Linguaggi veri



Linguaggi veri

Democrazia - come sappiamo - fa sempre più rima con videocrazia, per cui chi rende bene in tv come Bertinotti o Pecoraro Scanio ha libero accesso; ciò che contava e che conta è che la “sinistra radicale” rappresenti i marginali del sistema mediante quelle visibilità amichevoli. Un po’ come i comici al teatro che ci fanno ascoltar quello che più piace, scaricare le tensioni, star bene dopo esserci sbellicati avendo però il concreto effetto che ben pochi passeranno all’azione politico-sociale.

Berlusconi invece dopo il referendum sulle frequenze e sul conflitto d’interessi ha inteso che era bene darsi da fare in prima persona nell’attività politica se voleva evitare altri rischi al suo potere.

Da parte sua, la gente ha capito - dopo il bombardamento delle città Jugoslave nel 1999 - che quei 13 governi europei di centrosinistra (sui 15 allora al potere insieme al democratico Clinton) non valevano più la pena di un voto. Nel tempo solo in Spagna (dove all’epoca governava il centrodestra) si è avuta una vittoria socialista mentre – a parte la prossima caduta del governo laburista – tutti gli altri governi non ci sono più. Questo nessuno lo ricorda così come nessuno fa memoria del suddetto vero perché della “scesa in campo” del Cavaliere.

Oggi c’è davanti a noi la crisi del potere: ambientale, finanziaria, energetica, culturale; Marx forse la chiamerebbe una crisi strutturale. Sembrano aver ragione gli studiosi che coniugano il tempo della crisi del potere e quello della società civile insieme: basta partecipare a una qualche assemblea in giro per la penisola. 

Scontro di civiltà e scontro di culture: che ne pensiamo? L'altro mondo possibile vuole mettersi a lavorare sui linguaggi oppure l'obiettivo è ritrovare i Vendola o chissà chi con un “bel” 5 % alle europee?

E Veltroni che giulivo parlava di vittoria, fin quando non ha sbattuto il muso su Roma.

Vogliamo occuparci del rapporto morte versus potere oppure lo vogliamo lasciare ai Kamikaze e all’Impero? Abbiamo da dire in merito due parole anche noi? E sulle guerre e sulla proprietà privata? 

Il linguaggio è lo strumento privilegiato del potere; è suo tramite che controlla le istituzioni incaricate di diffondere il messaggio ideologico. 

Se dalle dichiarazioni dei redditi del 2005 si viene a sapere che più della metà delle aziende si dichiara in passivo, la cosa ci interessa? Rappresenta un terreno di lavoro oppure no?
E vogliamo ben dire quella ovvietà che non è che siano i lavoratori a voler essere in nero ma bensì le aziende che sfruttano dei poveri cristi?
E ancora, dire che dal termine capitale (posseduto da pochi eletti) si è passati a parlare di mercato (che in quanto tale ci vede tutti in qualche modo interessati).

Il potere è saldo quando vive nei confini del ricatto delle vite così come nell’ambito delle narrazioni, che sono il punto dello stato di cose.

Alla guerra umanitaria si aggiunge la “buona e giusta” ingerenza umanitaria. I detentori del potere sono i sacerdoti della parola; essi possiedono la ragione e la conoscenza. Alle cose, agli animali, alla natura, agli esseri umani quello che si fa come primo atto è di imporre loro un nome!

Il linguaggio è condizionamento ideologico e senza quest’ultimo il ricatto sulla vita non avrebbe successo.

Attraverso gli artifici del linguaggio, il potere in fondo legittima se stesso e in particolare conserva le adesioni, le illusioni e la fondatezza della sua gestione della vita.

24/5/8 – Leopoldo BRUNO