Fw: APPELLO
- Subject: Fw: APPELLO
- From: "Miranda Vallero" <miranda.vallero at libero.it>
- Date: Fri, 8 Dec 2006 11:19:55 +0100
----- Original Message -----
From: Contropiano
Sent: Thursday, December 07, 2006 5:52 PM
Subject: APPELLO APPELLO DEL COMITATO NAZIONALE PER IL RITIRO DEI
MILITARI ITALIANI
La strategia di aggressione, economica, politica e militare portata avanti dalle grandi potenze occidentali contro quei paesi e quei popoli che non sono disposti a sottomettersi ai loro diktat continua a produrre rapina, miseria, sfruttamento e distruzioni inenarrabili. Nessuno strumento viene tralasciato per normalizzare chi si oppone e per ottenere il consenso delle proprie popolazioni al crescente militarismo ed interventismo: dal ricorso ad oscene campagne mediatiche, al sostegno a quelle tendenze politiche disposte a vendersi al miglior offerente trasformandole nei veri rappresentanti in loco della democrazia; dal ricorso (direttamente o per interposta persona) ad atti terroristici fino al finanziamento di Ong compiacenti che facciano da battistrada alla azione militare vera e propria, sotto le spoglie di Intervento Umanitario come successo nella ex-Jugoslavia o in Somalia. Quando questi mezzi falliscono
si passa all'aggressione militare diretta, pudicamente battezzata Operazione di
Polizia Internazionale, tanto meglio se condotta sotto le insegne di un
accondiscendente ONU, come si è fatto in Afghanistan ed Iraq.
In
questi casi non si esita a fare ricorso da parte degli eserciti invasori ad armi
di distruzione di massa vecchie e nuove di potenza
inaudita e con conseguenze soprattutto sulle popolazioni
civili. Un
altro quadrante su cui si stanno addensando le mire aggressive dell'occidente è il Darfur (Africa) dove
- in vario modo, utilizzando ipocritamente l'emergenza umanitaria - è in corso
un opera di manomissione politica, finanziaria e diplomatica mirante a favorire
un nuovo interventismo bellico. NON SOTTOVALUTARE PIU’
L'EUROPA SUPERPOTENZA
Questa politica neocoloniale, pudicamente definita di mantenimento dell'ordine e della pace mondiale, mentre vede le grandi potenze occidentali sostanzialmente unite nella politica di spoliazione verso i paesi periferici, evidenzia nel contempo una crescente competizione per stabilire privilegi e aree di competenza nella migliore tradizione imperialistica. LE AMBIZIONI E IL NUOVO RUOLO
DELL'ITALIA
La
somma delle tendenze italiane ed europee sta innescando una pericolosa spinta verso la militarizzazione che non riguarda solo
l'aspetto della industria bellica come settore di investimento certo o le azioni
di "polizia" internazionali ma produce conseguenze interne molto pesanti. Infatti gli interventi militari all'estero hanno bisogno di
un forte sostegno ideologico all'interno del paese e questo porta
inevitabilmente, come la storia ha dimostrato più volte ,verso una drastica
riduzione della democrazia e della dialettica sociale interna.
La
campagna mediatica che è stata fatta attorno alla
manifestazione del "Forum Palestina" del 18 novembre scorso è un esempio di come si concretizza una operazione
ideologica attorno a fatti inesistenti e questa volta in modo bipartisan.
Il movimento pacifista sviluppatosi negli scorsi anni anche nei paesi occidentali ha espresso una vasta protesta contro la politica dei propri governi, ma è poi rifluito per il prevalere della sfiducia di poter sconfiggere tale politica, per l'assuefazione alla guerra come dato immodificabile di questa fase, ma anche dalle parzialità politiche contenute nella sua opposizione alla guerra. Troppo
spesso infatti si condannavano le politiche dei propri
governi non tanto per gli obiettivi che questi dichiaravano di voler perseguire,
ma per i brutali metodi utilizzati per realizzarli; in altri casi si è accettata
la chiave di lettura secondo cui vi era una guerra quasi paritaria tra
contendenti che si trattava di ricondurre alla pace quasi con una equidistanza
al di fuori e al di sopra dello scontro in atto, se non per la forte componente
di commiserazione e di condanna per le vittime di tale
guerra. In
Italia tale difficoltà si è rafforzata con la vittoria elettorale dell'Unione
Prodiana che aveva tra i suoi sostenitori diretti o
indiretti buona parte degli organismi e delle figure di
riferimento di quel movimento, determinando quella che per comodità sintetica
definiamo “sindrome del governo
amico”, ma che produce paralisi, disorganizzazione e
depotenziamento di qualsiasi tentativo di mantenere un'opposizione autonoma ed
indipendente contro la guerra. Si tratta di superare quella sorta di equidistanza tra aggressori e aggrediti, di concentrare la denuncia e le mobilitazioni contro i promotori diretti ed indiretti della guerra, di rifiutare qualsiasi missione militare all'estero condotta da tutti i governi occidentali e da quello italiano in particolare. Che
tali missioni avvengano sotto le insegne della NATO o
dell'ONU non ne cambia la natura, come hanno confermato l' intera vicenda
irakena, quella Afghana e quella
Libanese. Le
resistenze messe in atto dalle popolazioni aggredite non sono solo una legittima
reazione contro le aggressioni da cui sono colpite ma,
nella misura in cui costituiscono il principale ostacolo al consolidamento di
quella strategia, rappresentano anche un fattore di incoraggiamento dei
movimenti contro la guerra che agiscono nei paesi
occidentali. Le
resistenze ridisegnano i rapporti di forza nelle aree del conflitto,
determinando oggi uno sconvolgimento delle strategie USA/israeliane di "guerra
infinita" e di egemonia nell'area mediorientale, come
emerge con chiarezza in seguito alla sconfitta USA in Iraq e a quella israeliana
in Libano.
PER UN MOVIMENTO REALE CONTRO Il
principale terreno di impegno di un movimento reale
contro la guerra in questa fase, oltre alla netta opposizione alle missioni
militari all'estero, deve essere, soprattutto, quello di contrastare le
conseguenze delle scelte belliche sui propri territori. È evidente infatti come il crescente militarismo venga utilizzato per
rafforzare i dispositivi di sicurezza attraverso cui si cerca di limitare
l'esercizio dei più elementari diritti di agibilità politica, sindacale e
dell'insieme dei conflitti sociali. a) E’ ormai prioritaria dentro l’agenda dei movimenti contro la guerra ma anche dei movimenti sociali e sindacali, l’ opposizione contro il continuo incremento delle spese militari e le loro connessioni qualitative (coltre che quantitative) con il complesso militare-industriale e gli apparati di sicurezza che stanno ormai conformando anche le priorità economiche e la vita sociale del nostro paese b) L'impegno dei movimenti deve concentrarsi contro il complesso delle basi militari, di tutte le produzioni di morte e di ogni ristrutturazione in chiave offensiva degli eserciti a cominciare da quello italiano. Infatti è dalle basi militari che vengono supportate le missioni all'estero e le guerre. Non solo, questi insediamenti servono anche a giustificare una insopportabile militarizzazione dei territori su cui sono installate. Le esperienze maturate in questi anni di lotta contro le basi: dalla Toscana alla Sardegna, dalla Sicilia alla Puglia o in Veneto, come sta avvenendo in questi giorni a Vicenza contro l'ampliamento della base USA, sono un prezioso bagaglio per il movimento ed un punto di partenza da sostenere, valorizzare e generalizzare per dare radicamento ed estensione sociale a queste prime forme di opposizione delle popolazioni. Con queste premesse il Comitato per il Ritiro dei Militari Italiani valuta come molto importante la crescita di un movimento popolare e autonomo contro la nuova base militare e la manifestazione nazionale di Vicenza del 2 dicembre e si impegna a costruire momenti di dibattito e di sostegno attivo nei vari territori.
d) Infine, il Comitato per il Ritiro delle Truppe chiama al confronto tutti gli attivisti, che mantengono immutata la loro opposizione alla guerra, per riflettere insieme su come dare continuità, stabilità ed efficacia al proprio impegno nella direzione del rafforzamento di un rinnovato movimento contro la guerra. L'ipotesi che proponiamo è quella di costruire una rete articolata dei comitati, dei gruppi sociali, delle varie comunità territoriali operanti sul terreno dell'opposizione della guerra e del militarismo, ma anche di promuovere la strutturazione di comitati territoriali dove è mancata fino ad ora una un'azione coordinata contro la militarizzazione in atto nel nostro paese. Si tratta insomma di costruire una rete attiva e stabile la quale sia in grado, oltre le necessarie scadenze di mobilitazione nazionali, di promuovere e dare ampio respiro alle iniziative locali contro i molteplici effetti del militarismo. Mail: cpiano at tiscali.it
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