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PACE - Testimonianza di Mario Thanavaro
- Subject: PACE - Testimonianza di Mario Thanavaro
- From: "atima at tiscali.it" <atima at tiscali.it>
- Date: Tue, 22 May 2007 09:21:21 +0200 (CEST)
- Xoriginalsenderip: 84.222.131.54
PACE
Spero che questo mio scritto possa stimolare l’apertura di un
dialogo.
Spero che sia d’incoraggiamento ad agire con saggezza, compassione e
amore
sui conflitti che da tempo si perpetuano nella nostra vita.
CHE LA PACE REGNI SULLA TERRA
Cordialmente,
Mario Thanavaro
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Amici che si tengono per mano
Vedo amici tenersi per mano, e dirsi “Come stai?”. Ma in realtà loro
dicono “Ti amo”. Sento bambini piangere, io li vedo crescere. Loro
impareranno molto più di quello che io so. E penso tra me, che mondo
meraviglioso. Sì., penso tra me, che mondo meraviglioso. Oh sì.
‘What a wonderful world’ - Louis Armstrong,
Prefazione
Con la Pace nella mente
“Per colui che comprende la vera natura della mente, guarire i
conflitti individuali e guarire i conflitti politici nel mondo è, in
essenza, lo stesso processo. E' mio desiderio che il potere
spirituale
della Pace possa toccare la mente di ogni persona su questa terra,
creando una profonda pace all' interno delle nostre menti, per
poterla
irradiare, poi, al di fuori, oltre le barriere politiche e religiose,
oltre le barriere dell'ego, delle opinioni e dei concetti. Perché ciò
avvenga, il nostro primo lavoro come ‘portatori di pace’ è quello di
pulire le nostre menti dai conflitti interiori causati
dall'ignoranza,
dalla collera, dall'avidità, dalla gelosia e dalla presunzione.
Attraverso la purificazione delle nostre menti, noi impariamo la vera
essenza del ‘mettere pace’. La pace interiore cui noi aspiriamo deve
essere assolutamente pura e così stabile da non poter essere corrotta
dalla collera di coloro che vivono e traggono profitto dalla guerra o
dall'avido egoismo, dalla paura dello scontro con il disprezzo,
dall'odio e dalla morte. Un’incredibile pazienza è necessaria per
realizzare qualsiasi aspetto della pace nel mondo, e la fonte di tale
pazienza è lo spazio della pace interiore attraverso la quale noi
riconosciamo con grande chiarezza che la guerra e la sofferenza sono
i
riflessi esterni dei veleni interiori delle menti.
Se noi comprendiamo veramente che la differenza essenziale tra i
sostenitori della pace e i sostenitori della guerra è che i primi
hanno
disciplina e controllo sulla collera egoistica, sull'avidità, sulla
gelosia e la presunzione, mentre i secondi, nella loro ignoranza,
manifestano nel mondo i risultati di questi veleni; se noi veramente
comprendiamo questo, non ci troveremo mai ad essere sconfitti né
dall'interno né dall'esterno.
Comprendere questa distinzione è indispensabile per sviluppare
comprensione profonda. La maggior parte delle persone non capisce
che
tutte le cose sono impermanenti e che vengono posseduti dalle stesse
cose che essi pensano di possedere vivendo così nell’illusorio.
Ogni cosa, anche le nostre vite, scivola attraverso le nostre dita, e
presto o tardi perderemo tutto. Quando noi capiamo questa
onnipresente
sofferenza, questo grande disagio, questa insoddisfazione di tutti
gli
esseri, possiamo sviluppare un'aspirazione nella nostra pratica,
realizzando qualcosa per il miglioramento di tutti gli esseri, invece
del semplice miglioramento di noi stessi. Questo contribuisce alla
pace
mondiale nel più nobile dei sensi. Noi iniziamo e combattiamo guerre
a
causa di falsi concetti di realtà, invece di coltivare comprensione
profonda e pace a beneficio di tutti gli esseri. Se tu incontri i più
potenti tra gli uomini di questo mondo, coloro che sono al controllo
dei meccanismi di guerra, guardali con forte equanimità. Convincili
nel
miglior modo che conosci e nel far questo sii sempre consapevole del
tuo stato mentale. Se inizi a sentire collera, ritirati. Ma se puoi
continuare rimanendo calmo, può darsi che tu possa penetrare la
terribile ignoranza che causa la guerra e tutte le sue infernali
sofferenze. Dal chiaro spazio della pace interiore la tua
comprensione
profonda si deve espandere fino ad includere tutti coloro che sono
coinvolti nella guerra: i soldati intrappolati nel crudele karma .
dell'uccidere, quelli che sacrificano la loro vita, i generali e i
politici che intendono far del bene ma causano invece distruzione e
morte, i civili uccisi, feriti, resi profughi. La vera compassione è
completamente neutrale ed è sensibile alla sofferenza di ogni tipo,
non
è limitata da concetti di ‘torto e ragione’,‘possesso e avversione’,
perchè essa trae energia dal ‘semplice amore .’. Io guardo con
fiducia
al nostro continuo lavoro spirituale, fatto insieme per trovare pace
interiore, per creare pace nel mondo”.
Chagdud Tulku Rinpoche
PACE
Queste parole del maestro Chagdud Tulku Rinpoche sono, a mio avviso,
la premessa per spiegare la fondamentale funzione delle pratiche
meditative al fine di eliminare il dualismo bene/male presente nell’
individuo, così come nella sfera sociale e politica. Dunque,
impegnarsi
a livello individuale in una disciplina meditativa e guarire i
propri
conflitti attraverso un percorso di crescita interiore equivale ad
impegnarsi anche a livello sociopolitico ed estendere a questo ambito
l’
eliminazione della contrapposizione violenta determinata da una
visione
dualistica.
Ognuno di noi aspira al raggiungimento della pace . Secondo un
sondaggio dell’UNICEF esiste uno stretto legame tra povertà ed
infelicità: la conflittualità, o assenza di pace è dovuta molto
spesso
a situazioni di effettivo disagio che sono presenti nel nostro
tessuto
sociale e tale disagio è percepibile già nelle prime fasce d’età.
Vivere nel conflitto e nell’infelicità rende aridi perfino i bambini,
i
quali perdono la loro naturale e spontanea capacità di dare, dal
momento che è difficoltoso offrire il proprio contributo ad una
società
dalla quale si è ricevuto solo sofferenza. E’ opportuno riflettere a
lungo su questo fatto. Il seme della pace deve necessariamente essere
di nutrimento per le nuove generazioni e di sostegno per la crescita
dell’individuo. Alcune tra le principali paure che affliggono i
bambini
e gli adolescenti di molte società riguardano i comportamenti
violenti
in famiglia, l’insicurezza del proprio quartiere e l’esser costretti
a
subire violenze psicofisiche, pur nella piena consapevolezza del
proprio diritto a rivendicare l’assoluta libertà dai maltrattamenti.
Ognuno di noi, in quanto essere umano, è sensibile ed avverte il
profondo disagio provocato dal conflitto. La guerra è il conflitto al
suo punto di massima espressione, è il punto di rottura degli
equilibri
e soprattutto della comunicazione. Tuttavia la guerra ha un fascino
oscuro. La violenza seduce e istiga a distruzioni sempre più grandi.
Sono in molti ad alimentarne il mito: romanzieri, storici, cineasti,
opinionisti, armatori, giornalisti, politici, Stati e molti altri
ancora. C’è chi la presenta come “bella”. Chi ne spiega le ragioni e
la
ritiene di volta in volta inevitabile, indispensabile, necessaria,
risolutiva, l’inizio di una nuova pace ecc. ecc… Chi la descrive
come
“realtà mitica” fa leva sull’archetipo del guerriero. Chi è
affascinato
dalla sua natura tecnologica la presenta come un “videogame
sterilizzato” e indolore (per chi non muore!). Chi ne analizza gli
scenari storici spesso la rappresenta secondo la propria appartenenza
ideologica e politica. Sono in tanti a coprirne la brutale e cruda
realtà diffondendo menzogne e coprendone gli orrori. La reale
sostanza
della guerra rimane oggi come in passato la distruzione e la Morte.
In tempo di guerra, quando nella loro patria d’origine si verificano
situazioni d’insostenibile drammaticità, è naturale che interi popoli
cerchino salvezza in altre terre. Sono molti coloro che pensano all’
emigrazione mentre nel profondo del loro cuore nutrono la speranza in
un mondo di pace. Chi umanamente può vivere in un luogo nel quale
sicurezza e sopravvivenza non sono garantite, dove le persone vengono
brutalmente uccise per strada, torturate, violentate o, comunque,
derubate della propria dignità di esseri umani? Il fenomeno dei
profughi si è diffuso sempre più negli ultimi trent’anni. Io stesso,
quando vivevo in Nuova Zelanda, al tempo in cui ero monaco, ho avuto
modo di sostenere nel mio piccolo tre comunità di profughi
provenienti
dal Vietnam, dal Laos, e dalla Cambogia, tre nazioni tremendamente
martoriate dalla guerra. La guerra del Vietnam che durò quattordici
anni, dal 1961 al 1975, fu un conflitto di incredibile crudeltà,
lungo
e sanguinoso. Ricordo che trascorsi la mia adolescenza sentendo al
telegiornale le scarne notizie delle operazioni di guerra provenienti
dal paese asiatico. L’esercito americano martellò il Vietnam con 13
milioni di bombe e riversando 75 milioni di sostanze chimiche letali
sul paese. Il conflitto che secondo alcune fonti provocò la morte di
60.000 soldati americani e di circa 6 milioni di vietnamiti si
concluse
con il ritiro dell’esercito americano. Anche i Laotiani soffrirono
molto durante la guerra del Vietnam. Il Laos per il semplice fatto di
trovarsi in mezzo all’Indocina, divenne paese di transito per i
rifornimenti ai guerriglieri vietcong, supportati dai comunisti di
Hanoi, che combattevano nel Sud Vietnam. Tra il 1964 e il 1973 il
Laos
è stato uno dei punti più caldi della terra: furono sganciate sul
paese
due milioni di tonnellate di bombe, più di quante vennero sganciate
dagli alleati sull’intera Europa durante la seconda guerra mondiale.
A
causa di queste indicibili sofferenze, molti Laotiani lasciarono il
loro bel paese. Dopo la guerra del Vietnam e con l’instaurazione di
un
regime comunista, l’esodo di migliaia di vietnamiti via mare, con
ogni
tipo d’imbarcazione, occupò le cronache per diversi anni. Il
conflitto
fratricida in Cambogia, durante l’era di atrocità e terrore del
dittatore comunista Pol Pot (dal 1975 al 1978, anno in cui la
Cambogia
fu invasa dai vietnamiti)causò due milioni di morti. Gli uomini di
Pol
Pot, i khmer rossi, si macchiarono di uno dei più efferati genocidi
della storia. Le sofferenze dei sopravvissuti si protrassero ancora
per
anni prima che il paese potesse ritrovare una certa autonomia e
autodeterminazione democratica. Tutte e tre le comunità hanno
conservato la memoria storica di anni di dolore e atrocità, memoria
che
viene tenuta viva attraverso i racconti delle persone anziane
sopravvissute all’immane tragedia della guerra. Neppure ai più
giovani
è stato risparmiato l’orrore del conflitto bellico. Mi sono state
riportate delle storie raccapriccianti. Persone costrette a camminare
attraverso i campi minati, a centinaia, disposte in fila, con il loro
cuore colmo di emozioni contrastanti: la paura di morire ad ogni
passo, la speranza di salvarsi e il lacerante dolore per aver
assistito
impotenti alla morte dei propri cari, grandi e piccoli. Molti hanno
perso i propri figli, i genitori; hanno visto morire altri uomini e
donne, oltre gli animali e la devastazione del territorio. Quando la
guerra ci coglie di sorpresa, ci sentiamo veramente inermi ed
impotenti, in totale balìa degli eventi. E’ difficile comprendere il
motivo per cui siamo ancora vivi mentre altri, che camminavano a
cinque
o dieci centimetri da noi, sono morti. Molto spesso attribuiamo ciò
che
ci accade al destino, al fato, al karma, ma una riflessione profonda,
saggia, ci dovrebbe chiamare in causa in prima persona. Ricordo le
parole di un grande maestro della spiritualità contemporanea,
Krisnamurti, il quale diceva, in toni molto severi, che ognuno di
noi,
in qualsiasi contesto culturale o sociale si trovi, è responsabile
della guerra, compresa la piccola guerra che avviene nelle foreste
amazzoniche, dove gli indios vengono sterminati dai mercenari
assoldati
dalle compagnie petrolifere. Ognuno di noi è responsabile del
conflitto
che per anni avviene dietro la porta accanto e si conclude con l’
uccisione del padre o della madre, della moglie, del marito o di
entrambi,oppure con l’uccisione del proprio figlioletto e il suicidio
di colui che per disperazione poi si butta dalla finestra. Quando
sento
asserire, in modo così autorevole, un’affermazione di questo tipo,
nasce spontanea una domanda: “Ma in che modo io sono responsabile di
questa conflittualità e delle guerre che si combattono in questo
mondo?”. Interrogandomi e riflettendo cerco di recuperare in me una
maggiore capacità d’ascolto e di accettazione della mia incapacità di
risolvere la situazione dell’altro. Nella misura in cui io mi ascolto
profondamente e sento tutta la mia impotenza nel fare delle grandi
rivoluzioni ecco che, nel mio piccolo, ritrovo il senso della mia
appartenenza, della mia responsabilità e della mia vicinanza agli
altri. In questo modo sono chiamato in prima persona ad essere
presente
in coscienza a tutto ciò che accade, affinché la mia stessa ricerca
di
pace non significhi isolamento, non rappresenti un chiudersi le
orecchie, un non voler vedere, un non voler sentire, un non voler
essere informati. Io stesso ho vissuto la condizione di colui che non
voleva essere disturbato, che preferiva uscire da questo mondo brutto
e
cattivo. Anche io, come tanti, ho ricercato la pace ritirandomi dalla
relazione, dal confronto e in questo modo ho provocato una maggiore
alienazione all’interno del mio stesso essere. Conosco la via di
coloro
che affermano:“Proteggi la tua pace, non curarti del conflitto. La
tua
responsabilità è quella di coltivare il tuo piccolo orto e, dunque,
fai
questo e fallo bene!”. Io non intendo negare la necessità ed il
valore
di un percorso evolutivo individuale, ma ritengo che esso assuma un
valore ancora più ampio se funzionale ad un’apertura dell’individuo
alla collettività. E’ prezioso che tutta la forza che l’individuo ha
raggiunto venga messa a disposizione e al servizio degli altri. Un
qualsiasi percorso di crescita interiore, scelto da noi per
raggiungere
la pace, deve necessariamente passare attraverso il conflitto. E’ un
fatto accertato, mentre la pace può essere molto lontana da noi, il
conflitto e, quindi la porta per entrare in uno stato di vera pace, è
a
noi molto vicino. Il lavoro che ognuno di noi può fare è un lavoro
quotidiano. La pace, intesa come astrazione utopica, si presenta come
ultima chimera e mito della libertà, libertà totale, libertà dal
mondo,
dalla condizione umana e sicuramente trova spazio anche nella
letteratura religiosa: il paradiso, il nirvana e così via. E’ bello
sognare, avere grandi aspirazioni, tuttavia rimane la difficoltà
della
gestione pratica del nostro vivere. Per fortuna siamo chiamati alla
traduzione di questi grandi ideali nel quotidiano, poiché solo
calandoci più profondamente nel quotidiano potremmo avviare un vero e
proprio processo di trasformazione interiore, ove gli stessi simboli,
le stesse icone religiose, le stesse sacre scritture dovranno essere
messe in pratica e tradotte in azioni. Tra queste, quella che
maggiormente ci viene richiesta, in una dinamica di conflitto, è
sicuramente quella di non creare altra sofferenza. La capacità di non
incrementare la conflittualità significa già di per sé, percorrere
una
via di pace. Dunque, ognuno di noi dovrebbe chiedersi: “Come posso
io,
nel disagio quotidiano, nella conflittualità quotidiana, nell’
insofferenza così dilagante, dare un contributo affinché ci sia più
pace? Come posso uscire fuori dalla dinamica reattiva secondo la
quale
ad uno schiaffo ricevuto reagisco a mia volta con un altro schiaffo,
alla prepotenza subita rispondo con un’altra prepotenza, ad un’offesa
con una vendetta e così via?”. Io penso che questo sia possibile solo
attraverso l’attuazione di un salto di coscienza e, per salto di
coscienza, intendo un evento, un’esperienza che rendendo possibile l’
interruzione della consueta dinamica mi consenta di uscire fuori
dalla
ciclicità di “botta e risposta”. Fare dei salti di coscienza si
presenta oggi come un evento planetario al quale molte persone sono
chiamate. Il risveglio spirituale è strettamente connesso sia alla
coscienza che alla pace, nella misura in cui le persone avvertiranno,
nella loro coscienza, il senso d’appartenenza, di fratellanza,
potranno
effettivamente uscire fuori dalle dinamiche conflittuali.
LA PACE E’ POSSIBILE
In tutte le guerre la verità è la prima a morire. Tuttavia come ci ha
dimostrato il Mahatma Gandhi è possibile ristabilire la Pace
perseguendo la verità, la giustizia e la libertà degli individui in
quanto “La verità e la non violenza sono antiche come le
montagne”. . . .
“Voi siete gli artefici della vostra condizione, passata, presente e
futura. La felicità o la sofferenza dipendono dalla mente, dalla
vostra
interpretazione, non dipendono dagli altri, da cause esteriori o da
esseri superiori. Ogni problema e ogni soddisfazione sono creati da
voi, dalla vostra mente”.
Con queste parole il Buddha Siddhartha Gautama , detto anche
Sakyamuni ,, che visse circa 2500 anni fa, tra il VI-V secolo a.C.,
nel nord dell’India, si rivolgeva al senso di responsabilità del
singolo individuo affinché potesse crescere interiormente ed
esprimersi
in modo positivo, con consapevolezza, generosità, altruismo, saggezza
e
amore. Sono queste le qualità che ognuno di noi può manifestare nel
mondo per renderlo migliore. Da sempre l’essere umano come tutti gli
altri esseri senzienti è alla ricerca della felicità. Nel perseguire
questo profondo desiderio di benessere l’uomo ha seguito un percorso
storico che lo vede oggi nel XXI secolo protagonista del suo destino.
La civiltà che questi ha prodotto riflette il suo innato desiderio di
sicurezza, ma paradossalmente è anche la causa di nuovi
sconvolgimenti
sociali e naturali. Dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 che colpì
le
Due Torri Gemelle nel centro finanziario di New York la diffusione
del
terrorismo è il nuovo spettro che avanza. La paura genera paura e
alimenta ogni focolaio di odio trasformandolo nel centro di una
spirale di morte che può coinvolgere tutto il mondo. Ci sono cause
storiche, economiche e sociali che determinano ciò che sta accadendo
sul piano personale e collettivo. Per comprende gli eventi di oggi
abbiamo bisogno di una visione saggia, integrale. Appellarsi al
patriottismo del ‘popolo’ e ricorrere alla retorica moralista del
Bene
contro il Male fa parte della strategia mediatica di chi detiene il
“potere”.
In questi giorni si parla molto di pace e di guerra. Sembra che tutti
abbiano ragione. A chi credere? Tutte queste opinioni e punti di
vista,
tutte queste discussioni e argomentazioni ci possono far riflettere
ed
osservare le nostre stesse reazioni agli avvenimenti quotidiani. Le
parole, le immagini, i concetti e i pensieri, si proiettano nello
spazio della nostra mente e lo riempiono. La loro forza, a volte
irruente, genera e alimenta la violenza dentro e fuori di noi. La
nostra razionalità ci permette di fare ordine in un mondo sempre più
complesso, ma se non è supportata dai buoni sentimenti che nascono
dal
cuore la nostra vita e il mondo in cui viviamo sarà sempre più
infelice. Abbiamo bisogno di tempo, abbiamo bisogno di fare spazio
per
la riflessione, con la meditazione, per il silenzio e per la
contemplazione più profonda, perché finché saremo condizionati da
pensieri coatti, questa nostra mente non sarà libera e felice. Quando
i
pensieri diventano rigide opinioni, argomentazioni sempre più forti e
contrapposte, il conflitto è inevitabile e così si giunge alla
crudeltà della guerra. Qualcuno ha detto che la guerra è una brutta
bestia che gira gira e non si ferma mai. Molti affermano che la
guerra
è necessaria per assicurare la democrazia e la pace. Certo! Esistono
delle motivazioni che spingono l’essere umano a distruggere, forse
possono essere ritenute da alcuni giuste, al punto da corrompere le
nostre intuizioni più profonde e la verità stessa, al punto da
ritenere
le guerre, come l’unica risoluzione ai conflitti o comunque quella
giusta, quella politicamente corretta, o morale. A volte gli
strumenti
che noi usiamo per mantenere la pace, diventano la via per perpetuare
la menzogna. Come dice Chagdud Tulku Rimpoche, maestro di saggezza
contemporaneo,è bene ricordare che: “Per colui che comprende la vera
natura della mente, guarire i conflitti individuali e guarire i
conflitti politici nel mondo è, in essenza, lo stesso processo”. A
mio
avviso c’è bisogno di una presa di coscienza individuale e collettiva
in grado di cambiare dal di dentro le istituzioni. Oramai da più
parti
si leva la voce secondo la quale ciascuno Stato, anche il più
democratico, deve attuare una severa riforma della propria politica
internazionale. Non dobbiamo dimenticare che la maggior parte degli
Stati membri dell'ONU non sono dotati di istituzioni democratiche e
che
violano palesemente e sistematicamente i diritti umani, malgrado la
Dichiarazione Universale del 1948 e tutti i successivi Patti,
Trattati
e Protocolli in materia. A mio avviso l'esercizio effettivo della
democrazia non può ammettere l’uso della violenza la quale non fa che
alimentare l’aggressività,l'ipernazionalismo e l'odio. La comunità
internazionale ha il dovere di intervenire in difesa dei popoli, ma
dovrebbe farlo con le armi della diplomazia, della politica, delle
pressioni e delle sanzioni economiche. In altre parole, coloro che
hanno il potere devono andare oltre i vecchi schemi che favoriscono i
loro vantaggi economici e che risalgono a concezioni geopolitiche di
tipo coloniale e anacronistiche. Dobbiamo sensibilizzarci e
sensibilizzare gli altri affinché le problematiche dell’intera
umanità
vengano affrontare con senso di responsabilità. E’ richiesto l’
esercizio di tutti gli strumenti d’informazione affinché le nostre
forze politiche diventino veramente democratiche. Non ci sarà vera
democrazia se non ci sarà verità, giustizia e amore. Dobbiamo forse
accettare che la guerra sia un male necessario, strumento funzionale
per assicurare la pace? Molte persone sono esaltate dalla guerra,
alcune trascorrono il weekend nei pressi degli aeroporti militari per
osservare i bombardieri decollare e altre fanno un mercato della
costruzione di questi dispendiosi strumenti di morte e distruzione.
La
guerra fa fare affari, diventa una distrazione, un sottrarsi dalla
propria problematica quotidiana, quella più piccola, quella in cui
dobbiamo essere ancora più responsabili. Esistono persone
completamente
invase dalla brutalità delle guerre, le quali non riescono a trovare
il
necessario distacco per stare più attente a non alimentare la
negatività di cui si nutre lo spirito della guerra. Non si può
approfittare di una situazione di per sé drammatica ed inumana, non
ci
si può nascondere dietro motivazioni che giustificano il conflitto ad
oltranza, ignorando l’aspetto più disumano della guerra. Ognuno di
noi
è chiamato a dare una risposta coerente ai principi dell’Amore e
della
Libertà. Per fare questo dobbiamo scegliere la via della conoscenza e
della pace. La nostra pace deve essere forte, ma nello stesso tempo
sensibile e ricettiva, dobbiamo essere capaci di affrontare la
nostra
e altrui sofferenza, perché è questo il cammino che ci porta alla
comprensione e all’amore per vivere in un mondo migliore.
D. Spesso lavorare sulla risoluzione dei propri conflitti implica
separazione, fisica o ideologica, da chi si ama, ed è causa di
ulteriore conflitto; come ci si deve comportare quando la vita ci
pone
di fronte a una scelta difficile, quando il prezzo della nostra
evoluzione crea inevitabilmente separazione e conflitto intorno a
noi? R. Questo è un grande dilemma e se ne esce solo nel momento in
cui siamo in grado di accettare la sofferenza come evento funzionale
alla crescita di tutti coloro che sono coinvolti nel rapporto. La mia
scelta di intraprendere la vita monastica mi ha portato a trasferirmi
all’estero e ad allontanarmi per 12 anni dalla mia famiglia. Mi
fecero
sapere che mio padre piangeva solo sentendo pronunciare il mio nome e
si commuoveva ogni volta il suo pensiero era rivolto a me. La
separazione aveva causato in lui un forte strappo emozionale e la mia
lontananza gli procurava una profonda sofferenza causata dal senso di
abbandono che provava. Ma non per questo sono tornato sui miei passi
venendo meno all’impegno preso con me stesso, perché è fondamentale
che
ognuno di noi rivolga la propria vita a un’onestà di base, al
riconoscimento di ciò che siamo e alla fedeltà a noi stessi. Qualche
anno prima che mio padre morisse, gli ho detto: “Papà, non hai capito
proprio niente di me”; queste parole sono state pronunciate in una
situazione di reciproco non riconoscimento e dunque di
contrapposizione, ma anche attraverso questo tipo di confronto,
apparentemente negativo, è stato possibile per entrambi recuperare il
senso del nostro incontro e del nostro rapporto. In fin dei conti,
anche se abbiamo vissuto distanti l’uno dall’altro, sia
geograficamente
che ideologicamente, data la diversità dei nostri valori, abbiamo
compiuto un percorso insieme. È bene ricordare che il non
attaccamento
passa anche attraverso l’accettazione della sofferenza e della
disapprovazione di coloro che ci sono più cari. Anche Gesù fa
riferimento a questa situazione dice: "Beati coloro che sono
perseguitati a causa della giustizia, perché di loro è il regno dei
cieli. Beati sarete voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno
e,
mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia.
Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio nei cieli è grande,
poiché così hanno perseguitato i profeti che furono prima di voi"
(Vangelo di Matteo 5:10-12). "Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli
uomini, io pure lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.
Non
pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto
a
mettervi la pace, ma la spada. Perché io sono venuto a mettere
disaccordo tra figlio e padre, tra figlia e madre, tra nuora e
suocera,
e i nemici dell’uomo saranno quelli di casa sua. Chi ama padre o
madre
più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non
è
degno di me…" (Matteo 10:33-38). Affermazioni come queste rivelano
dei
passaggi iniziatici che sono passaggi chiave nel percorso di crescita
spirituale. Prendendo di nuovo spunto dalla mia esperienza, trovo un
passaggio molto significativo. Dopo aver fatto di tutto per far
valere
e accettare la mia volontà di fare il monaco, affermando con
convinzione che sarebbe stata una scelta per tutta la vita, mi sono
ritrovato dopo diciotto anni ad alzare la cornetta del telefono per
dire a mio padre: “Sai, papà, ho deciso di lasciare l’Ordine”. La sua
reazione fu comprensibilmente di sconcerto, lo mandai letteralmente
in
tilt, perché ormai, e da tempo, aveva accettato la cosa. Mi aveva
visto
su diversi quotidiani nazionali, mi aveva sentito parlare alla radio;
mi aveva visto al telegiornale e in alcuni programmi televisivi;
aveva
appreso del mio incontro con il Papa e, in quella circostanza si sarà
sentito fiero di suo figlio, avrà sicuramente pensato, “Questo figlio
non è uno straccione, dopo tutto”. Andava in giro con i ritagli di
giornale e li faceva vedere al farmacista, al sacerdote, a tutti i
suoi
amici e conoscenti, dicendo “Guarda, mio figlio si è realizzato”.
Poi,
dopo diciotto anni, una mattina mi sveglio e dico: “Sai,papà,ho
deciso
di lasciare l’Ordine”. Giustamente, la sua reazione alla notizia fu
la
saggia raccomandazione di essere cauto nel prendere una tale
decisione,
che avrebbe di nuovo stravolto la mia vita. “Pensaci bene”, mi disse,
“ma se lo devi proprio fare, fallo nel modo più giusto, più
impeccabile
possibile”. Infine, per concludere il mio pensiero, posso solo
affermare che la vita è cambiamento e come tale va accettata.
D. Io cerco con tutto me stesso di attuare un percorso di crescita e
se mi volto indietro riconosco di aver compiuto importanti e profondi
cambiamenti nel corso della mia esperienza, tuttavia mi capita molto
spesso di non saper accettare le scelte di mio figlio e i cambiamenti
da lui impostimi. Mi può dare qualche consiglio su come risolvere la
rabbia che, forte, si scatena in me quando noi due entriamo in
conflitto? R. Secondo me ognuno si deve far carico del proprio
fardello. Se la mia modalità è quella di arrabbiarmi, perché mio
figlio
non fa quello che gli dico io di fare, questa è una mia
responsabilità,
è un mio carico, cioè sono io e non mio figlio a dover crescere.
Penso
che nessun figlio abbia fatto al cento per cento quello che i
genitori
vogliono che i figli facciano. La responsabilità ricade sempre e solo
sulla coscienza del singolo. E’ fondamentale guardarsi, specchiarsi
nell’altro; è questa la vera maturità, la vera crescita di cui gli
adulti dovrebbero essere degli esempi e dei modelli in quanto
principali e primari educatori dei propri figli. La profonda e
radicale
trasformazione dell’individuo si realizza nella continua azione di
guardarsi dentro, altrimenti non saremo mai in grado d’influenzare
positivamente i nostri figli, né tanto meno un intero popolo o
nazione. Mi viene in mente il caso della Romania. Il regime
totalitario finì per mezzo di una rivolta popolare violenta, il 22
dicembre 1989. La dittatura personale di Nicolae Ceaucescu, aveva
provocato nel suo popolo, torchiato all’estremo da un regime
poliziesco, una ribellione. A Timisoara – dove si registrarono
scontri
tra le forze armate - i media di tutto il mondo parlarono di una
repressione selvaggia, che avrebbe fatto migliaia di morti. Si
scoprirà
in seguito che le immagini dei morti della presunta strage erano di
gente comune defunta in ospedale. Nella confusione generale, creata
ad
arte dagli ex amici del dittatore, questi ultimi lo arrestarono e
dopo
un processo sommario lo condannarono a morte e lo fucilarono. Ricordo
di essere rimasto molto colpito dalle immagini che riprendevano
Ceaucescu durante la visita medica che precedette la sua esecuzione.
E’
la solita storia di un dittatore terribile eliminato dai suoi stessi
collaboratori. Certo è che quell’uomo con le sue stesse azioni segnò
la propria drammatica fine.
D. Rispetto alle notizie delle cose terribili che accadono nel mondo
,
reagisco o con assoluta indifferenza, o con sofferenza e depressione.
Vorrei tanto fare qualcosa, ma la sensazione prevalente è quella d’
impotenza, perchè è così difficile credere di poter contribuire a
cambiare le cose. Come posso uscire dal mio ristretto ed egoistico
mondo, e qual è il giusto atteggiamento nei confronti di chi, pur
rivestendo cariche pubbliche di alta responsabilità, agisce con la
violenza contro il bene comune? R. La capisco! Io stesso, da
ragazzino, dopo aver letto sul giornale qualche orribile tragedia, mi
sdraiavo sul letto in preda alla depressione, ma ormai non siamo più
ragazzini, siamo cresciuti ed è giunto il momento di alzarsi ed
agire.
Dobbiamo prenderci la piena responsabilità del nostro sentire. Molto
spesso viviamo in relazioni di ricatto per cui attribuiamo all’altro
la
responsabilità delle nostre sofferenze, insicurezze, etc…. Ci
appoggiamo troppo agli altri e non dovremmo farlo, perché ciò limita
la
nostra evoluzione e quella degli altri. E’ importante mantenere un
certo equilibrio per poter percorrere una strada. La scelta di
percorrere la via della pace si presenta come impegno individuale,
perché altrimenti è pura astrazione utopica. Ci sono molti testi che
indicano diverse modalità di percorrere il cammino evolutivo che
conduce ad una pace duratura, ma se la persona non trova in sé stessa
gli strumenti per acquisire forza ed equilibrio non potrà mai
crescere
ed imparare a camminare.
D. Siamo forse di fronte ad nuovo conflitto
mondiale?
Non credo nelle visioni apocalittiche. Tuttavia ritengo che stiamo
affrontando un periodo molto delicato e difficile. In generale mi
piace
pensare che l' essere umano sia fondamentalmente buono e sacro,
ritengo
che sia dotato di discernimento. La saggezza e la bontà sono una
forza
attiva e possono operare in ognuno di noi per aiutarci a far fronte
alle forze oscure dell' ignoranza. Tuttavia non posso chiudere gli
occhi di fronte al fatto che molte persone agiscono, più o meno in
segreto, non facendo ricorso alle loro migliori qualità ma bensì
accecati da interessi puramente egoistici. Le conseguenze di tali
politiche e azioni distruttive, da parte di questo o quel governo,
sono
sotto gli occhi di tutti.
D. Le notizie che riceviamo sembrano costruite ad arte per non
lasciarci scegliere liberamente. A chi dobbiamo credere?
R. lo cerco di ascoltare le opinioni e le ragioni degli uni e degli
altri. Partecipo secondo il mio sentire, cerco di fare chiarezza in
me
per valutare con libero discernimento ciò che mi viene detto. Non mi
fermo alla prima notizia, so che il livello di 'verità'
dell'informazione lascia molto a desiderare, mi piace saperne di più.
Coltivo un' autonomia di pensiero per poter valutare correttamente le
cose da fare. Certo non posso escludere un aggravarsi della
situazione,
del resto questo è accaduto nel corso della storia. Per esempio
durante
la vita dei miei genitori. Mio padre è nato ne1 1918, durante la
prima
guerra mondiale, ha combattuto ed è sopravissuto alla seconda ed è
morto alcuni anni fa. La vita, comunque essa vada, ci pone di fronte
all'inevitabilità della morte? Ognuno farà il proprio percorso di
vita.
Le esperienze che faremo e le situazioni che ci troviamo a vivere
sono,
a mio avviso, sempre molto soggettive. Anche all' interno di un
conflitto come una guerra, fatto di distruzione e morte, ognuno vive
quello che deve vivere. Ciò accade anche all'interno di una famiglia,
di un paese e di una nazione. Pur essendo figli degli stessi genitori
siamo così diversi nel percorrere le strade della vita. Ogni persona
ha
una disposizione interna unica. Vediamo le cose in modo del tutto
personale pur ricevendo a volte le stesse informazioni. Secondo le
dottrine orientali ciò è dovuto al karma che ci contraddistingue.
D. Se ognuno di noi nasce ed è condizionato dal proprio karma come fa
ad essere libero?
R. Il significato letterale della parola karma è ‘azione’, ed è un
termine con cui nel buddhismo e in tutto il pensiero indiano ci si
riferisce alla ‘legge di causa ed effetto’. Secondo la legge del
karma,
ogni azione intenzionale equivale a piantare un seme (bíja) che prima
o
poi darà il suo frutto(vipáka). È diffuso purtroppo il malinteso
secondo cui il karma sarebbe una sorta di destino ineluttabile
spettante a ciascun individuo. Possiamo cambiare la nostra
programmazione interna grazie ad una presa di coscienza. Saranno in
oltre necessari il retto sforzo e la buona volontà per poter cambiare
il proprio destino. Ritengo che ognuno di noi sia in buona parte
responsabile della propria salute, del proprio benessere e della
propria sicurezza.
D. Come possiamo assicurarci una maggiore serenità?
R. Nella misura in cui coltiviamo attitudini amorevoli possiamo
assicurare a noi stessi e agli altri maggiore serenità. Penso
che
il mio star bene coinvolga tutti gli esseri dell'universo. Se io sto
bene, senza creare altra sofferenza, posso assicurare alle persone
che
mi stanno vicine una maggiore serenità e pace. Ognuno di noi ha un
certo grado di responsabilità non solo nell' assicurarsi il suo
benessere ma anche nel non fare agli altri ciò che non vorrebbe che
gli
altri gli facessero. Dobbiamo comprendere che il nostro benessere non
può andare a discapito del benessere degli altri. Questa
considerazione
mi ha permesso molto spesso di non chiudere il cuore, di non
irrigidirmi, anche quando per esempio sono stato criticato, offeso,
aggredito, ecc….Questa considerazione mi aiuta ad essere più sereno,
mi
aiuta a comprendere ciò che mi accade.
INTERVISTA A MARIO THANAVARO
Di Valentina Brandazza
D. Che cos’è la pace?
R. È un senso di profonda armonia, che ci permette di avere una
corretta relazione al nostro interno e che, di riflesso, costruisce
una
società armonica.
D. La pace individuale, quindi, è l'inizio di una pace globale?
R. Non ci può essere pace globale senza una pace individuale. Ecco
perché nel buddhismo si dà molta importanza al riconoscimento di un
eventuale conflitto interno e alla risoluzione, al proprio interno,
di
questo conflitto.
D. Come si risolve un conflitto individuale in una prospettiva
buddhista?
R. Guardandosi e accettando il conflitto come opportunità di
riflessione e possibilità di un profondo cambiamento.
D. Perché ci risulta così difficoltoso uscire da una situazione o
da
una relazione conflittuale?
R. Tutti noi sappiamo che uscire da una situazione conflittuale non è
facile. E’ importante comprendere che la difficoltà di uscirne fuori
dipende dalla nostra incapacità di rimanere dentro al conflitto in
ascolto di ciò che sentiamo e di ciò che dinamizziamo attraverso la
comunicazione e la relazione. Queste sono le domande che ognuno di
noi
dovrebbe porsi: che cosa sento dentro di me? Come reagisco al
conflitto? Che cosa sono capace di comunicare all’altro? Ognuno di
noi
porta dentro di sé un disagio più o meno grande, la cui pressione
interna trova nella relazione con l’esterno, (gli altri), una
modalità
di sfogo che non conduce alla vera risoluzione del conflitto
personale,
ma lo rende maggiore e complesso. Nella dinamica relazionale di
conflitto che si viene a creare tra noi e l’altro, è importantissimo
riconoscere e comunicare con onestà e verità le proprie paure e i
propri disagi. Partendo da questa onestà si potrà cominciare a
lavorare
per l’eliminazione o per l’elaborazione del conflitto.
D. Com’è possibile evitare la sofferenza che nasce dalla separazione
e
dal conflitto?
R. Evitare la sofferenza non è sempre possibile, essa, insieme al
conflitto che la causa, va accettata ed elaborata per poter essere
superata e rivolta a beneficio della nostra evoluzione. Secondo il
pensiero del Venerabile Achaan Chah , si conoscono due principali
tipologie di sofferenza: la prima che conduce all’estinzione totale
della stessa ed una seconda che induce, invece, ad ulteriore
sofferenza. Personalmente ritengo che la storia dell’umanità pur
essendo pregna di tanta sofferenza, sia un percorso per giungere alla
fine della stessa; la distinzione delle due tipologie di sofferenza,
sopra enunciata, può aiutarci ad abbreviare i tempi per la
risoluzione
dei conflitti che opprimono il cuore.
D. Secondo quanto da lei affermato riguardo alla sofferenza che può
nascere da relazioni conflittuali è fondamentale comunicare all’altro
il nostro sentire, ma come stabilire se sia più efficace il perdono o
la vendetta, il porgere l’altra guancia o “l’occhio per occhio, dente
per dente”? Può indicarci quale sia la via migliore per non
alimentare
altra sofferenza sia a livello individuale che relazionale?
R. Purtroppo non abbiamo a nostra disposizione un manuale d’
istruzioni
per l’uso che ci indichi la modalità vincente, spetta ad ognuno di
noi
ricercare una risoluzione interna non dimenticando mai la stretta
relazione interno/esterno. Come vi ho già ricordato, il maestro
Chagdud
Tulku Rinpoche afferma che, “per colui che comprende la vera natura
della mente guarire i conflitti individuali e guarire i conflitti
politici nel mondo è in essenza lo stesso processo”. Ci sono persone
che operano nel campo sociale o politico, e coloro i quali sono
dediti
al volontariato: ogni tipologia d’impegno è egualmente valida. Ciò
che
conta non è tanto l’ambito d’azione scelto,il punto di partenza del
nostro percorso, quanto il percorso stesso e il cambiamento che
avviene, attraverso di esso, dentro e fuori di noi, grazie a noi. Vi
saranno coloro che partendo da una maggiore introspezione
dedicheranno
il loro impegno ad un’analisi attenta di quello che esperiscono al
proprio interno; oppure vi saranno altri che offrendo il proprio
operato al servizio della collettività concentreranno la propria
attenzione all’esterno. Bene, i due diversi atteggiamenti
rappresentano
entrambi una valida modalità in quanto conducono e convergono in un
unico punto comune, nella misura in cui, queste persone, veramente,
stanno risolvendo i propri conflitti. Il non incrementare altra
sofferenza dentro e fuori di noi sarà proporzionale alla nostra
capacità di risolvere la situazione di conflitto, mettendo in
pratica,
agendo quotidianamente al fine di non ripetere gli stessi errori e
rompere così quelle dinamiche conflittuali che portano separazione e
sofferenza.
D. Come possiamo cambiare lo stato delle cose?
R. Se vogliamo che le cose cambino dobbiamo divenire protagonisti. Io
ritengo di aver fatto qualcosa nella mia vita per migliorarmi come
individuo ed offrire il mio contributo alla collettività. Sono certo
che molti di voi avranno, a loro modo, fatto qualcosa per la propria
vita senza aver dovuto ammazzare nessuno. Purtroppo ci sono ancora
troppe persone che vivono ed agiscono nella convinzione che la loro
sofferenza dipenda dagli altri, che si sentono autorizzati ad usare
la
violenza solo perché, essi sostengono, “il fine giustifica i mezzi”.
Che cosa, dunque, impedisce a tutti noi di uccidere qualcun altro? Il
riconoscere che, effettivamente, l’altro agisce nell’ignoranza, a
causa
di una profonda sofferenza interna sulla quale sarebbe necessario
lavorare. Secondo una visione più ampia, laddove esiste un
dittatore, dall’altra parte c’è il popolo. Si tratta di una
situazione
karmica che riguarda la collettività. Si sono nel tempo create
dinamiche per cui il dittatore sta in alto e il popolo sottomesso a
lui
oppure, ad un certo momento, viceversa, il popolo si ribella e
giustizia il dittatore. E’ una questione d’equilibrio di forze e il
cambiamento della situazione è funzionale al risveglio della col-
lettività,risveglio che può realmente avvenire solo attraverso il
risveglio delle singole coscienze. J. Toda dice:“Una grande
rivoluzione
nel carattere di un solo uomo permetterà di realizzare un cambiamento
nel destino di una nazione e condurrà infine ad un cambiamento nel
destino di tutta l’umanità”
D. Quindi un auspicio, in una situazione come quella che stiamo
vivendo in questi giorni, potrebbe essere una riflessione accentuata
su
quello che la guerra potrebbe causare?
R. Sicuramente la guerra non è la risoluzione di un conflitto
individuale o nazionale e tanto meno di un conflitto su larga scala
come quello che sta emergendo nella situazione geopolitica attuale.
D.
La pace, a prescindere dal fatto che sia auspicabile, è possibile? La
pace è presente, non è una possibilità remota, è presente; quello che
dobbiamo fare è contattarla e usare la nostra energia per attivare
una
buona volontà. Si dice infatti che gli uomini, ovviamente intendendo
uomini e donne, di buona volontà sono in grado di contattare questa
pace e di vivere in pace.
D. Dal punto di vista buddhista, da parte di un insegnante di Dharma
,
come si contatta la pace, quali sono le modalità di pratica?
R. Prima di tutto attraverso il non nuocere. Attraverso la corretta
osservazione della propria parola, dei propri pensieri e della
propria
azione, evitando di creare altra sofferenza. Si inizia con il
soffermarsi su questi livelli dell’esperienza, quello della mente,
quello delle modalità espressive, della parola, e quello dell’azione.
Ovviamente, questa è solo la premessa per un’azione altruista,
amorevole e compassionavole, secondo cui si va verso l’altro per
aiutarlo nelle sue difficoltà. Sicuramente non lo si può fare con la
violenza. Non lo si può fare nemmeno in breve tempo; il cammino
buddhista è lungo, può durare vite. Siamo tutti nella stessa vita,
ognuno di noi si può impegnare nel momento presente per attivare le
forze della pace. Noi ci ostiniamo a seguire modelli discutibili e
inefficaci, crediamo che la lotta sia uno strumento valido per la
risoluzione del conflitto, ma la lotta non fa che generare altro odio
che si ripercuote sulle generazioni future. A mio avviso, e secondo
molti maestri di diverse tradizioni spirituali e non solo, questa non
può essere la via per la pace.
D. La tradizione buddhista è in se stessa profondamente permeata di
pace; pensando che uno dei precetti fondamentali è quello di non
nuocere a nessuno, immaginiamo che un praticante debba essere
impegnato
nella pace personale e altrui più di un praticante di altre religioni.
R. Mi auguro che i veri praticanti di tutte le tradizioni religiose
siano inclini alla pace, altrimenti avrei dei dubbi rispetto alla
loro
fede religiosa. Per me questo va da sé.
D. Ma storicamente il buddhismo è l’unica religione che non abbia
mai
avuto delle guerre sante.
R. Sicuramente i buddhisti non hanno mai avuto delle problematiche
così forti, di vera contrapposizione, ma anche nel corso della storia
buddhista proprio perché il buddhismo è all’interno di un percorso
storico e quindi politico ci sono stati contrasti e conflittualità
non
risolte. Le indicazioni dei religiosi sono però quelle di praticare e
promuovere la pace.
D. Premetto di non aver letto il suo libro “Non creare altra
sofferenza”. Può fornirci qualche indicazione su come sia
effettivamente possibile evitare di creare sofferenza agli altri?
R. Tempo fa ho avuto la fortuna d’incontrare il Pontefice Giovanni
Paolo II e gli ho portato in dono il libro ‘Non creare altra
sofferenza’. Tradizionalmente i regali vengono ben confezionati
mentre
io gliel’ho portato senza averlo incartato, perché volevo essere
sicuro
che leggesse almeno il titolo. Precedentemente a questo incontro il
Pontefice si era trovato ad affrontare una situazione molto
imbarazzante per la diplomazia vaticana a causa di un capitolo del
suo
libro-intervista ‘Alle soglie della speranza’, nel quale ci si
riferiva
alla religione buddhista in modo impreciso ed approssimativo. La cosa
comportò una reazione di chiusura da parte di diversi paesi buddhisti
alla vigilia del suo viaggio in Sri Lanka; nessun rappresentante di
rilievo del Sangha (la comunità monastica buddhista) si presentò ad
accoglierlo e furono addirittura organizzate delle manifestazioni di
protesta di piazza a testimonianza del forte dissenso nei suoi
confronti e dell’evidente conflitto venutosi a creare. La comunità
buddhista mondiale si era sentita offesa nel proprio sentimento
religioso e il Pontefice, persona di grande e profonda sensibilità,
comprese di aver commesso qualche errore. In seguito l’U.B.I.,che
rappresenta le Comunità Buddhiste in Italiana, di cui ero allora
rappresentante ufficiale in veste di presidente, decise di fare un
gesto di riconciliazione. Io ebbi così la fortuna di presentarmi al
Pontefice e non mi lasciai sfuggire l’occasione di lasciargli un
messaggio. Intendevo invitarlo a riflettere sull’importanza di
prestare
maggiore attenzione nel diffondere opinioni o giudizi su altre
religioni, nello specifico, quella buddhista, una religione di
tradizione millenaria ingiustamente discriminata sulla base di
presupposti teologici troppo datati e non attendibili. Non ritengo
che
il Pontefice abbia agito in malafede, tuttavia egli era responsabile
di
ciò che a suo nome era stato pubblicato. Con molta probabilità il
Buddhismo gli era stato presentato in modo errato o ne aveva comunque
fatta la conoscenza attraverso letture risalenti al tempo dei suoi
studi da seminarista. Successivamente, tramite un sacerdote cattolico
studioso di Buddhismo Tibetano che frequentava l’ambiente vaticano,
venni a conoscenza di un commento del Pontefice relativo alla
delicata
situazione diplomatica che si era venuta a creare, affermò: “La
prossima volta che dovrò diffondere qualcosa mi rivolgerò a dei
consiglieri più informati sull’argomento”. Spero di aver chiarito,
tramite questo esempio, in che senso sia possibile non accentuare la
sofferenza causata dalle incomprensioni o dalle varie diversità,
sociali, culturali, politiche e religiose, affinché queste non
accrescano il senso di separazione e non ci portino alla
contrapposizione, al conflitto,alla violenza e all’orrore della
guerra.
A tal fine è necessario non innalzarsi al di sopra di altri
ritenendosi
detentori della Verità.
D. Come si vive la pace da un punto di vista strettamente buddhista,
come la vive Lei nella vita quotidiana?
R. Attraverso la riflessione, ovviamente attraverso la pratica della
meditazione e attraverso l’azione amorevole, altruistica e generosa.
Cioè in modo semplice. Alla ricerca di un rapporto pacifico con tutti
gli esseri viventi e l'ambiente che li comprende, nel massimo
rispetto.
D. Lei ha fatto una scelta di vita particolare. Crede che in una vita
normale, inabissata nella quotidianità, sia possibile fare una scelta
di non conflitto nei confronti di qualsiasi essere vivente?
R. La scelta di non conflitto non è non riconoscere la presenza del
conflitto, non è evitarlo a tutti i costi, ma significa viverlo con
attitudine saggia. Allora il conflitto diventa la via per la
trasformazione dell’energia e quindi esso stesso funzionale a un
risveglio della coscienza. Una vita senza conflitti, onestamente, mi
sembra molto lontana. Ben venga il conflitto se le nostre risposte
sono
sagge e in grado di risolverlo; ecco perché contesto le attuali
posizioni delle diverse correnti politiche. Non vedo in questo tipo
di
risposta, cioè la guerra che è alle porte, la risoluzione di questo
conflitto.
D. Ritiene sia possibile trovare una soluzione che sia al di sopra
delle parti, cioè né con Bush né con Saddam, una soluzione pacifica?
R. Questo sarà possibile nella misura in cui tutti, Bush, Saddam e i
popoli rappresentati dai loro politici, manifesteranno questa
volontà.
Ma senza un’espressione collettiva del desiderio di pace, questo non
sarà possibile.
D. Una risposta collettiva c’è, si sono mobilitate moltissime
persone in Europa e anche in America ci sono state molte
manifestazioni; che cosa succede quando la gente vuole la pace e non
la
ottiene, come si risolve un conflitto così evidente?
R. È importante la libera espressione delle proprie idee e del
proprio
pensiero, e fintanto che ci sarà la possibilità di esprimere questo
pensiero, le possibilità di vivere in pace saranno maggiori. Dunque
ritengo molto positivo quanto sta accadendo, anche perché i buoni e i
cattivi non sono necessariamente tutti da una parte. Si tratta di
vivere con saggezza e penso che ci siano molte persone sagge che
hanno
modo di disapprovare scelte non sagge di chi ha a disposizione
potenti
strumenti di informazione e macchine mostruose, cioè gli strumenti
della guerra.
D. La saggezza quindi è un’espressione, un attributo della pace?
R. Sì, una persona saggia è una persona in grado di promuovere la
pace, di vivere la pace.
D. Come si coltiva la saggezza sul sentiero buddhista?
R: Si inizia fondamentalmente con il riconoscimento del bisogno dell’
altro, per cui se riconosciamo la difficoltà dell’altro, ci
adoperiamo
in ogni modo per portarlo verso la corretta visione e dunque a scelte
sagge. Ma questo si fa sempre con strumenti ragionevoli e pacifici.
D. Quanto è importante la meditazione nello sviluppo della saggezza
e
quindi della pace?
R. Per meditazione intendiamo soprattutto la capacità di osservare
quanto si manifesta al nostro interno e all’esterno: questa capacità
di
riflessione è fondamentale. Al contrario l’azione coatta, o
condizionata, ci porta alla reattività e non ci permette di vedere in
modo corretto la situazione, di valutare i pro e i contro di
determinate scelte e decisioni.
D. Ci può raccontare di un insegnamento del Buddha sulla pace che
sente particolarmente caro?
R. In una particolare circostanza c’erano gli abitanti di due paesi
che si contendevano un corso d’acqua e in quella situazione il Buddha
fu in grado di intervenire per evitare una guerra, indicando loro il
modo di sfruttare queste risorse idriche con un’alternanza nell’uso
dell’acqua. Dovremmo entrare nella logica della condivisione dei
beni,
e questo vale per tutte le risorse del mondo. Senza questo tipo di
condivisione delle materie prime, sicuramente vedremo altre guerre e
altri conflitti.
D. Crede che sia possibile, al livello in cui siamo arrivati oggi,
senza contemplare necessariamente un punto di vista religioso,
raggiungere una completa armonia?
R. Si dice che la speranza sia l’ultima a morire. Ho ascoltato
diverse persone, competenti e in posizione di responsabilità e di
potere, che hanno questa visione più pacata - più diplomatica, se
vogliamo chiamarla così - rispetto a questo momento di crisi, per cui
io mi auguro che ciò possa avvenire anche in questo caso.
D. Lei ha un’esperienza molto lunga alle spalle, anche come monaco:
quando ha scoperto la pace nella sua vita?
R. Non posso dire che ci sia stato un momento specifico, come un’
illuminazione, o un’esperienza particolare. I miei maestri mi hanno
insegnato a osservare il respiro e osservando il respiro sono in
grado
di contattare la pace. Ogni volta che richiamo alla mente questa
indicazione, la pace fa parte della mia esperienza, passata e
presente.
Basta applicarla.
D. Una pace che non è dunque un momento di alienazione, ma è vissuta
e applicata in ogni momento?
R. Sì, è una pace nella propria esistenza, nella propria vita, nel
respiro, nella relazione con se stessi e con gli altri.
D. Lei cerca di trasmettere questi insegnamenti agli allievi che
vengono ad ascoltarla e a meditare con Lei?
R. Questa è la mia motivazione, anche dell’essere ritornato al mondo
laico. Credo che questi insegnamenti siano di particolare attualità
per
la società moderna e secolare la quale ha perso il senso di un
percorso
spirituale oppure l’ha delegato solo ai religiosi, e questa non è una
cosa buona.
D. Che cos’è la spiritualità?
R. È ciò che siamo; ogni cosa è spirituale .
D. Come è possibile accostarsi in questo modo a noi stessi in una
società così compulsiva, così piena di obiettivi e traguardi da
raggiungere?
R. È possibile, basta fermarsi un poco, anche in occasione di questa
effervescenza, di questa eccitazione caratterizzata dal desiderio di
guerreggiare e dalla paura di cadere in questa trappola. Dovremmo
fermarci un po’ e riflettere, meditare: questo ci aiuterebbe.
D. Lei ha nominato la paura e il desiderio: che cosa sono dal punto
di vista buddhista?
R. Sono il motore dell’esistenza. Noi ci troviamo presi da queste
forze che, se non vengono comprese e gestite, creano confusione,
conflittualità e distruzione. Siamo dunque chiamati a comprendere
bene
queste emozioni, queste forze, proprio per agire in modo corretto.
D. Sempre attraverso la meditazione e la pratica del Dharma , che
non
è finalizzata esclusivamente a questo, ma diventa un vero modus
vivendi?
R. La vera pratica è la vita, cioè come noi siamo nella vita. Dunque
siamo chiamati a fare questo tipo di operazione al nostro interno,
onde
evitare ulteriori guai.
D. E qual è il fine del buddhismo? R. Il fine del buddhismo è la
liberazione dalla sofferenza, per il singolo e per la collettività.
D.
La sofferenza, quindi, è una chiave di volta anche per la
comprensione
della pace?
R. Sicuramente la sofferenza può essere funzionale al risveglio
della
saggezza, altrimenti diventa solamente distruttiva e crea ulteriore
oscuramento della coscienza.
D. Ci sono sofferenze necessarie, guerre necessarie, violenze
necessarie al fine di ottenere una pace più stabile?
R. La sofferenza è parte della vita, la stessa nascita di un essere
umano avviene nella sofferenza. Però dovremmo fare di tutto per
alleviare il dolore di una partoriente, perché dia la vita senza un
eccesso di sofferenza. Dunque il nostro operato va verso il
contenimento della sofferenza naturale e dobbiamo adoperarci per non
accrescere questo tipo di sofferenza inevitabile con altre sofferenze
create dall’ignoranza dell’essere umano. I terremoti, le alluvioni, l’
innalzamento delle acque fanno già la loro parte (anzi sarà sempre
maggiore) e le sofferenze da essi prodotte saranno sempre più
percepibili nelle società. Dunque la guerra, in questo momento e per
il
nostro futuro, non è che un eccesso di sofferenza che non può che
fare
male.
D. Come si può alleviare la sofferenza degli altri?
R. Sostenendoli, aiutandoli, indicando loro modi diversi di vivere e
di gestire la propria vita, istruendoli, permettendo loro di
esprimersi
e di acquisire le forze necessarie per un cammino di riscatto, anche
sociale.
D. Con tutte le conflittualità presenti, anche di tipo religioso,
c'è
la possibilità di trovare una via che vada anche oltre l’appartenenza
a
una fazione?
R. Siamo chiamati ad adoperarci in un processo unitario, dobbiamo
necessariamente lasciare gli attaccamenti alle varie posizioni
ideologiche o di fede, per comprendere il senso della vita come
relazione tra appartenenti all’umanità intera, dunque come fratelli e
sorelle nella sofferenza così come nella felicità.
D. Questo insegnamento sottolinea l'interdipendenza di tutti gli
esseri umani e quindi la sterilità del considerarci singoli individui
distinti.
R. Questo senso di separazione è l’effetto dell’ignoranza, dell’
incapacità di vedere l’interconnessione che c’è in tutte le
esperienze
e in tutti gli esseri. Dobbiamo assolutamente recuperare questo senso
di appartenenza all’altro e quindi adoperarci affinché non ci sia un
aumento della sofferenza nell’altro, inteso come individuo, nazione,
popolo, cultura e pianeta.
Spesso sulle pagine dei giornali, soprattutto ultimamente, si parla
di
occidente contrapposto all’Oriente, considerato meno evoluto, meno
istruito, meno capace di vivere una vita che noi riteniamo saggia,
giusta e corretta. Ma in realtà, da questo punto di vista,
apparteniamo
tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Queste sono ulteriori separazioni concettuali. La realtà è che siamo
tutti di un unico pianeta, con problemi e questioni che devono essere
risolti collettivamente e l’Occidente, proprio perché ha oggi
maggiore
disponibilità, deve fare uno sforzo maggiore, deve dimostrare un
impegno maggiore per dare direttive sagge e aiutare altri Paesi a non
rifare gli stessi errori. La società industriale e la tecnologia
hanno
sicuramente alleviato il disagio di intere popolazioni, ma dobbiamo
analizzare questo sviluppo in modo critico, non esportare modelli che
ci hanno creato problemi, e trovare altre soluzioni, nel rispetto di
altre popolazioni e di altre culture.
D. Si parla spesso di pace da un punto di vista politico, sostenendo
che la posizione dei pacifisti è inattuabile, inapplicabile. Nessuno
ha pensato alla pace da un punto di vista religioso, come
inclinazione
interiore delle persone che credono in una via spirituale. Perché si
deve stare da una parte o dall’altra ?
R. Perché siamo scollati, si pensa che la politica sia una cosa e la
religione un’altra. Di fatto tutti noi, anche i religiosi, siamo
delle
persone che hanno una posizione politica; esprimere le proprie idee,
avallate da una fede religiosa, è fare politica, ed è una politica
altrettanto valida e degna di considerazione.
D. I praticanti buddhisti sono diventati anche qui in Italia più
che
una minoranza religiosa; perché così tanti si rivolgono a questa
tradizione, che risposte ha da dare?
R. Penso che sia una tradizione che rivolga una particolare
attenzione all’essere umano e dunque ci riporta alla responsabilità
pratica, al fine di attuare un cambiamento reale della persona. È una
fede pragmatica, nel senso che, attraverso la riflessione, ci
rendiamo
conto che siamo chiamati in prima persona a mettere in atto un
cambiamento.
D. Che cosa può dire delle persone che Le chiedono di insegnare loro
il Dharma, che cosa stanno cercando?
R. Stanno cercando strumenti validi per la risoluzione delle loro
difficoltà, ma stanno cercando anche la via spirituale con una
metodologia libera dal condizionamento culturale in cui sono
cresciuti.
D. E a chi dice che le persone che si rivolgono alle tradizioni
orientali in realtà cercano solo l’esotico, cosa risponde?
R. Io non offro più l’esotico, non sono più un monaco buddhista. Se
cercano questo, dico loro di andare altrove.
D. Da che cosa si identifica un buddhista, come si riconosce, chi è?
R. Penso che non lo si riconosca affatto. Forse dalle sue parole
emergono idee riconducibili all’insegnamento del Buddha. Altrimenti
penso che sia una persona ordinaria.
D. Si riconosce però nella pace.
R. Si riconosce sicuramente per una sua compostezza interiore.
D. Che spesso si riflette nell’esteriorità: osservando i monaci e le
persone che hanno a che fare con il Dharma si nota una lentezza, una
maggiore attenzione a quello che di sé si porta verso gli altri.
R. Penso che sia vero, certo mi riesce difficile vedermi con gli
occhi di un altro. Io sono circondato da persone abbastanza comuni e
non so se mi distinguo come buddhista. Non vado in giro dicendo “sono
buddhista”, sono quello che sono. Penso sia importante uscire dagli
‘ismi’, dalle definizioni di fede e, pur avendo fatto una lunga
esperienza all’interno della tradizione buddhista, non ritengo
significativo definirmi in alcun modo. Io sono stato battezzato, sono
cresciuto come cattolico e ho fatto diverse esperienze di ricerca
interiore nell’ambito del percorso proposto dalla Chiesa cattolica.
La
stessa vocazione alla vita monastica è avvenuta grazie agli scritti
di
Thomas Merton che era cattolico, un monaco trappista. Tuttavia ho
sentito l’esigenza di un contesto nuovo per fare la mia esperienza di
fede e l’ho trovato nella tradizione buddhista, lasciando l’Italia e
incontrando persone che sono state per me significative lungo questo
percorso di ricerca.
D. Tra i suoi maestri, chi Le ha trasmesso l’idea di pace più
vigorosa e che ancora ricorda?
R. Indubbiamente il mio maestro Achaan Sumedho,che è di origine
americana, il suo maestro, il Venerabile Achaan Chah, il maestro
cinese
Hsuan Hua e un maestro tibetano che è il Dalai Lama. Queste persone,
un
americano, un thailandese, un cinese e un tibetano, sono persone di
pace, in grado di incontrarsi, di dialogare e lasciar andare i
contrasti che sono propri delle correnti politiche di ciascuna di
queste nazioni. Dunque è possibile appartenere a culture e tradizioni
diverse e al tempo stesso essere portatori di pace.
D. Ricorda un insegnamento di ognuno di loro, o di uno di loro, che
vuole raccontare?
R. Achaan Sumedho era solito incoraggiare i suoi discepoli a
osservare il respiro e a sviluppare la consapevolezza, perché la
consapevolezza è la via per l’immortalità, mentre l’indolenza e l’
ignoranza sono la via della morte. Questa è una raccomandazione che
ho
preso molto a cuore. Achaan Chah raccomandava di fare molta
attenzione
a come si nutrono i sensi, non solo la bocca attraverso il cibo, ma
tutti i sensi: perché i nostri sensi, la vista, l’udito, il tatto, l’
odorato, il gusto e la mente, ci possono far crescere nella pace o
nell’
ignoranza e dunque nel conflitto. Il Dalai Lama dice molto spesso di
considerare i propri nemici come grandi maestri e di non alimentare l’
odio ma la compassione . Il Venerabile Hsuan Hua diceva spesso di non
guardare alle colpe degli altri, ma piuttosto alle proprie
manchevolezze e di lavorare sul proprio cuore e sulla propria mente
per
migliorarsi.
D. E Lei che cosa raccomanda agli studenti, alle persone che vengono
qui a imparare qualcosa?
R. Raccomando di essere pienamente se stesse e di alimentare il
sentimento dell’amore.
D. Ha parlato dell’insegnamento di Achaan Chah sui sensi: pacificare
i sensi e le sensazioni che ne derivano significa pacificare la mente?
R. Sicuramente. La mente è il ricettacolo degli input sensoriali,
per
cui la nostra pratica di consapevolezza deve essere attenta all’
effetto
inevitabilmente prodotto dal tipo di nutrimento sensoriale al quale
siamo soggetti. Ecco perché gli avvenimenti di guerra, il contrasto
ideologico, i talk-show dove si esprime e si alimenta la
contrapposizione seppur di pensiero, non ci trasmettono cibo
salutare.
In questo senso abbiamo la responsabilità di irradiare qualcosa di
positivo e dunque di non alimentare il conflitto.
D. Che cos’è invece l’illuminazione, una forma di pace assoluta o una
sospensione anche dalla pace?
R. Direi che è riconoscere ciò che ci troviamo a vivere nel presente,
è un pieno riconoscimento della realtà del presente, ed è al tempo
stesso una liberazione dalla realtà del presente. Significa calarsi
pienamente alle radici della coscienza e dunque superare ogni
barriera
di forma e di tempo.
D. Si dà molta importanza al presente nella tradizione buddhista;
noi
lo sospendiamo tra il passato e il futuro, in realtà cos’è?
R. Potremmo chiamarlo uno ‘stargate’, un passaggio, possiamo
chiamarlo un passaggio per arrivare alle stelle.
D. Quindi una pace nel presente assicura una pace nel futuro?
R. Nel presente noi possiamo spargere i semi della pace o quelli
dell’
odio, ed è quello che sta accadendo adesso. Noi abbiamo la grande
possibilità di seminare bene, in questo momento.
D. Vuole dirci un’ultima parola sulla pace, un suggerimento o un
augurio?
R. Coltivate semi di Pace. Siate felici. Vorrei concludere con una
poesia di un mio amico monaco di nome Claudio Lobsang Tzondrù:
Che la Pace ci avvolga
Che la pace ci avvolga come un velo di nebbia leggera in un mattino d’
estate.
Che la pace ci unisca oltre il roveto delle parole graffianti e delle
invidie, oltre i giudizi e i pregiudizi.
Che un vomere di fuoco bruci le nostre debolezze.
Che una spada ardente tagli i nodi dell’ignoranza e le travi che
accecano il nostro sguardo mentre cerchiamo pagliuzze su occhi
altrui.
Che la vita sia dolce, così come dovrebbe.
Che il nostro sorriso sia dolce sempre e ovunque e sempre ci
accompagni la dolcezza perché è di questa che gli esseri hanno
bisogno
e non della durezza dei nostri cuori.
Che la pace ci avvolga e ci stringa in un abbraccio fino a sentire il
calore dei corpi di tutti gli esseri e le loro paure ed il loro
dolore, fino a sentire il calore e la tenerezza del nostro cuore e
le
sue paure e lo struggente dolore di tutte le sue ferite. Che la
pace
ci baci con le sue labbra silenziose e sciolga con il suo amore i
ghiacciai dell’anima.
Che la pace ci unisca anche se percorriamo sentieri diversi perché
siamo tutti in cammino verso la stessa meta e nessun essere, proprio
nessuno, è migliore o peggiore di un altro, e nessun sentiero,
proprio
nessuno, è migliore o peggiore del sentiero di chi ti cammina accanto.
MEDITAZIONE GUIDATA SULLA PACE
Sedetevi pure comodamente. Assicuratevi che la schiena sia diritta ma
non rigida. Potete chiudere delicatamente gli occhi o tenerli
socchiusi; così facendo vi sarà più facile entrare in ascolto
profondo.
Respirate pure profondamente; il respiro è vita. Ascoltando il
movimento respiratorio entrerete in un processo di riequilibrio
energetico e di guarigione profonda. Inspirando ed espirando
rimanete
in ascolto. Inspirando ed espirando. Inspirando ed espirando.
Entrate
in ascolto delle sensazioni che provate nel corpo. Immaginate il
pianeta, nostra Madre Terra, e ripetete mentalmente: ‘Che la pace
regni
sulla terra. Ricordatevi: “Per colui che comprende la vera natura
della
mente, guarire i conflitti individuali e guarire i conflitti politici
nel mondo è in essenza lo stesso processo.”
Un antico proverbio cinese dice: “Se c’è consapevolezza nel cuore, ci
sarà bellezza nel carattere; se c’è bellezza nel carattere, ci sarà
armonia nella casa; se c’è armonia in casa, ci sarà ordine nella
nazione. Quando c’è ordine in ciascuna nazione, ci sarà la pace nel
mondo.”
Portate dunque l’attenzione sul vostro cuore. Portate pure le mani
all’altezza del cuore; poggiatele semplicemente sul torace ed
entrate
in ascolto. Ascoltate la voce del cuore. Il cuore ha un linguaggio,
ha
un suo ritmo. Il suo battito può essere armonico oppure può
presentare
delle aritmie, delle dissonanze che evidenziano il subbuglio
interiore.
Queste sono il sintomo di un conflitto. La serenità del cuore
richiede
comprensione, saggezza e amore. Seguire la via del cuore richiede la
buona volontà; se vogliamo veramente la pace è importante esercitare
la
volontà di smettere di combattere. La resa totale del cuore è l’
abbandono alla grazia, alla presenza dell’amore nel cuore umano.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando.
Inspirando ed espirando. Lasciamo che la vita, il prana , l’energia
cosmica, l’energia vitale riequilibri il nostro sistema energetico.
Ci
apriamo alla preghiera ed alla profonda meditazione fino a giungere
alla contemplazione del Divino dentro di noi. Inspirando ed
espirando
rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando. Inspirando ed
espirando.
Lasciate pure andare tutte le tensioni, le preoccupazioni e gli
affanni. Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed
espirando. Inspirando ed espirando. Lasciate pure andare i pensieri,
smettete di alimentare il conflitto; smettete di aggiungere al
problema
un altro problema, semplificate la vostra vita. Inspirando ed
espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando. Portate la
consapevolezza nel cuore. Portate un raggio di luce nel cuore.
Portate
il sorriso nel cuore. Inspirando ed espirando rimanete in ascolto.
Inspirando ed espirando. Inspirando ed espirando. Una volta entrati
in
contatto con i vostri cuori, in piena consapevolezza ritrovate la
capacità di comunicare. Inspirando ed espirando rimanete in ascolto.
Inspirando ed espirando. E piano piano potete estendere la mani ai
vostri lati. Se c’è qualcuno al vostro fianco, a destra e a sinistra,
date le vostre mani. In caso contrario immaginate che ai vostri
fianchi
ci siano altre persone che si tengono per mano. Date pure le vostre
mani. Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed
espirando. Inspirando ed espirando. Lasciate che attraverso il
contatto delle mani sia possibile anche una comunicazione vera da
cuore
a cuore. Uniti nella volontà di smettere di combattere affinché la
pace
regni su questa terra, nelle nostre famiglie, nella nazione, in tutte
le nazioni del mondo. Forse per alcuni, la preghiera “che la pace
regni
sulla terra” sembrerà un’utopia, un sogno, semplici parole irreali,
astratte. Ma a piccoli passi, nei piccoli gesti d’amore, nel nostro
piccolo, nel quotidiano, attraverso il pensiero, la parola e l’azione
gentile ed amorevole, tutti noi possiamo contribuire a questa pace.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando.
Inspirando ed espirando. Portiamo nel nostro cuore queste parole:
“Che
io sia felice. In pace con me stesso. In pace con il mio passato. Che
la speranza sia sempre davanti a me. Che il perdono sia sempre dietro
di me. Che la gioia sia sempre alla mia sinistra e La bellezza alla
mia
destra. Che le mie radici siano salde sotto di me”. Sentite le vostre
radici, portate l’attenzione ai piedi che toccano il pavimento;
percepite la connessione profonda con la terra, la nostra Madre
Terra.
Radicate la luce che attraversa il vostro corpo, che scende dall’alto
che si irradia dal vostro cuore. Portate colonne di luce in questo
luogo e benediciamo la terra con la presenza delle qualità del cuore.
Che il mio obbiettivo sia chiaro sopra di me”. Inspirando ed
espirando
rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando. Inspirando ed
espirando.
E possiamo anche immaginare il pianeta Terra, la nostra Madre Terra,
sospeso nello spazio danzante, in viaggio verso il grande vuoto.
Entrate in contatto con la coscienza collettiva; immaginate la Terra
sospesa nello spazio, immaginate il pianeta Terra festeggiato da
milioni di stelle luminose ed accolto da infiniti esseri di luce.
Inspirando ed espirando entrate nella coscienza infinita dell’
universo. Sapete che viviamo in un universo vasto e misterioso.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando.
Inspirando ed espirando. Ricordate: “Se c’è consapevolezza nel
cuore,
ci sarà bellezza nel carattere; se c’è bellezza nel carattere, ci
sarà
armonia nella casa; se c’è armonia in casa, ci sarà ordine nella
nazione. Quando c’è ordine in ciascuna nazione, ci sarà la pace nel
mondo.” Pacificando il nostro cuore porteremo la pace sulla terra.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando.
La serenità che viene dal cuore va mantenuta con la buona volontà, la
volontà di smettere di combattere.
Inspirando ed espirando. Inspirando ed espirando.
Piano piano potete riaprire gli occhi e cominciare a muovere il corpo.
Dopo questo contatto interiore è importante tradurre in azione ciò
che
abbiamo percepito al nostro interno; attraverso i nostri pensieri, le
nostre parole e le nostre azioni possiamo esprimere questa volontà,
una
volontà rivolta alla risoluzione del conflitto, una volontà tutta
orientata alla comprensione delle reciproche diversità. Che la pace
regni nei nostri cuori e su questa terra. Ciò è possibile!
CHE LA PACE REGNI SULLA TERRA.
Cenni biografici sull'autore
Mario Thanavaro nasce in Friuli nel 1955. Motivato da un grande
interesse per le arti, fin da giovanissimo studia judo, musica, danza
e
recitazione. A diciotto anni si reca in Inghilterra per seguire la
sua
aspirazione di musicista. Dopo otto mesi trascorsi a Londra, torna in
Italia per gli obblighi di leva. Qui inizia un intenso periodo di
introspezione, sia attraverso la fede cristiana, sia attraverso la
scoperta del buddhismo, di cui gli parla un commilitone discepolo di
un
maestro tibetano. La sua ricerca spirituale diviene più urgente dopo
il
terremoto in Friuli del 1976, in cui perdono la vita circa mille
persone. In seguito, leggendo un libro di Christmas Humphreys, viene
a
conoscenza di centri buddhisti in Inghilterra. Così, all’età di
ventidue anni, torna in Inghilterra dove incontra Ajahn Sumedho,
maestro e monaco buddhista. Nell’ottobre del 1977 diventa anagarika
(senza dimora) a Londra, e l’anno successivo diventa samanera
(novizio). Riceve la piena ordinazione (upasampada) nel 1979 su un’
imbarcazione del Tamigi dal suo precettore Saddhatissa Maha Thera,
divenendo il primo monaco occidentale del lignaggio di Ajahn Chah
ordinato in Inghilterra. Il suo nome sarà d’ora in poi Thanavaro
(Fondazione Eccellente). Riceve gli insegnamenti di Ajahn Sumedho, e
come monaco itinerante visita la Svizzera, la Thailandia, la
Birmania,
l’Australia, la California, l’India, il Nepal, lo Sri Lanka, la
Germania ed Israele. Incontra altri maestri che lo ispireranno
profondamente, tra i quali lo stesso Ajahn Chah, il XIV Dalai Lama,
il
XVI Karmapa, Ajahn Buddhadasa, Mahasi Sayadaw, Krishnamurti, Namkhai
Norbu Rinpoche e Hsuan Hua. La sua ricerca spirituale lo porta a
contatto con altre tradizioni e a interessarsi del tema dell’
educazione. Dopo dodici anni di vita trascorsi principalmente in
Inghilterra e Nuova Zelanda, dove contribuisce alla fondazione e allo
sviluppo di alcuni monasteri, nel 1990 torna in Italia e fonda il
primo
monastero Theravada. Nel settembre del 1995, durante una suggestiva
cerimonia al monastero Mahayana dei Diecimila Buddha, in California,
riceve la trasmissione dei precetti di bodhisattva. Dopo diciotto
anni
di vita monastica, di cui gli ultimi sei impiegati come abate,
insegnante di meditazione, presidente dell’Unione Buddhista Italiana
e
membro della Fondazione Maitreya, decide di ritornare allo stato
laicale, aspirando a una ricerca spirituale meno formalizzata e più
immersa nella quotidianità. Continua a insegnare meditazione,
ispirato
da un approccio olistico e intertradizionale. Assieme alla Dottoressa
Enzina Luce Franzese, psicologa e psicoterapeuta, è fondatore dell’
Associazione Amita Luce Infinita per il risveglio delle coscienze.
Come
amico e guida spirituale conduce incontri e ritiri di meditazione in
varie città d’Italia. È autore dei libri “Non creare altra
sofferenza”,
“Verso la luce”, “Da cuore a cuore”, “Uno sguardo dall’arcobaleno”,
“Meditiamo insieme”, tutti pubblicati da Ubaldini. Per la collana
Spiritualità Sperimentale della Promolibri Magnanelli ha pubblicato
“La via del pellegrino - Visita ai luoghi sacri del Buddha”. Per la
collana Amita ha pubblicato “In memoria di Ajhan Chah” e “Quando un
fiore si apre”.
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"II dono della Pace supera ogni altro dono”
Questo testo non è in vendita. I costi di questa pubblicazione sono
stati coperti da una libera donazione. E’ stato pubblicato nella
speranza che possa essere di beneficio a chi desidera riflettere sui
grandi temi del vivere e vuole intraprendere un cammino di ricerca
interiore. Le nostre iniziative editoriali sono una preziosa
opportunità per molti di partecipare alla diffusione degli
insegnamenti
di Pace e Amore per l’intera Umanità.Dipendono direttamente dai
contributi offerti in tal senso. Coloro che volessero sostenere
future
ristampe di questa o di altre opere possono inviare una libera
offerta
e dedicare i meriti della propria offerta per il benefico di altri
esseri senzienti. Per l’autore è un grande privilegio essere in grado
di produrre libri come questo, e sarà felice di continuare a farlo.
Riceve volentieri i commenti e le osservazioni dei lettori.
Chi fosse interessato a partecipare con una donazione alla ristampa
di
questo libro, può contattarlo al seguente indirizzo:
info at amitaluceinfinita.it
sito:www.amitaluceinfinita.it
Stampato da IMPRIMO s.s.s. – Fonte Nuova (Roma)
Tutti diritti riservati: Mario Thanavaro
Naviga e telefona senza limiti con Tiscali
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