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Nei casi di sequestri (editoriale de "il foglio", n. 341, maggio 2007)
- Subject: Nei casi di sequestri (editoriale de "il foglio", n. 341, maggio 2007)
- From: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
- Date: Wed, 9 May 2007 10:59:57 +0200
Editoriale del n. 341 de "il foglio", mensile di
alcuni cristiani torinesi; www.ilfoglio.info
Enrico Peyretti
Nei casi
di sequestri (anche la guerra è un grande sequestro, dei combattenti di ambo le
parti, delle popolazioni, della politica e delle leggi), siamo presi in una
tenaglia estremamente tragica, che è la forza malvagia di quel crimine: se
salviamo la vita del sequestrato pagando (in denaro o altri vantaggi) i
sequestratori, finanziamo e sosteniamo la violenza, che potrà fare altre
vittime; se salviamo il sistema istituzionale, posto a proteggere le vite umane,
sacrificando la vita del sequestrato, frustriamo per lui lo scopo stesso
dell’istituzione, e anche così premiamo la violenza. Questa seconda soluzione
segue il principio di Caifa: «Conviene che muoia un
solo uomo per il popolo e non perisca l’intera nazione» (vangelo di
Giovanni 11,50 e 18,14). Questo principio può sembrare dolorosamente giusto, una
riduzione del danno quantitativo. Ma implica il danno qualitativo: il sacrificio
ingiusto di un innocente, un capro espiatorio, supponendo che sia l’unica via
per la salvezza generale. Esclude che ci siano altre vie, quindi non le ricerca.
Presuppone che con l’uccidere o il lasciar uccidere uno o pochi si salvi il
valore dell’istituzione, che così, invece, non
assicura più la vita di tutti. Questa tragedia è
irrimediabile? Anche nelle guerre più dure si pratica lo scambio di prigionieri, pure diseguale:
una concessione e utilità reciproca, un commercio di vite umane, a parziale
rimedio del grande danno, un incrocio tra perdita e guadagno di ciascuna parte,
una correzione della logica armata mortale. Senza immaginare soluzioni facili,
una via di ricerca per uscire dalla tragedia può essere l’analisi dello scopo
dei sequestratori: se è un ricatto economico, conviene trattare, abbassare il
prezzo, salvare il sequestrato, possibilmente preparando una trappola senza
rischio della sua vita; se è la morte, nessun prezzo di riscatto basterà
effettivamente ma occorrerà il tentativo della polizia; se lo scopo è ottenere
un riconoscimento, si può concedere tatticamente ciò che, strappato sotto
violenza, non ha valore permanente. Se
la vita umana è lo scopo dell’istituzione, questa può farsi elastica per
realizzare il più possibile il suo scopo. Non fiat iustitia, pereat mundus, ma
affinché vi sia giustizia non perisca il
mondo. Se la violenza ha il vantaggio di permettersi qualunque mezzo, la
giustizia alternativa alla violenza mette in atto tutti i mezzi umani e
umanizzanti: la resistenza unitaria che ci obbliga reciprocamente; la parola,
per la quale siamo umani; il contratto, che unisce tutti nella convenienza; la
ricerca anche di recuperare chi delinque. Come la democrazia, la giustizia si
basa sulla fiducia costruttiva verso l’umanità e non su un pessimismo
disperato.
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