[Stampa] "Iraq, rifugiati: la comunità intern" "azionale viene meno alle proprie responsabilità, denun" cia Amnesty International



COMUNICATO STAMPA
CS75-2008

RIFUGIATI IRACHENI: LA COMUNITA' INTERNAZIONALE VIENE MENO ALLE PROPRIE
RESPONSABILITA', DENUNCIA AMNESTY INTERNATIONAL

In un nuovo rapporto Amnesty International ha denunciato che la comunita'
internazionale sta venendo meno alle proprie responsabilita' nei confronti
dei rifugiati iracheni, promuovendo una falsa immagine della sicurezza in
Iraq, un paese che invece non e' sicuro ne' presenta condizioni idonee al
rientro dei rifugiati.

Nel suo rapporto 'Rhetoric and reality: the Iraqi refugee crisis', basato
su recenti ricerche e interviste ai rifugiati iracheni, Amnesty
International denuncia che gli Stati piu' ricchi del mondo non stanno
fornendo la necessaria assistenza a persone che, nella maggior parte dei
casi, si trovano ormai in una situazione disperata e stanno scivolando
verso la totale indigenza.

'I governi' - si legge nel rapporto - 'stanno facendo poco o niente per
aiutare i rifugiati iracheni, venendo cosi' meno al loro obbligo morale,
politico e legale di assumere una responsabilita' comune nei loro
confronti. Disinteresse e retorica contraddistinguono in misura
schiacciante la risposta a una delle peggiori crisi dei rifugiati dei
nostri tempi'.

Il governo iracheno e quelli degli Stati coinvolti nell'invasione del
2003, in particolare Usa e Regno Unito, stanno pubblicizzando, per ragioni
politiche, il 'miglioramento' della sicurezza e i ritorni 'volontari' per
dimostrare che il loro impegno militare e' stato un successo.

'Ma la retorica non puo' nascondere la realta', e cioe' che la situazione
dei diritti umani complessivamente considerata rimane agghiacciante' -
ribatte Amnesty International. 'I mesi passano e i gruppi armati, i
soldati della Forza multinazionale, le forze di sicurezza irachene e il
personale delle compagnie private militari e di sicurezza continuano a
uccidere. I rapimenti, le torture, i maltrattamenti e gli arresti
arbitrari dominano la vita quotidiana degli iracheni che cercano una via
di fuga, diventata sempre piu' difficile a seguito delle recenti
restrizioni sui visti imposte da Giordania e Siria'.

Secondo le ultime stime dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati, il
numero degli iracheni che hanno lasciato le proprie case e' salito a 4,7
milioni, il dato piu' alto dall'invasione guidata dagli Usa e dal
successivo conflitto armato interno.

Giordania e Siria, che hanno sostenuto l'impatto maggiore dell'afflusso di
rifugiati, hanno ora introdotto misure drastiche, anche a causa della
mancanza di sostegno della comunita' internazionale, come le restrizioni
all'ingresso e la deportazione di persone che, in questo modo, rischiano
di subire persecuzioni.

Dopo aver esaurito ogni risparmio, molti rifugiati vivono attualmente
nella piu' completa indigenza e vanno incontro a nuovi pericoli, come il
ritorno 'volontario' forzato o il lavoro minorile: molte famiglie,
infatti, non hanno altra scelta se non far lavorare i propri bambini nelle
strade, in un disperato tentativo di sopravvivenza.

Le difficolta' incontrate nei paesi ospitanti stanno spingendo molti
rifugiati a prendere una decisione ardua e coraggiosa: ritornare in Iraq,
temporaneamente per riscuotere la pensione, una razione alimentare o per
ulteriori motivi oppure definitivamente, a causa della disperata
situazione in cui si trovano all'esterno, non perche' ritengano di essere
al riparo da nuove violazioni dei diritti umani una volta rientrati in
patria. Stanno prendendo questa decisione perche' non hanno alcun'altra
possibilita'.


Il rapporto di Amnesty International racconta, tra le tante, la storia di
Majid, 62 anni, sciita, ufficiale dell'esercito in pensione. Vedovo con
sette figli adulti, e' fuggito da Baghdad nel febbraio di quest'anno, dopo
che due suoi nipoti, Mansour (17 anni) e Sami (19) erano stati decapitati
da un gruppo armato in un quartiere settentrionale della citta'. E'
arrivato con meno di un euro in tasca in Siria, ma dopo poco tempo e'
stato costretto a rientrare in Iraq. Intervistato da Amnesty
International, spaventato e in lacrime, ha spiegato di non avere
alternative e di aver perso ogni speranza: 'Se devo morire, che muoia!'

Molti Stati europei stanno cercando di deportare i rifugiati iracheni
talvolta persino verso le regioni centrali e meridionali dell'Iraq, le
piu' pericolose. Oltre a procedere a espulsioni dirette, i governi europei
stanno adottando misure indirette, come il taglio dell'assistenza e dei
servizi in favore di coloro cui e' stata respinta la domanda di asilo
politico, per spingerli a tornare 'volontariamente' in Iraq.

La Svezia, il paese europeo che ospita il maggior numero di rifugiati
iracheni e che in passato e' stato un esempio positivo, ha cambiato
atteggiamento e sta ora negando protezione alla maggior parte dei
rifugiati, obbligando alcuni di essi a rientrare in zone estremamente
pericolose dell'Iraq.

Amnesty International nutre grande timore che l'assenza di risposte alla
crisi dei rifugiati iracheni peggiorera' una situazione gia' drammatica.
Per questo l'organizzazione per i diritti umani chiede alla comunita'
internazionale di:
- aumentare urgentemente e significativamente l'assistenza finanziaria
disponibile;
- porre fine ai ritorni forzati, che mettono ulteriormente a rischio vite
umane;
- porre altresi' fine ai ritorni 'volontari' imposti con la forza;
- consentire ai singoli rifugiati di cercare impieghi retribuiti;
- individuare un numero maggiore di luoghi di reinsediamento per i
rifugiati piu' vulnerabili, in modo che possano iniziare una nuova vita in
un paese terzo.

Amnesty International chiede inoltre ai governi di Egitto, Giordania,
Libano e Siria e di altri paesi della regione medio-orientale di
consentire libero ingresso alle persone in fuga dall'Iraq, porre fine alle
deportazioni e garantire l'accesso dei rifugiati al mercato del lavoro.

FINE DEL COMUNICATO
Roma, 16 giugno 2008

Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
e-mail: press at amnesty.it