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UN ALTRO MEDIORIENTE E' POSSIBILE

 

Creare una Comunità Economica Mediorientale tra Israele e i suoi cinque paesi confinanti: Egitto, Giordania, Palestina, Siria e Libano. La road map e la ricetta dei "due popoli-due stati" sono inattuabili: a lungo termine si dovrà costruire un unico stato confederale con due cantoni palestinesi a maggioranza araba nell'attuale Israele e due cantoni ebraici in West Bank attorno ai due maggiori insediamenti israeliani. E Gerusalemme capitale condivisa. Questa è la sola soluzione del conflitto mediorientale che a lungo termine garantisca pace e stabilità nella regione. A sostenerlo è Johan Galtung, fondatore dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace (PRIO) di Oslo, esperto in risoluzione dei conflitti e mediatore per le Nazioni Unite nelle zone calde del pianeta. In una serie di conferenze e dibattiti a Tel Aviv e a Ramallah, Galtung ha recentemente esposto ai diretti interessati questa sua originale proposta per la soluzione del conflitto. All'innalzamento di barriere, oppone l'abbattimento della sovranità degli stati e la creazione di spazi comuni di tipo autonomo e federale, a sovranità condivisa. Cerchiamo di capire in profondità di cosa si tratta.

 

La proposta di Galtung si basa per prima cosa su un'attenta analisi dell'attuale situazione in Medioriente, dominata dalle tre C: crisi (la guerra), complessità (il retroterra politico e religioso) e consenso (che entrambe le leadership devono ricercare). Sul versante israeliano come su quello palestinese, si possono identificare inoltre tre correnti culturali che cercano di ottenere l'egemonia sulle altre. In Israele:

1) Il "sionismo forte", che, nella versione teorizzata da Jabotinsky, vuole una Israele allargata e religiosa e sostiene nei paesi arabi confinanti (e persino nell'ANP di Abu Mazen) dei regimi fantoccio, permeabili al controllo israeliano.

2) Il "sionismo debole", che sostiene l'idea di Sion come casa di tutti gli ebrei. Non uno Stato etnico, bensì il riconoscimento paritario di tutte le varie popolazioni.

3) Il "sistema statale", che si basa su uno stato democratico privo di connotazioni etniche o religiose.

Sul versante palestinese, le principali correnti sono:

1) Il "fondamentalismo coranico", che vuole la creazione di un califfato islamico su tutto il territorio dal fiume giordano al mare.

2) Il "modello Ottomano", che prevede la convivenza delle varie popolazioni fianco a fianco.

3) Il "sistema statale", analogo alla sua versione israeliana.

Il confronto tra queste diverse opzioni culturali si articola in nove possibili combinazioni, che hanno segnato gli ultimi sessant'anni di storia mediorientale. Ne possiamo citare alcune. Il sionismo forte e il fondamentalismo islamico si alimentano a vicenda in una spirale di guerra permanente. Il sionismo debole, se confrontato col fondamentalismo coranico, evolverà in uno stato a maggioranza ebraica, in cui i palestinesi sono cittadini di seconda classe. Quando si trovano a dialogare le due anime del "sistema statale", si dà allora la possibilità della soluzione dei due stati, attualmente rappresentata nella road map. Questa prospettiva si basa su varie risoluzioni dell'Onu e sulla proposta di pace della Lega Araba. Tuttavia, da parte israeliana, questa proposta non riscontra alcun consenso. Lo sproporzionato rapporto di forza tra lo stato israeliano e la resistenza palestinese rende inappetibile questa soluzione alla leadership sionista israeliana, che sul campo perderebbe il proprio vantaggio. Un passo essenziale che Israele deve compiere a lungo termine, se vuole stabilizzare e pacificare la regione, è l'evoluzione verso uno stato plurietnico, ovvero riconoscere eguali diritti alle proprie minoranze. Altrimenti, non è chiaro fino a quando la minoranza di arabi-israeliani potrà continuare a subire la discriminazione, prima di esplodere come e peggio che nei tumulti del 2000, contemporanei allo scoppio della Intifada di Al Aqsa. Recentemente, si sta assistendo ad una nuova e forte presa di coscienza della comunità palestinese in Israele, che chiede a gran voce il riconoscimento dei diritti. Tuttavia, questo processo richiederà molto tempo. Al mondo ci sono soltanto quattro esempi di paesi plurietnici, in cui tutte le minoranze godono di pari diritti: India, Malesia, Belgio e Svizzera; ed è noto in questi casi quanto ci sia voluto per raggiungere il traguardo. A breve termine, dunque, ci si dovrà accontentare di uno stato ebraico di tipo etnico: il suo problema sarà dunque avere dei confini sicuri. Ma la sicurezza può venire soltanto dalla pace.

 

Alla luce di questa analisi, entra in gioco la proposta di Galtung di una Comunità Economica Mediorientale, mutuata per analogia dalla geniale intuizione di Schumann della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio del 1951. Galtung ama ripetere agli israeliani "Studiate la storia della giovane Comunità Europea, potreste leggere il futuro dello stato d'Israele." Nell'Europa del secondo dopoguerra, infatti, il modo efficace per fermare le mire espansionistiche tedesche e assicurare pace al continente fu quello di creare una confederazione di stati e inglobare la Germania all'interno di un soggetto più ampio. Negli anni sessanta, prima della creazione della CEE nel 1968, la secolare idea della superiorità della nazione tedesca capitolò definitivamente, per dissolversi nello spazio del mercato comune. L'idea della CEE, inizialmente dileggiata come una impraticabile utopia, si è rivelata una formidabile ricetta per garantire pace e stabilità al continente.

 

La soluzione delle tensioni in Medioriente, dunque, potrebbe essere la creazione di una entità sopranazionale di tipo orizzontale tra i sei stati confinanti. Il primo passo è la creazione di uno Stato federale israelo-palestinese. La soluzione "due popoli-due stati", come abbiamo già visto, sembra irrealizzabile. Intanto poiché l'idea di Stato-Nazione moderno è ormai obsoleta e in progressiva estinzione. In secondo luogo, perché la realtà sul campo rende impossibile tale scenario: una grande minoranza palestinese in Israele e circa mezzo milione di coloni israeliani insediati oltre la Linea Verde. In una soluzione federale, le due minoranze godrebbero di larghe autonomie, all'interno dello stesso territorio, con due cantoni ebraici in Palestina e due cantoni arabi in Israele. Gerusalemme diventerebbe la capitale federale, una città amministrata in comune su base internazionale e con libertà di movimento al proprio interno. Sarà necessaria in un primo tempo una massiccia presenza di truppe internazionali per garantire la sicurezza di entrambi i fronti. Un secondo passo sarebbe la formazione di due entità sopranazionali sull'esempio del Benelux: da una parte Israele, Giordania e Palestina, dall'altra Egitto, Siria, Libano, entrambi i blocchi naturalmente più affini per la loro storia recente. Naturalmente, si tratta di un processo graduale, proprio come i trattati economici graduali del secondo dopoguerra europeo, dato che i paesi arabi si sentono ora fortemente minacciati da Israele. Si arriverebbe infine ad una situazione ibrida, in cui ai vari sistemi statali nazionali, controllati dai rispettivi governi, si affiancherebbe un sistema funzionale, simile alla commissione europea, che regola la cooperazione tra i vari soggetti, su base paritaria. Da questo punto di vista, la soluzione intermedia "due popoli-due stati" sarebbe controproducente, perché per arrivarci si creerebbero enormi tensioni tra le rispettive minoranze.

 

Questa la proposta di Johan Galtung, che racconta di essere stato l'artefice di un recente successo importantissimo, anche se passato sotto silenzio, la mediazione tra il governo danese e la comunità islamica sulla questione delle vignette di Maometto nel Febbraio scorso. In quel caso, il successo della mediazione si è basato su tre punti. Il riconoscimento del proprio errore da parte del governo danese, "Molto diverso dal chiedere scusa," afferma Galtung, "perché chiedendo scusa si giustifica la rabbia dell'altro." In secondo luogo, le due parti sono entrate nei dettagli di cosa rappresentasse un riconoscimento adeguato dell'errore, dando il via al negoziato e alla riconciliazione. In terzo luogo, discutendo le prospettive per la soluzione dei problemi della minoranza musulmana in Danimarca si completa il processo di riconciliazione. Galtung suggerisce di utilizzare lo stesso schema risolutivo nel caso del conflitto israelo-palestinese. Come primo passo, Israele deve riconoscere ufficialmente la Naqbah palestinese, cioè i massacri e la deportazione dei palestinesi che hanno portato all'insediamento dello stato ebraico. Questo riconoscimento rappresenterebbe già un grande passo nella soluzione del problema dei profughi palestinesi, che a quel punto potrebbe essere contrattato nei dettagli. Un altro esempio di questo approccio costruttivo alla soluzione dei conflitti, secondo Galtung, è la linea politica di Zapatero in Spagna dopo la strage di Madrid del 2004. Invece di bombardare seduta stante Rabat, "o magari i suoi quartieri meridionali...", ironizza Galtung pensando alla Beirut distrutta nelle recente guerra, la Spagna decide di ritirare le truppe dall'Iraq, per evitare di essere percepita come potenza occupante, regolarizza 500.000 immigrati clandestini, per lo più marocchini, e riconosce ufficialmente la responsabilità spagnola della cacciata dei musulmani dalla penisola nel quindicesimo secolo. Risultato: non si è più parlato di terrorismo islamico in Spagna.

 

Galtung lascia il Medioriente con un pensiero di speranza: citando Desmond Tutu, "se è riuscito il miracolo di risolvere l'apartheid in Sudafrica, allora anche il conflitto mediorientale può essere risolto. A volte i miracoli accadono." L'idea giusta può indicare la via e creare una speranza che si autoalimenta. In fondo questo è il mestiere in cui si riconosce Johan Galtung: "I create some scenario and hang it on the wall, hoping that it is so attractive that it just says: Do me!." (Io creo qualche scenario e lo appendo al muro, sperando che sia così attraente da dire: usami! ndr)

 

Gerusalemme, 13.12.06