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Fw: [marxiana] Superare (infine) il Novecento (o perlomeno cominciare a provarci)
- Subject: Fw: [marxiana] Superare (infine) il Novecento (o perlomeno cominciare a provarci)
- From: "Gennaro Scala" <gennarolasca at yahoo.it>
- Date: Wed, 28 Feb 2007 19:56:40 +0100
Superare (infine) il Novecento (o perlomeno cominciare a provarci) Gennaro ScalaPoiché da generazione a generazione mutano il contesto e i problemi da affrontare, l'innovazione è un elemento essenziale della teoria e della pratica politica. L'assenza di innovazione è essa stessa un problema di cui indagare le cause. Già la generazione del cosiddetto '68 (e in Italia) e del '77 aveva visto un notevole abbassamento del livello teorico e pratico, con notevoli "deviazioni" verso il ribellismo consolatorio alimentato dalla cultura di massa, ma nulla di paragonabile alla vera e propria afasia della generazione venuta dopo (a cui appartiene anche il sottoscritto). I motivi sono tanti, ma tra i principali includerei il fatto che è stata la prima generazione cresciuta integralmente sotto il dominio, devastante per la soggettività, dei mezzi di manipolazione di massa, nonché l'ampiezza della portata della sconfitta del primo tentativo di costruire una società che si proclamava alternativa a quella capitalistica.
A questa incapacità di innovazione attribuirei le grandi difficoltà attuali ad "uscire dal Novecento". Per le conseguenze che ne sono derivate paradigmatico è il caso di Rifondazione comunista. Rifondazione è stata una un colpo di coda del Novecento. Fu costruita da un gruppo di professionisti della politica, capeggiati da Cossutta, il principale referente nel PCI della burocrazia dello Unione Sovietica, i quali si avvidero che esisteva una notevole risorsa identitaria, traducibile in milioni di voti da sfruttare nel mercato della politica, lasciata fuori dalla precipitosa trasformazione del PCI da socialdemocrazia a partito della pura manipolazione del consenso. Il riferimento al "comunismo" era solo una risorsa identitaria, in quanto aveva una funzione di ideologia di appartenenza sganciata da un progetto politico reale. Era chiaro che con una rendita del genere era breve la sopravvivenza assicurata, per cui venne Bertinotti, l'innovatore. Tuttavia, come abbiamo visto, l' innovazione bertinottiana aveva nel suo codice genetico una Bolognina (dal luogo dove avvenne la trasformazione del Pci in Pds, e poi in Ds) fase due che prevedeva la piena "integrazione nel sistema dei partiti", cioè zero rappresentanza degli interessi sociali e manipolazione del consenso. Il corrispettivo teorico più adeguato è stato il libro di Marco Revelli "Oltre il novecento", che condannava in blocco il secolo scorso. Tale superbia verso i drammi delle generazioni del secolo precedente, che negava qualsiasi validità alle loro lotte, aveva come vero contenuto il rinnegamento del passato.
Una valutazione equa del "fallimento del comunismo" non ispirata dai due estremi del nostalgismo e del rinnegamento del passato sarebbe indispensabile. Per intanto si può dire che, la rivoluzione russa e cinese furono dei fallimenti se le si considera per quello che dicevano di essere, cioè delle rivoluzioni comuniste, ma sono state dei successi, è diventa ogni giorno più chiaro, considerato per quello che sono state realmente cioè delle rivoluzioni antimperialiste. Non è stata una cosa di poco conto l'aver spezzato una catena lunga mezzo millennio che aveva visto i popoli non occidentali oggetti passivi dell'imperialismo occidentale. Secondo la più classica eterogenesi dei fini, la lotta per il comunismo, che si presentava come primaria, era secondaria rispetto al reale obiettivo imposto dalla storia.
Rinnegare il passato è molto diverso dal superarlo. Chi rinnega il passato è condannato a ripeterlo, come dimostra la pratica politica di Rifondazione durante la recente crisi di politica in cui dopo averli dichiarati "fuori dalla comunità politica" (versione aggiornata degli staliniani "nemici del popolo") si è arrivati all'aggressione fisica verso i senatori che si era rifiutati di votare un programma che non prevedeva nessun uscita dell'Italia dal coinvolgimento presente e futuro nelle guerre promosse dagli Stati Uniti.
È assolutamente inefficace rispondere a tale deriva ormai irreversibile di Rifondazione con il nostalgismo verso i periodi migliori del comunismo. Spero che si giunga a percepire quanto sia ridicolo combattere le lotte attuali sotto la bandiera di Trotskij, Lenin, Luxemburg, Bordiga, Marx, o qualsiasi altro politico morto e sepolto che faccio da "riferimento" identitario. Marx in particolare fu il geniale creatore di un metodo innovativo di analisi della realtà sociale, ma non scrisse per alimentare la pigrizia delle generazioni future, alle quali, poi, sarebbe bastato semplicemente aprire Il Libro, per trovare tutte le risposte, secondo altri modelli di ideologie storiche chiamate religioni monoteistiche.
Non è una soluzione neanche lanciarsi nell'attivismo puro, nel "fare delle cose" senza metterci la testa. I "disobbedienti", frutto di questa crisi storica, hanno spesso attirato i giovani più capaci e combattivi e hanno portato avanti delle battaglie nobili, ma nessuno per quanto insoddisfatto di come vanno le cose, e che vorrebbe andare oltre la protesta, confiderebbe nei disobbedienti per cambiare la società. Qualunque persona ragionevole penserebbe che, in assenza di un progetto credibile, anzi in assenza di qualsiasi progetto di società diversa, le cose non potrebbero che andare di male in peggio (Questo vale per tutto il movimento no-global, cito i disobbedienti soltanto perché ne sono il prodotto più tipico). La "disobbedienza" è un'evoluzione della "contestazione". Quest'ultima, in quanto elemento centrale della prassi politica, era dipendente dall'oggetto da contestare. Ciò diventa lampante nella "Disobbedienza", la quale perderebbe la propria identità senza il padre cattivo (?) a cui disobbedire. Bisogna superare il Novecento, ma anche gli anni Sessanta e Settanta.
La ricostruzione di un progetto politico tocca a noi viventi, gli unici che possono farlo, e temo, ahimé, che di scarso aiuto ci possono essere quanti provengono dai movimenti degli anni sessanta e settanta. Per esperienza, sono giunto alla convinzione che costoro sono portati inevitabilmente a riproporre i modelli del passato.
Che fare? dunque, come recitava il titolo di un libro di grande politico e pensatore del passato, che riprendeva, a sua volta, quello di uno stupendo romanzo. Sono convinto che stiamo vivendo una grande fase di transizione in cui le contraddizioni di questo sistema che già si stanno manifestando diventeranno sempre più acute, e si riproporrà di nuovo la necessità di sostituire questo sistema con uno più umano e meno devastante dal punto di vista sociale e ambientale. La ricostruzione di un progetto di alternativa a questa società sarà un compito lungo e faticoso, intanto i problemi da affrontare subito non mancano, guerra, devastazione ambientale, impoverimento e precarizzazione. Ma bisogna cominciare a farlo, altrimenti quando una società comincia a degenerare, non si trasforma spontaneamente senza un intervento attivo e consapevole, ma piuttosto implode, come è già accaduto in altre epoche storiche.
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