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[Stampa] "Iraq, rifugiati: la comunità intern" "azionale viene meno alle proprie responsabilità, denun" cia Amnesty International
- Subject: [Stampa] "Iraq, rifugiati: la comunità intern" "azionale viene meno alle proprie responsabilità, denun" cia Amnesty International
- From: press at amnesty.it
- Date: Tue, 17 Jun 2008 12:45:12 +0200
COMUNICATO STAMPA CS75-2008 RIFUGIATI IRACHENI: LA COMUNITA' INTERNAZIONALE VIENE MENO ALLE PROPRIE RESPONSABILITA', DENUNCIA AMNESTY INTERNATIONAL In un nuovo rapporto Amnesty International ha denunciato che la comunita' internazionale sta venendo meno alle proprie responsabilita' nei confronti dei rifugiati iracheni, promuovendo una falsa immagine della sicurezza in Iraq, un paese che invece non e' sicuro ne' presenta condizioni idonee al rientro dei rifugiati. Nel suo rapporto 'Rhetoric and reality: the Iraqi refugee crisis', basato su recenti ricerche e interviste ai rifugiati iracheni, Amnesty International denuncia che gli Stati piu' ricchi del mondo non stanno fornendo la necessaria assistenza a persone che, nella maggior parte dei casi, si trovano ormai in una situazione disperata e stanno scivolando verso la totale indigenza. 'I governi' - si legge nel rapporto - 'stanno facendo poco o niente per aiutare i rifugiati iracheni, venendo cosi' meno al loro obbligo morale, politico e legale di assumere una responsabilita' comune nei loro confronti. Disinteresse e retorica contraddistinguono in misura schiacciante la risposta a una delle peggiori crisi dei rifugiati dei nostri tempi'. Il governo iracheno e quelli degli Stati coinvolti nell'invasione del 2003, in particolare Usa e Regno Unito, stanno pubblicizzando, per ragioni politiche, il 'miglioramento' della sicurezza e i ritorni 'volontari' per dimostrare che il loro impegno militare e' stato un successo. 'Ma la retorica non puo' nascondere la realta', e cioe' che la situazione dei diritti umani complessivamente considerata rimane agghiacciante' - ribatte Amnesty International. 'I mesi passano e i gruppi armati, i soldati della Forza multinazionale, le forze di sicurezza irachene e il personale delle compagnie private militari e di sicurezza continuano a uccidere. I rapimenti, le torture, i maltrattamenti e gli arresti arbitrari dominano la vita quotidiana degli iracheni che cercano una via di fuga, diventata sempre piu' difficile a seguito delle recenti restrizioni sui visti imposte da Giordania e Siria'. Secondo le ultime stime dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati, il numero degli iracheni che hanno lasciato le proprie case e' salito a 4,7 milioni, il dato piu' alto dall'invasione guidata dagli Usa e dal successivo conflitto armato interno. Giordania e Siria, che hanno sostenuto l'impatto maggiore dell'afflusso di rifugiati, hanno ora introdotto misure drastiche, anche a causa della mancanza di sostegno della comunita' internazionale, come le restrizioni all'ingresso e la deportazione di persone che, in questo modo, rischiano di subire persecuzioni. Dopo aver esaurito ogni risparmio, molti rifugiati vivono attualmente nella piu' completa indigenza e vanno incontro a nuovi pericoli, come il ritorno 'volontario' forzato o il lavoro minorile: molte famiglie, infatti, non hanno altra scelta se non far lavorare i propri bambini nelle strade, in un disperato tentativo di sopravvivenza. Le difficolta' incontrate nei paesi ospitanti stanno spingendo molti rifugiati a prendere una decisione ardua e coraggiosa: ritornare in Iraq, temporaneamente per riscuotere la pensione, una razione alimentare o per ulteriori motivi oppure definitivamente, a causa della disperata situazione in cui si trovano all'esterno, non perche' ritengano di essere al riparo da nuove violazioni dei diritti umani una volta rientrati in patria. Stanno prendendo questa decisione perche' non hanno alcun'altra possibilita'. Il rapporto di Amnesty International racconta, tra le tante, la storia di Majid, 62 anni, sciita, ufficiale dell'esercito in pensione. Vedovo con sette figli adulti, e' fuggito da Baghdad nel febbraio di quest'anno, dopo che due suoi nipoti, Mansour (17 anni) e Sami (19) erano stati decapitati da un gruppo armato in un quartiere settentrionale della citta'. E' arrivato con meno di un euro in tasca in Siria, ma dopo poco tempo e' stato costretto a rientrare in Iraq. Intervistato da Amnesty International, spaventato e in lacrime, ha spiegato di non avere alternative e di aver perso ogni speranza: 'Se devo morire, che muoia!' Molti Stati europei stanno cercando di deportare i rifugiati iracheni talvolta persino verso le regioni centrali e meridionali dell'Iraq, le piu' pericolose. Oltre a procedere a espulsioni dirette, i governi europei stanno adottando misure indirette, come il taglio dell'assistenza e dei servizi in favore di coloro cui e' stata respinta la domanda di asilo politico, per spingerli a tornare 'volontariamente' in Iraq. La Svezia, il paese europeo che ospita il maggior numero di rifugiati iracheni e che in passato e' stato un esempio positivo, ha cambiato atteggiamento e sta ora negando protezione alla maggior parte dei rifugiati, obbligando alcuni di essi a rientrare in zone estremamente pericolose dell'Iraq. Amnesty International nutre grande timore che l'assenza di risposte alla crisi dei rifugiati iracheni peggiorera' una situazione gia' drammatica. Per questo l'organizzazione per i diritti umani chiede alla comunita' internazionale di: - aumentare urgentemente e significativamente l'assistenza finanziaria disponibile; - porre fine ai ritorni forzati, che mettono ulteriormente a rischio vite umane; - porre altresi' fine ai ritorni 'volontari' imposti con la forza; - consentire ai singoli rifugiati di cercare impieghi retribuiti; - individuare un numero maggiore di luoghi di reinsediamento per i rifugiati piu' vulnerabili, in modo che possano iniziare una nuova vita in un paese terzo. Amnesty International chiede inoltre ai governi di Egitto, Giordania, Libano e Siria e di altri paesi della regione medio-orientale di consentire libero ingresso alle persone in fuga dall'Iraq, porre fine alle deportazioni e garantire l'accesso dei rifugiati al mercato del lavoro. FINE DEL COMUNICATO Roma, 16 giugno 2008 Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste: Amnesty International Italia - Ufficio stampa e-mail: press at amnesty.it
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