Luisa Morgantini
Un giorno a Nablus sotto il
coprifuoco
Nablus,
26-02-07: il dottor Ghassan Hamdan, Direttore del Palestinian Medical
Relief Society a Nablus, si è svegliato alle 5 questa mattina dopo un
sonno di sole due ore e mezzo. E’ stato fino a tardi a
distribuire cibo e medicine e a prestare servizi di emergenza sanitaria
ai residenti della città vecchia di Nablus, che hanno subito un
coprifuoco imposto da Israele e ai quali è stato proibito
di lasciare le proprie abitazioni sin dalle prime ore di domenica.
E’
stato svegliato da una telefonata in cui gli si diceva che una casa
proprio fuori dalla città vecchia era stata incendiata da soldati
israeliani e che potevano esserci molte vittime civili. Arrivato sul
posto, gli è stato detto che le truppe israeliane erano arrivate al
complesso di appartamenti residenziali intorno alle 4.45 e ne avevano
costretto i residenti ad uscire per strada. Una dei residenti, Mona
Tbeileh, era stata accusata dai soldati di dar rifugio a
uomini ‘ricercati’. Mona aveva categoricamente negato, dicendo che suo
marito si trovava all’estero e che lei e suo figlio erano le solo
persone nell’appartamento a pianterreno. Aveva detto ai soldati che
potevano cercare nell’appartamento e si era persino offerta come scudo
umano. I soldati si erano rifiutati di cercare nell’appartamento, e
intorno alle 5.15 avevano fatto esplodere la porta dell’appartamento,
dandogli fuoco. [1]
Mona
e la sua famiglia ci hanno mostrato la devastazione tutta intorno: I
fori dei proiettili nei muri, mucchi di mobili e beni di famiglia
ancora ardenti dopo l’incendio del mattino. La figlia diciannovenne di
Mona, Niveen, ha indicato una struttura annerita, dicendo “questo
era il mio letto. Grazie a Dio ho dormito a casa di mia cugina la
scorsa notte quando mi hanno chiamato per dirmi ciò che era successo,
sono impazzita. Ero preoccupata per mia
madre e mio fratello. Ci sono volute cinque ore per spegnere il fuoco.
E’ stato distrutto tutto.”
Il
Dott.Mustafa Barghouthi MP, che ha visitato la famiglia lo stesso
giorno, ha detto “questo è solo un esempio di come gli israeliani
pensano di potere agire impunemente. La casa di questa
famiglia e tutti i suoi beni sono stati distrutti. Per che cosa? Cosa
faranno adesso? Nessuno li
risarcirà per la perdita della loro casa. Nablus è tornata
ai giorni del 2002.”…
Il dott. Barghouthi ha
fatto riferimento al periodo in cui Nablus fu almeno 200 giorni sotto
il coprifuoco nel 2002, quando i suoi abitanti furono costretti a stare
in casa almeno per l’ 80 del tempo (spesso per 24 ore filate) tra il 18
Giugno e il 31 Dicembre del 2002[2]. Perciò, gli abitanti di Nablus
sono abituati a tali forme di punizione collettiva.
L’ultimo
coprifuoco è iniziato il 24 Febbraio, quando circa 80 veicoli blindati
e bulldozer hanno invaso la città alle prime ore del mattino per una
cosiddetta “operazione di arresto” . la televisione locale e le
stazioni radio sono state requisite dalle truppe di Israele, che hanno
trasmesso messaggi in cui si chiedevano informazioni su dove fossero
cinque uomini. Le case sono state occupate e sono stati realizzati
buchi con esplosioni su tutte le pareti in modo da permettere ai
soldati di muoversi senza doversi avventurare per le strade. Un civile
è stato ucciso nella sua casa con un colpo di pistola al collo; altre
20 persone hanno riportato ferite da proiettili di gomma.
L’area
intorno ai due unici ospedali pubblici di Nablus, Al-Watani
Hospital e Rafidya Hospital, è stata dichiarata zona militare chiusa.
Quando abbiamo visitato l’ospedale nel cuore di Nablus, la sua entrata
era bloccata da quattro jeep militari equipaggiate con
approssimativamente 16 soldati, che fermavano tutte le ambulanze e i
mezzi sanitari mobili che entravano ed uscivano dall’ospedale. [3]
Inoltre,
le scuole e le università sono state costrette a chiudere perchè decine
di migliaia tra studenti e professori non possono raggiungere le loro
sedi di studio/lavoro a causa del coprifuoco, e perchè alcune
istituzioni educative sono state dichiarate zone militari. [4]
“Il problema
è che nessuno si sta chiedendo se è necessario mettere 250.00 persone
sotto il coprifuoco, impedire loro di raggiungere cliniche ed
ospedali, e far fuori le scuole; nessuno si sta chiedendo questo, “ ha
detti il dott. Barghouthi.
Questa
affermazione è stata ben contestualizzata quando, mentre
accompagnavamo il team sanitario mobile del PMRS’ per la
città vecchia per portare medicinali essenziali a pazienti con disturbi
cronici, dall’ipertensione al diabete, così come il latte in polvere ai
neonati, pane e altre forniture di base, siamo passati tra due
veicoli blindati che bloccavano una delle entrate principali della
città vecchia. Accanto a questi veicoli c’era un uomo disabile su sedia
a rotelle, insieme a suo fratello, che cercava da più di un’ora di
raggiungere la loro casa a soli pochi metri di lì, dentro la città
vecchia.
Il dott. Ghassan ha
cercato di negoziare con i soldati per permettere ai due uomini di
tornare a casa ma c’è stato detto che non era possible; senza ulteriori
spiegazioni.
Dopo qualche insistenza da parte nostra, ad una volontaria
internazionale del PMRS è stato detto che poteva accompagnare il
disabile a casa. “Posso vedere che non sei Araba”
è stata la ragione che le ha urlato contro uno dei soldati. Quando lei
ha fatto notare che c’erano dei gradini che conducevano alla casa e che
non avrebbe potuto farcela da sola, le è stato permesso di accompagnare
entrambi gli uomini a condizione che loro restassero dentro e che lei
tornasse immediatamente. Il giro ulteriore nella città vecchia ha
rivelato un posto in brusco contrasto con la Nablus di
circonstanze più normali: una città i cui stretti vicoli pullulano di
venditori, di carretti di verdure, di bambini che giocano a calcio; una
città famosa per la sua ospitalità, dove la gente ti invita a casa a
bere caffè, o nel suo negozio a mangiare un kunafe, dessert
tradizionale di Nablus,.
Oggi abbiamo
trovato una deserta terra desolata ricoperta da tappeti di pietre
lanciate contro le jeep israeliane che presidiano minacciosamente tutta
la città vecchia; ‘checkpoint’ improvvisati fatti con rami d’albero e
con fusti di rifiuti bruciati attrezzati dagli abitanti
nel vano tentativo di disturbare il passaggio delle jeep israeliane;
e facce che guardano dalle finestre, alcune impaurite, altre
semplicemente annoiate.
Dopo che ci è
stato brutalmente impedito di portare cibo in polvere ad un bambino
disabile di cinque anni che non mangia altro, dalla presenza di un
blindato all’ingresso della strada in cui si trova la casa, ho chiesto
all’autista dell’unità mobile e volontario a lungo termine del PMRS, il
ventisettenne Taher Kosa, perchè rischia continuamente la propria vita
per portare cibo e medicine a famiglie isolate. “E’ la mia forma di
lotta” ha detto. Alcune persone lottano attraverso la loro
’educazione, alcuni come i giornalisti attraverso i media. Questo è il mio
compito. E quando hai
colleghi che dedicano la loro vita ad aiutare l’altra gente e che sono
sempre i primi sulla scena, non importa quanto è
pericoloso, sei ispirato dal loro esempio.”
Questo è lo
spirito del popolo palestinese che lascia costantemente
i visitatori a disagio. L’occupazione israeliana, caratterizzata
quotidianamente da storie come questa di oggi a Nablus, entrerà
nel 2007 nel suo quarantesimo anno. Eppure malgrado l’enorme pressione
militare, politica ed economica che spinge sotto il suo peso la società
palestinese al collasso; e malgrado i continui fallimenti ad alto
livello della comunità internazionale nel chiedere la fine
dell’occupazione israeliana, l’ispirazione tratta da dentro manda
avanti i palestinesi nello loro lotta per vivere in pace, libertà
dignità.
Note
[1]
In violazione dell’articolo 13.2 del Protocollo Addizionale alla
Convenzione Di Ginevra del 12 Agosto 1949, e relativamente alla
Protezione delle Vittime dei Conflitti Armati Non-internazionali
(protocolloII) “ La popolazione civile in quanto tale, così come
individui civili, non saranno oggetto di attacco. Atti o minacce di
violenza, il cui primo proposito è quello di diffondere il terrore tra
la popolazione civile, sono proibiti.” Vedi http://www.unhchr.ch/html/menu3/b/94.htm. E’ anche in
violazione dell’articolo 53 della Convenzione di Ginevra relative alla
Protezione delle Persone Civili in Tempo di Guerra: “ogni
distruzione da parte della Potenza Occupante di proprietà personali
appartenenti individualmente o collettivamente a persone private, o
allo Stato, o ad altre pubbliche autorità, o a organizzazioni sociali o
cooperative, è proibita, eccetto dove tale distruzione sia resa
assolutamente necessaria da operazioni militari.”
[2] vedi
Banca Mondiale, ottobre 2004. Quattro anni di Intifada, chiusure e
crisi Economica Palestinese: una
valutazione. Pag 2 http://siteresources.worldbank.org/INTWESTBANKGAZA/Resources/wbgaza-4yrassessment.pdf.
[3] in
violazione all’articolo 18 della Cnvenzione di Ginevra relative alla
Protezione delle Persone Civili in tempo di Guerra:” gli ospedali
civili organizzati per prestare cure ai feriti e ai malati, gli infermi
e in caso di maternità, non possono essere in nessuna circostanza
oggetto di attacco, ma saranno sempre rispettti e protetti dalle parti
del conflitto”; Articolo 5 Del Protocollo Addizionale alla Convenzione
di Ginevra del 12 Agosto 1949, e relativamente alla Protezione delle
Vittime dei Conflitti Armati Non-internazionali (ProtocolloII):
“[...]le seguenti disposizioni saranno rispettate con un minimo di
riguardo per le persone private della loro libertà per ragioni
collegate al conflitto armato, se sono internate o detenute: (a) i
feriti e i malati saranno trattati secondo l’srticolo 7; (b) le persone
a cui fa riferiento questo paragrafo saranno, nella stessa misura della
poplazione civile locale, forniti di cibo e di acqua potabile e gli
sarà garantita protezione rispetto alla salute, all’igiene e alla
protezione contro i rigori del clima e i pericoli del conflitto
armato”; e Articolo 7 dell’ultima convenzione citata: “1. tutti
i feriti, i malati e i naufraghi, abbiano o no preso
parte al conflitto armato, saranno rispettati e protetti” e “2. In
ogni circostanza saranno trattati umanamente e riceveranno, nella
misura più ampiamente praticabile e con il minimo ritardo possibile, le
cure mediche e le attenzioni richieste dalle loro condizioni. Non ci
sarà distinzione tra loro per alcuna ragione se non per motive medici.”
Vedi http://www.unhchr.ch/html/menu3/b/94.htm.
[4] In
violazione all’articolo 50 della Convenzione di Ginevra relative alla
Protezione delle Persone Civili in tempo di Guerra: “ la
Potenza Occupante faciliterà, con la cooperazione delle
autorità nazionali e locali, il lavoro specifico delle istituzioni
preposte alla cura e all’educazione di bambini:” Vedi http://www.unhchr.ch/html/menu3/b/92.htm.
traduzione dall'inglrese a cura
di M. Del Biondo - Donne in Nero