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17 novembre, torniamo a Genova: comunicati e appelli
- Subject: 17 novembre, torniamo a Genova: comunicati e appelli
- From: "Information Guerrilla - informare è resistere@lutherblissett.local, " <ig at informationguerrilla.org>@lutherblissett.local
- Date: Fri, 16 Nov 2007 09:57:37 +0100
LA STORIA SIAMO NOI Perché un evento storico come la mobilitazione contro il G8 del 2001, di straordinaria potenza e di innovazione delle forme di partecipazione politica, non venga riscritto nelle aule di tribunale. Per impedire che 25 persone a Genova e 13 a Cosenza paghino, con secoli di carcere e milioni di euro, la volontà di rivalsa sul fatto che 300.000 persone scesero in piazza nel 2001 contro i padroni del mondo. Perché questi processi con imputazioni assurde e anacronistiche come il reato di "devastazione e saccheggio" e con le loro prossime sentenze, non diventino un'ipoteca sulla libertà di manifestare di tutti i movimenti. Perché Genova, come nel 2001, si faccia portatrice di un mondo senza frontiere, contro ogni forma di razzismo, contro politiche securitarie ed espulsioni di massa che mettono a rischio le libertà di tutti. Le promozioni di De Gennaro e di molti altri dirigenti delle forze dell'ordine coinvolti nei fatti di Genova, la sicura prescrizione dei processi contro i poliziotti imputati per il massacro della scuola Diaz e le torture della caserma di Bolzaneto, l'archiviazione del processo per l'omicidio di Carlo Giuliani, così come la bocciatura della commissione parlamentare d'inchiesta sulla gestione dell'ordine pubblico in quelle giornate, rappresentano un'ulteriore offesa ai movimenti e uno schiaffo alla città di Genova. *Invitiamo a ripartire da Genova per mobilitarci contro chi devasta la nostra storia e saccheggia le nostre vite*. PER ADERIRE: <>lastoriasiamonoi at sanbenedetto.org LA STORIA NON SI RISCRIVE NEI TRIBUNALI. IL CONFLITTO SOCIALE NON SI ARRESTA Non gli è bastato assassinare Carlo Giuliani; hanno dovuto archiviare il processo ai suoi assassini. Non sono bastate la mattanza della Diaz, l'orrore delle torture di Bolzaneto, la macelleria cilena delle strade di Genova: devono far cadere in prescrizione i reati commessi dalle cosiddette forze dell'ordine e garantire, con centrodestra e centrosinistra in sintonia, la continuità del comando della polizia e la promozione di De Gennaro. Oggi 25 compagni/e a Genova e 13 a Cosenza rischiano di pagare carissima, con secoli di galera e milioni di euro di multa, la rivolta, praticata insieme ad altri 300.000, contro la calata dei padroni del mondo a Genova per il G8 del luglio 2001. A Napoli sono già stati pesantemente condannati alcuni attivisti per una iniziativa di protesta contro il carovita alla Ipercoop di Afragola, mentre su altri 19 incombe il processo per una iniziativa analoga a Roma il 6 novembre del 2004. Diventa sempre più frequente che i protagonisti dei conflitti sociali finiscano seppelliti dalle condanne piuttosto che vedere una risposta alle legittime esigenze popolari che pongono. La magistratura genovese non ha esitato a sostenere contro i processati incredibili e pesantissimi capi di imputazione, devastazione e saccheggio (a Genova) e cospirazione contro i poteri dello stato (a Cosenza), che fanno accapponare la pelle a qualsiasi sostenitore dello stato di diritto. Quello stato di diritto che viene ridotto a brandelli in questi giorni da una isteria securitaria, che, incubata dalla propaganda razzista e fascista durante il governo Berlusconi e poi accelerata dall'ossessione del controllo e dell'ingabbiamento sociale da parte dei sindaci-sceriffi del centrosinistra con le ordinanze repressive contro lavavetri e writers, oggi sfocia nel decreto del governo di chiara matrice razzista e xenofoba, con il "dolce" Veltroni a menare le danze contro romeni e rom. Il tutto mentre governo, Confindustria, Cgil-Cisl-Uil procedono nella demolizione dei diritti sociali con il protocollo del 23 luglio che massacra la previdenza pubblica e rende eterna la precarietà, con una Finanziaria che dà soldi solo al padronato e immiserisce salari e servizi sociali, che aumenta ancora le spese militari e addirittura vede il centrosinistra compatto nello stanziamento di 30 milioni di euro per riportare in Italia (alla Maddalena) il G8 nel 2009. I processi di Genova e Cosenza costituiscono una ignobile operazione liberticida, che non solo mette terribilmente a repentaglio la libertà degli imputati/e, ma rappresenta un monito minaccioso contro tutto il movimento antiliberista e no-war, contro tutte quelle lotte sociali che fuoriescono dalle compatibilità capitalistiche, contro tutti/e coloro che continuano a battersi per un altro mondo possibile e indispensabile. Si processano i nostri compagni/e perché si vuole delegittimare e cancellare ogni traccia di conflitto sociale.Ma il movimento non si fa processare: per questo saremo tutti/e a Genova, nel ricordo di Carlo Giuliani, per richiedere l'assoluzione di tutti gli imputati/e di Genova e Cosenza, Lo faremo nella continuità ideale e concreta con le lotte di quest'anno, dal 9 giugno allo sciopero del 9 novembre, perché il conflitto sociale non può essere ingabbiato, perché non permetteremo che siano i tribunali a riscrivere la storia dei movimenti e di chi si ribella ai padroni del mondo, al dominio spietato del profitto, della guerra, della mercificazione totale dell'esistente. prime adesioni: Cobas, RdB-Cub, SdL, Sinistra Critica, PCL , Rete dei Comunisti, Global Network, Action, Rete semprecontrolaguerra , Rete nazionale Disarmianoli, Partito dei Comunisti Italiani (Campania) PERCHE' DICIAMO NO ALLA COMMISSIONE DI INCHIESTA E SI' A UNA MANIFESTAZIONE DI MASSA Supportolegale è un collettivo che da quattro anni si occupa di seguire i processi relativi ai fatti del G8 composto da persone che sono state protagoniste, insieme ad altre migliaia, di tutti gli eventi che hanno reso Genova un nodo delle nostre vite e della nostra storia. La giornata del 17 novembre ha mosso i suoi primi passi anche e immodestamente vogliamo dire soprattutto da un appello generico alla mobilitazione sui processi genovesi che abbiamo pubblicato come Supportolegale su Liberazione e Manifesto nelle scorse settimane. Supportolegale ha deciso di partecipare come promotore e organizzatore della giornata proprio per contribuire a focalizzare l'attenzione di tutti sulla necessaria difesa di 25 manifestanti usati come capro espiatorio di un episodio che non può che essere visto e vissuto se non come un pezzo della nostra storia collettiva. L'operazione in corso nei tribunali di Genova - e di Cosenza - è un'operazione che mira a terrorizzare le forme più decentralizzate e spontanee di partecipazione alla vita politica e sociale da parte delle persone. Per questo l'appello che avevamo fatto e la giornata intera si è giustamente intitolata "La Storia Siamo Noi", perché pensiamo che siano i protagonisti stessi degli eventi a dover ricostruire insieme la verità e la complessità su quelle giornate: solo le 300.000 persone che erano in piazza in quei giorni possono essere in grado di raccontare agli altri e a se stessi ciò che è avvenuto in quei giorni senza pruriti giustizialisti o moralisti, ma con il desiderio di capire il più possibile quello che è accaduto. E' questo il motivo per cui, al contrario di altri promotori, noi non siamo d'accordo e non lo siamo mai stati con una commissione di inchiesta parlamentare in cui una parte di coloro che gestiscono e amministrano il potere cerchino di ufficializzare una propria verità. Ed è anche per questo che il tema della commissione parlamentare non è uno degli elementi centrali dell'invito alla mobilitazione. Come tutti gli altri promotori anche noi auspichiamo una manifestazione pacifica e di massa, in cui la nostra voce e le nostre idee possano tornare a farsi sentire, e speriamo nell'ospitalità della città di Genova e dei genovesi, che in moltissime altre occasioni hanno dimostrato amore e rispetto per i movimenti sociali e politici protagonisti della storia del nostro paese e non solo. Supporto Legale <>http://supportolegale.org IL G8 DI GENOVA, LA DEMOCRAZIA SOSPESA A Genova, nel luglio del 2001, per più giorni fu abiurato lo stato di diritto. Le regole di base della democrazia furono ripetutamente calpestate. Sono passati più di sei anni e le ferite di quei giorni sono ancora aperte. Non abbiamo avuto un processo per l'uccisione di Carlo Giuliani, precluso da un'inaccettabile archiviazione. Ministri e presidenti del consiglio non hanno mai chiesto scusa alla cittadinanza e alle vittime delle violenze e degli abusi - per strada, alla Diaz, a Bolzaneto, al Forte San Giuliano - compiuti dalle forze dell'ordine, nonostante ricostruzioni ormai inoppugnabili e alcune sentenze del tribunale civile che hanno obbligato lo stato a risarcire cittadini ingiustamente aggrediti durante le manifestazioni. Gli operatori e i funzionari coinvolti in queste operazioni non sono stati sospesi; i massimi dirigenti sotto processo sono stati addirittura promossi. Il parlamento ha finora rinunciato a istituire una commissione d'inchiesta, che peraltro sarebbe ormai depotenziata, né si è messa in cantiere una riforma democratica delle forze di sicurezza, che appare sempre più necessaria. A Genova sono in corso alcuni processi, uno contro contro 25 persone accusate di devastazione e saccheggio, altri contro decine di appartenenti alle forze dell'ordine, per le torture nella caserma di Bolzaneto, il sanguinoso raid alla scuola Diaz e altri episodi. I pm hanno chiesto pene severissime - dai 6 ai 16 anni - per i 25 imputati, in applicazione di una figura di reato, devastazione e saccheggio, mai applicata prima del G8 di Genova alle manifestazioni di piazza e che può prestarsi, come evidenziato da studiosi e giuristi, a pericolose limitazioni della libertà d'espressione e di manifestazione. Crediamo nell'indipendenza della magistratura e siamo convinti che ciascuno sia responsabile delle proprie azioni, e proprio per questo riteniamo che le pene richieste siano del tutto sproporzionate rispetto agli episodi contestati. Per i processi contro oltre settanta agenti, funzionari e dirigenti della polizia di stato e delle altre forze dell'ordine, le sentenze di primo grado sono attese per l'anno prossimo, ma la prescrizione interverrà prima della sentenza definitiva. Le vicende giudiziarie seguite al G8 rischiano dunque di concludersi senza colpevoli sia per Bolzaneto, sia per la Diaz, in aggiunta al mancato processo per l'uccisione di Carlo Giuliani; solo il processo contro i 25 arriverà fino al terzo grado. Siamo convinti che il risarcimento per le violazioni costituzionali compiute nel luglio 2001 sia solo in parte competenza dei tribunali: è sotto il profilo etico, culturale e politico che dovrebbero arrivare i segnali più importanti. Le istituzioni, finora, hanno fallito questo loro compito: le mancate scuse alla cittadinanza, le promozioni accordate agli imputati, il silenzio del parlamento sono lì a testimoniarlo. Perciò riteniamo indispensabile proseguire ed intensificare il nostro impegno per la verità e la giustizia, per la difesa delle garanzie democratiche, per il diritto alla libertà d'espressione e di manifestazione. Non possiamo accettare che la sospensione dello stato di diritto sia archiviata con tanta leggerezza. Perciò saremo a Genova: sabato 17 novembre parteciperemo alle manifestazioni e sabato 24 promuoveremo un incontro pubblico sul tema "Genova G8, democrazia alla prova". Comitato verità e giustizia per Genova <>www.veritagiustizia.it GENOVA 2001 - GENOVA 2007. LA MEMORIA SPEZZATA 225 anni di galera. C'è voluta la scossa delle richieste del PM al processo contro 25 di coloro che, nel luglio del 2001, manifestarono a Genova contro il G8, perché si tornasse a parlare di quei giorni, perché scattasse la voglia di reagire, di andare in piazza in solidarietà ai compagni che rischiano lunghi anni di detenzione. Quello che accadde è ormai parte della memoria collettiva: migliaia e migliaia di persone che scendono in piazza, la repressione feroce, il massacro della Diaz, le torture di Bolzaneto, l'assassinio di Carlo Giuliani. I più sono convinti che di quei giorni si sappia ormai tutto, che la verità su quello che accadde, che qualcuno vorrebbe relegata alle aule di tribunale o alle commissioni parlamentari, sia un patrimonio ormai acquisito. Eppure non è così. In questa storia vi è un convitato di pietra: un movimento che voleva mettere in discussione l'ordine del mondo e che è naufragato sul lungomare di Genova. Un naufragio che si è consumato a lungo, attraversando l'11 settembre, la guerra permanente, le leggi speciali, per giungere a questi giorni di follia e crudeltà, giorni di fascisti scatenati e di un governo che stringe il cappio della legge al collo dei poveri, degli immigrati, dei pochi che ancora si oppongono concretamente alla marea scura che avanza. Il 19 20 21 luglio del 2001 venne elaborata la favola consolatoria di un movimento segnato da aurorale innocenza, vittima della violenza dello Stato, che massacra gli inermi e "lascia fare" chi attacca banche, supermercati, carceri. Il Blocco Nero in particolare e poi gli anarchici in generale sono trattati come corpi estranei, protetti dalla polizia, agiti da infiltrati che li guidano tra i non violenti per farli caricare. Eppure erano ormai anni che i movimenti contestavano i vertici dei potenti dando vita a manifestazioni in cui convivevano anime diverse, che in piazza avevano differenti approcci. Ricordo i cortei tematici dei cortei praghesi o le zone delle manifestazioni canadesi. Tanti volti, tanti modi di esprimere la propria opposizione, ma un unico movimento. Anche a Genova avrebbe dovuto essere così: tante piazze tematiche, tanti luoghi perché ciascuno potesse manifestare come preferiva. La gran parte degli anarchici italiani, riuniti sotto il cartello "anarchici contro il G8", decise di evitare il teatrino mediatico, l'assedio alla zona rossa e scelse di manifestare nel ponente genovese, a Sanpierdarena, storico quartiere operaio, mirando a coinvolgerne la popolazione. Tutti gli altri optarono per la contestazione del vertice, cercando di violare le barriere della zona rossa. Ciascuno a suo modo. La risposta violenta delle forze del disordine statale avrebbe dovuto essere prevista. Non molto prima in Svezia al vertice di Goteborg, per poco non c'era scappato il morto: un ragazzo di 19 anni aveva lottato per giorni tra la vita e la morte per le tre pallottole che un poliziotto gli aveva piantato in corpo. Solo nelle favole sulla democrazia si racconta che assediare per giorni i padroni nel mondo asserragliati nei loro palazzi, circondati da uomini armati, sia una pratica indolore. Sebbene si rimanesse sul piano simbolico, poiché le varie strategie di piazza - da quelle non violente a quelle di attacco - avevano necessariamente una mera valenza comunicativa, tuttavia rendevano visibile una crisi di legittimità ampiamente condivisa. A Genova accadde quello che era già accaduto altrove, solo su scala più ampia: la democrazia reale, non il fantasma che ci mostrano negli spot elettorali, si dispiegò davanti a decine migliaia di manifestanti, picchiando di santa ragione tutti quelli su cui riuscì a posare i propri manganelli, calci di fucile, scarponi. Gasò senza pietà i buoni e i cattivi, i moderati e gli estremisti. Sarebbe stata una buona occasione per guardare in faccia il potere e per capire che di poteri buoni non ce ne sono. Un'occasione perduta. A Genova il movimento si spaccò e rapidamente si estinse nelle inutili passeggiate romane contro la guerra. Più facile accusare il Blocco Nero di connivenza con la polizia che guardare negli occhi la bestia. A sei anni da quel luglio si torna a Genova e sulla nostra strada ci sono molte più macerie di allora: milioni di morti in Iraq e Afganistan, la tortura come arma di guerra riconosciuta, le deportazioni degli indesiderabili, secoli di galera per chi si oppone. A Genova, come a Milano, come a Torino. Per tutti la stessa accusa: "devastazione e saccheggio". Nei prossimi mesi si giocheranno molte partite importanti: dal blocco della nuova base USA a Vicenza alla lotta contro le mille nocività che ci affliggono, dall'opposizione alle leggi razziste, alla lotta contro la precarietà per legge. Sarà un banco di prova per tentare ancora di vincere la scommessa forte di ogni movimento che voglia vincere e non solo testimoniare: saldare radicalità degli obiettivi, radicamento sociale e capacità di mettere in rete solidale i tanti che, oggi come le luglio 2001, si oppongono all'ordine feroce del mondo. Ripartendo da Genova, dalla solidarietà ai 25 compagni sotto processo, dalla riconquista di una memoria spezzata. da Umanità Nova n. 37 2007 GENOVA: LA NOSTRA STORIA Il processo di Genova dal punto di vista concreto, materiale, comporta la prospettiva di pene detentive per 225 anni di carcere. Da sei a sedici anni per una rappresentanza, una piccola campionatura, di quelle centinaia di migliaia che si opposero alla illegittimità del G8 nel 2001. Ma più di ogni altra cosa la requisitoria dei pm Canepa e Canciani rappresenta la determinazione a riscrivere la storia a uso e consumo del potere. Perché la storia di Genova è la nostra storia. Rendere la manifestazione del 17 novembre un momento non simbolico, non una sorta di commemorazione, ma farne una scadenza effettivamente rappresentativa della complessità senza precedenti che diede vita alle giornate di sei anni fa è indispensabile per tutelare il destino giudiziario di 25 capi espiatori. Davanti all'aberrazione delle richieste dell'accusa deve costituire uno strumento forte di pressione e orientamento nei confronti del tribunale e contestualmente di paralisi dell'operazione di riscrittura della storia che il potere, con grosse difficoltà, sta tentando di portare avanti. Una storia che ha una svolta decisiva nelle giornate di Seattle del novembre 1999, quando la terza riunione del WTO, l'organizzazione mondiale del commercio, fallisce rovinosamente in ragione dell'opposizione che una moltitudine senza precedenti mette in campo, utilizzando come arma esclusivamente i propri corpi. Smascherando la falsificazione che consente a pochi potenti di riunirsi periodicamente per varare regole a loro piacimento e vantaggio, decidendo e influenzando l'andamento delle politiche e dei mercati mondiali. Svelando un sistema criminale di regole inique, che opera con procedure assolutamente antidemocratiche attraverso il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, una esigua congrega di amministrazioni nazionali a vantaggio delle società transnazionali e a discapito delle genti e dei paesi più poveri. Il conflitto sociale che affolla strade e piazze, che attacca nei simboli e nella materia i luoghi del governo e del dominio mette in corto circuito la regia della concertazione capitalistica, che riesce solo a consegnare agli eserciti e alle polizie la gestione di questo nuovo e originale conflitto. Quest'eco informa le chiavi di lettura e le pratiche di opposizione dei movimenti europei in occasione della riunione del Fondo Monetario Internazionale a Praga, nel settembre 2000. Un movimento enorme e composito assedia i delegati attraverso pratiche di disobbedienza e di resistenza contro forze di polizia ormai trasformate in esercito da guerra interna. Gli strumenti di difesa si aggiornano: dai caschi, agli scudi, ai gommoni, alle protezioni più disparate. A Napoli, nel marzo 2001, il Global Forum sulla e-governance si conclude con un' anticipazione in sedicesima di ciò che attende i movimenti a Genova: polizia, carabinieri e guardia di finanza creano una vera e propria trappola per i manifestanti, li aggrediscono con cariche e lacrimogeni scatenandosi in una caccia all'uomo che dura ore, ostacolando i soccorsi ai feriti persino negli ospedali, infliggendo ai fermati violenze fisiche e psicologiche. A Goteborg, nel giugno successivo, la contestazione del Consiglio Europeo vede nuovamente in campo pratiche di disobbedienza volte a delegittimare il vertice. Nuovamente la polizia si accanisce violentemente contro manifestanti inermi: un ragazzo viene ferito gravemente alla schiena da un colpo di pistola sparato da un agente. Quello che è avvenuto a Genova lo sappiamo. L' esplosione di un movimento enorme e determinato a contestare i potenti in maniera radicale, unendosi e dando continuità a un movimento globale che da Seattle in avanti ha percorso tutto il mondo e l'Europa, ha segnato un'epoca, ha indicato una direzione. Un movimento che ha creato le basi per nuove esperienze e nuove pratiche di conflitto che hanno come risultato tangibile il cambio dei governi in America Latina; che ha fatto assumere la globalizzazione come il terreno da rovesciare per costruire la globalizzazione della comunicazione, della cooperazione, dei diritti. Contro l'impero. Da Genova è partito un modo nuovo di affrontare il terreno della democrazia, della lotta per la democrazia diretta contro quella fasulla che divora gli spazi della nostra vita: la democrazia della casta globale. Genova ha reso visibile il rifiuto di un sovrano determinato dal mercato e da questo autorizzato a decidere della vita e della morte di miliardi di persone in questo pianeta. Ha affrontato il tema del conflitto in maniera attuale, contemporanea, non caricaturale, non ideologica. Ora la sentenza del tribunale può decidere di seppellire sotto due secoli di galera una manciata di quei soggetti che ha sedimentato nella coscienza collettiva il diritto alla resistenza contro la violenza omicida delle polizie/esercito. Ora questa determinazione giudiziaria si rivolgerà a tutti i movimenti in lotta, dalla Val di Susa a Vicenza passando per i centri di permanenza temporanea sparsi per tutto il paese. Per questo è imperativo essere a Genova il 17 novembre. Per tutti quelli che c'erano il 19, 20, 21 luglio del 2001. Per tutti coloro che credono che cambiare il mondo non solo sia giusto, ma sia doveroso e possibile. Per tutti quelli che lottano per i loro bisogni, nei posti di lavoro, nei quartieri, nelle università, nelle scuole. Per tutti quelli che si battono contro la devastazione dei territori e dei beni comuni. Per tutti quelli che intendono impedire che vengano chiusi gli spazi di movimento di oggi e di domani. Per tutti c'è ancora qualcosa da fare prima del 17. Allargare la partecipazione. Garantire il diritto a manifestare. Garantire il diritto a raggiungere Genova. Liberitutti GLOBAL NETWORK TORNARE A GENOVA PER CHIUDERE I CPT E CANCELLARE IL DECRETO SULLA SICUREZZA Saremo a Genova il 17 novembre. Cammineremo di nuovo su quelle strade come il 19 luglio del 2001, quel giorno una grande manifestazione per i diritti dei migranti attraversò la città e apri le giornate di contestazione al g8 con le stesse parole d'ordine che ci uniscono ancora oggi. Sono passati alcuni anni da quel giorno, sono cambiati i governi, abbiamo continuato a lottare e abbiamo sentito molte promesse, ci hanno raccontato che i Cpt potevano essere " superati" e " umanizzati". Ma i Cpt, nelle loro varie forme e sperimentazioni, non solo continuano ad esistere ma la logica della detenzione amministrativa e del controllo sociale continua ad espandersi fuori le mura di quelle strutture inumane. I migranti continuano a essere reclusi in quelle galere etniche, continuano a essere trattati come una questione di "ordine pubblico" e a morire. Una sorta di "diritto speciale" contro la libertà di circolazione dei migranti. Così come il recente decreto sulla sicurezza varato dal governo che permette deportazioni di massa, assegna poteri eccezionali ai prefetti e criminalizza intere comunità. Non si può emendare il razzismo e la xenofobia. C'è un filo che lega la legislazione d'emergenza contro i migranti e la volontà di ricostruire nelle aule dei tribunali, con centinaia di anni di carcere, la storia dei movimenti sociali. La libertà di movimento e il conflitto sociale devono essere controllati, disciplinati, confinati e infine repressi. Facciamo appello a tutte le reti e associazioni dei migranti e antirazziste ad essere a Genova per far sentire la nostra voce, per dire che i cpt vanno chiusi e il decreto sulla sicurezza cancellato. Assemblea nazionale delle Reti migranti e antirazziste BLOCCO ANTAGONISTA A GENOVA IL 17 NOVEMBRE: QUELLI DELLA LOTTA STRADA PER STRADA In queste settimane volge al termine il primo grado del processo che vede imputati 25 compagn* che hanno partecipato alle manifestazioni contro il G8 di Genova il 19, 20 e 21 luglio 2001. Attraverso le richieste di condanna a 225 anni complessivi di carcere lo stato italiano intende formulare un giudizio storico e politico su quelle giornate, facendo pagare ad alcuni di noi, scelti nel mucchio come capri espiatori, il prezzo della paura che quelle giornate hanno saputo provocare ai potenti della terra. Ma, nella fase politica presente, le istituzioni repressive intendono anche lanciare un segnale preciso ai potenziali soggetti sociali conflittuali presenti e futuri, e ai movimenti che sul terreno dell'opposizione alle grandi opere, della lotta alla precarietà e della difesa e conquista di spazi sociali hanno praticato terreni di contrapposizione e rottura negli ultimi anni. Il G8 ha catalizzato nel 2001 istanze di lotta composite e diversificate in quanto vertice dell'oppressione, della guerra, della devastazione ambientale, del razzismo. Le decisioni prese a Palazzo Ducale in quei giorni hanno avuto effetti sulle condizioni di vita di tutte e tutti, hanno dettato le linee dell'esproprio della dignità, della libertà, dell'intelligenza e fatica di tutti coloro che in ogni parte del globo sono costretti a vendere la loro forza-lavoro, patiscono l'insufficienza dei mezzi necessari per vivere, gli effetti delle carestie e delle speculazioni finanziarie, sono vittime delle guerre, della violenza razziale, dell'oppressione di classe. Contro tutto questo abbiamo invaso in centinaia di migliaia da ogni parte del pianeta la città militarizzata, abbiamo portato a Genova la rivolta e il protagonismo sociale e politico, abbiamo messo in atto mille diverse forme di protesta e di azione, abbiamo raggiunto con il nostro messaggio di ribellione e speranza gli sguardi di milioni di persone che, ovunque nel mondo, hanno compreso e condiviso le nostre grida e le nostre scritte, hanno riconosciuto negli scontri e nella protesta la loro stessa rabbia, hanno avuto ancora una volta la conferma che il rifiuto dell'oppressione dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla donna travalica qualsiasi distanza e qualsiasi confine. Nelle immagini della protesta che hanno fatto il giro del mondo si è costituita una silenziosa e minacciosa amicizia politica globale. I funzionari della repressione armata hanno scatenato per questo contro di noi la violenza più brutale e la ferocia più vigliacca, facendo di Genova il teatro di un'esperienza che ha segnato i ricordi di tutti. Donne e uomini pestati sull'asfalto da polizia, carabinieri e guardia di finanza, arresti di massa, inseguimenti e colpi di arma da fuoco. Sulle strade è rimasto il sangue, mentre nella caserma di Bolzaneto le torture fasciste degli uomini in divisa erano preludio del massacro preordinato alla scuola Diaz. Nei giorni successivi, in molti hanno preferito prendere le distanze, dividere il movimento a partire dalle diverse sensibilità e pratiche di lotta, contrapporre astrattamente istanze e comportamenti che avevano avuto un obiettivo comune. Diversi soggetti politici presenti in piazza in quei giorni amministrano adesso le scelte di guerra, promulgano decreti repressivi e razzisti, sposano politiche sul lavoro che colpiscono i bisogni dei soggetti giovanili e precari metropolitani. Noi siamo quelli che non ora, ma già allora diffidarono profondamente di partiti e personaggi che ambivano ad attraversare il movimento con mire che divergevano evidentemente dall'urgenza di antagonismo che andava manifestandosi in tutti i grandi assedi ai vertici internazionali. Dopo quelle memorabili e drammatiche giornate, quasi tutti hanno fatto il possibile per scongiurare il ripetersi di forme di contrapposizione politica verace e diffusa: le mobilitazioni contro le guerre globali degli anni 2000 hanno così patito un evidente difetto di incisività, e solo il movimento notav ha riaperto in Italia, nella pratica concreta ed efficace di un antagonismo di fatto, un discorso possibile di ricomposizione e progettualità che sappia interpretare le forme contemporanee di alterità politica e la loro nuova dimensione europea. Il 17 novembre saremo ancora a Genova per chiedere la fine delle persecuzioni giudiziarie contro i 25 compagn* sotto processo. Non manifesteremo per ricordarci o per ricordare, ma per rivendicare a testa alta la nostra colpevolezza e consapevolezza. Noi siamo stati quelli della battaglia strada per strada, della resistenza di massa a pubblico ufficiale, dell'azione diretta, dell'insubordinazione capillare. Le barricate, le fiamme, gli attacchi ai simboli concreti del modo di produzione e accumulazione capitalista messi in atto a Genova sono parte di una storia molto più grande, che da Seattle e Praga avrebbe raggiunto Parigi, Copenhagen e Rostock, in un disegno imprevedibile e spettrale che scompare e riappare, nelle sue variazioni e differenze, come un indice puntato verso il futuro. Là si concentrano tutti i nostri progetti rivoluzionari, là cospirano tutte le paure dei nostri nemici. Abbiamo urlato, agito e viaggiato ben oltre Genova, siamo stati nei gesti di liberazione delle popolazioni sotto attacco nella guerra globale, nei processi di trasformazione in movimento in Asia e in America Latina, nelle lotte lontane del continente africano. Oggi lo stato italiano si affretta ad archiviare con queste sentenze qualcosa che non si può archiviare, né fermare o scongiurare. Con queste richieste di pena si vuole criminalizzare l'immagine di un movimento che ha devastato e saccheggiato. Ma dalla Val di Susa a Vicenza si alza la resistenza di chi sempre oserà rispondere: "Chi devasta? Chi saccheggia? Devastatore è il capitalismo!". E' la resistenza di cui vorrebbero farci vergognare, quella resistenza deliberata e attiva che ci rende caro il ricordo di Carlo Giuliani, quella resistenza che sempre si rivolgerà, ancora e ancora, contro i suoi assassini in doppio petto e contro quelli in divisa. Le decine di migliaia di persone che in quei giorni hanno camminato, protestato, cantato e hanno osato resistere e contrattaccare hanno trasformato Genova in una promessa, in qualcosa che è ancora da realizzare: l'apertura di nuovi spazi di movimento e conflitto sociale metropolitano in Europa e nel mondo, per la fine di un modello di accumulazione e potere vecchio e reazionario, per l'inizio della possibilità, per tutte e tutti, di progettare il nuovo. Manifestare a Genova vuol dire promettere a nostra volta, rilanciare la mobilitazione e la critica, ricordare a chi ci ha dato la caccia che non si uccidono i fantasmi della crisi delle forme istituzionali della rappresentanza e del prodursi di sempre nuovi percorsi di opposizione sociale. Non ci ha fermato la vostra violenza, non ci fermano i vostri processi: non ci avete fatto abbastanza male per impedirci - ovunque - di pensare, di decidere, di tornare. L'AREA ANTAGONISTA NETWORK ANTAGONISTA TORINESE CSOA ASKATASUNA CSA MURAZZI COLLETTIVO UNIVERSITARIO AUTONOMO -TORINO CRASH! LABORATORIO DEL PRECARIATO SOCIALE - BOLOGNA MAO - MOVIMENTO AUTORGANIZZATO OCCUPAZIONI - BOLOGNA COLLETTIVO UNIVERSITARIO AUTONOMO - BOLOGNA CSOA EX CARCERE - PALERMO SPORTELLO ANTISFRATTO - PALERMO COLLETTIVO UNIVERSITARIO AUTONOMO - PALERMO CSA "GASTONE DORDONI" - CREMONA CAM - COLLETTIVO AUTOGESTITO MODENESE COSENZA ANTAGONISTA CPOA RIALZO - COSENZA COLLETTIVO KONTROVERSO - COSENZA LA KASBA - COSENZA REBEL FANS! ULTRAS ANTIFA - COSENZA CSA MATTONE ROSSO - VERCELLI CDA SENZA TREGUA - VERCELLI CSOA "A. CARTELLA" - REGGIO CALABRIA E-RETICOLLETTIVO - ORBASSANO (TO) COLLETTIVO AUTONOMO "PECORE NERE" - ASTI SARE ANTIFAXISTA - BILBAO (EUSKADI) Per aderire all'appello: <>news at infoaut.org DALLA PARTE DELL'INDIGNAZIONE. IL MOVIMENTO ROMANO VERSO GENOVA A Genova sei anni dopo le giornate di luglio. A Genova per gridare che lZunica verità è quella dei movimenti e dei conflitti, per affermare e difendere il diritto di resistenza, per rovesciare le sorti del processo che chiede 225 anni per 25 compagni e compagne. Già nelle scorse settimane avevamo definito la necessità di cogliere il nesso tuttZaltro che marginale tra le spinte sicuritarie giunte a maturazione normativa con il pacchetto sicurezza e quanto si sta determinando nelle aule di tribunale. Impossibile, infatti, non afferrare il nocciolo duro del proceso genovese: non solo e non tanto la chiusura giudiziaria di un ciclo di movimento passato, quanto unZipoteca sui conflitti a venire; non solo un problema di memoria, ma una questione di futuro. La richiesta di condanna non si scosta molto dal clima generale che informa la politica italiana, dai sindaci al viminale: più controllo, militarizzazione dello spazio pubblico, misure preventive, centralità della pena, riduzione delle libertà. Altrettanto non si allontana dal senso del pacchetto sicurezza che definendo i nuovi perimetri della devianza prepara la strada ad una progressiva criminalizzazione della società e del dissenso. Dopo i fatti di domenica la nostra analisi non può che trovare ulteriori e drammatiche conferme. Due spari a braccia tese uccidono un giovane tifoso della Lazio, i media "sequestrano" la notizia, risolvendola in uno sbrigativo «scontro tra tifosi», lZattenzione pubblica viene concentrata sul calcio, lo stadio, i violenti. Nessuna parola, per unZintera giornata, sulla responsabilità di chi, dallZaltra parte della strada, senza neanche capire cosa stesse succedendo, ha deciso di fare fuoco e di uccidere. Un fatto sconvolgente che non riguarda solo il calcio, ma che riguarda tutti. EZ impossibile, anche in questo caso, non cogliere il nesso tra lZinsopportabile vento sicuritario e lZabuso e la prepotenza di chi indossa una divisa e spara, dalla "parte della legge". E poi la rivolta e lZindignazione di tanti giovani, gli arresti, lZaggravante di terrorismo. Non si tratta di solo calcio, non si tratta neanche e semplicemente di appartenenze politiche. Si tratta di una questione assai più ampia, si tratta della prepotenza e della violenza delle isituzioni: questo è il tema che in forma drammatica e di massa ci ha riguardato nel "laboratorio di repressione" genovese; questo il tema che oggi si estende alla società tutta. UnZestensione che vede coinvolti i migranti, con i Cpt e le espulsioni di massa; che riguarda il proibizionismo nei confronti dellZuso di sostanze, lo stesso proibizionismo che arresta e uccide in modo efferato (è il caso di Aldo Bianzino, ucciso nel carcere di Perugia nella notte tra il 13 e il 14 ottobre); che riguarda le condizioni di precarietà sul lavoro, condizioni di cui si muore sempre più facilmente; che riguarda le sperimentazioni sicuritarie negli stadi. I fatti di domenica danno forza e centralità ancora maggiore alla scadenza di sabato 17 novembre. Tornare a Genova significa difendere i movimenti e il protagonismo che hanno avuto in questi anni, andare a Genova significa resistere e opporsi al pacchetto sicurezza e alla spirale sicuritaria. A Genova andremo in treno e diciamo fin da ora che non accetteremo prepotenze da parte di nessuno e che rivendicheremo il nostro diritto a manifestare, dunque a viaggiare con tariffe sociali. I centri sociali e le reti di movimento romane
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