PACE - Testimonianza di Mario Thanavaro



PACE

Spero che questo mio scritto possa stimolare l’apertura di un 
dialogo. 
Spero che sia d’incoraggiamento ad agire con saggezza, compassione e 
amore 
sui conflitti che da tempo si perpetuano  nella nostra vita.  
CHE LA PACE REGNI SULLA TERRA  

Cordialmente,
                      Mario Thanavaro
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Amici che si tengono per mano

Vedo amici tenersi per mano, e dirsi “Come stai?”. Ma in realtà loro 
dicono “Ti amo”. Sento bambini piangere, io li vedo crescere. Loro 
impareranno molto più di quello che io so. E penso tra me, che mondo 
meraviglioso. Sì., penso tra me, che mondo meraviglioso. Oh sì.  
‘What a wonderful world’ -  Louis Armstrong,  

  
  
       Prefazione   

Con la Pace nella mente

“Per colui che comprende la vera natura della mente, guarire i 
conflitti individuali e guarire i conflitti politici nel mondo è, in 
essenza, lo stesso processo.  E' mio desiderio che il potere 
spirituale 
della Pace possa toccare la mente di ogni persona su questa terra, 
creando una profonda pace all' interno delle nostre menti, per 
poterla 
irradiare, poi, al di fuori, oltre le barriere politiche e religiose, 
oltre le barriere dell'ego, delle opinioni e dei concetti. Perché ciò 
avvenga, il nostro primo lavoro come  ‘portatori di pace’ è quello di 
pulire le nostre menti dai conflitti interiori causati 
dall'ignoranza, 
dalla collera, dall'avidità, dalla gelosia e dalla presunzione. 
Attraverso la purificazione delle nostre menti, noi impariamo la vera 
essenza del ‘mettere pace’. La pace interiore cui noi aspiriamo deve 
essere assolutamente pura e così stabile da non poter essere corrotta 
dalla collera di coloro che vivono e traggono profitto dalla guerra o 
dall'avido egoismo,  dalla paura dello scontro con il disprezzo, 
dall'odio e dalla morte. Un’incredibile pazienza è necessaria per 
realizzare qualsiasi aspetto della pace nel mondo, e la fonte di tale 
pazienza è lo spazio della pace interiore attraverso la quale noi 
riconosciamo con grande chiarezza che la guerra e la sofferenza sono 
i 
riflessi esterni dei veleni interiori delle menti. 
Se noi comprendiamo veramente che la differenza essenziale tra i 
sostenitori della pace e i sostenitori della guerra è che i primi 
hanno 
disciplina e controllo sulla collera egoistica, sull'avidità, sulla 
gelosia e la presunzione, mentre i secondi, nella loro ignoranza, 
manifestano nel mondo i risultati di questi veleni; se noi veramente 
comprendiamo questo, non ci troveremo mai ad essere sconfitti né 
dall'interno né dall'esterno. 
Comprendere questa distinzione è indispensabile per sviluppare 
comprensione profonda. La maggior parte  delle persone non capisce 
che 
tutte le cose sono impermanenti e che vengono posseduti dalle stesse 
cose che essi pensano di possedere vivendo così nell’illusorio. 
Ogni cosa, anche le nostre vite, scivola attraverso le nostre dita, e 
presto o tardi perderemo tutto. Quando noi capiamo questa 
onnipresente 
sofferenza, questo grande disagio, questa insoddisfazione di tutti 
gli 
esseri, possiamo sviluppare un'aspirazione nella nostra pratica, 
realizzando qualcosa per il miglioramento di tutti gli esseri, invece 
del semplice miglioramento di noi stessi. Questo contribuisce alla 
pace 
mondiale nel più nobile dei sensi. Noi iniziamo e combattiamo guerre 
a 
causa di falsi concetti di realtà, invece di coltivare comprensione 
profonda e pace a beneficio di tutti gli esseri. Se tu incontri i più 
potenti tra gli uomini di questo mondo, coloro che sono al controllo 
dei meccanismi di guerra, guardali con forte equanimità. Convincili 
nel 
miglior modo che conosci e nel far questo sii sempre consapevole del 
tuo stato mentale. Se inizi a sentire collera, ritirati. Ma se puoi 
continuare rimanendo calmo, può darsi che tu possa penetrare la 
terribile ignoranza che causa la guerra e tutte le sue infernali 
sofferenze. Dal chiaro spazio della pace interiore la tua 
comprensione 
profonda si deve espandere fino ad includere tutti coloro che sono 
coinvolti nella guerra: i soldati intrappolati nel crudele karma .  
dell'uccidere, quelli che sacrificano la loro vita, i generali e i 
politici che intendono far del bene ma causano invece distruzione e 
morte, i civili uccisi, feriti, resi profughi. La vera compassione è 
completamente neutrale ed è sensibile alla sofferenza di ogni tipo, 
non 
è limitata da concetti di ‘torto e ragione’,‘possesso e avversione’, 
perchè essa trae energia dal ‘semplice amore .’. Io guardo con 
fiducia 
al nostro continuo lavoro spirituale, fatto insieme per trovare pace 
interiore, per creare pace nel mondo”.                                
Chagdud Tulku Rinpoche   
PACE
Queste parole del maestro Chagdud Tulku Rinpoche sono, a mio avviso, 
la premessa per spiegare la fondamentale funzione delle pratiche 
meditative al fine di eliminare il dualismo bene/male presente nell’
individuo, così come nella sfera sociale e politica. Dunque, 
impegnarsi 
a livello individuale in una disciplina meditativa  e guarire i 
propri 
conflitti attraverso un percorso di crescita interiore equivale ad 
impegnarsi anche a livello sociopolitico ed estendere a questo ambito 
l’
eliminazione della contrapposizione violenta determinata da una 
visione 
dualistica.
Ognuno di noi aspira al raggiungimento della pace . Secondo un 
sondaggio dell’UNICEF esiste uno stretto  legame tra povertà ed 
infelicità: la conflittualità, o assenza di pace è dovuta molto 
spesso 
a situazioni di effettivo disagio che sono presenti nel nostro 
tessuto 
sociale e tale disagio è percepibile già nelle prime fasce d’età. 
Vivere nel conflitto e nell’infelicità rende aridi perfino i bambini, 
i 
quali perdono la loro naturale e spontanea capacità di dare, dal 
momento che è difficoltoso offrire il proprio contributo ad una 
società 
dalla quale si è ricevuto solo sofferenza. E’ opportuno riflettere  a 
lungo su questo fatto. Il seme della pace deve necessariamente essere 
di nutrimento per le nuove generazioni e di sostegno per la crescita 
dell’individuo. Alcune tra le principali paure che affliggono i 
bambini 
e gli adolescenti di molte società riguardano i comportamenti 
violenti 
in famiglia, l’insicurezza del proprio quartiere e l’esser costretti 
a 
subire violenze psicofisiche, pur nella piena consapevolezza del 
proprio diritto a rivendicare l’assoluta libertà dai maltrattamenti. 
Ognuno di noi, in quanto essere umano, è sensibile ed avverte il 
profondo disagio provocato dal conflitto. La guerra è il conflitto al 
suo punto di massima espressione, è il punto di rottura degli 
equilibri 
e soprattutto della comunicazione.  Tuttavia la guerra ha un fascino 
oscuro.  La violenza seduce e istiga a distruzioni sempre più grandi. 
Sono in molti ad alimentarne il mito: romanzieri, storici, cineasti, 
opinionisti, armatori, giornalisti, politici, Stati  e molti altri 
ancora. C’è chi la presenta come “bella”. Chi ne spiega le ragioni e 
la 
ritiene di volta in volta inevitabile, indispensabile, necessaria, 
risolutiva, l’inizio di una nuova pace ecc. ecc… Chi la descrive 
come  
“realtà mitica” fa leva sull’archetipo del guerriero. Chi è 
affascinato 
dalla sua natura tecnologica la presenta come un “videogame 
sterilizzato” e indolore (per chi non muore!). Chi ne analizza gli 
scenari storici spesso la rappresenta secondo la propria appartenenza 
ideologica e politica.  Sono in tanti a coprirne la brutale e cruda 
realtà diffondendo menzogne e coprendone gli orrori. La reale 
sostanza 
della guerra rimane oggi come in passato la distruzione e la Morte. 
In tempo di guerra, quando nella loro patria d’origine si verificano 
situazioni d’insostenibile drammaticità, è naturale che interi popoli 
cerchino salvezza in altre terre. Sono molti coloro che pensano all’
emigrazione mentre nel profondo del loro cuore nutrono la speranza in 
un mondo di pace.  Chi umanamente può vivere in un luogo nel quale 
sicurezza e sopravvivenza non sono garantite, dove le persone vengono 
brutalmente uccise per strada, torturate, violentate o, comunque, 
derubate della propria dignità di esseri umani?  Il fenomeno dei 
profughi si è diffuso sempre più negli ultimi trent’anni. Io stesso, 
quando vivevo in Nuova Zelanda, al tempo in cui ero monaco, ho avuto 
modo di sostenere nel mio piccolo tre comunità di profughi 
provenienti 
dal Vietnam, dal Laos, e dalla Cambogia, tre nazioni tremendamente 
martoriate dalla guerra.  La guerra del Vietnam che durò quattordici 
anni, dal 1961 al 1975, fu un conflitto di incredibile crudeltà, 
lungo 
e sanguinoso. Ricordo che trascorsi la mia adolescenza sentendo al 
telegiornale le scarne notizie delle operazioni di guerra provenienti 
dal paese asiatico. L’esercito americano  martellò il Vietnam con 13 
milioni di bombe e riversando 75 milioni di sostanze chimiche letali 
sul paese. Il conflitto che secondo alcune fonti provocò la morte di 
60.000 soldati americani e di circa 6 milioni di vietnamiti si 
concluse 
con il ritiro dell’esercito americano.  Anche i Laotiani soffrirono 
molto durante la guerra del Vietnam. Il Laos per il semplice fatto di 
trovarsi in mezzo all’Indocina, divenne paese di transito per i 
rifornimenti  ai guerriglieri vietcong, supportati dai comunisti di 
Hanoi, che combattevano nel Sud Vietnam. Tra il 1964 e il 1973 il 
Laos 
è stato uno dei punti più caldi della terra: furono sganciate sul 
paese 
due milioni di tonnellate di bombe, più di quante vennero sganciate 
dagli alleati sull’intera Europa durante la seconda guerra mondiale. 
A 
causa di queste  indicibili sofferenze,  molti Laotiani lasciarono il 
loro bel paese. Dopo la guerra del Vietnam e con l’instaurazione di 
un 
regime comunista, l’esodo di migliaia di vietnamiti via mare, con 
ogni 
tipo d’imbarcazione, occupò le cronache per diversi anni. Il 
conflitto 
fratricida in Cambogia, durante l’era di atrocità e terrore del 
dittatore comunista Pol Pot (dal 1975 al 1978, anno in cui la 
Cambogia 
fu invasa dai vietnamiti)causò due milioni di morti. Gli uomini di 
Pol 
Pot, i khmer rossi, si macchiarono di uno dei più efferati genocidi 
della storia. Le sofferenze dei sopravvissuti si protrassero ancora 
per 
anni prima che il paese potesse ritrovare una certa autonomia e 
autodeterminazione democratica.  Tutte e tre le comunità hanno 
conservato la memoria storica di anni di dolore e atrocità, memoria 
che 
viene tenuta viva attraverso i racconti delle persone anziane 
sopravvissute all’immane tragedia della guerra. Neppure ai più 
giovani 
è stato risparmiato l’orrore del conflitto bellico. Mi sono state 
riportate delle storie raccapriccianti. Persone costrette a camminare 
attraverso i campi minati, a centinaia, disposte in fila, con il loro 
cuore colmo di emozioni contrastanti: la paura  di morire ad ogni 
passo, la speranza di salvarsi e il lacerante dolore per aver 
assistito 
impotenti alla morte dei propri cari, grandi e piccoli. Molti hanno 
perso i propri figli, i genitori; hanno visto morire altri uomini e 
donne, oltre gli animali e la devastazione del territorio.  Quando la 
guerra ci coglie di sorpresa, ci sentiamo veramente inermi ed 
impotenti, in totale balìa degli eventi. E’ difficile comprendere il 
motivo per cui siamo ancora vivi mentre altri, che camminavano a 
cinque 
o dieci centimetri da noi, sono morti. Molto spesso attribuiamo ciò 
che 
ci accade al destino, al fato, al karma, ma una riflessione profonda, 
saggia, ci dovrebbe chiamare in causa in prima persona. Ricordo le 
parole di un grande maestro della spiritualità contemporanea, 
Krisnamurti, il quale diceva, in toni molto severi, che ognuno di 
noi, 
in qualsiasi contesto culturale o sociale si trovi, è responsabile 
della guerra, compresa la piccola guerra che avviene nelle foreste 
amazzoniche, dove gli indios vengono sterminati dai mercenari 
assoldati 
dalle compagnie petrolifere. Ognuno di noi è responsabile del 
conflitto 
che per anni avviene dietro la porta accanto e si conclude con l’
uccisione del padre o della madre, della moglie, del marito o di 
entrambi,oppure con l’uccisione del proprio figlioletto e il suicidio 
di colui che per disperazione poi si butta dalla finestra. Quando 
sento 
asserire, in modo così autorevole, un’affermazione di questo tipo, 
nasce spontanea una domanda: “Ma in che modo io sono responsabile di 
questa conflittualità e delle guerre che si combattono in questo 
mondo?”. Interrogandomi e riflettendo cerco di recuperare in me una 
maggiore capacità d’ascolto e di accettazione della mia incapacità di 
risolvere la situazione dell’altro. Nella misura in cui io mi ascolto 
profondamente e sento tutta la mia impotenza nel fare delle grandi 
rivoluzioni ecco che, nel mio piccolo, ritrovo il senso della mia 
appartenenza, della mia responsabilità e della mia vicinanza agli 
altri. In questo modo sono chiamato in prima persona ad essere 
presente 
in coscienza a tutto ciò che accade, affinché la mia stessa ricerca 
di 
pace non significhi isolamento, non rappresenti un chiudersi le 
orecchie, un non voler vedere, un non voler sentire, un non voler 
essere informati. Io stesso ho vissuto la condizione di colui che non 
voleva essere disturbato, che preferiva uscire da questo mondo brutto 
e 
cattivo. Anche io, come tanti, ho ricercato la pace ritirandomi dalla 
relazione, dal confronto e in questo modo ho provocato una maggiore 
alienazione all’interno del mio stesso essere. Conosco la via di 
coloro 
che affermano:“Proteggi la tua pace, non curarti del conflitto. La 
tua 
responsabilità è quella di coltivare il tuo piccolo orto e, dunque, 
fai 
questo e fallo bene!”.  Io non intendo negare la necessità ed il 
valore 
di un percorso evolutivo individuale, ma ritengo che esso assuma un 
valore ancora più ampio se funzionale ad un’apertura dell’individuo 
alla collettività. E’ prezioso che tutta la forza che l’individuo ha 
raggiunto venga messa a disposizione e al servizio degli altri. Un 
qualsiasi percorso di crescita interiore, scelto da noi per 
raggiungere 
la pace, deve necessariamente passare attraverso il conflitto.  E’ un 
fatto accertato, mentre la pace può essere molto lontana da noi, il 
conflitto e, quindi la porta per entrare in uno stato di vera pace, è 
a 
noi molto vicino. Il lavoro che ognuno di noi può fare è un lavoro 
quotidiano. La pace, intesa come astrazione utopica, si presenta come 
ultima chimera e mito della libertà, libertà totale, libertà dal 
mondo, 
dalla condizione umana e sicuramente trova spazio anche nella 
letteratura religiosa: il paradiso, il nirvana e così via. E’ bello 
sognare, avere grandi aspirazioni, tuttavia rimane la difficoltà 
della 
gestione pratica del nostro vivere. Per fortuna siamo chiamati alla 
traduzione di questi grandi ideali nel quotidiano, poiché solo 
calandoci più profondamente nel quotidiano potremmo avviare un vero e 
proprio processo di trasformazione interiore, ove gli stessi simboli, 
le stesse icone religiose, le stesse sacre scritture dovranno essere 
messe in pratica e tradotte in azioni. Tra queste, quella che 
maggiormente ci viene richiesta, in una dinamica di conflitto, è 
sicuramente quella di non creare altra sofferenza. La capacità di non 
incrementare la conflittualità significa già di per sé, percorrere 
una 
via di pace. Dunque, ognuno di noi dovrebbe chiedersi: “Come posso 
io, 
nel disagio quotidiano, nella conflittualità quotidiana, nell’
insofferenza così dilagante, dare un contributo affinché ci sia più 
pace? Come posso uscire fuori dalla dinamica reattiva secondo la 
quale 
ad uno schiaffo ricevuto reagisco a mia volta con un altro schiaffo, 
alla prepotenza subita rispondo con un’altra prepotenza, ad un’offesa 
con una vendetta e così via?”. Io penso che questo sia possibile solo 
attraverso l’attuazione di un salto di coscienza e, per salto di 
coscienza, intendo un evento, un’esperienza che rendendo possibile l’
interruzione della consueta dinamica mi consenta di uscire fuori 
dalla 
ciclicità di “botta e risposta”. Fare dei salti di coscienza si 
presenta oggi come un evento planetario al quale molte persone sono 
chiamate. Il risveglio spirituale è strettamente connesso sia alla 
coscienza che alla pace, nella misura in cui le persone avvertiranno, 
nella loro coscienza, il senso d’appartenenza, di fratellanza, 
potranno 
effettivamente uscire fuori dalle dinamiche conflittuali.  



LA PACE E’ POSSIBILE
In tutte le guerre la verità è la prima a morire. Tuttavia come ci ha 
dimostrato il Mahatma Gandhi è possibile ristabilire la Pace 
perseguendo la verità, la giustizia e la libertà degli individui in 
quanto “La verità e la non violenza sono antiche come le 
montagne”.                                    . . . 
“Voi siete gli artefici della vostra condizione, passata, presente e 
futura. La felicità o la sofferenza dipendono dalla mente, dalla 
vostra 
interpretazione, non dipendono dagli altri, da cause esteriori o da 
esseri superiori. Ogni problema e ogni soddisfazione sono creati da 
voi, dalla vostra mente”.
Con queste parole il Buddha Siddhartha Gautama , detto anche 
Sakyamuni ,, che visse  circa 2500 anni fa, tra il VI-V secolo a.C., 
nel nord dell’India, si rivolgeva al senso di responsabilità del 
singolo individuo affinché potesse crescere interiormente ed 
esprimersi 
in modo positivo, con consapevolezza, generosità, altruismo, saggezza 
e 
amore. Sono queste le qualità che ognuno di noi può manifestare nel 
mondo per renderlo migliore. Da sempre l’essere umano come tutti gli 
altri esseri senzienti è alla ricerca della felicità. Nel perseguire 
questo profondo desiderio di benessere l’uomo ha seguito un percorso 
storico che lo vede oggi nel XXI secolo protagonista del suo destino. 
La civiltà che questi ha prodotto riflette il suo innato desiderio di 
sicurezza, ma paradossalmente è anche la causa di nuovi 
sconvolgimenti 
sociali e naturali. Dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 che colpì 
le 
Due Torri Gemelle nel centro finanziario di New York la diffusione 
del 
terrorismo è il nuovo spettro che avanza. La paura genera paura e 
alimenta ogni  focolaio di odio trasformandolo nel centro di una 
spirale di morte che può coinvolgere tutto il mondo. Ci sono cause 
storiche, economiche e sociali che determinano ciò che sta accadendo 
sul piano personale e collettivo. Per comprende gli eventi di oggi 
abbiamo bisogno di una visione saggia, integrale. Appellarsi al 
patriottismo del ‘popolo’ e ricorrere alla retorica moralista del 
Bene 
contro il Male fa parte della strategia mediatica di chi detiene il 
“potere”.
In questi giorni si parla molto di pace e di guerra. Sembra che tutti 
abbiano ragione. A chi credere? Tutte queste opinioni e punti di 
vista, 
tutte queste discussioni e argomentazioni ci possono far riflettere 
ed 
osservare le nostre stesse reazioni agli avvenimenti quotidiani. Le 
parole, le immagini, i concetti e i pensieri, si proiettano nello 
spazio della nostra mente e lo riempiono. La loro forza, a volte 
irruente, genera e alimenta la violenza dentro e fuori di noi. La 
nostra razionalità ci permette di fare ordine in un mondo sempre più 
complesso, ma se non è supportata dai buoni sentimenti che nascono 
dal 
cuore  la nostra vita  e il mondo in cui viviamo sarà sempre più 
infelice. Abbiamo bisogno di tempo, abbiamo bisogno di fare spazio 
per 
la riflessione, con la meditazione, per il silenzio e per la 
contemplazione più profonda, perché finché saremo condizionati da 
pensieri coatti, questa nostra mente non sarà libera e felice. Quando 
i 
pensieri diventano rigide opinioni, argomentazioni sempre più forti e 
contrapposte, il conflitto è inevitabile e così si giunge alla  
crudeltà della guerra.  Qualcuno ha detto che la guerra è una brutta 
bestia che gira gira  e non si ferma mai. Molti affermano che la 
guerra 
è necessaria per assicurare la democrazia e la pace. Certo! Esistono 
delle motivazioni che spingono l’essere umano a distruggere, forse 
possono essere ritenute da alcuni giuste, al punto da corrompere le 
nostre intuizioni più profonde e la verità stessa, al punto da 
ritenere 
le guerre, come l’unica risoluzione ai conflitti o comunque quella 
giusta, quella politicamente corretta, o morale. A volte gli 
strumenti 
che noi usiamo per mantenere la pace, diventano la via per perpetuare 
la menzogna. Come dice Chagdud Tulku Rimpoche, maestro di saggezza 
contemporaneo,è bene ricordare che: “Per colui che comprende la vera 
natura della mente, guarire i conflitti individuali e guarire i 
conflitti politici nel mondo è, in essenza, lo stesso processo”. A 
mio 
avviso c’è bisogno di una presa di coscienza individuale e collettiva 
in grado  di cambiare dal di dentro le istituzioni. Oramai da più 
parti 
si leva la voce secondo la quale ciascuno Stato, anche il più 
democratico, deve attuare una severa riforma della propria politica 
internazionale. Non dobbiamo dimenticare che la maggior parte degli 
Stati membri dell'ONU non sono dotati di istituzioni democratiche e 
che 
violano palesemente e sistematicamente i diritti umani, malgrado la 
Dichiarazione Universale del 1948 e tutti i successivi Patti, 
Trattati 
e Protocolli in materia. A mio avviso l'esercizio effettivo della 
democrazia non può ammettere l’uso della violenza la quale non fa che 
alimentare l’aggressività,l'ipernazionalismo e l'odio.  La comunità 
internazionale ha il dovere di intervenire in difesa dei popoli, ma 
dovrebbe farlo con le armi della diplomazia, della politica, delle 
pressioni e delle sanzioni economiche.  In altre parole, coloro che 
hanno il potere devono andare oltre i vecchi schemi che favoriscono i 
loro vantaggi economici e che risalgono a concezioni geopolitiche di 
tipo coloniale e anacronistiche. Dobbiamo sensibilizzarci e 
sensibilizzare gli altri affinché le problematiche dell’intera 
umanità 
vengano affrontare con senso di responsabilità. E’ richiesto l’
esercizio di tutti gli strumenti d’informazione affinché le nostre 
forze politiche diventino veramente democratiche. Non ci sarà vera 
democrazia se non ci sarà verità, giustizia e amore.  Dobbiamo forse 
accettare che la guerra sia un male necessario, strumento funzionale 
per assicurare la pace?  Molte persone sono esaltate dalla guerra, 
alcune trascorrono il weekend nei pressi degli aeroporti militari per 
osservare i bombardieri decollare e altre fanno un mercato della 
costruzione di  questi dispendiosi strumenti di morte e distruzione. 
La 
guerra fa fare affari, diventa una distrazione, un sottrarsi dalla 
propria problematica quotidiana, quella più piccola, quella in cui 
dobbiamo essere ancora più responsabili. Esistono persone 
completamente 
invase dalla brutalità delle guerre, le quali non riescono a trovare 
il 
necessario distacco per stare più attente a non alimentare la 
negatività di cui si nutre lo spirito della guerra. Non si può 
approfittare di una situazione di per sé drammatica ed inumana, non 
ci 
si può nascondere dietro motivazioni che giustificano il conflitto ad 
oltranza,  ignorando l’aspetto più disumano della guerra. Ognuno di 
noi 
è chiamato a dare una risposta coerente ai principi dell’Amore e 
della 
Libertà. Per fare questo dobbiamo scegliere la via della conoscenza e 
della pace. La nostra pace deve essere forte, ma nello stesso tempo 
sensibile e  ricettiva, dobbiamo essere capaci di affrontare la 
nostra 
e altrui sofferenza, perché è questo il cammino che ci porta alla 
comprensione e all’amore per vivere in un mondo migliore. 
D. Spesso lavorare sulla risoluzione dei propri conflitti implica 
separazione, fisica o ideologica, da chi si ama, ed è causa di 
ulteriore conflitto; come ci si deve comportare quando la vita ci 
pone 
di fronte a una scelta difficile, quando il prezzo della nostra 
evoluzione crea inevitabilmente separazione e conflitto intorno a 
noi?   R. Questo è un grande dilemma e se ne esce solo nel momento in 
cui siamo in grado di accettare la sofferenza come evento funzionale 
alla crescita di tutti coloro che sono coinvolti nel rapporto. La mia 
scelta di intraprendere la vita monastica mi ha portato a trasferirmi 
all’estero e ad allontanarmi per 12 anni dalla mia famiglia. Mi 
fecero 
sapere che mio padre piangeva solo sentendo pronunciare il mio nome e 
si commuoveva ogni volta il suo pensiero era rivolto a me. La 
separazione aveva causato in lui un forte strappo emozionale e la mia 
lontananza gli procurava una profonda sofferenza causata dal senso di 
abbandono che provava. Ma non per questo sono tornato sui miei passi 
venendo meno all’impegno preso con me stesso, perché è fondamentale 
che 
ognuno di noi rivolga la propria vita a un’onestà di base, al 
riconoscimento di ciò che siamo e alla fedeltà a noi stessi. Qualche 
anno prima che mio padre morisse, gli ho detto: “Papà, non hai capito 
proprio niente di me”; queste parole sono state pronunciate in una 
situazione di reciproco non riconoscimento e dunque di 
contrapposizione, ma anche attraverso questo tipo di confronto, 
apparentemente negativo, è stato possibile per entrambi recuperare il 
senso del nostro incontro e del nostro rapporto. In fin dei conti, 
anche se abbiamo vissuto distanti l’uno dall’altro, sia 
geograficamente 
che ideologicamente, data la diversità dei nostri valori, abbiamo 
compiuto un percorso insieme. È bene ricordare che il non 
attaccamento 
passa anche attraverso l’accettazione della sofferenza e della 
disapprovazione di coloro che ci sono più cari. Anche Gesù fa 
riferimento a questa situazione dice: "Beati coloro che sono 
perseguitati a causa della giustizia, perché di loro è il regno dei 
cieli. Beati sarete voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno 
e, 
mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. 
Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio nei cieli è grande, 
poiché così hanno perseguitato i profeti che furono prima di voi" 
(Vangelo di Matteo 5:10-12).  "Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli 
uomini, io pure lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. 
Non 
pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto 
a 
mettervi la pace, ma la spada. Perché io sono venuto a mettere 
disaccordo tra figlio e padre, tra figlia e madre, tra nuora e 
suocera, 
e i nemici dell’uomo saranno quelli di casa sua. Chi ama padre o 
madre 
più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non 
è 
degno di me…" (Matteo 10:33-38).  Affermazioni come queste rivelano 
dei 
passaggi iniziatici che sono passaggi chiave nel percorso di crescita 
spirituale. Prendendo di nuovo spunto dalla mia esperienza, trovo un 
passaggio molto significativo. Dopo aver fatto di tutto per far 
valere 
e accettare la mia volontà di fare il monaco, affermando con 
convinzione che sarebbe stata una scelta per tutta la vita, mi sono 
ritrovato dopo diciotto anni ad alzare la cornetta del telefono per 
dire a mio padre: “Sai, papà, ho deciso di lasciare l’Ordine”. La sua 
reazione fu comprensibilmente di sconcerto, lo mandai letteralmente 
in 
tilt, perché ormai, e da tempo, aveva accettato la cosa. Mi aveva 
visto 
su diversi quotidiani nazionali, mi aveva sentito parlare alla radio; 
mi aveva visto al telegiornale e in alcuni programmi televisivi; 
aveva 
appreso del mio incontro con il Papa e, in quella circostanza si sarà 
sentito fiero di suo figlio, avrà sicuramente pensato, “Questo figlio 
non è uno straccione, dopo tutto”. Andava in giro con i ritagli di 
giornale e li faceva vedere al farmacista, al sacerdote, a tutti i 
suoi 
amici e conoscenti, dicendo “Guarda, mio figlio si è realizzato”. 
Poi, 
dopo diciotto anni, una mattina mi sveglio e dico: “Sai,papà,ho 
deciso 
di lasciare l’Ordine”. Giustamente, la sua reazione alla notizia fu 
la 
saggia raccomandazione di essere cauto nel prendere una tale 
decisione, 
che avrebbe di nuovo stravolto la mia vita. “Pensaci bene”, mi disse, 
“ma se lo devi proprio fare, fallo nel modo più giusto, più 
impeccabile 
possibile”. Infine, per concludere il mio pensiero, posso solo 
affermare che la vita è cambiamento e come tale va accettata.

D. Io cerco con tutto me stesso di attuare un percorso di crescita e 
se mi volto indietro riconosco di aver compiuto importanti e profondi 
cambiamenti nel corso della mia esperienza, tuttavia mi capita molto 
spesso di non saper accettare le scelte di mio figlio e i cambiamenti 
da lui impostimi. Mi può dare qualche consiglio su come risolvere la 
rabbia che, forte, si scatena in me quando noi due entriamo in 
conflitto?     R. Secondo me ognuno si deve far carico del proprio 
fardello. Se la mia modalità è quella di arrabbiarmi, perché mio 
figlio 
non fa quello che gli dico io di fare, questa è una mia 
responsabilità, 
è un mio carico, cioè sono io e non mio figlio a dover crescere. 
Penso 
che nessun figlio abbia fatto al cento per cento quello che i 
genitori 
vogliono che i figli facciano. La responsabilità ricade sempre e solo 
sulla coscienza del singolo. E’ fondamentale guardarsi, specchiarsi 
nell’altro; è questa la vera maturità, la vera crescita di cui gli 
adulti dovrebbero essere degli esempi e dei modelli in quanto 
principali e primari educatori dei propri figli. La profonda e 
radicale 
trasformazione dell’individuo si realizza nella continua azione di 
guardarsi dentro, altrimenti non saremo mai in grado d’influenzare 
positivamente i nostri figli, né tanto meno un intero popolo o 
nazione.  Mi viene in mente il caso della Romania. Il regime 
totalitario finì per mezzo di una rivolta popolare violenta, il 22 
dicembre 1989. La dittatura personale di Nicolae Ceaucescu, aveva 
provocato nel suo popolo, torchiato all’estremo da un regime 
poliziesco, una ribellione. A Timisoara – dove si registrarono 
scontri 
tra le forze armate - i media di tutto il mondo parlarono di una 
repressione selvaggia, che avrebbe fatto migliaia di morti. Si 
scoprirà 
in seguito che le immagini dei morti della presunta strage erano di 
gente comune defunta in ospedale. Nella confusione generale, creata 
ad 
arte dagli ex amici del dittatore, questi ultimi lo arrestarono e 
dopo 
un processo sommario lo condannarono a morte e lo fucilarono. Ricordo 
di essere rimasto molto colpito dalle immagini che riprendevano 
Ceaucescu durante la visita medica che precedette la sua esecuzione. 
E’ 
la solita storia di un dittatore terribile eliminato dai suoi stessi 
collaboratori. Certo è che  quell’uomo con le sue stesse azioni segnò 
la propria drammatica fine.  
D. Rispetto alle notizie delle cose terribili che accadono nel mondo 
, 
reagisco o con assoluta indifferenza, o con sofferenza e depressione. 
Vorrei tanto fare qualcosa, ma la sensazione prevalente è quella d’
impotenza, perchè è così difficile credere di poter contribuire a 
cambiare le cose. Come posso uscire dal mio ristretto ed egoistico 
mondo, e qual è il giusto atteggiamento nei confronti di chi, pur 
rivestendo cariche pubbliche di alta responsabilità, agisce con la 
violenza contro il bene comune?     R. La capisco! Io stesso, da 
ragazzino, dopo aver letto sul giornale qualche orribile tragedia, mi 
sdraiavo sul letto in preda alla depressione, ma ormai non siamo più 
ragazzini, siamo cresciuti ed è giunto il momento di alzarsi ed 
agire. 
Dobbiamo prenderci la piena responsabilità del nostro sentire. Molto 
spesso viviamo in relazioni di ricatto per cui attribuiamo all’altro 
la 
responsabilità delle nostre sofferenze, insicurezze, etc…. Ci 
appoggiamo troppo agli altri e non dovremmo farlo, perché ciò limita 
la 
nostra evoluzione e quella degli altri. E’ importante mantenere un 
certo equilibrio per poter percorrere una strada. La scelta di 
percorrere la via della pace si presenta come impegno individuale, 
perché altrimenti è pura astrazione utopica. Ci sono molti testi che 
indicano diverse modalità di percorrere il cammino evolutivo che 
conduce ad una pace duratura, ma se la persona non trova in sé stessa 
gli strumenti per acquisire forza ed equilibrio non potrà mai 
crescere 
ed imparare a  camminare.

D. Siamo forse di fronte ad nuovo conflitto 
mondiale?                                                                                                    
Non credo nelle visioni apocalittiche. Tuttavia ritengo che stiamo 
affrontando un periodo molto delicato e difficile. In generale mi 
piace 
pensare che l' essere umano sia fondamentalmente buono e sacro, 
ritengo 
che sia dotato di discernimento. La saggezza e la bontà sono una 
forza 
attiva e possono operare in ognuno di noi per aiutarci a far fronte 
alle forze oscure dell' ignoranza. Tuttavia non posso chiudere gli 
occhi di fronte al fatto che molte persone agiscono, più o meno in 
segreto, non facendo ricorso alle loro migliori qualità ma bensì 
accecati da interessi puramente egoistici. Le conseguenze di tali 
politiche e azioni distruttive, da parte di questo o quel governo, 
sono 
sotto gli occhi di tutti. 
D. Le notizie che riceviamo sembrano costruite ad arte per non 
lasciarci scegliere liberamente. A chi dobbiamo credere? 
R. lo cerco di ascoltare le opinioni e le ragioni degli uni e degli 
altri. Partecipo secondo il mio sentire, cerco di fare chiarezza in 
me 
per valutare con libero discernimento ciò che mi viene detto. Non mi 
fermo alla prima notizia, so che il livello di 'verità' 
dell'informazione lascia molto a desiderare, mi piace saperne di più. 
Coltivo un' autonomia di pensiero per poter valutare correttamente le 
cose da fare. Certo non posso escludere un aggravarsi della 
situazione, 
del resto questo è accaduto nel corso della storia. Per esempio 
durante 
la vita dei miei genitori. Mio padre è nato ne1 1918, durante la 
prima 
guerra mondiale, ha combattuto ed è sopravissuto alla seconda ed è 
morto alcuni anni fa. La vita, comunque essa vada, ci pone di fronte 
all'inevitabilità della morte? Ognuno farà il proprio percorso di 
vita. 
Le esperienze che faremo e le situazioni che ci troviamo a vivere 
sono, 
a mio avviso, sempre molto soggettive. Anche all' interno di un 
conflitto come una guerra, fatto di distruzione e morte, ognuno vive 
quello che deve vivere. Ciò accade anche all'interno di una famiglia, 
di un paese e di una nazione. Pur essendo figli degli stessi genitori 
siamo così diversi nel percorrere le strade della vita. Ogni persona 
ha 
una disposizione interna unica. Vediamo le cose in modo del tutto 
personale pur ricevendo a volte le stesse informazioni. Secondo le 
dottrine orientali ciò è dovuto al karma che ci contraddistingue. 

D. Se ognuno di noi nasce ed è condizionato dal proprio karma come fa 
ad essere libero? 
R. Il significato letterale della parola karma  è ‘azione’, ed è un 
termine con cui nel buddhismo e in tutto il pensiero indiano ci si 
riferisce alla ‘legge di causa ed effetto’. Secondo la legge del 
karma, 
ogni azione intenzionale equivale a piantare un seme (bíja) che prima 
o 
poi darà il suo frutto(vipáka). È diffuso purtroppo il malinteso 
secondo cui il karma sarebbe una sorta di destino ineluttabile 
spettante a ciascun individuo. Possiamo cambiare la nostra 
programmazione interna grazie ad una presa di coscienza. Saranno in 
oltre necessari il retto sforzo e la buona volontà per poter cambiare 
il proprio destino. Ritengo che ognuno di noi sia in buona parte 
responsabile della propria salute, del proprio benessere e della 
propria sicurezza. 


D. Come possiamo assicurarci una maggiore serenità? 
R. Nella misura in cui coltiviamo attitudini amorevoli possiamo 
assicurare a noi stessi e agli altri maggiore serenità.       Penso 
che 
il mio star bene coinvolga tutti gli esseri dell'universo. Se io sto 
bene,  senza creare altra sofferenza, posso assicurare alle persone 
che 
mi stanno vicine una maggiore serenità e pace. Ognuno di noi ha un 
certo grado di responsabilità non solo nell' assicurarsi il suo 
benessere ma anche nel non fare agli altri ciò che non vorrebbe che 
gli 
altri gli facessero. Dobbiamo comprendere che il nostro benessere non 
può andare a discapito del benessere degli altri. Questa 
considerazione 
mi ha permesso molto spesso di non chiudere il cuore, di non 
irrigidirmi, anche quando per esempio sono stato criticato, offeso, 
aggredito, ecc….Questa considerazione mi aiuta ad essere più sereno, 
mi 
aiuta a comprendere ciò che mi accade. 



INTERVISTA A MARIO THANAVARO 
Di Valentina Brandazza

D.  Che cos’è la pace? 
R.   È un senso di profonda armonia, che ci permette di avere una 
corretta relazione al nostro interno e che, di riflesso, costruisce 
una 
società armonica. 
D.  La pace individuale, quindi, è l'inizio di una pace globale? 
R.  Non ci può essere pace globale senza una pace individuale. Ecco 
perché nel buddhismo si dà molta importanza al riconoscimento di un 
eventuale conflitto interno e alla risoluzione, al proprio interno, 
di 
questo conflitto.

D.  Come si risolve un conflitto individuale in una prospettiva 
buddhista?
R. Guardandosi e accettando il conflitto come opportunità di 
riflessione e possibilità di un profondo cambiamento.

D.  Perché ci risulta così difficoltoso uscire da una situazione o  
da 
una relazione conflittuale?   
R. Tutti noi sappiamo che uscire da una situazione conflittuale non è 
facile. E’ importante comprendere che la difficoltà di uscirne fuori 
dipende dalla nostra incapacità di rimanere dentro al conflitto in 
ascolto di ciò che sentiamo e di ciò che dinamizziamo attraverso la 
comunicazione e la relazione. Queste sono le domande che ognuno di 
noi 
dovrebbe porsi: che cosa sento dentro di me? Come reagisco al 
conflitto? Che cosa sono capace di comunicare all’altro? Ognuno di 
noi 
porta dentro di sé un disagio più o meno grande, la cui pressione 
interna trova nella relazione con l’esterno, (gli altri), una 
modalità 
di sfogo che non conduce alla vera risoluzione del conflitto 
personale, 
ma lo rende maggiore e complesso. Nella dinamica relazionale di 
conflitto che si viene a creare tra noi e l’altro, è importantissimo 
riconoscere e comunicare con onestà e verità le proprie paure e i 
propri disagi. Partendo da questa onestà si potrà cominciare a 
lavorare 
per l’eliminazione o per l’elaborazione del conflitto.  

D. Com’è possibile evitare la sofferenza che nasce dalla separazione 
e 
dal conflitto?  
R.  Evitare la sofferenza non è sempre possibile, essa, insieme al 
conflitto che la causa, va accettata ed elaborata per poter essere 
superata e rivolta a beneficio della nostra evoluzione. Secondo il 
pensiero del Venerabile Achaan Chah , si conoscono due principali 
tipologie di sofferenza: la prima che conduce all’estinzione totale 
della stessa ed una seconda che induce, invece, ad ulteriore 
sofferenza. Personalmente ritengo che la storia dell’umanità  pur 
essendo pregna di tanta sofferenza, sia un percorso per giungere alla 
fine della stessa; la distinzione delle due tipologie di sofferenza, 
sopra enunciata, può aiutarci ad abbreviare i tempi per la  
risoluzione 
dei conflitti che opprimono il cuore. 

D. Secondo quanto da lei affermato riguardo alla sofferenza che può 
nascere da relazioni conflittuali è fondamentale comunicare all’altro 
il nostro sentire, ma come stabilire se sia più efficace il perdono o 
la vendetta, il porgere l’altra guancia o “l’occhio per occhio, dente 
per dente”? Può indicarci quale sia la via migliore per non 
alimentare 
altra sofferenza sia a livello individuale che relazionale?   
R. Purtroppo non abbiamo a nostra disposizione un manuale d’
istruzioni 
per l’uso che ci indichi la modalità vincente, spetta ad ognuno di 
noi 
ricercare una risoluzione interna non dimenticando mai la stretta 
relazione interno/esterno. Come vi ho già ricordato, il maestro 
Chagdud 
Tulku Rinpoche afferma che, “per colui che comprende la vera natura 
della mente guarire i conflitti individuali e guarire i conflitti 
politici nel mondo è in essenza lo stesso processo”. Ci sono persone 
che operano nel campo sociale o politico, e coloro i quali sono 
dediti 
al volontariato: ogni tipologia d’impegno è egualmente valida. Ciò 
che 
conta non è tanto l’ambito d’azione scelto,il punto di partenza del 
nostro percorso, quanto il percorso stesso e il cambiamento che 
avviene, attraverso di esso, dentro e fuori di noi, grazie a noi. Vi 
saranno coloro che partendo da una maggiore introspezione 
dedicheranno 
il loro impegno ad un’analisi attenta di quello che esperiscono al 
proprio interno; oppure vi saranno altri che offrendo il proprio 
operato al servizio della collettività concentreranno la propria 
attenzione all’esterno. Bene, i due diversi atteggiamenti 
rappresentano 
entrambi una valida modalità in quanto conducono e convergono in un 
unico punto comune, nella misura in cui, queste persone, veramente, 
stanno risolvendo i propri conflitti. Il non incrementare altra 
sofferenza dentro e fuori di noi sarà proporzionale alla nostra 
capacità di risolvere la situazione di conflitto, mettendo in 
pratica, 
agendo quotidianamente al fine di non ripetere gli stessi errori e 
rompere così quelle dinamiche conflittuali che portano separazione e 
sofferenza.    

D. Come possiamo cambiare lo stato delle cose? 
R. Se vogliamo che le cose cambino dobbiamo divenire protagonisti. Io 
ritengo di aver fatto qualcosa nella mia vita per migliorarmi  come 
individuo ed offrire il mio contributo alla collettività. Sono certo 
che molti di voi avranno, a loro modo, fatto qualcosa per la propria 
vita senza aver dovuto ammazzare nessuno. Purtroppo ci sono ancora 
troppe persone che vivono ed agiscono nella convinzione che la loro 
sofferenza dipenda dagli altri, che si sentono autorizzati ad usare 
la 
violenza solo perché, essi sostengono, “il fine giustifica i mezzi”.  
Che cosa, dunque, impedisce a tutti noi di uccidere qualcun altro? Il 
riconoscere che, effettivamente, l’altro agisce nell’ignoranza, a 
causa 
di una profonda sofferenza interna sulla quale sarebbe necessario 
lavorare.      Secondo una visione più ampia, laddove esiste un 
dittatore, dall’altra parte c’è il popolo. Si tratta di una 
situazione 
karmica  che riguarda la collettività. Si sono nel tempo create 
dinamiche per cui il dittatore sta in alto e il popolo sottomesso a 
lui 
oppure, ad un certo momento, viceversa, il popolo si ribella e 
giustizia il dittatore. E’ una questione d’equilibrio di forze e il 
cambiamento della situazione è funzionale al risveglio della col-
lettività,risveglio che può realmente avvenire solo attraverso il 
risveglio delle singole coscienze. J. Toda dice:“Una grande 
rivoluzione 
nel carattere di un solo uomo permetterà di realizzare un cambiamento 
nel destino di una nazione e condurrà infine ad un cambiamento nel 
destino di tutta l’umanità” 

D.  Quindi un auspicio, in una situazione come quella che stiamo 
vivendo in questi giorni, potrebbe essere una riflessione accentuata 
su 
quello che la guerra potrebbe causare?
R. Sicuramente la guerra non è la risoluzione di un conflitto 
individuale o nazionale e tanto meno di un conflitto su larga scala 
come quello che sta emergendo nella situazione geopolitica attuale. 
D. 
La pace, a prescindere dal fatto che sia auspicabile, è possibile? La 
pace è presente, non è una possibilità remota, è presente; quello che 
dobbiamo fare è contattarla e usare la nostra energia per attivare 
una 
buona volontà. Si dice infatti che gli uomini, ovviamente intendendo 
uomini e donne, di buona volontà sono in grado di contattare questa 
pace e di vivere in pace.

D. Dal punto di vista buddhista, da parte di un insegnante di Dharma 
, 
come si contatta la pace, quali sono le modalità di pratica?
R. Prima di tutto attraverso il non nuocere. Attraverso la corretta 
osservazione della propria parola, dei propri pensieri e della 
propria 
azione, evitando di creare altra sofferenza. Si inizia con il 
soffermarsi su questi livelli dell’esperienza, quello della mente, 
quello delle modalità espressive, della parola, e quello dell’azione. 
Ovviamente, questa è solo la premessa per un’azione altruista, 
amorevole e compassionavole, secondo cui si va verso l’altro per 
aiutarlo nelle sue difficoltà. Sicuramente non lo si può fare con la 
violenza. Non lo si può fare nemmeno in breve tempo; il cammino 
buddhista è lungo, può durare vite. Siamo tutti nella stessa vita, 
ognuno di noi si può impegnare nel momento presente per attivare le 
forze della pace. Noi ci ostiniamo a seguire modelli discutibili e 
inefficaci, crediamo che la lotta sia uno strumento valido per la 
risoluzione del conflitto, ma la lotta non fa che generare altro odio 
che si ripercuote sulle generazioni future. A mio avviso, e secondo 
molti maestri di diverse tradizioni spirituali e non solo, questa non 
può essere la via per la pace.

D.  La tradizione buddhista è in se stessa profondamente permeata di 
pace; pensando che uno dei precetti fondamentali è quello di non 
nuocere a nessuno, immaginiamo che un praticante debba essere 
impegnato 
nella pace personale e altrui più di un praticante di altre religioni.
R. Mi auguro che i veri praticanti di tutte le tradizioni religiose 
siano inclini alla pace, altrimenti avrei dei dubbi rispetto alla 
loro 
fede religiosa. Per me questo va da sé.

D.  Ma storicamente il buddhismo è l’unica religione che non abbia 
mai 
avuto delle guerre sante.
R. Sicuramente i buddhisti non hanno mai avuto delle problematiche 
così forti, di vera contrapposizione, ma anche nel corso della storia 
buddhista proprio perché il buddhismo è all’interno di un percorso 
storico e quindi politico ci sono stati contrasti e conflittualità 
non 
risolte. Le indicazioni dei religiosi sono però quelle di praticare e 
promuovere la pace.

D.  Premetto di non aver letto il suo libro “Non creare altra 
sofferenza”. Può fornirci qualche indicazione su come sia 
effettivamente possibile evitare di creare sofferenza agli altri?   
R. Tempo fa ho avuto la fortuna d’incontrare il Pontefice Giovanni 
Paolo II e gli ho portato in dono il libro ‘Non creare altra 
sofferenza’. Tradizionalmente i regali vengono ben confezionati 
mentre 
io gliel’ho portato senza averlo incartato, perché volevo essere 
sicuro 
che leggesse almeno il titolo.  Precedentemente a questo incontro il 
Pontefice si era trovato ad affrontare una situazione molto 
imbarazzante per la diplomazia vaticana a causa di un capitolo del 
suo 
libro-intervista ‘Alle soglie della speranza’, nel quale ci si 
riferiva 
alla religione buddhista in modo impreciso ed approssimativo. La cosa 
comportò una reazione di chiusura da parte di diversi paesi buddhisti 
alla vigilia del suo viaggio in Sri Lanka; nessun rappresentante di 
rilievo del Sangha (la comunità monastica buddhista) si presentò ad 
accoglierlo e furono addirittura organizzate delle manifestazioni di 
protesta di piazza a testimonianza del forte dissenso nei suoi 
confronti e dell’evidente conflitto venutosi a creare. La comunità 
buddhista mondiale si era sentita offesa nel proprio sentimento 
religioso e il Pontefice, persona di grande e profonda sensibilità,  
comprese di aver commesso qualche errore. In seguito l’U.B.I.,che 
rappresenta le Comunità Buddhiste in Italiana, di cui ero allora 
rappresentante ufficiale in veste di presidente, decise di fare un 
gesto di riconciliazione. Io ebbi così la fortuna  di presentarmi al 
Pontefice e non mi lasciai sfuggire l’occasione di lasciargli un 
messaggio. Intendevo invitarlo a riflettere sull’importanza di 
prestare 
maggiore attenzione nel diffondere opinioni o giudizi su altre 
religioni, nello specifico, quella buddhista, una religione di 
tradizione millenaria ingiustamente discriminata sulla base di 
presupposti teologici troppo datati e non attendibili. Non ritengo 
che 
il Pontefice abbia agito in malafede, tuttavia egli era responsabile 
di 
ciò che a suo nome era stato pubblicato. Con molta probabilità il 
Buddhismo gli era stato presentato in modo errato o ne aveva comunque 
fatta la conoscenza attraverso letture risalenti al tempo dei suoi 
studi da seminarista. Successivamente, tramite un sacerdote cattolico 
studioso di Buddhismo Tibetano che frequentava l’ambiente vaticano, 
venni a conoscenza di un commento del Pontefice relativo alla 
delicata 
situazione diplomatica che si era venuta a creare,  affermò: “La 
prossima volta  che dovrò diffondere qualcosa mi rivolgerò a dei 
consiglieri più informati sull’argomento”. Spero di aver chiarito, 
tramite questo esempio, in che senso sia possibile non accentuare la 
sofferenza causata dalle incomprensioni o dalle varie diversità, 
sociali, culturali, politiche e religiose, affinché queste non 
accrescano il senso di separazione e non ci portino alla 
contrapposizione, al conflitto,alla violenza e all’orrore della 
guerra. 
A tal fine è necessario non innalzarsi al di sopra di altri 
ritenendosi 
detentori della Verità. 

D.  Come si vive la pace da un punto di vista strettamente buddhista, 
come la vive Lei nella vita quotidiana?
R.  Attraverso la riflessione, ovviamente attraverso la pratica della 
meditazione e attraverso l’azione amorevole, altruistica e generosa. 
Cioè in modo semplice. Alla ricerca di un rapporto pacifico con tutti 
gli esseri viventi e l'ambiente che li comprende, nel massimo 
rispetto.

D. Lei ha fatto una scelta di vita particolare. Crede che in una vita 
normale, inabissata nella quotidianità, sia possibile fare una scelta 
di non conflitto nei confronti di qualsiasi essere vivente?
R.  La scelta di non conflitto non è non riconoscere la presenza del 
conflitto, non è evitarlo a tutti i costi, ma significa viverlo con 
attitudine saggia. Allora il conflitto diventa la via per la 
trasformazione dell’energia e quindi esso stesso funzionale a un 
risveglio della coscienza. Una vita senza conflitti, onestamente, mi 
sembra molto lontana. Ben venga il conflitto se le nostre risposte 
sono 
sagge e in grado di risolverlo; ecco perché contesto le attuali 
posizioni delle diverse correnti politiche. Non vedo in questo tipo 
di 
risposta, cioè la guerra che è alle porte, la risoluzione di questo 
conflitto.


D.  Ritiene sia possibile trovare una soluzione che sia al di sopra 
delle parti, cioè né con Bush  né con Saddam, una soluzione pacifica?
R.  Questo sarà possibile nella misura in cui tutti, Bush, Saddam e i 
popoli rappresentati dai loro politici, manifesteranno questa 
volontà. 
Ma senza un’espressione collettiva del desiderio di pace, questo non 
sarà possibile.

D.  Una risposta collettiva  c’è, si sono mobilitate moltissime 
persone in Europa e anche in America ci sono state molte 
manifestazioni; che cosa succede quando la gente vuole la pace e non 
la 
ottiene, come si risolve un conflitto così evidente?
R. È importante la libera espressione delle proprie idee e del 
proprio 
pensiero, e fintanto che ci sarà la possibilità di esprimere questo 
pensiero, le possibilità di vivere in pace saranno maggiori. Dunque 
ritengo molto positivo quanto sta accadendo, anche perché i buoni e i 
cattivi non sono necessariamente tutti da una parte. Si tratta di 
vivere con saggezza e penso che ci siano molte persone sagge che 
hanno 
modo di disapprovare scelte non sagge di chi ha a disposizione 
potenti 
strumenti di informazione e macchine mostruose, cioè gli strumenti 
della guerra.

D.  La saggezza quindi è un’espressione, un attributo della pace?
R.  Sì, una persona saggia è una persona in grado di promuovere la 
pace, di vivere la pace.

D.  Come si coltiva la saggezza sul sentiero buddhista?
R: Si inizia fondamentalmente con il riconoscimento del bisogno dell’
altro, per cui se riconosciamo la difficoltà dell’altro, ci 
adoperiamo 
in ogni modo per portarlo verso la corretta visione e dunque a scelte 
sagge. Ma questo si fa sempre con strumenti ragionevoli e pacifici.

D.  Quanto è importante la meditazione nello sviluppo della saggezza 
e 
quindi della pace?
R. Per meditazione intendiamo soprattutto la capacità di osservare 
quanto si manifesta al nostro interno e all’esterno: questa capacità 
di 
riflessione è fondamentale. Al contrario l’azione coatta, o 
condizionata, ci porta alla reattività e non ci permette di vedere in 
modo corretto la situazione, di valutare i pro e i contro di 
determinate scelte e decisioni.

D.   Ci può raccontare di un insegnamento del Buddha sulla pace che 
sente particolarmente caro?
R.  In una particolare circostanza c’erano gli abitanti di due paesi 
che si contendevano un corso d’acqua e in quella situazione il Buddha 
fu in grado di intervenire per evitare una guerra, indicando loro il 
modo di sfruttare queste risorse idriche con un’alternanza nell’uso 
dell’acqua. Dovremmo entrare nella logica della condivisione dei 
beni, 
e questo vale per tutte le risorse del mondo. Senza questo tipo di 
condivisione delle materie prime, sicuramente vedremo altre guerre e 
altri conflitti.
D.  Crede che sia possibile, al livello in cui siamo arrivati oggi, 
senza contemplare necessariamente un punto di vista religioso,  
raggiungere una completa armonia? 
R.  Si dice che la speranza sia l’ultima a morire. Ho ascoltato 
diverse persone, competenti e in posizione di responsabilità e di 
potere, che hanno questa visione più pacata - più diplomatica, se 
vogliamo chiamarla così - rispetto a questo momento di crisi, per cui 
io mi auguro che ciò possa avvenire anche in questo caso.

D.  Lei ha un’esperienza molto lunga alle spalle, anche come monaco: 
quando ha scoperto la pace nella sua vita?
R. Non posso dire che ci sia stato un momento specifico, come un’
illuminazione, o un’esperienza particolare. I  miei maestri mi hanno 
insegnato a osservare il respiro e osservando il respiro  sono in 
grado 
di contattare la pace. Ogni volta che richiamo alla mente questa 
indicazione, la pace fa parte della mia esperienza, passata e 
presente. 
Basta applicarla.

D.  Una pace che non è dunque un momento di alienazione, ma è vissuta 
e applicata in ogni momento?
R.  Sì, è una pace nella propria esistenza, nella propria vita, nel 
respiro, nella relazione con se stessi e con gli altri.

D.  Lei cerca di trasmettere questi insegnamenti agli allievi che 
vengono ad ascoltarla e a meditare con Lei?
R.  Questa è la mia motivazione, anche dell’essere ritornato al mondo 
laico. Credo che questi insegnamenti siano di particolare attualità 
per 
la società moderna e secolare la quale ha perso il senso di un 
percorso 
spirituale oppure l’ha delegato solo ai religiosi, e questa non è una 
cosa buona.

D.  Che cos’è la spiritualità?
R.  È ciò che siamo; ogni cosa è spirituale .

D.  Come è possibile accostarsi in questo modo a noi stessi in una 
società così compulsiva, così piena di obiettivi e traguardi da 
raggiungere?
R. È possibile, basta fermarsi un poco, anche in occasione di questa 
effervescenza, di questa eccitazione caratterizzata dal desiderio di 
guerreggiare e dalla paura di cadere in questa trappola. Dovremmo 
fermarci un po’ e riflettere, meditare: questo ci aiuterebbe.

D.  Lei ha nominato la paura e il desiderio: che cosa sono dal punto 
di vista buddhista?
R. Sono il motore dell’esistenza. Noi ci troviamo presi da queste 
forze che, se non vengono comprese e gestite, creano confusione, 
conflittualità e distruzione. Siamo dunque chiamati a comprendere 
bene 
queste emozioni, queste forze, proprio per agire in modo corretto.

D.  Sempre attraverso la meditazione e la pratica del Dharma , che 
non 
è finalizzata esclusivamente a questo, ma diventa un vero modus 
vivendi?
R.  La vera pratica è la vita, cioè come noi siamo nella vita. Dunque 
siamo chiamati a fare questo tipo di operazione al nostro interno, 
onde 
evitare ulteriori guai.

D.  E qual è il fine del buddhismo? R.  Il fine del buddhismo è la 
liberazione dalla sofferenza, per il singolo e per la collettività. 
D. 
La sofferenza, quindi, è una chiave di volta anche per la 
comprensione 
della pace?
R.  Sicuramente la sofferenza può essere funzionale al risveglio 
della 
saggezza, altrimenti diventa solamente distruttiva e crea ulteriore 
oscuramento della coscienza.

D.  Ci sono sofferenze necessarie, guerre necessarie, violenze 
necessarie al fine di ottenere una pace più stabile?
R.  La sofferenza è parte della vita, la stessa nascita di un essere 
umano avviene nella sofferenza. Però dovremmo fare di tutto per 
alleviare il dolore di una partoriente, perché dia la vita senza un 
eccesso di sofferenza. Dunque il nostro operato va verso il 
contenimento della sofferenza naturale e dobbiamo adoperarci per non 
accrescere questo tipo di sofferenza inevitabile con altre sofferenze 
create dall’ignoranza dell’essere umano. I terremoti, le alluvioni, l’
innalzamento delle acque fanno già la loro parte (anzi sarà sempre 
maggiore) e le sofferenze da essi prodotte saranno sempre più 
percepibili nelle società. Dunque la guerra, in questo momento e per 
il 
nostro futuro, non è che un eccesso di sofferenza che non può che 
fare 
male.

D.  Come si può alleviare la sofferenza degli altri?
R. Sostenendoli, aiutandoli, indicando loro modi diversi di vivere e 
di gestire la propria vita, istruendoli, permettendo loro di 
esprimersi 
e di acquisire le forze necessarie per un cammino di riscatto, anche 
sociale.

D.  Con tutte le conflittualità presenti, anche di tipo religioso, 
c'è 
la possibilità di trovare una via che vada anche oltre l’appartenenza 
a 
una fazione?
R. Siamo chiamati ad adoperarci in un processo unitario, dobbiamo 
necessariamente lasciare gli attaccamenti alle varie posizioni 
ideologiche o di fede, per comprendere il senso della vita come 
relazione tra appartenenti all’umanità intera, dunque come fratelli e 
sorelle nella sofferenza così come nella felicità.

D.  Questo insegnamento sottolinea l'interdipendenza di tutti gli 
esseri umani e quindi la sterilità del considerarci singoli individui 
distinti.
R. Questo senso di separazione è l’effetto dell’ignoranza, dell’
incapacità di vedere l’interconnessione che c’è in tutte le 
esperienze 
e in tutti gli esseri. Dobbiamo assolutamente recuperare questo senso 
di appartenenza all’altro e quindi adoperarci affinché non ci sia un 
aumento della sofferenza nell’altro, inteso come individuo, nazione, 
popolo, cultura e pianeta.
Spesso sulle pagine dei giornali, soprattutto ultimamente, si parla 
di 
occidente contrapposto all’Oriente, considerato meno evoluto, meno 
istruito, meno capace di vivere una vita che noi riteniamo saggia, 
giusta e corretta. Ma in realtà, da questo punto di vista, 
apparteniamo 
tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Queste sono ulteriori separazioni concettuali. La realtà è che siamo 
tutti di un unico pianeta, con problemi e questioni che devono essere 
risolti collettivamente e l’Occidente, proprio perché ha oggi 
maggiore 
disponibilità, deve fare uno sforzo maggiore, deve dimostrare un 
impegno maggiore per dare direttive sagge e aiutare altri Paesi a non 
rifare gli stessi errori. La società industriale e la tecnologia 
hanno 
sicuramente alleviato il disagio di intere popolazioni, ma dobbiamo 
analizzare questo sviluppo in modo critico, non esportare modelli che 
ci hanno creato problemi, e trovare altre soluzioni, nel rispetto di 
altre popolazioni e di altre culture.

D. Si parla spesso di pace da un punto di vista politico, sostenendo 
che la posizione dei pacifisti è inattuabile, inapplicabile.  Nessuno 
ha pensato alla pace da un punto di vista religioso, come 
inclinazione 
interiore delle persone che credono in una via spirituale. Perché si 
deve stare da una parte o dall’altra ?
R.  Perché siamo scollati, si pensa che la politica sia una cosa e la 
religione un’altra. Di fatto tutti noi, anche i religiosi, siamo 
delle 
persone che hanno una posizione politica; esprimere le proprie idee, 
avallate da una fede religiosa, è fare politica, ed è una politica 
altrettanto valida e degna di considerazione.

D.  I praticanti buddhisti  sono diventati anche qui in Italia più 
che 
una minoranza religiosa; perché così tanti si rivolgono a questa 
tradizione, che risposte ha da dare?
R.  Penso che sia una tradizione che rivolga una particolare 
attenzione all’essere umano e dunque ci riporta alla responsabilità 
pratica, al fine di attuare un cambiamento reale della persona. È una 
fede pragmatica, nel senso che, attraverso la riflessione, ci 
rendiamo 
conto che siamo chiamati in prima persona a mettere in atto un 
cambiamento.

D. Che cosa può dire delle persone che Le chiedono di insegnare loro 
il Dharma, che cosa stanno cercando?
R.  Stanno cercando strumenti validi per la risoluzione delle loro 
difficoltà, ma stanno cercando anche la via spirituale con una 
metodologia libera dal condizionamento culturale in cui sono 
cresciuti.

D. E a chi dice che le persone che si rivolgono alle tradizioni 
orientali in realtà cercano solo l’esotico, cosa risponde?
R.  Io non offro più l’esotico, non sono più un monaco buddhista. Se 
cercano questo, dico loro di andare altrove.

D.  Da che cosa si identifica un buddhista, come si riconosce, chi è?
R.  Penso che non lo si riconosca affatto. Forse dalle sue parole 
emergono idee riconducibili all’insegnamento del Buddha. Altrimenti 
penso che sia una persona ordinaria.

D.  Si riconosce però nella pace.
R.  Si riconosce sicuramente per una sua compostezza interiore.

D.  Che spesso si riflette nell’esteriorità: osservando i monaci e le 
persone che hanno a che fare con il Dharma si nota una lentezza, una 
maggiore attenzione a quello che di sé si porta verso gli altri.
R.  Penso che sia vero, certo mi riesce difficile vedermi con gli 
occhi di un altro. Io sono circondato da persone abbastanza comuni e 
non so se mi distinguo come buddhista. Non vado in giro dicendo “sono 
buddhista”, sono quello che sono. Penso sia importante uscire dagli 
‘ismi’, dalle definizioni di fede e, pur avendo fatto una lunga 
esperienza all’interno della tradizione buddhista, non ritengo 
significativo definirmi in alcun modo. Io sono stato battezzato, sono 
cresciuto come cattolico e ho fatto diverse esperienze di ricerca 
interiore nell’ambito del percorso proposto dalla Chiesa cattolica. 
La 
stessa vocazione alla vita monastica è avvenuta grazie agli scritti 
di 
Thomas Merton che era cattolico, un monaco trappista. Tuttavia ho 
sentito l’esigenza di un contesto nuovo per fare la mia esperienza di 
fede e l’ho trovato nella tradizione buddhista, lasciando l’Italia e 
incontrando persone che sono state per me significative lungo questo 
percorso di ricerca.

D.  Tra i suoi maestri, chi Le ha trasmesso l’idea di pace più 
vigorosa e che ancora ricorda?
R.  Indubbiamente il mio maestro Achaan Sumedho,che è di origine 
americana, il suo maestro, il Venerabile Achaan Chah, il maestro 
cinese 
Hsuan Hua e un maestro tibetano che è il Dalai Lama. Queste persone, 
un 
americano, un thailandese, un cinese e un tibetano, sono persone di 
pace, in grado di incontrarsi, di dialogare e lasciar andare i 
contrasti che sono propri delle correnti politiche di ciascuna di 
queste nazioni. Dunque è possibile appartenere a culture e tradizioni 
diverse e al tempo stesso essere portatori di pace.

D.  Ricorda un insegnamento di ognuno di loro, o di uno di loro, che 
vuole raccontare?
R.  Achaan Sumedho era solito incoraggiare i suoi discepoli a 
osservare il respiro e a sviluppare la consapevolezza, perché la 
consapevolezza è la via per l’immortalità, mentre l’indolenza e l’
ignoranza sono la via della morte. Questa è una raccomandazione che 
ho 
preso molto a cuore.  Achaan Chah raccomandava di fare molta 
attenzione 
a come si nutrono i sensi, non solo la bocca attraverso il cibo, ma 
tutti i sensi: perché i nostri sensi, la vista, l’udito, il tatto, l’
odorato, il gusto e la mente, ci possono far crescere nella pace o 
nell’
ignoranza e dunque nel conflitto. Il Dalai Lama dice molto spesso di 
considerare i propri nemici come grandi maestri e di non alimentare l’
odio ma la compassione . Il Venerabile Hsuan Hua diceva spesso di non 
guardare alle colpe degli altri, ma piuttosto alle proprie 
manchevolezze e di lavorare sul proprio cuore e sulla propria mente 
per 
migliorarsi.

D.  E Lei che cosa raccomanda agli studenti, alle persone che vengono 
qui a imparare qualcosa?
R.  Raccomando di essere pienamente se stesse e di alimentare il 
sentimento dell’amore.

D.  Ha parlato dell’insegnamento di Achaan Chah sui sensi: pacificare 
i sensi e le sensazioni che ne derivano significa pacificare la mente?
R.  Sicuramente. La mente è il ricettacolo degli input sensoriali, 
per 
cui la nostra pratica di consapevolezza deve essere attenta all’
effetto 
inevitabilmente prodotto dal tipo di nutrimento sensoriale al quale 
siamo soggetti. Ecco perché gli avvenimenti di guerra, il contrasto 
ideologico, i talk-show dove si esprime e si alimenta la 
contrapposizione seppur di pensiero, non ci trasmettono cibo 
salutare. 
In questo senso abbiamo la responsabilità di irradiare qualcosa di 
positivo e dunque di non alimentare il conflitto.

D. Che cos’è invece l’illuminazione, una forma di pace assoluta o una 
sospensione anche dalla pace?
R. Direi che è riconoscere ciò che ci troviamo a vivere nel presente, 
è un pieno riconoscimento della realtà del presente, ed è al tempo 
stesso una liberazione dalla realtà del presente. Significa calarsi 
pienamente alle radici della coscienza e dunque superare ogni 
barriera 
di forma e di tempo.

D.  Si dà molta importanza al presente nella tradizione buddhista; 
noi 
lo sospendiamo tra il passato e il futuro, in realtà cos’è?
R.  Potremmo chiamarlo uno ‘stargate’, un passaggio, possiamo 
chiamarlo un passaggio per arrivare alle stelle.

D. Quindi una pace nel presente assicura una pace nel futuro?
R.  Nel presente noi possiamo spargere i semi della pace o quelli 
dell’
odio, ed è quello che sta accadendo adesso. Noi abbiamo la grande 
possibilità di seminare bene, in questo momento.

D. Vuole dirci un’ultima parola sulla pace, un suggerimento o un 
augurio?
R.  Coltivate semi di Pace. Siate felici.  Vorrei concludere con una 
poesia di un mio amico monaco di nome Claudio Lobsang Tzondrù:
  
Che la Pace ci avvolga

Che la pace ci avvolga come un velo di nebbia leggera in un mattino d’
estate. 
Che la pace ci unisca oltre il roveto delle parole graffianti e delle 
invidie, oltre i giudizi e i pregiudizi. 
Che un vomere di fuoco bruci le nostre debolezze. 
Che una spada ardente tagli i nodi  dell’ignoranza e le travi che 
accecano il nostro sguardo mentre cerchiamo pagliuzze  su occhi 
altrui. 
Che la vita sia dolce, così come dovrebbe.
Che il nostro sorriso sia dolce sempre e ovunque e sempre ci 
accompagni la dolcezza perché è di questa che gli esseri hanno 
bisogno 
e non della durezza  dei nostri cuori. 
Che la pace ci avvolga e ci stringa in un abbraccio fino a sentire il 
calore dei  corpi di tutti gli esseri e le loro paure ed il loro  
dolore, fino a sentire il  calore e la tenerezza del  nostro cuore e 
le 
sue  paure e lo struggente dolore di tutte  le sue ferite. Che la 
pace 
ci baci con le sue labbra silenziose e sciolga con il suo amore i 
ghiacciai dell’anima.
Che la pace ci unisca anche se percorriamo sentieri diversi perché 
siamo tutti in cammino verso la stessa meta e nessun essere, proprio 
nessuno, è migliore o peggiore di un altro, e nessun sentiero, 
proprio 
nessuno, è migliore o peggiore del sentiero di chi ti cammina accanto.
  
MEDITAZIONE GUIDATA  SULLA PACE
Sedetevi pure comodamente. Assicuratevi che la schiena sia diritta ma 
non rigida. Potete chiudere delicatamente gli occhi o tenerli 
socchiusi; così facendo vi sarà più facile entrare in ascolto 
profondo. 
Respirate pure profondamente; il respiro è vita. Ascoltando il 
movimento respiratorio entrerete in un processo di riequilibrio 
energetico e di guarigione profonda.  Inspirando ed espirando 
rimanete 
in ascolto. Inspirando ed espirando. Inspirando ed espirando.  
Entrate 
in ascolto delle sensazioni che provate nel corpo. Immaginate il  
pianeta, nostra Madre Terra, e ripetete mentalmente: ‘Che la pace 
regni 
sulla terra. Ricordatevi: “Per colui che comprende la vera natura 
della 
mente, guarire i conflitti individuali e guarire i conflitti politici 
nel mondo è in essenza lo stesso processo.”  
Un antico proverbio cinese dice: “Se c’è consapevolezza nel cuore, ci 
sarà bellezza nel carattere; se c’è bellezza nel carattere, ci sarà 
armonia nella casa; se c’è armonia in casa, ci sarà ordine nella 
nazione. Quando c’è ordine in ciascuna nazione, ci sarà la pace nel 
mondo.” 
Portate dunque l’attenzione sul vostro cuore. Portate pure le mani 
all’altezza del cuore; poggiatele  semplicemente sul torace ed 
entrate 
in ascolto. Ascoltate la voce del cuore. Il cuore ha un linguaggio, 
ha 
un suo ritmo. Il suo battito può essere armonico oppure può 
presentare  
delle aritmie, delle dissonanze che evidenziano il subbuglio 
interiore. 
Queste sono il sintomo di un conflitto. La serenità del cuore 
richiede 
comprensione, saggezza e amore. Seguire la via del cuore richiede la 
buona volontà; se vogliamo veramente la pace è importante esercitare 
la 
volontà di smettere di combattere. La resa totale del cuore è l’
abbandono alla grazia, alla presenza dell’amore nel cuore umano. 
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando. 
Inspirando ed espirando.  Lasciamo che la vita, il prana , l’energia 
cosmica, l’energia vitale riequilibri il nostro sistema energetico. 
Ci 
apriamo alla preghiera ed alla profonda meditazione fino a giungere 
alla contemplazione del Divino dentro di noi.  Inspirando ed 
espirando 
rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando. Inspirando ed 
espirando.  
Lasciate pure andare tutte le tensioni, le preoccupazioni e gli 
affanni.  Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed 
espirando. Inspirando ed espirando.  Lasciate pure andare i pensieri, 
smettete di alimentare il conflitto; smettete di aggiungere al 
problema 
un altro problema, semplificate la vostra vita.     Inspirando ed 
espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando.  Portate la 
consapevolezza nel cuore. Portate un raggio di luce nel cuore. 
Portate 
il sorriso nel cuore.  Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. 
Inspirando ed espirando. Inspirando ed espirando.  Una volta entrati 
in 
contatto con i vostri cuori, in piena consapevolezza ritrovate la 
capacità di comunicare.  Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. 
Inspirando ed espirando.  E piano piano potete estendere la mani ai 
vostri lati. Se c’è qualcuno al vostro fianco, a destra e a sinistra, 
date le vostre mani. In caso contrario immaginate che ai vostri 
fianchi 
ci siano altre persone che si tengono per mano.  Date pure le vostre 
mani.  Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed 
espirando. Inspirando ed espirando.  Lasciate che attraverso il 
contatto delle mani sia possibile anche una comunicazione vera da 
cuore 
a cuore. Uniti nella volontà di smettere di combattere affinché la 
pace 
regni su questa terra, nelle nostre famiglie, nella nazione, in tutte 
le nazioni del mondo. Forse per alcuni, la preghiera “che la pace 
regni 
sulla terra” sembrerà un’utopia, un sogno, semplici parole irreali, 
astratte. Ma a piccoli passi, nei piccoli gesti d’amore, nel nostro 
piccolo, nel quotidiano, attraverso il pensiero, la parola e l’azione 
gentile ed amorevole, tutti noi possiamo contribuire a questa pace.  
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando. 
Inspirando ed espirando.  Portiamo nel nostro cuore queste parole: 
“Che 
io sia felice. In pace con me stesso. In pace con il mio passato. Che 
la speranza sia sempre davanti a me. Che il perdono sia sempre dietro 
di me. Che la gioia sia sempre alla mia sinistra e La bellezza alla 
mia 
destra. Che le mie radici siano salde sotto di me”. Sentite le vostre 
radici, portate l’attenzione ai piedi che toccano il pavimento; 
percepite la connessione profonda con la terra, la nostra Madre 
Terra. 
Radicate la luce che attraversa il vostro corpo, che scende dall’alto 
che si irradia dal vostro cuore. Portate colonne di luce in questo 
luogo e benediciamo la terra con la presenza delle qualità del cuore. 
Che il mio obbiettivo sia chiaro sopra di me”.  Inspirando ed 
espirando 
rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando. Inspirando ed 
espirando. 
E possiamo anche immaginare il pianeta Terra, la nostra Madre Terra, 
sospeso nello spazio danzante, in viaggio verso il grande vuoto.
Entrate in contatto con la coscienza collettiva; immaginate la Terra 
sospesa nello spazio, immaginate il pianeta Terra festeggiato da 
milioni di stelle luminose ed accolto da infiniti esseri di luce.
Inspirando ed espirando entrate nella coscienza infinita dell’
universo.  Sapete che viviamo in un universo vasto e misterioso.
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando. 
Inspirando ed espirando.  Ricordate: “Se c’è consapevolezza nel 
cuore, 
ci sarà bellezza nel carattere; se c’è bellezza nel carattere, ci 
sarà 
armonia nella casa; se c’è armonia in casa, ci sarà ordine nella 
nazione. Quando c’è ordine in ciascuna nazione, ci sarà la pace nel 
mondo.” Pacificando il nostro cuore porteremo la pace sulla terra.  
Inspirando ed espirando rimanete in ascolto. Inspirando ed espirando. 
La serenità che viene dal cuore va mantenuta con la buona volontà, la 
volontà di smettere di combattere. 
Inspirando ed espirando. Inspirando ed espirando. 
Piano piano potete riaprire gli occhi e cominciare a muovere il corpo.
Dopo questo contatto interiore è importante tradurre in azione ciò 
che 
abbiamo percepito al nostro interno; attraverso i nostri pensieri, le 
nostre parole e le nostre azioni possiamo esprimere questa volontà, 
una 
volontà rivolta alla risoluzione del conflitto, una volontà tutta 
orientata alla comprensione delle reciproche diversità. Che la pace 
regni nei nostri cuori e su questa terra.  Ciò è possibile! 


CHE LA PACE REGNI SULLA TERRA.


Cenni biografici sull'autore
Mario Thanavaro nasce in Friuli nel 1955. Motivato da un grande 
interesse per le arti, fin da giovanissimo studia judo, musica, danza 
e 
recitazione. A diciotto anni si reca in Inghilterra per seguire la 
sua 
aspirazione di musicista. Dopo otto mesi trascorsi a Londra, torna in 
Italia per gli obblighi di leva. Qui inizia un intenso periodo di 
introspezione, sia attraverso la fede cristiana, sia attraverso la 
scoperta del buddhismo, di cui gli parla un commilitone discepolo di 
un 
maestro tibetano. La sua ricerca spirituale diviene più urgente dopo 
il 
terremoto in Friuli del 1976, in cui perdono la vita circa mille 
persone. In seguito, leggendo un libro di Christmas Humphreys, viene 
a 
conoscenza di centri buddhisti in Inghilterra. Così, all’età di 
ventidue anni, torna in Inghilterra dove incontra Ajahn Sumedho, 
maestro e monaco buddhista. Nell’ottobre del 1977 diventa anagarika 
(senza dimora) a Londra, e l’anno successivo diventa samanera 
(novizio). Riceve la piena ordinazione (upasampada) nel 1979 su un’
imbarcazione del Tamigi dal suo precettore Saddhatissa Maha Thera, 
divenendo il primo monaco occidentale del lignaggio di Ajahn Chah 
ordinato in Inghilterra. Il suo nome sarà d’ora in poi Thanavaro 
(Fondazione Eccellente). Riceve gli insegnamenti di Ajahn Sumedho, e 
come monaco itinerante visita la Svizzera, la Thailandia, la 
Birmania, 
l’Australia, la California, l’India, il Nepal, lo Sri Lanka, la 
Germania ed Israele. Incontra altri maestri che lo ispireranno 
profondamente, tra i quali lo stesso Ajahn Chah, il XIV Dalai Lama, 
il 
XVI Karmapa, Ajahn Buddhadasa, Mahasi Sayadaw, Krishnamurti, Namkhai 
Norbu Rinpoche e Hsuan Hua. La sua ricerca spirituale lo porta a 
contatto con altre tradizioni e a interessarsi del tema dell’
educazione. Dopo dodici anni di vita trascorsi principalmente in 
Inghilterra e Nuova Zelanda, dove contribuisce alla fondazione e allo 
sviluppo di alcuni monasteri, nel 1990 torna in Italia e fonda il 
primo 
monastero Theravada. Nel settembre del 1995, durante una suggestiva 
cerimonia al monastero Mahayana dei Diecimila Buddha, in California, 
riceve la trasmissione dei precetti di bodhisattva. Dopo diciotto 
anni 
di vita monastica, di cui gli ultimi sei impiegati come abate, 
insegnante di meditazione, presidente dell’Unione Buddhista Italiana 
e 
membro della Fondazione Maitreya, decide di ritornare allo stato 
laicale, aspirando a una ricerca spirituale meno formalizzata e più 
immersa nella quotidianità. Continua a insegnare meditazione, 
ispirato 
da un approccio olistico e intertradizionale. Assieme alla Dottoressa 
Enzina Luce Franzese, psicologa e psicoterapeuta, è fondatore dell’
Associazione Amita Luce Infinita per il risveglio delle coscienze. 
Come 
amico e guida spirituale conduce incontri e ritiri di meditazione in 
varie città d’Italia. È autore dei libri “Non creare altra 
sofferenza”, 
“Verso la luce”, “Da cuore a cuore”, “Uno sguardo dall’arcobaleno”, 
“Meditiamo insieme”, tutti pubblicati da Ubaldini. Per la collana 
Spiritualità Sperimentale della Promolibri Magnanelli  ha pubblicato 
“La via del pellegrino - Visita ai luoghi sacri del Buddha”. Per la 
collana Amita ha pubblicato “In memoria di Ajhan Chah” e “Quando un 
fiore si apre”.    
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"II dono della Pace  supera ogni altro dono” 
Questo testo non è in vendita.  I costi di questa pubblicazione sono 
stati coperti da una libera donazione.  E’ stato pubblicato nella 
speranza che possa essere di beneficio a chi desidera riflettere sui 
grandi temi del vivere e vuole intraprendere un cammino di ricerca 
interiore. Le nostre  iniziative editoriali sono una preziosa 
opportunità per molti di partecipare alla diffusione degli 
insegnamenti 
di Pace e Amore per l’intera Umanità.Dipendono direttamente dai 
contributi offerti in tal senso. Coloro che volessero sostenere 
future 
ristampe di questa o di altre opere possono inviare una libera 
offerta 
e dedicare i meriti della propria offerta per il benefico di altri 
esseri senzienti. Per l’autore è un grande privilegio essere in grado 
di produrre libri come questo, e sarà felice di continuare a farlo.  
Riceve volentieri i commenti e le osservazioni dei lettori. 
Chi fosse interessato a partecipare con una donazione alla ristampa 
di 
questo libro, può contattarlo al seguente indirizzo: 
info at amitaluceinfinita.it
sito:www.amitaluceinfinita.it

Stampato da IMPRIMO s.s.s. – Fonte Nuova (Roma)
Tutti diritti riservati: Mario Thanavaro
    





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