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da Jasmina Tesanovic: un processo per crimini di guerra
- Subject: da Jasmina Tesanovic: un processo per crimini di guerra
- From: "Doriana Goracci" <doriana at inventati.org>
- Date: Mon, 15 Jan 2007 17:54:25 +0000
- Bounce-to: "Doriana Goracci" <doriana at inventati.org>
3, 4 Ottobre 2006, Belgrado (processo del Fiume Prosciugato) DOVE SONO I VOSTRI AMERICANI ORA? Blog di Jasmina Tesanovic - http://blog.b92.net/blog/22 Oggi, nel tribunale speciale per crimini di guerra, a Belgrado, 8 poliziotti paramilitari sono stati accusati di tortura, assassinio, saccheggio e dispersione della popolazione civile albanese nel marzo del ‘99, quando sono cominciati i bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia di Milosevic. Questo processo specifico concerne 48 membri della famiglia Berisha, giustiziati in poche ore in un villaggio chiamato Fiume Prosciugato. I morti comprendono donne, bambini, vecchi: dai neonati ad una nonna di 100 anni. Fiume Prosciugato è sanguinante e pieno di lacrime. 8 dei 10 accusati (2 sono morti nel frattempo) sono seduti in aula di fronte a noi. Hanno un’aria così normale e ordinaria che, in confronto a loro, i loro avvocati sembrano dei mostri. Sono uomini, con una giovane bionda ricciuta, con una camicetta come la mia. Stamattina, ci ho pensato due volte prima di vestirmi per essere ammessa nell’aula delle udienze. I miei vestiti semplicemente non si adattano a questo paese e alla sua cupa storia; quel che ho potuto trovare di meglio è stata una T-shirt nera con la parola inglese REVOLUTION scritta a grandi lettere rosa luminose. Uno degli avvocati assomiglia a Albert Einstein e l’altro a Seselj, l’orrendo bastardo incriminato per crimini di guerra ed ora incarcerato all’Aya. Il principale avvocato della difesa, che ha presieduto come giudice di Milosevic i processi contro molti Albanesi imprigionati, assomiglia a un prete e si comporta come se fosse Dio. Egli tenta di ricusare il giudice e di buttare fuori dal tribunale Natasa Kandic, che rappresenta le vittime. Questa tattica è una forma di ostruzionismo legale deliberata, e così aspettiamo tutta la mattina che i 3 giudici che presiedano trovino una via nella giungla legale. Mentre noi aspettiamo nel fumoir, due cameriere commentano un altro orribile massacro, di cui sono a conoscenza perché i corpi sono stati trasportati in un camion frigorifero e bruciati nella periferia di Belgrado. Sono costernate ma devono parlare a bassa voce. Il mio idolo gay, Milos, che recentemente ha osato presentare pubblicamente le sue scuse a degli Albanesi per la perdita di bambini albanesi non nati, ha fatto amicizia con un giovane Albanese, studente di diritto, molto carino.… Le mie amiche stanno circondando un Albanese slanciato incredibilmente bello, le cui 4 sorelle e la madre sono state ammazzate. Assomiglia a un attore del cinema e sorride senza sosta. Mi fa paura, è troppo bello e gentile ed è a Belgrado. Al suo posto, io ora sarei una bestia. Mi sento dolorosamente colpevole e so che la vita continua, ma egli dice: eravamo una famiglia molto gioiosa, che danzava e faceva musica, ora raccontiamo ai nostri figli le storie del passato. Qui in Serbia noi continuiamo a creare ostacoli alla giustizia e raccontiamo menzogne ai nostri figli sulla nostra storia. Nella hall del tribunale, chiacchieriamo come ad un cocktail party. Noto una donna vestita alla moda: mi saluta seriamente. Mio Dio, riconosco la donna del parco dove ho passato anni con la mia bambina. Lei era una giudice. Suo marito era il principale legislatore per lo stato criminale di Milosevic. Ora è qui al tribunale come assistente per i criminali e i loro avvocati. Mi ricordo che sua figlia, dell’età della mia, veniva in classe con graziosi vestiti, portata da un autista, mentre altri bambini svenivano per la fame. Mi ricordo che la maestra le ha chiesto gentilmente di smettere questa pratica perché sua figlia era talmente detestata dagli altri bambini. Mi ricordo che provavo pietà per questa bambina che vedevo come un’innocente su cui pesava l’immoralità dei suoi genitori. Ora mi chiedo: perché questa donna frequenta ancora sempre i tribunali serbi? E’ questa la democrazia, è questa la riconciliazione della verità e della giustizia? Il primo accusato si dichiara NON COLPEVOLE, dicendo che egli aspettava la promozione a generale ed invece è stato arrestato, 11 mesi fa. Ha già ricevuto molte medaglie e la sua famiglia ha versato sangue per lo stato durante la Seconda guerra mondiale. Racconta dunque la sua versione della storia: gli Albanesi erano contro i Serbi, e la NATO, in nome di tutto il mondo, era anche contro i Serbi. Egli ha dunque combattuto contro tutto il mondo. Nell’atto d’accusa, si cita uno dei soldati che avrebbe detto ammazzando gli Albanesi « E DOVE SONO I VOSTRI AMERICANI ORA PER DIFENDERVI?». Ora, essi sono in Irak, ma hanno provato a difendere gli Albanesi durante gli anni di Clinton. Gli Americani non potevano certo proteggerli tutti, e solo ora, anni dopo, i massacrati del Kosovo ricevono il loro stato come ricompensa. E’ una perdita traumatizzante per la Serbia nazionalista. L’accusato dice con fierezza: Tutto è pubblico ora, com’era allora. Noi abbiamo combattuto in una guerra giusta e non abbiamo mai toccato un civile. I nostri ordini erano: meglio morire che fare del male a un civile. Come può, in nome del cielo, quest’uomo dire cose simili dopo l’apertura delle fosse comuni? E ugualmente mi meraviglio: come può il Congresso americano votare per la legalizzazione della tortura e per porre i soldati americani al di sopra dei civili? Stanno semplicemente legalizzando una serie di torture e crimini da infliggere agli Americani e al popolo americano. Il generale fallito descrive con fierezza i dettagli alla moda della sua uniforme di guardia paramilitare, della sua tasca anti-proiettili, del suo elegante berretto… Dice: voglio raccontarvi chi sono io in realtà. Noi ci annoiamo a morte, oltre al disgusto per la sua dichiarazione estremamente piatta. Sono questi i tipi che dirigono ancora il mio paese e rovinano la mia vita? Lui parla come Milosevic ed è fiero del suo leader morto e del suo stato fantasma. Il fenomeno dei cloni di Milosevic in tutta la Serbia batte la mania di Napoleone. Gli altri poliziotti in tribunale, che custodiscono gli 8 accusati, hanno un sorriso acido sul volto, ascoltando questi vaneggiamenti. Il nostro quasi generale rivendica con fierezza come le sue truppe organizzate dallo stato all’inizio degli anni ‘90 fossero anche incaricate di reprimere le manifestazioni di civili a Belgrado. A quell’epoca, noi manifestanti non sapevamo che i poliziotti che ci picchiavano venivano dal Sud, dai rifugiati serbi del Kosovo, molto ben pagati e addestrati a uccidere. Sono tutti più giovani di me, ma dimostrano il doppio dei loro anni. Il crimine non va bene per il look in uniforme. Il bell’Albanese mi dice: se qualcosa salverà la Serbia, saranno queste donne giudici. Sì, quasi tutte le donne in questi processi politici sembrano giovani e piuttosto carine. Da dove vengono, mi chiedo? Esse stanno tentando di provare che si trattava di un crimine di guerra organizzato dallo stato, e che il marciume è sempre qui perché la Serbia non è mai riuscita a dare un taglio netto al suo passato criminale. Ho sperato che queste altre donne sapessero cosa stavano facendo, perché io stessa ero pronta a dileguarmi. E così, ho lasciato il tribunale per andare a prendere una birra. 3 ottobre 2006 Quando si arriva alla sua fierezza e ai compiti che l’hanno ridotto in manette invece del rango di generale, il primo colonnello accusato nel processo di Fiume Prosciugato non parla mai della «Serbia» ma piuttosto della Jugoslavia. Slobodan Milosevic, suo capo, aveva cominciato a infastidire il Kosovo dichiarando ad un raduno, «nessuno picchierà dei Serbi qui». La Jugoslavia ha perso tutte le sue guerre su questo stesso campo di battaglia, ed è stata ridotta a nient’altro che un nome. Quando gli 8 accusati entrano di nuovo in aula, noi ci sediamo di nuovo a fianco della famiglia delle vittime. Uno degli uccisori sorride e saluta con la testa un membro della famiglia. Sono stupefatta, chiedo attorno a me: l’ha fatto apposta, l’ha fatto spontaneamente? Perché? L’uomo che ha risposto al saluto, che ha avuto 48 membri della sua famiglia uccisi da questo tipo, dice: eravamo vicini. Ci conoscevamo da anni. Per tutti questi anni hanno vissuto fianco a fianco, talvolta anche insieme, e poi Milosevic, inventando uno slogan, fa che un uomo uccida tutta la famiglia del suo vicino. Mi sfugge qualcosa? Il primo accusato termina il suo interrogatorio oggi: ripete fermamente e solennemente: ha sentito alla TV satellitare e da Boris Eltsin che i banditi della NATO stavano per bombardare il Kosovo serbo. E’ quel che sa della guerra: non ha mai visto alcun Albanese profugo né le lunghe file di persone che si trascinavano oltre le frontiere, terrorizzate dalla polizia serba, che egli stesso comandava. Non ha mai dato questo ordine, la sentenza di morte, per la quale è accusato qui in questo tribunale: bruciate, saccheggiate, picchiateli e uccideteli…Cos’aspettate, che io lo faccia? Egli scende dal banco con un atteggiamento più eloquente del suo discorso per difendersi. Non ha mai menzionato il nome di Milosevic, nemmeno una volta. I suoi avvocati si accapigliano con l’accusatore generale: la temperatura sale e il processo diventa un campo di battaglia dove le ferite e le passioni sono personali e pericolose. Come questi giorni brucianti in Serbia, quando il parlamento vuol far passare una nuova costituzione per i «Serbi» e «altri che vivono in Serbia» incluso il Kosovo. Il secondo accusato era il comandante della polizia locale. E’ direttamente accusato di aver dato gli ordini di eseguire la sentenza citata prima. Queste le prime parole: io credo in questo tribunale e nella sua giustizia, che non sarà politica; attendo un verdetto rapido e chiaro sulla mia innocenza. Tutto quel che ho fatto in quei giorni è scritto come un rapporto, un diario. Mentre ascolto, sono colpita dal fatto che a quell’epoca, anch’io scrivevo il mio «diario di un’idiota politica» iniziato quando le prime sommosse sono cominciate in Kosovo. Lui ed io, scrivevamo dei diari paralleli. Lui dichiara di non sapere niente dei massacri che si svolgevano nel suo villaggio, vicino alla stazione di polizia che dipendeva da lui. Dichiara di conoscere l’ex-sindaco della città e altri membri della sua famiglia. Dice che i massacri sono stati commessi da qualche pazzo, ora morto, che lui non se n’è immischiato e che tutto è scritto nel suo diario che ha trasmesso ai suoi superiori quando tutto è finito. Il mio «Diario» è stato pubblicato in molte lingue, ma il suo è ancora top secret in questo paese dove il Generale Mladic si nasconde ancora, forse nella mia stessa via. Il capo della polizia locale ammette di aver raccolto i corpi e di averli sepolti - come si deve con tutti gli onori. Ammette di aver trascurato il suo lavoro, poiché non ha mai chiesto quanti corpi erano stati sepolti in fosse comuni, ma nega di aver mai commesso un crimine. Il membro della famiglia seduto accanto a me geme pesantemente. 4 ottobre 2006 Mi piace sempre quando delle persone in questo tribunale pronunciano una frase che mi fornisce il titolo per il mio testo. Questo cancella il fastidio di stare seduta in quest’aula polverosa ad ascoltare i dettagli di orribili crimini, a sopportare l’audacia disgustosa delle menzogne lampanti degli accusati, che ridicolizzano la nostra presenza in questo mondo e nel loro, un mondo dove delle persone uccidono per divertirsi e non si pentono mai. Questi poliziotti serbi del Kosovo lo rifarebbero, forse con più vigore, anche se non glielo ordinano. Il loro unico rimpianto è di non aver fatto di più e meglio. Che il loro regime abbia perduto la guerra. Hanno dovuto fuggire invece di uccidere tutti gli Albanesi. Come il 10% della popolazione del Kosovo, hanno dovuto abbandonare le loro proprietà alla maggioranza del 90%. Erano ortodossi e serbi, la razza superiore, nel loro paese sacro, vivendo in un’aggressione paranoica senza fine da secoli. Il terzo ex-poliziotto accusato ha detto oggi: «Lui non era NIENTE. Proprio come una donna». Alludeva al suo collega, un giovane «infantile e individuo tenero» (parole sue) che è il testimone protetto di questo processo, che li ha denunciati, che non poteva continuare a vivere con questo crimine sulla coscienza. Nel corridoio, ho sentito un avvocato dire a sua moglie, battendole sulla spalla: piano piano, distruggeremo la credibilità dei testimoni. Lei ha sorriso, rassicurata: mi chiedo se lei, come donna, ha realizzato di non essere niente? Altri parenti in aula non riescono a tenere a freno il loro odio quando Natasa Kandic, questa eroina dei nostri giorni bui, interroga il testimone e lo fa balbettare e sembrare stupido. Natasa gli pone semplicemente domande di buon senso. Lei non è nemmeno un’avvocata, è una militante dei diritti umani. Questi tipi non hanno bisogno della legge per essere accusati. Loro e i loro parenti sembrano poveri e ignoranti. Sono stati ridotti ad essere miserabili profughi criminali da un regime criminale che ha fatto guerra a tutto il mondo. E tuttavia loro lo rifarebbero, soprattutto oggi, perché ora non hanno niente da perdere né un posto dove andare. Tutto il mondo dovrebbe tremare davanti a loro e averne paura. Il padre di una ragazza assassinata è qui: silenzioso, fiero, un signore dai capelli bianchi con un abito scuro. Mi meraviglio della sua pazienza e del suo atteggiamento posato. L’accusato lo saluta – di nuovo, come una provocazione. L’arroganza della falsità evidente ci uccide tutti in quest’aula: menzogne ben preparate, ben organizzate avallate da un gruppi di avvocati rumorosi. Il tipo oggi afferma che non era là, che non sapeva niente, che non ha visto niente… allora CHE DIRE DEI CORPI nel piccolo villaggio dove viveva e lavorava come capo aggiunto della polizia? Una casa piena di persone è stata incendiata davanti a lui. Lui non se n’è accorto, afferma, parlando con molti dettagli della sua giornata piena, di quel che ha mangiato, dei pensieri banali che aveva avuto. Tutto ciò nei primi giorni dei bombardamenti massicci sul Kosovo, di cui tutti noi ricordiamo molto poco tranne il panico negli occhi di ciascuno. Lui comincia il suo discorso dichiarando: come genitore, giuro sulla vita dei miei figli che non ho avuto niente a che fare con il crimine. Dopo ciò sono tentata tutto il tempo di credergli fin quando realizzo che lui non smette di parlare di un giorno sbagliato, citando ore sbagliate, saltando leggermente in pochi secondi il momento del massacro, come se non ci fosse mai stato. Il suo trauma, in quel giorno sinistro, veniva dal fatto che il suo comandante l’aveva rimproverato. Lo stesso comandante che, solo due giorni fa, aveva detto al tribunale che egli non era affatto là. Anche il comandante infatti non aveva visto niente e niente ha fatto durante il massacro che non c’è mai stato. Quando Natasa ci ricorda i corpi pazientemente trasportati in Serbia, uno dei giudici perde la pazienza, dicendo: non posso proprio comprendere come osate testimoniare così! La giudice che presiede replica: Si tratta sempre di una difesa legale. Non si è mai fatto ricorso a forze speciali in Kosovo, afferma l’accusato n.4, tranne per assicurare la sicurezza di una star del turbofolk in Kosovo. E questa star cantante era un piccolo niente di donna – non era nemmeno Ceca, la compagna di Arkan, il Signore della guerra delle Tigri e l’eminenza degli Skorpion.
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