La pace è fatica



La pace è fatica e lavorare per la pace non stanca Prodi e tutti quelli
che siedono accanto a codesto padre della patria.

Emergono dalla lettera di questo rappresentante del popolo italiano,
tutte le fatiche intraprese "da tempo" per non incrinare minimamente
il regolare corso degli eventi della grande famiglia italiana, maestra a
quanto pare nel  riconoscersi i meriti.

Negli ultimi due anni c'è stato un grande incremento nelle Poste
italiane. Abbiamo mandato migliaia di lettere a destra e sinistra, per
dire tutto il nostro scontento e scongiurare il male peggiore.
La posta prioritaria è diventata ordinaria, siamo passati alle mail,
siamo tornati alla lettera tradizionale.

Una gran donna, indignata e principesca, avvia la stagione della
"lettera" con un altolà al coniuge.

Movimenti e singole anime del movimento, si cimentano in denunce ed
appelli, sulle pagine dei giornali, ora di sinistra ora di destra. A
volte non basta una firma, a volte bisogna pagare: la pagina.
A volte non serve neanche quello, la lettera gira  come una trottola su
sè stessa e ritorna al mittente. La casella è piena.

Io francamente non so quando questa farsa è iniziata e quando avrà fine.
Ognuno di fatto può decretare di uscire da questo ignobile gioco
dell'oca della pace quando vuole.

Peccato che la vita nel quotidiano ci ripiglia interi e ci inzuppa in
questo fango. Oggi un'amica che non conosco mi chiedeva perchè non mi
aprivo un blog, lei sente di avere in comune con me delle cose. Anche un
amico mi invitava a fare lo stesso e si diceva pronto a darmi una mano.

Non ci penso a farlo per niente, non so cosa significa parlare scrivere
ed aspettare in un bell'angolino le risposte.
Per me scrivere è dialogare con chi legge, anche se so perfettamente che
pochi se la sentono di esporsi, per vari motivi...
Forse il mio modo di scrivere e pensare non è dei più tradizionalmente
politici e trend, ma io non riesco a cambiare, non sono più una ragazza
da tanti anni e voglio rimanere all'aperto, esporre ed espormi, essere
provocata  e provocare.
Giorni fa ho posto a questa rete delle domande in merito a Vicenza, le
risposte sono state poche e precise, venute dai soliti "noti".
Mi è arrivata però anche una stringata mail da una sconosciuta nuova
amica con un grande carico di allegati. Ha lavorato per anni al nord
sulle "servitù militari" dalla parte dei cittadini.
Mi ci è voluta una notte per leggere tutto, riflettere e ulteriori
notizie delle ultime ore mi stanno facendo comporre un'inquietante
puzzle dove il lavoro coraggioso onesto dimesso e costante è stato
*sommerso* da questi infaticabili costruttori di pace nazionale ed
internazionale, coadiuvati da quei ministri birichini che creano un po'
di suspence, al punto da temere che chi sa in quali mani torniamo e
quali eserciti ci invaderanno, altro che Vicenza!
Apprendo che Stefano Chiarini è morto, non si sa come, improvvisamente.
E' un amico in meno, uno che ha continuato a scrivere, a stare da una
parte senza tante mediazioni, uno che ci andava nei posti, non solo con
la penna e il blocchetto ma col cuore e col cervello.
Penso che questi signori tutti al governo ci vogliano far smarrire
entrambi: ragione e sentimento.
 Un domani , molto vicino, potranno studiare in laboratorio la nostra
capacità di resistenza a tanta  bieca oppressione.
Scusatemi se ho invaso anche il 4 febbraio. Domenica è sempre domenica.

Doriana Goracci

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LA LETTERA. Il presidente del Consiglio risponde
al mondo pacifista sconcertato dal "sì" alla base di Vicenza
"La pace è fatica ecco i miei risultati"
di ROMANO PRODI


Il presidente del Consiglio Romano Prodi
CARO Direttore, nel programma dell'Unione è scritto a chiare lettere che
avremmo scelto di "mettere la vocazione di pace del popolo italiano (e
l'art. 11 della Costituzione) al centro delle nostre scelte di politica
estera e di sicurezza".

Gli avvenimenti di questi giorni mi hanno spinto ad un esame delle azioni
e delle decisioni prese dal governo in questa materia, proprio alla luce
di questi obiettivi così chiari, semplici e condivisi. Credo che questo
esame possa anche interessare ai Suoi lettori, soprattutto a coloro che
hanno più sensibilità per i valori della pace e della solidarietà
internazionale. Per questo voglio attenermi strettamente ai fatti
compiuti in otto mesi di governo, con una azione intensa, una attività
(non un attivismo!) internazionale che ha visto il ministro degli Esteri
D'Alema e il sottoscritto impegnati in un lavoro di tessitura e,
spesso, di ricucitura di tutte le relazioni con i nostri partner.
In primo luogo, come ci eravamo impegnati nel programma, sono rientrate
le nostre truppe dall'Iraq.

Perché - come avevamo sempre sostenuto - ritenevamo l'intervento in
questo Paese frutto di una scelta politica unilaterale, in netta
contraddizione con quello spirito di multilateralità e di ampia
condivisione che ispira la nostra politica. Le nostre truppe, ci tengo a
sottolinearlo, sono rientrate senza tensioni, avendo anche lasciato un
contributo concreto agli sforzi di ricostruzione della società civile
irachena.

Nello stesso tempo abbiamo attivamente contribuito a porre termine
all'"Enduring freedom" in Afghanistan, rimanendo in quel paese solo
nei limiti e con le regole poste dalle Nazioni Unite. E possiamo
affermare che oggi non siamo in nessuna azione militare all'estero che
non sia appoggiata dalle Nazioni Unite. Una scelta "multilaterale"
intesa (per ripetere le parole del programma) come "condivisione di
decisioni e costruzione di regole comuni".


E credo che tutti ricordino che, nel corso della scorsa estate, è stata
proprio l'Italia a prendere coraggiosamente l'iniziativa raggruppando
prima i paesi dell'Unione Europea e poi una più ampia coalizione
internazionale (che oggi può contare sulla presenza politicamente molto
significativa di truppe cinesi, indiane, turche, ghanesi o anche di
paesi come l'Indonesia, il Qatar e la Malesia,) per porre fine alla
guerra fra Israele e il Libano.

E vorrei ricordare che, mentre nelle settimane precedenti l'intervento
vi erano stati in Libano quasi 1500 morti, nessun incidente si è più
verificato nell'area di conflitto da quando sono sbarcate le nostre
truppe. Non è forse questa un'azione di costruzione attiva della pace?

Nello stesso tempo, abbiamo concordato con gli Stati Uniti, la chiusura
della base militare della Maddalena che, con i suoi sottomarini
nucleari, aveva causato non poche tensioni e molte paure alla
popolazione circostante.

E per il successo di queste iniziative dobbiamo rendere atto all'operato
del Ministro della Difesa, Arturo Parisi.
La pace, tuttavia, non si difende solo agendo nel campo militare, ma
anche con una politica di solidarietà verso i paesi più poveri.

E, pur con i problemi di bilancio di una Finanziaria che doveva
aggiustare il dissestato bilancio dello Stato, abbiamo voluto dedicare
oltre 600 milioni di euro alla cooperazione allo sviluppo e fare fronte
agli impegni internazionali assunti, ma non assolti dal passato Governo,
riguardo al fondo globale per la lotta all'Aids, tubercolosi e malaria
(global health fund) per altri 260 milioni di euro.

E la mia partecipazione, unico primo ministro dell'Unione Europea, al
recente vertice dei Paesi dell'Unione Africana di Adis Abeba, sta a
testimoniare la nuova e forte spinta che il nostro governo vuole dare
nel senso di una politica di rinnovata attenzione alle drammatiche
tematiche che questo continente propone al contesto internazionale,
chiedendo interventi decisi e soluzioni forti.

Così, ad esempio, abbiamo già preso assieme ad altri paesi, una nuova
iniziativa sulla fornitura di vaccini alle popolazioni più povere,
soprattutto dell'Africa. Questo continente è per noi il senso della
pace.
La pace è tuttavia anche affermazione di diritti: ed è l'Italia che di
nuovo ha preso l'iniziativa per la moratoria della pena di morte,
un'iniziativa che trova adesioni sempre più numerose anche presso Paesi
che erano in precedenza recalcitranti ad appoggiare questo ulteriore
progresso di umanità e di civiltà.

E la difesa dei diritti costituirà anche l'obiettivo di una legge sul
diritto d'asilo e sull'immigrazione, che sarà presto varata dal
governo.
Ed è sempre la costruzione della pace che ha spinto ad un intenso lavoro
diplomatico per preparare la conferenza dedicata a chiudere i conflitti
in Afghanistan e in Somalia.

Non si tratta di azioni tra di loro isolate ma, finalmente, di un disegno
forte ed organico, che ha molto contribuito ad un riorientamento di
tutta la politica europea. Lo abbiamo fatto sempre in un quadro
multilaterale nel rispetto dei valori condivisi sui quali si fonda la
nuova politica italiana.

Voglio ribadire ancora una volta che questi valori condivisi non si
possono difendere da soli, ma in cooperazione con le organizzazioni
internazionali sulle quali è basata la nostra politica estera: le
Nazioni Unite, l'Unione Europea e l'Alleanza Atlantica.
In otto mesi di governo abbiamo quindi dato un contributo nuovo e
organico alla costruzione della pace. Giorno dopo giorno.

Lo abbiamo fatto in tutte le direzioni in cui questo compito si articola,
lo abbiamo portato avanti con intelligenza e con generosità e siamo
stati accompagnati dall'appoggio e dalla stima di tutti i nostri
alleati. Ai quali abbiamo risposto e risponderemo anche in futuro con
lealtà e con spirito di cooperazione.

Dicendo i nostri sì e i nostri no, non in ragione di scelte affrettate o
dettate da pur legittimi problemi locali o momentanei, ma solo ed
esclusivamente in coerenza con una linea politica precisa e ben
definita. La linea che descrive un percorso verso la pace, un percorso
per spegnere, uno ad uno, i troppi focolai di guerra che negli ultimi
anni sono andati moltiplicandosi. Ed è in questo contesto di dialogo con
gli alleati che si deve inquadrare, leggere e interpretare il tema delle
basi militari.

Questa è la via della pace, questa è la fatica della pace: azioni
concrete e non declamazioni retoriche.