la sofferenza attuale dei profughi palestinesi, a sessant'anni dalla Nakba (catastrofe).
Una riuscitissima opera dell'artista milanese Chiara Monti è stata consegnata ad Hussein Al Haroub, Direttore di Shiraa e leader nel campo di Dehisheh.

Insieme alle autorita' del Campo, il dott. Husseini ha accolto con grande commozione questo segno di partecipazione all'immensa sofferenza dei profughi che nel 1948 sono stati scacciati da più di quattrocento villaggi e nel 2008 sono tutt'ora oppressi da una pesantissima occupazione militare.

 

Il Team di Tutti a raccolta che in questi giorni condivide con il popolo palestinese la fatica e la gioia della raccolta delle olive, ha raggiunto la prigione a cielo aperto di Betlemme dopo aver monitorato numerosissime violazioni dell'esercito di occupazione da Nablus a Ramallah, ma vuole concentrare la sua denuncia sulla situazione drammatica della Valle del Giordano.

 

Ancora una volta siamo qui.

Non ha prevalso in noi la rassegnazione per un’ingiustizia enormemente piu’ grande e capillarmente piu’ profonda di quanto si sappia in Italia e si possa immaginare anche sapendo tutto...
Quello che non riusciamo a raccontarvi in questo numero speciale di BoccheScucite non è lo scandalo di un singolo drammatico evento, ma la più incredibile follia di una quotidiana violenza che non viene né verrà conosciuta in Italia. Pensate solo che a dieci minuti da dove ci troviamo in questo momento, un gruppo di coloni continua a minacciare la popolazione e l'esercito ha, pochi giorni fa, addirittura arrestato una pacifista italiana. E solo dieci minuti fa gli spari sono risuonati nelle strade di Betlemme che stasera avevamo visto riempirsi di blindati e mezzi militari, visto che avevano trovato in una casa una pericolosissima arma giocattolo

 

TRA TERRA RUBATA E CASE DEMOLITE
LA VALLE DEL GIORDANO E’ UNA VALLE DI LACRIME

La colonna di automezzi deve arrestarsi ancora una volta: un’alluvione così non si vedeva da decenni e fiumi di fango sono diventati montagne di terra sulla strada che collega tra loro i poverissimi villaggi palestinesi della Valle del Giordano.
E’ lo stesso fango che ci avevano mostrato i piccoli nei mattoni della scuola di Fasail, costruita fino a pochi mesi fa con terra e paglia, finchè i volontari del Jordan Valley Solidarity son riusciti ad ottenere la concessione straordinaria di costruire la scuola in cemento. La straordinarietà è dovuta alla drammatica realtà di una criminale prassi messa in atto dall’esercito israeliano lungo l’intera striscia della Valle del Giordano, cioè esattamente nel 30% della West Bank: quotidiani ordini di demolizione si trasformano nella distruzione di ogni minima struttura edilizia mentre più del 50% di questa terra palestinese è sotto il controllo di quasi 7000 coloni.


Se si osserva la Valle del Giordano su una mappa dell’ONU, (www.ochaopt.org), salta all’occhio non solo la sua vastità, ma soprattutto il diffondersi di aree confiscate da Israele ed occupate da insediamenti illegali. Ai nostri occhi, però, e nonostante il fango di questi giorni, la valle si presenta oggi come un rigoglioso immenso giardino: coltivazioni di ogni genere, serre, piantagioni e centri abitati. Come può accadere tutto questo?


La terra confiscata al popolo palestinese viene ritenuta da Israele “zona militare” e anno dopo anno, con la stessa totale impunità che permette alla potenza occupante di opprimere con un perfetto sistema di apartheid tutta la Cisgiordania, l’espropriazione illegale si diffonde ovunque, con il risultato che a tutt’oggi solo il 6% della Valle del Giordano è ancora usata dai palestinesi!
La fertilità e la ricchezza di questo paradiso in terra ha attirato così più di 6000 coloni israeliani, che hanno costruito 36 insediamenti, mentre sono state abbattute le baracche dei pastori palestinesi a cui è proibito di pascolare le loro greggi.
Ai coloni sono state affidate le chiavi dei cancelli gialli che delimitano le zone militari, e con esse il controllo e la gestione di tutta la terra. A loro sono stati concessi enormi privilegi economici (casa, assistenza sanitaria ed educazione gratuite, acqua per l’irrigazione dei campi sempre gratuita e il 75% di sconto sui servizi), così da attirare negli insediamenti un numero sempre crescente di coloni, mentre a pochi metri di distanza i palestinesi sopravvivono sotto poverissime tende senza acqua né elettricità.


Il controllo totale da parte degli israeliani delle numerose fonti d’acqua  presenti nella valle, ha infine permesso ai coloni di diventare i maggiori  produttori agricoli della zona e gli unici in grado di esportare i loro prodotti in tutto il mondo, usufruendo peraltro di vantaggiose agevolazioni economiche per quanto riguarda lo scambio con l’Europa. La frutta e la verdura della Valle del Giordano, coltivata dagli israeliani sulla terra dei palestinesi, riescono in meno di 10 ore dalla raccolta ad essere distribuite sugli scaffali dei nostri supermercati (naturalmente “produced in Israel” e non certo “in Palestine”...). Non è così per gli scarsi prodotti palestinesi, frutto del lavoro delle comunità ancora presenti sul territorio, che raggiungono solo il mercato locale impiegando tre giorni a causa dei check-point e delle altre chiusure.

Basta percorrere pochi chilometri nella valle, per capire come l’estensione delle coltivazioni israeliane costringano gli abitanti dei villaggi arabi ad una vita al limite della soglia di povertà.


Ad aggravare la situazione contribuisce la suddivisione del territorio nella zone B e C, dopo gli accordi di Oslo. Nella zona B, dove preesistevano villaggi palestinesi, sono permesse opere edilizie, l’amministrazione è esercitata dall’autorità palestinese e gli israeliani esercitano il controllo militare, con la libertà di entrare nei centri abitati e nelle case in totale arbitrarietà.
Nella zona C invece, sotto il totale controllo militare israeliano, i  palestinesi possono risiedere, ma non è consentito loro di edificare alcuna opera edilizia permanente, né per quanto riguarda abitazioni, né per quanto riguarda le infrastrutture pubbliche. I villaggi della zona sono privi di acqua e di energia elettrica, mentre ne sono dotati i limitrofi insediamenti dei coloni.

La frammentazione del territorio e i numerosi check-point tra una enclave e un’altra sono arrivati perfino ad impedire l’accesso all’istruzione ai bambini della valle. L’associazione Jordan Valley Solidarity (www.jordanvalleysolidarty.org), costruendo scuole con il cemento in zona C, dove sarebbe proibito, mira a creare uno stato di fatto sul terreno e cerca un appoggio internazionale per evitare la demolizione degli edifici. Nel villaggio di Fasail è stata da poco inaugurata la scuola costruita in cemento per bambini dai 6 ai 12 anni.
Giocando con i piccoli nel cortile della scuola di Fasail, vediamo da un lato le baracche costruite in zona C per gli abitanti del villaggio palestinese, e dall’altro, a pochi metri, le file ordinate di villette delle colonie che spuntano fra le palme di un’oasi artificiale.

 

Valle del Giordano: qualcuno potrebbe pensare che si ripresenta ancora il mito degli israeliani che fanno fiorire il deserto...Ma ancora una volta questo avviene attraverso l’espropriazione della terra palestinese e la demolizione delle case e del futuro di questo popolo.
Valle del Giordano: ci rendiamo conto che acquistando un prodotto  “israeliano” ci facciamo complici dell’illegalità dell’occupazione e  distruzione di un popolo?
Valle del Giordano: Come è possibile che le decine di migliaia di pellegrini che ogni settimana arrivano in Terra Santa e sfrecciano nei loro autobus turistici sulla strada che percorre la valle, non si rendano conto di questo crimine?
Valle del Giordano: fino a poco tempo fa, perfino per Google non esisteva nulla su questa mostruosità, ma questo silenzio del mondo diventa ogni giorno di più un grido disperato di giustizia. Sul fiume Giordano, una valle di lacrime.


3 novembre 2008, Campo profughi di Shu’fat, Gerusalemme

 

LE PRIGIONI DELLA PALESTINA.

 

Ci accoglie a Ramallah Abuna Michael raccontandoci di avere due fratelli in prigione solo perché appartenenti a partiti politici scomodi a Israele. Detenzione preventiva. Due anni di torture e violenze. Uno dei due, ora, è uscito, ma porta ancora i segni dei soprusi subiti sul proprio corpo. Purtroppo questa è una delle tante storie che il popolo palestinese può raccontare. Ma la prigione, qui in Palestina, ha diverse facce, una per ogni ingiustizia che l’esercito israeliano impone con la forza a questo popolo.

Anche vivere in un campo profughi è come vivere in una prigione.

In tanti luoghi del mondo si cammina tra le immondizie, si vive con precarietà di luce e acqua, scarsità di servizi sanitari, bassa scolarità, disoccupazione, fenomeni di tossicodipendenza etc.

Ma qui è diverso. Oltre a tutto questo, i campi profughi che abbiamo visitato, Balata a Nablus, Dheisheh a Betlemme e Shu’fat a Gerusalemme, sono una vera e propria prigione a cielo aperto, un chilometro quadrato di umiliazione stretto da un imponente controllo militare mentre a poca distanza sorgono case e giardini irrigati con l’acqua sottratta ai campi stessi.

L’ONU ha dovuto creare l’agenzia dell’UNRWA, organismo differente dall’UNHCR, responsabile dei rifugiati nel mondo, poiché quest’ultimo non è stato riconosciuto dallo stato di Israele.

L’UNRWA, ha concesso per la costruzione di ogni campo profughi un chilometro quadrato, prevedendo una situazione temporanea.

Ma da allora sono passati 60 anni.

La popolazione è aumentata a dismisura dovendosi stringere tra confini che diventano sempre più stretti. Abbandonare lo status di rifugiato, per le popolazioni del campo, significherebbe rinunciare al diritto al ritorno, sancito dalle Nazioni Unite.

Anche vivere a Qalqiliya è come vivere in una prigione.

Qalqilya era una città conosciuta per i suoi terreni fertili, i suoi scambi commerciali ed il bacino idrico che riforniva d’acqua tutta la zona limitrofa. Ora è una città circondata completamente dal muro e l’unico collegamento con l’esterno è il check point controllato dagli israeliani, che permette di accedere agli altri territori della West Bank. L’acqua è stata rubata ai palestinesi e l’intera vita quotidiana è sotto assedio. Dista solo 13 Km dal Mediterraneo, ma gli abitanti di Qalqilya non possono andare al mare. Dalla città si vedono tutto attorno le strade imponenti dello Stato d’Israele che collegano Gerusalemme a Tel Aviv, vietate ai palestinesi.

Anche essere bambino non tutela dal vivere in prigione.

Dalla seconda intifada, infatti, 6.000 bambini sono stati arrestati. L’accusa più frequente dell’arresto è il “lancio di pietre” per il quale la pena massima è di 20 anni. Molto spesso può avvenire anche dopo anni dal presunto atto violento e le prove vengono estorte su patteggiamento o peggio sotto tortura.

Ma c’è chi sa evadere da questa prigione.

Abbiamo incontrato chi reagisce in modo non violento, chi si sottrae all’umiliazione e trova forza per creare scuole di musica come l’associazione Al Kamandjati o chi inventa una scuola di clownerie a Ramallah per raccontare con il sorriso la sua storia.

 

Tutti a Raccolta 2008!


Tutti a raccolta 2008, team di internazionali di Pax Christi
Per contatti: 00972 543176361


--~--~---------~--~----~------------~-------~--~----~
Hai ricevuto questo messaggio in quanto sei iscritto al gruppo Gruppo "Sumud" di Google Gruppi.
 Per mandare un messaggio a questo gruppo, invia una email a sumud-roma at googlegroups.com
 Per annullare l'iscrizione a questo gruppo, invia un'email a sumud-roma+unsubscribe at googlegroups.com
 Per maggiori opzioni, visita questo gruppo all'indirizzo http://groups.google.com/group/sumud-roma?hl=it

-~----------~----~----~----~------~----~------~--~---