lettera aperta al cardinale



Inoltro la lettera di Stefania Cantatore dell'Udi di Napoli. Rispecchia
certamente la mia posizione ma sono certa anche quella di innumerevoli
altre donne e uomini, che pur non appartenendo a nessuna confessione,
tantomeno quella cattolica, credono nella pratica della lotta
nonviolenta  e nel rispetto dei diritti umani.

Doriana Goracci


Napoli, 8/10/007

Gentile Cardinale Sepe,
in questi tempi così difficili per la democrazia, il restare fedeli al
dialogo, perfino alla polemica, costituisce una modalità politica che
implicitamente conta sulla possibilità di ottenere risposte e repliche.
Si deve convenire che sempre di più gli uomini al potere, disabituati al
confronto, non riconoscono questa pratica se non rivolta ai pari . È
quella che si chiama distanza tra cittadini e politica, distanza che
conta sull’impossibilità dei laici ( conto sulla sua cultura, perché la
parola riassuma il suo significato indice di gente comune) di poter
agire in modo sanzionatorio su questo vizio insopportabile.
Dopo avere a lungo considerato la posizione assunta nel dibattito
politico della Chiesa da Lei rappresentata nella regione che abito, le
scrivo in merito a questo.
È stato aspro il confronto sulla legittimità dei richiami frequenti fatti
da alti prelati, se non dal Pontefice, verso la politica italiana in
particolare ma non solo. Francamente non si è trattato di un vero e
proprio confronto, si è trattato piuttosto, di una serie di affermazioni
ideologiche nel cui ambito i laici sono stati posti nella condizione di
vedersi censurato tanto il linguaggio che i contenuti. Ma la domanda che
è rimasta senza risposta, capace di orientare il futuro tra Stato e
chiese, è quella sulla legittimità dello spazio politico, anche per
devoluzione finanziaria pubblica, gestito dalle gerarchie
ecclesiastiche. Premetto che da parte mia ritengo che tutti i cittadini
abbiano diritto di esprimere e praticare orientamenti politici, quindi
anche gli ecclesiastici di qualsiasi chiesa. E tanto Lei quanto altri
appartenenti al corpo dell’Istituzione Vaticana, questo diritto lo
esercitate, ma oggettivamente in modo anomalo.
Tutti coloro che occupano il potere, sia pure col vizio odioso prima
citato della distanza dai cittadini, in qualche modo, per poter
esercitare quel diritto  a stabilire, governare, esprimere orientamenti,
sono costretti ad ottenere delega e consenso (alla qual cosa la Chiesa e
le chiese hanno ampio margine di determinazione a tutti i livelli),
dando vita ad ampie contese. L’anomalia dell’operare politico della
chiesa cattolica si evidenzia in questo passaggio, o non passaggio, cioè
l’assenza del soggetto chiesa dall’agone politico visibile, perché priva
della legittimazione a governare con la delega del voto. Delega,
peraltro, che sarebbe aggiuntiva, in quanto molti politici in tutti gli
schieramenti, già rappresentano le istanze ecclesiastiche. Eppure, la
Chiesa, non rinuncia ad ottenere altro, e tutto quanto ritiene “giusto”,
che la politica elettiva non attua nella dinamica della nostra
democrazia più che imperfetta.
La Chiesa si comporta come un Partito, i cui capi non sono però
sottoposti a quella democrazia interna che il dettato costituzionale
prevede per le formazioni politiche.
Si è creata una situazione, almeno per me insopportabile, di privilegio,
per cui la voce della più potente chiesa del nostro paese non solo
influenza, ma orienta le scelte, prime fra tutte la legge 40 e
l’indulto, senza subire la conseguenza delle critiche e dei disvalori
delle scelte sbagliate, perché ufficialmente assente dall’agone politico.
Per concludere, l’istituzione che fa capo al Pontefice cattolico, riceve
finanziamento pubblico, decide, governa, ma non è un Partito, e non
declina quindi la sua influenza col calo di consenso..
Noi laici (le ricordo il significato “laceri”), ci troviamo di fronte ad
una democrazia tutta da costruire rispetto alle formazioni politiche, ma
con nessuna prospettiva rispetto al potente “non partito” anche da lei
rappresentato, e che in Campania gestisce servizi, che in quanto
“donati” non sono influenzabili dal bisogno avvertito, ma solo
dall’intento di chi “dona”. Sempre più questi servizi sostituiscono
l’intervento “democraticamente controllabile”. Tutto questo, le ricordo,
con quel finanziamento pubblico sempre più inaccessibile alle
associazioni femministe.
Questo punto è l’ultimo sul quale le chiedo attenzione: le associazioni
femminili stanno da tempo insistendo sull’evidenza che la degenerazione
politica, coincide e coesite con la più bassa partecipazione femminile
nei luoghi decisionali. Attualmente c’è una legge d’iniziativa popolare
che si chiama “50e50” per dare vita alla vera democrazia con le donne,
ma soprattutto c’è l’articolo 51 della Costituzione che stabilisce il
diritto alla partecipazione decisionale, di cui le donne sono private.
L’argomentazione che la riguarda, con quella dell’assenza di democrazia
interna alla sua istituzione, è che l’agire politico comporta un
principio, almeno nominale, di attuazione della partecipazione femminile
in ogni passaggio operativo e decisionale. Nella sua Chiesa le donne non
potranno mai né ambire alle alte cariche, né esprimere l’orientamento
politico del “suo non partito”.
La Chiesa non subisce le sanzioni previste dai protocolli internazionali,
non è penalizzata nella possibilità di essere ascoltata  a causa dalle
numerose offese (alle quali non abbiamo mai risposto con equivalente
asprezza) rivolte alle donne e a noi come femministe. È un problema
Eminenza, un vero problema che nessuno, di coloro che avrebbero l’onere
e l’onore di rappresentarci, sembra voler vedere.
La democrazia, il suo inizio, è almeno il rispondersi,  non so se lei lo
farà, ed è questo semplice atto di buona educazione denso della
responsabilità, anche in una politica così poco autorevole come quella
che vediamo, di delegittimare ogni strumento politico che non possa
essere detto e parlato.

La saluto e sono sicura tanto dell’immobilità della sua politica, perché
è con tante donne ma senza la loro voce “non obbediente”, quanto della
sua sorpresa di essere anche lei sottoposto ad una critica libera dal
condizionamento “del senso del peccato” , perché proveniente dall’etica
dell’uguaglianza.

                                                                         
            Stefania Cantatore

Rif.
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