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Conferenza Bil'in (parte seconda)
- Subject: Conferenza Bil'in (parte seconda)
- From: "assopace.nazionale at assopace.org" <assopace.nazionale at assopace.org>
- Date: Wed, 25 Apr 2007 08:03:04 +0100
- Sender: assopace.nazionale at assopace.org
Secondo giorno di conferenza. (19 aprile 2007) Il secondo giorno di conferenza si apre con una sessione sugli aspetti economici dell'occupazione, ne parlano Muhammad Shtaye che insegna economia alla Birzeit University di Ramallah e Sam Bahour, uomo d'affari palestinese con cittadinanza americana, tra gli animatori della campagna per il diritto di ingresso in Palestina ed Israele. Il professor Shtaye durante il suo intervento fornisce alcune cifre sulle conseguenze di 40 anni di occupazione sull'economia palestinese. Il 64% delle esportazioni palestinesi verso l'estero passa attraverso lo stato di Israele, il quale ovviamente impone dazi sulle merci esportate, sul fronte delle importazioni il quadro e' ancora piu' disastroso: l'80% dei prodotti importati nei territori palestinesi occupati proviene da Israele o passa attraverso il territorio israeliano, i territori occupati sono il principale mercato "estero" di Israele. Anche le rimesse in denaro che i palestinesi all'estero mandano in Palestina transitano e sono tassate da Isarele; dal gennaio del 2006, dopo l'elezione del governo di Hamas circa 800 milioni di dollari di rimesse dall'estero sono congelate nelle banche israeliane, a questo si aggiunge il blocco dei fondi da parte dell'Unione Europea e degli Usa, aiuti senza i quali la fragile economia dei territori occupati sta collassando. La palestina occupata non e' un paese in via di sviluppo, e' un paese ricco di risorse, di competenze e di opportunita' di lavoro, solo il patrimonio archeologico e i siti di interesse turistico e religioso (pensiamo a Bethlemme o anche a Gericho) potrebbero sostenere gran parte dell'economia dei 3.500.000 palestinesi che vivono nei territori occupati, per non parlare del commercio e dell'agricoltura. Invece l'isolamento e le chiusure imposte dall'inizio della seconda intifada hanno prodotto, per la prima volta nella storia recente questo popolo una crisi economica ed umanitaria di vaste proporzioni. L'economia palestinese e' quasi totalmente dipendente da Israele che ne controlla le risorse primarie (acqua, elettricita'), i confini e le vie di comunicazione, escludendola di fatto dal mercato arabo circostante. Il reddito medio annuo pro capite in Israele e' di 17.000$, quello palestinse di 800$, e piu' del 50% dei palestinesi vive al di sotto della soglia di poverta'. Queste indicazioni vengono riprese anche nella relazione di Sam Bahour nella quale si interroga su come sia possibile integrare la l'economia palestinese nella globalizzazione economica guidata dagli USA che sono tra i maggiori finanziatori dello stato di Israele e tra i promotori del boicottaggio dell'Autorita' Nazionale Palestinese. E' questo l'unico caso che si ricordi nella storia contemporanea in cui si sanziona il popolo occupato e si premia la potenza occupante. Secondo Bahour il "cordone ombelicale" che lega l'economia palestinese a quella israeliana si e' inspessito dopo gli accordi di Oslo del 1992. Bahour ritorna sul tema dello sfruttamento delle risorse: le fonti idriche del territorio di Palestina e Israele sono per la maggior parte localizzate nei territori palestinesi occupati (e nel Golan siriano, anch'esso occupato da Israele), ma la distribuzione dell'acqua e' controllata da Israele che la rivende ai palestinesi, lo stesso discorso vale per l'elettricita' e le reti di telecomunicazione, ogni telefonata in arrivo o in uscita sulla rete telefonica fissa o mobile palestinese passa per Israele che in questo modo ha anche facile accesso alle conversazioni. Nonostante quanto detto ci sono settori dell'economia palestinesi potenzialmente in crescita, che potrebbero costituire il cuore della sua ripresa economica, ma vanno sostenute e soprattuto bisogna battersi affinche' abbiano uno sviluppo autonomo dall'economia israeliana. "Convergence Plan": Israele, gli USA e l'apartheid Jeff Halper e' un israeliano di origini americane, e' stato il fondatore dell'ICHAD (comitato israeliano contro la demolizione delle case palestinesi). Il suo intervento e' centrato sull'idea che quella che Israele sta costruendo qui e' una forma di apartheid. Apartheid, afferma Halper, e' solo una parola, ma rappresenta un modello un modello di dominazione coloniale slegato dal contesto locale, il contesto della Palestina occupata e' di sicuro diverso da quello sudafricano (un tesi difesa nei mesi passati anche da Uri Avnery) ma il modello puo' tranquillamente essere applicato anche qui, ed e' quello che il governo israeliano sta facendo. Per l'opinione pubblica israeliana non e' tanto importante la pace, ma la "quiete", una giusta soluzione per i palestinesi e' opzionale, la cosa veramente importante e' che niente turbi la vita degli israeliani, in questo senso la divisione dei territori palestinesi in "bantustan" dovrebbe garantire una separazione tra i due popoli. Halper riprende e amplia le sue tesi sulla "matrice del controllo": Israele si sta creando due confini orientali, uno "demografico" disegnato dal tracciato del muro tra Israele e i territori palestinesi occupati (che sono appunto ad est della linea verde, linea che dovrebbe tracciare il confine dello stato di Israele), e uno "di sicurezza" nella valle del fiume Giordano che confina ad est con la Giordania. In questo modo i territori abitati da una maggioranza palestinese (o meglio quello che rimane) saranno schiacciati, ad ovest dal muro, e ad est dalla fascia di sicurezza controllata da Israele che li divide dalla Giordania. Se a questo si aggiungono i due grandi agglomerati di colonie di Maale Adumim al centro e di Ariel nel nord che tagliano i territori palestinesi in modo ortogonale rispetto al muro, e' evidente che il risultato saranno delle "riserve" densamente abitate da palestinesi, riserve, bantustan, che non avranno nessun collegamento tra loro...per non parlare della striscia di Gaza che dista svariati kilometri dai territori occupati della West Bank. In termini territoriali ai palestinesi resterebbe la striscia di Gaza e il 15% dei territori occupati della West Bank. Niente accade a caso, Israele guarda sempre lontano, la realta' che osserviamo oggi sul terreno e' il risultato di una strategia cominciata decenni fa'. Prima ancora che esistesse lo stato di Israele, Ze'ev Vladimir Jabotinsky (uno dei padri della destra sionista) agli inizi del secolo scorso gia' parlava della necessita' di erigere un "muro di ferro" tra gli ebrei e gli arabi in Palestina, nel 1977 Sharon proponeva di richiudere i palestinesi in "cantoni", nel 1999 Ehud Barak vince le elezioni con lo slogan "noi qui, loro li'", nel maggio del 2006 l'attuale primo ministro Olmert presenta al congresso degli Stati Uniti d'America -notate bene, afferma Halper, al congresso USA non al parlamento Israeliano- il "Convergence Plan" (piano di convergenza) che prevede il completamento del muro, lo smantellamento delle (poche) colonie israeliane che rimarrebbero' ad est del muro e la creazione di una specie di stato-arcipelago palestinese, senza nessun collegamento con i paesi confinanti. La riposta di Bush e Blair al piano di convergenza e' che bisogna attuarlo non in modo unilaterale (come il disimpegno da Gaza) ma seguendo la "Road Map" che prevede un percorso negoziale con i palestinesi. In pratica, continua Halper, gli hanno chiesto di fingere una trattativa con l'Autorita' Nazionale Palestinese per almeno un anno prima di applicare il suo piano...e infatti nell'ultimo anno, almeno una volta al mese Condoleeza Rice e' venuta ad incontrare la sua omologa, la ministra degli esteri israeliana Tzipi Livni, per "cucinare lentamente" l'apartheid per i palestinesi. Lentamente, silenziosamente, senza clamori, senza conferenze stampa, attraverso una "sommessa diplomazia al femminile" l'afroamericana Rice e la Livni, approntano l'apartheid per i palestinesi, apartheid che si basa principalmente su due concetti forti: separazione e dominazione. Il governo israeliano non sta costruendo una democrazia in questo paese, ma una "etnocrazia". L'idea di uno stato etnico nel 2000 e' fuori dalla storia e fuori dalla realta' possibile. Jeff Halper non ha dubbi sulla necessita' di lanciare immediatamente una campagna internazionale anti-apartheid. Bisogna che le leadership politiche, religiose e sociali della comunita' internazionale vengano qui a vedere con i loro occhi quello che sta succedendo, trascorrere anche solo pochi giorni nei territori occupati aiuterebbe a "re-incorniciare" la questione palestinese-israeliana e ha sfatare dei miti. Tre su tutti: 1- Israele e' il soggetto piu' forte, non la vittima come si tende a credere. 2- Israele e' il terzo esportatore di armi al mondo dopo gli USA e la Russia, non e' debole ma armato ed aggressivo. 3- L'occupazione dei territori palestinesi non ha uno scopo difensivo, la costruzione di 300 colonie nei territori occupati e di un muro che le circonda rubando terra ai palestinesi non ha niente a che vedere con esigenze difensive, quella delle colonie e' una politica di espansione ed annessione. Infine, rispondendo ad una domanda del pubblico Jeff Hapler propone la sua visione per il futuro di quest'area: non due stati, neanche uno, ma una confederazione regionale che comprenda Palestina, Israele, Siria, Libano e Giordania, una specie di "Unione Mediorientale" sul modello dell'Unione Europea. Halper e' convinto che questa sia l'unica soluzione possibile nel lungo periodo, e pensa che l'Unione Europea che ha intrapreso da anni un percorso simile possa e debba mettere a disposizione le sue competenze in merito. Ettore Acocella Associazione per la Pace Coordinamento per una presenza civile di pace in Palestina ed Israele Per ulteriori informazioni: Comitato popolare del villaggio di Bil'in (www.bilin-village.org) Palestine times (www.times.ps) Haaretz (www.haaretz.com) International Solidarity Movement (www.palsolidarity.org) Ma'an News Agency (www.maannews.net/en)
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