il ritornello «due popoli, due Stati» - patetica illusione o crudele impostura - danilo zolo - il manifesto, 7 dicembre 2006 (4)
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- Date: Fri, 8 Dec 2006 21:23:31 +0100
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Ma è ancora possibile uno Stato palestinese? di Danilo Zolo Il manifesto, 7 dicembre 2006 (Danilo Zolo insegna filosofia del
diritto e filosofia del diritto internazionale all’Università di Firenze)
Nei primi anni sessanta ho avuto la fortuna di
incontrare a Firenze e di intervistare Martin Buber, uno dei più importanti
filosofi europei del secolo scorso. Ebreo, di orientamento esistenzialista e
socialista, era considerato il padre spirituale del nuovo Stato ebraico. La sua
figura ieratica e il portamento austero incutevano il rispetto che si deve a un
grande pensatore, carico di anni e di saggezza. Buber dissentiva dall’ideologia
sionista, poiché sosteneva che il ritorno del popolo ebraico nella «Terra
promessa» non doveva portare alla costruzione di uno Stato etnico-religioso
riservato agli ebrei. La patria ebraica doveva essere uno spazio aperto
anche al popolo palestinese. La convivenza pacifica fra ebrei e arabi non si
sarebbe mai ottenuta creando uno Stato confessionale che costringesse i nativi
ad abbandonare le loro terre. La pace non sarebbe stata garantita, sosteneva
Buber, neppure attraverso la formazione di due Stati, uno ebraico ed uno
islamico, come le Nazioni Unite avevano infelicemente raccomandato nel 1947. La
via della pace passava attraverso un rapporto di cooperazione federale fra i
due popoli, su basi paritarie, all'interno di una struttura politica unitaria.
Per raggiungere questa meta occorreva che gli ebrei emigrati in terra palestinese
si sentissero semiti fra i semiti e non i rappresentanti di una cultura diversa
e superiore, secondo i moduli del colonialismo europeo. Martin Buber, nonostante la sua autorità, non trovò
ascolto presso i leader sionisti. Menachem Begin, Chaim Weizman, Ben Gurion
sostenevano che il compito degli ebrei era ricostruire dalle fondamenta e
modemizzare un territorio semideserto e arretrato. Lo stato ebraico avrebbe
dovuto escludere ogni relazione, se non di carattere subordinato e servile, con
la popolazione autoctona. Ed è in nome di questa logica
coloniale che nel 1948 iniziò l'esodo forzato di grandi masse di palestinesi -
non meno di settecentomila - grazie soprattutto al terrorismo praticato da
organizzazioni sioniste come la Banda Stern e l'Irgun Zwai Leumi, celebre per
aver raso al suolo il villaggio di Deir Yassin e sterminato i suoi 300
abitanti. Prese avvio così quella che oggi un
autorevole studioso israeliano - lo storico llan Pappe - chiama “la
pulizia etnica del 1948». Secondo Pappe la pulizia etnica,
varata nel marzo del 1948 con il Piano Dalet, non si è più fermata. La situazione attuale vede ormai l'intero popolo
palestinese disperso, oppresso, umiliato, ridotto in povertà e fatto oggetto di
una violenza spietata. In Israele la pulizia etnica è diventata una ideologia
di Stato poiché è il credo sionista che lo impone. Se già alla fine del 1948
Israele occupava gran parte della Palestina mandataria, oggi la occupa al 100%
dopo aver invaso militarmente e colonizzato quell'esiguo 22% che era rimasto ai
palestinesi. L'epurazione etnica è stata via via accompagnata dalla
demolizione di migliaia di case, dall'intrusione di imponenti strutture urbane
nell'area della Gerusalemme araba, dall'abbattimento di centinaia di migliaia
di olivi e di alberi da frutta. E in parallelo è continuata l'espansione degli
insediamenti'ebraici in Cisgiordania - i coloni sono ormai oltre 400 mila, la
costruzione di decine di by-pass routes riservate ai coloni, la depredazione
delle riserve idriche, l'installazione di centinaia di checkpoints (più di
700), la carcerazione o l'uccisione “mirata” di leader politici. E a tutto questo, per volontà di Sharon, si è aggiunta
la «barriera di sicurezza» che ha rinchiuso le comunità palestinesi della
Cisgiordania in prigioni a cielo aperto. E oggi il governo razzista
Olmert-Lieberman si esibisce nella strage di donne e di bambini, in particolare
a Gaza, dove le condizioni di vita di un milione e mezzo di persone sono ormai
disperate, come ha recentemente provato, con una analisi agghiacciante, Sara
Roy. L'idea che oggi sia ancora possibile
la formazione di uno Stato palestinese - sostiene llan Pappe - è patetica
illusione o crudele impostura. Gli effetti della pulizia etnica sono irreversibili: mai
uno Stato palestinese sorgerà sulle rovine di Gaza e della Cisgiordania. La
sola prospettiva, altamente problematica ma senza alternative, è quella di uno
Stato israelo-palestinese, laico ed egualitario. Occorre pensare ad una
formazione politica pluralistica entro la quale tutte le comunità palestinesi,
compresi gli «arabi israeliani» di Galilea e i profughi oggi dispersi in
Libano, in Siria e in Giordania, godano di una piena sovranità federale. Questa idea «buberiana» si sta affermando fra gli
intellettuali ebrei illuminati, non solo in Israele. La condividono studiosi di
prestigio come Jeff Halper, Virginia Tilley, Sara Roy, e sembra diffondersi
anche fra la popolazione palestinese. Nonostante tutte le possibili e
giuste obiezioni, nessuno dovrebbe mettere da parte sbrigativamente la
prospettiva federale, continuando a ripetere il ritornello «due popoli, due
Stati». Comunque sia quello che sembra ormai certo, dopo il
fallimento di ogni tipo di accordo, è che la pace non sarà possibile finché
durerà l'occupazione. Solo un incondizionato ritiro
israeliano dalle aree occupate nel 1967 può aprire la strada a negoziati che
diano qualche frutto. La fine della “pulizia
etnica” è la prima condizione per l'avvio di un percorso di pace.
Ed è anche la condizione perché gli ebrei che oggi
vivono in Israele abbiano il diritto di chiedere ai palestinesi e al mondo
arabo-islamico di essere accettati come parte integrante del Medio Oriente. Ma per costringere i leader sionisti a fare questo
passo decisivo sarebbe necessaria una forte mobilitazione internazionale. Occorrerebbe applicare a Israele le
stesse misure che sono state adottate contro il Sud Africa dell'apartheid. Si dovrebbe iniziare con l'invio di consistenti
équipes di osservatori internazionali sia a Gaza che in Cisgiordania e
proseguire con misure severe come l' embargo delle armi, le
sanzioni economiche e il boicottaggio di ogni forma di
collaborazione, inclusa quella accademica e scientifica. L'iniziativa dovrebbe partire congiuntamente dai paesi
arabi mediterranei e dall'Europa e dovrebbe coinvolgere le grandi potenze
regionali emergenti, a cominciare dalla Cina, dall'India, dal Sud Africa e dal
Brasile. Anche le potenze geograficamente più lontane dall'epicentro
palestinese non possono non capire, come ha scritto Pappe, che siamo tutti a
bordo dello stesso aereo, senza pilota. Editing a cura di ISM-Italia ISM-
Italia www.ism-italia.it
under construction ISM-Italia è il
gruppo di supporto italiano dell’ISM. L’International
Solidarity Movement (ISM www.palsolidarity.org) è un movimento palestinese
impegnato a resistere all’occupazione israeliana usando i metodi e i
principi dell’azione-diretta non violenta. Fondato da un piccolo gruppo
di attivisti nel 2001, ISM ha l’obiettivo di sostenere e rafforzare
la resistenza popolare assicurando al popolo palestinese la protezione
internazionale e una voce con la quale resistere in modo nonviolento alla
schiacciante forza militare israeliana di occupazione. TUTELA DELLA
PRIVACY Ai sensi della Legge 675/1996, La informiamo che il Suo
indirizzo è stato reperito attraverso e-mail da noi ricevuta o da fonti di
pubblico dominio. Siamo co |
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