Conferenza Bil'in (parte seconda)



Secondo giorno di conferenza. (19 aprile 2007)

Il secondo giorno di conferenza si apre con una sessione
sugli aspetti  economici dell'occupazione, ne parlano
Muhammad Shtaye che insegna economia alla Birzeit University
di Ramallah e Sam Bahour, uomo d'affari palestinese con
cittadinanza americana, tra gli animatori della campagna per
il diritto di ingresso in Palestina ed Israele.

Il professor Shtaye durante il suo intervento fornisce
alcune cifre sulle conseguenze di 40 anni di occupazione
sull'economia palestinese.
Il 64% delle esportazioni palestinesi verso l'estero passa
attraverso lo stato di Israele, il quale ovviamente impone
dazi sulle merci esportate, sul fronte delle importazioni il
quadro e' ancora piu' disastroso: l'80% dei prodotti
importati nei territori palestinesi occupati proviene da
Israele o passa attraverso il territorio israeliano, i
territori occupati sono il principale mercato "estero" di
Israele. Anche le rimesse in denaro che i palestinesi
all'estero mandano in Palestina transitano e sono tassate da
Isarele; dal gennaio del 2006, dopo l'elezione del governo
di Hamas circa 800 milioni di dollari di rimesse dall'estero
sono congelate nelle banche israeliane, a questo si aggiunge
il blocco dei fondi da parte dell'Unione Europea e degli
Usa, aiuti senza i quali la fragile economia dei territori
occupati sta collassando.
La palestina occupata non e' un paese in via di sviluppo, e'
un paese ricco di risorse, di competenze e di opportunita'
di lavoro, solo il patrimonio archeologico e i siti di
interesse turistico e religioso (pensiamo a Bethlemme o
anche a Gericho) potrebbero sostenere gran parte
dell'economia dei 3.500.000 palestinesi che vivono nei
territori occupati, per non parlare del commercio e
dell'agricoltura.
Invece l'isolamento e le chiusure imposte dall'inizio della
seconda intifada hanno prodotto, per la prima volta nella
storia recente questo popolo una crisi economica ed
umanitaria di vaste proporzioni.
L'economia palestinese e' quasi totalmente dipendente da
Israele che ne controlla le risorse primarie (acqua,
elettricita'), i confini e le vie di comunicazione,
escludendola di fatto dal mercato arabo circostante.
Il reddito medio annuo pro capite in Israele e' di 17.000$,
quello palestinse di 800$, e piu' del 50% dei palestinesi
vive al di sotto della soglia di poverta'.

Queste indicazioni vengono riprese anche nella relazione di
Sam Bahour nella quale si interroga su come sia possibile
integrare la l'economia palestinese nella globalizzazione
economica guidata dagli USA che sono tra i maggiori
finanziatori dello stato di Israele e tra i promotori del
boicottaggio dell'Autorita' Nazionale Palestinese. E' questo
l'unico caso che si ricordi nella storia contemporanea in
cui si sanziona il popolo occupato e si premia la potenza
occupante.
Secondo Bahour il "cordone ombelicale" che lega l'economia
palestinese a quella israeliana si e' inspessito dopo gli
accordi di Oslo del 1992.
Bahour ritorna sul tema dello sfruttamento delle risorse: le
fonti idriche del territorio di Palestina e Israele sono per
la maggior parte localizzate nei territori palestinesi
occupati (e nel Golan siriano, anch'esso occupato da
Israele), ma la distribuzione dell'acqua e' controllata da
Israele che la rivende ai palestinesi, lo stesso discorso
vale per l'elettricita' e le reti di telecomunicazione, ogni
telefonata in arrivo o in uscita sulla rete telefonica fissa
o mobile palestinese passa per Israele che in questo modo ha
anche facile accesso alle conversazioni.
Nonostante quanto detto ci sono settori dell'economia
palestinesi potenzialmente in crescita, che potrebbero
costituire il cuore della sua ripresa economica, ma vanno
sostenute e soprattuto bisogna battersi affinche' abbiano
uno sviluppo autonomo dall'economia israeliana.

"Convergence Plan": Israele,  gli USA e l'apartheid

Jeff Halper e' un israeliano di origini americane, e' stato
il fondatore dell'ICHAD (comitato israeliano contro la
demolizione delle case palestinesi).
Il suo intervento e' centrato sull'idea che quella che
Israele sta costruendo qui e' una forma di apartheid.
Apartheid, afferma Halper, e' solo una parola, ma
rappresenta un modello un modello di dominazione coloniale
slegato dal contesto locale, il contesto della Palestina
occupata e' di sicuro diverso da quello sudafricano (un tesi
difesa nei mesi passati anche da Uri Avnery) ma il modello
puo' tranquillamente essere applicato anche qui, ed e'
quello che il governo israeliano sta facendo.
Per l'opinione pubblica israeliana non e' tanto importante
la pace, ma la "quiete", una giusta soluzione per i
palestinesi e' opzionale, la cosa veramente importante e'
che niente turbi la vita degli israeliani, in questo senso
la divisione dei territori palestinesi in "bantustan"
dovrebbe garantire una separazione tra i due popoli.
Halper riprende e amplia le sue tesi sulla "matrice del
controllo": Israele si sta creando due confini orientali,
uno "demografico" disegnato dal tracciato del muro tra
Israele e i territori palestinesi occupati (che sono appunto
ad est della linea verde, linea che dovrebbe tracciare il
confine dello stato di Israele), e uno "di sicurezza" nella
valle del fiume Giordano che confina ad est con la
Giordania. In questo modo i territori abitati da una
maggioranza palestinese (o meglio quello che rimane) saranno
schiacciati, ad ovest dal muro, e ad est dalla fascia di
sicurezza controllata da Israele che li divide dalla
Giordania.
Se a questo si aggiungono i due grandi agglomerati di
colonie di Maale Adumim al centro e di Ariel nel nord che
tagliano i territori palestinesi in modo ortogonale rispetto
al muro, e' evidente che il risultato saranno delle
"riserve" densamente abitate da palestinesi, riserve,
bantustan, che non avranno nessun collegamento tra
loro...per non parlare della striscia di Gaza che dista
svariati kilometri dai territori occupati della West Bank.
In termini territoriali ai palestinesi resterebbe la
striscia di Gaza e il 15% dei territori occupati della West
Bank.
Niente accade a caso, Israele guarda sempre lontano, la
realta' che osserviamo oggi sul terreno e' il risultato di
una strategia cominciata decenni fa'.
Prima ancora che esistesse lo stato di Israele, Ze'ev
Vladimir Jabotinsky (uno dei padri della destra sionista)
agli inizi del secolo scorso gia' parlava della necessita'
di erigere un "muro di ferro" tra gli ebrei e gli arabi in
Palestina, nel 1977 Sharon proponeva di richiudere i
palestinesi in "cantoni", nel 1999 Ehud Barak vince le
elezioni con lo slogan "noi qui, loro li'", nel maggio del
2006 l'attuale primo ministro Olmert presenta al congresso
degli Stati Uniti d'America -notate bene, afferma Halper, al
congresso USA  non al parlamento Israeliano- il "Convergence
Plan" (piano di convergenza) che prevede il completamento
del muro, lo smantellamento delle (poche) colonie israeliane
che rimarrebbero' ad est del muro e la creazione di una
specie di stato-arcipelago palestinese, senza nessun
collegamento con i paesi confinanti.
La riposta di Bush e Blair al piano di convergenza e' che
bisogna attuarlo non in modo unilaterale (come il disimpegno
da Gaza) ma seguendo la "Road Map" che prevede un percorso
negoziale con i palestinesi.
In pratica, continua Halper, gli hanno chiesto di fingere
una trattativa con l'Autorita' Nazionale Palestinese per
almeno un anno prima di applicare il suo piano...e infatti
nell'ultimo anno, almeno una volta al mese Condoleeza Rice
e' venuta ad incontrare la sua omologa, la ministra degli
esteri israeliana Tzipi Livni, per "cucinare lentamente"
l'apartheid per i palestinesi.
Lentamente, silenziosamente, senza clamori, senza conferenze
stampa, attraverso una "sommessa diplomazia al femminile"
l'afroamericana Rice e la Livni, approntano l'apartheid per
i palestinesi, apartheid che si basa principalmente su due
concetti forti: separazione e dominazione. Il governo
israeliano non sta costruendo una democrazia in questo
paese, ma una "etnocrazia". L'idea di uno stato etnico nel
2000 e' fuori dalla storia e fuori dalla realta' possibile.
Jeff Halper non ha dubbi sulla necessita' di lanciare
immediatamente una campagna internazionale anti-apartheid.
Bisogna che le leadership politiche, religiose e sociali
della comunita' internazionale vengano qui a vedere con i
loro occhi quello che sta succedendo, trascorrere anche solo
pochi giorni nei territori occupati aiuterebbe a
"re-incorniciare" la questione palestinese-israeliana e ha
sfatare dei miti.
Tre su tutti:
1- Israele e' il soggetto piu' forte, non la vittima come si
tende a credere.
2- Israele e' il terzo esportatore di armi al mondo dopo gli
USA e la Russia, non e' debole ma armato ed aggressivo.
3- L'occupazione dei territori palestinesi non ha uno scopo
difensivo, la costruzione di 300 colonie nei territori
occupati e di un muro che le circonda rubando terra ai
palestinesi non ha niente a che vedere con esigenze
difensive, quella delle colonie e' una politica di
espansione ed annessione.

Infine, rispondendo ad una domanda del pubblico Jeff Hapler
propone la sua visione per il futuro di quest'area:
non due stati, neanche uno, ma una confederazione regionale
che comprenda Palestina, Israele, Siria, Libano e Giordania,
una specie di "Unione Mediorientale" sul modello dell'Unione
Europea. Halper e' convinto che questa sia l'unica soluzione
possibile nel lungo periodo, e pensa che l'Unione Europea
che ha intrapreso da anni un percorso simile possa e debba
mettere a disposizione le sue competenze in merito. 

Ettore Acocella
Associazione per la Pace
Coordinamento per una presenza civile di pace in Palestina
ed Israele

Per ulteriori informazioni:
Comitato popolare del villaggio di Bil'in
(www.bilin-village.org)
Palestine times (www.times.ps)
Haaretz (www.haaretz.com)
International Solidarity Movement (www.palsolidarity.org)
Ma'an News Agency (www.maannews.net/en)