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Cluster bombs: proteste delle Ong per le pressioni degli Usa 
  
  
    
      
        
        
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          | Manifestazione degli attivisti della CMC a Dublino 
            - foto CMC  |   Gli Stati Uniti stanno diffondendo 
      "interventi fuorvianti nell’ovvio tentativo di intimidire i partecipanti 
      ed indebolire il Trattato per mettere al bando le cluster bombs" in 
      discussione in questi giorni alla Conferenza di Dublino. E' la chiara denuncia della 'Stop Cluster Munition Coalition' (CMC) 
      che ha protestato oggi davanti all’Ambasciata Americana insieme con le 
      vittime delle cluster e attivisti da tutto il mondo capeggiati dal Premio 
      Nobel per la Pace Jody Williams. 
  Pur non partecipando alla Conferenza di Dublino al pari di altri paesi tra i 
      maggiori produttori di ‘bombe a grappolo’ – come Russia, Israele, Cina e 
      Pakistan – gli Stati Uniti stanno facendo intendere che la proibizione 
      all’impiego di cluster bombs possa comportare l’impossibilità di 
      partecipare anche a missioni umanitarie congiunte. “E' un cinico tentativo 
      per cercare di intimidire i Paesi che in questi giorni stanno negoziando 
      un Trattato per mettere al bando queste armi" - ha dichiarato Simon Conway 
      di CMC. 
  Una norma della bozza del Trattato prevede infatti, in ambito di 
      missioni umanitarie congiunte, la non assistenza operativa degli Stati 
      firmatari verso gli Stati non firmatari del Trattato. In realtà – spiega 
      la CMC – identici provvedimenti contenuti nel Trattato di Messa al Bando 
      delle Mine antipersona non hanno avuto questo effetto malgrado il Trattato 
      di Ottawa sia entrato in vigore da 9 anni e 156 Stati l’abbiano già 
      sottoscritto. "Siamo qui per mettere al bando le munizioni cluster, non 
      per creare scappatoie per facilitare l’uso di queste armi da parte degli 
      Stati Uniti: chiediamo agli alleati degli Usa di resistere alle pressioni 
      che provengono da Washington” – ha commentato Steve Goose, co-direttore di 
      CMC. 
  La posizione di Washington preoccupa anche gli attivisti 
      italiani. “Siamo un paese alleato degli Stati Uniti, ma questo non deve e 
      non può condizionare strumentalmente la capacità di giudizio e di 
      collaborazione costruttiva che l’Italia può offrire al processo verso il 
      Trattato” – afferma Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro 
      le mine. “Non basta fare dichiarazioni di buona volontà: l’Italia non 
      può sostenere una posizione strumentale ai soli interessi degli Stati 
      Uniti che non partecipano al Processo di discussione ma che pretendono di 
      influenzarne il risultato in un modo così negativo. Collegare un possibile 
      impedimento di partecipazione alle missioni umanitarie al concetto di 
      inter-operabilità e al possesso delle cluster bombs è un’aberrazione che 
      rende palpabile lo spessore e il vero scopo di queste pressioni” – 
      conclude Schiavello. 
  La Conferenza di Dublino dovrebbe 
      rappresentare l'ultima e cruciale tappa del "processo di 
      Oslo" iniziato nel 2007 che nel febbraio 2008 ha portato 81 Paesi, tra 
      cui l’Italia, alla "Dichiarazione di Wellington", una bozza soddisfacente 
      del testo del Trattato vincolante per la messa al bando delle munizioni 
      cluster, l’assistenza alle vittime e la bonifica dei territori 
      contaminati. 
  La campagna 'Stop Cluster Munitions' chiede che il 
      Trattato preveda il "divieto dell'uso, produzione, trasferimento e 
      stoccaggio delle munizioni a grappolo". A Wellington (Nuova Zelanda) 500 
      delegati, compresi i rappresentanti di 122 governi, esponenti della 
      società civile e vittime delle munizioni cluster provenienti da 38 Paesi 
      hanno raggiunto un accordo su una dichiarazione che però non è stata 
      firmata da Giappone, Romania e Polonia mentre all'iniziativa di Oslo non 
      hanno partecipato alcuni tra i maggiori produttori di cluster bombs come 
      Stati Uniti, Russia, Israele, Cina, India e Pakistan. [GB] 
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http://www.unimondo.org/article/view/159316/1/ 
 
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