corrispondenza dal Medioriente..



CESSATE-IL-FUOCO A GAZA: UNA SVOLTA?

 

E' finalmente finita la guerra nella Striscia di Gaza. Domenica mattina, a sorpresa, il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen hanno dichiarato il cessate-il-fuoco, con decorrenza immediata. Dopo cinque mesi di feroci combattimenti casa per casa, le truppe israeliane si sono ritirate, lasciandosi dietro una scia di quasi cinquecento morti e cinquemila feriti palestinesi. L'IDF ha ceduto le posizioni a tredicimila uomini dell'esercito palestinese, legati a Fatah, che avranno il compito di sorvegliare i confini interni della Striscia per imporre a tutti i gruppi armati il rispetto della tregua. La rioccupazione di Gaza era iniziata in Giugno, dopo la cattura del caporale dell'IDF Gilad Shalit da parte di Hamas, e portata avanti con lo scopo ufficiale di fermare il lancio dei razzi Qassam dalla Striscia verso le cittadine israeliane di Sderot e Ashkelon. Nel suo più recente discorso pubblico di lunedì, Olmert ha affermato che "Israele lascerà una larga parte dei territori e smantellerà insediamenti, in cambio di una pace reale", in particolare punterà "ad uno stato palestinese con confini stabiliti e contiguità territoriale" in West Bank, secondo quanto stabilito nel 2004 da Bush con l'allora premier Ariel Sharon. Afferma di essere pronto ad incontrare Abbas, non appena verrà ufficializzato il nuovo governo palestinese, non più guidato da Hamas. La condizione per la ripresa del dialogo è l'accordo sul rilascio di Gilad Shalit. In cambio, Olmert dichiara per la prima volta che verranno rilasciati "molti prigionieri palestinesi, persino quelli che scontano lunghe condanne." Infine, Olmert accenna al piano di pace della Lega Araba del 2002, come possibile punto di partenza delle ipotetiche future trattative.

Con questo cessate-il-fuoco sembra aprirsi dunque una nuova prospettiva. Soltanto una settimana fa, Olmert aveva sostenuto la necessità di inasprire le operazioni militari a Gaza e, in particolare, di riprendere gli omicidi mirati dei dirigenti politici di Hamas, ricevendo un secco diniego da parte dello Shin Bet e dell'esercito, che ritenevano impossibile bloccare il lancio dei Qassam con operazioni militari nella Striscia, tantomeno mirando ad Haniyeh. L'esercito stesso, martedì, due giorni dopo l'entrata in vigore della tregua, ha sostenuto di star eseguendo il mandato governativo ma ancora una volta di non essere stato consultato a riguardo della tregua. La situazione nella Striscia al momento è molto delicata. Il governo israeliano ritiene valido il cessate il fuoco soltanto a Gaza, continuando nel frattempo ad arrestare e uccidere militanti nella West Bank. Tutte le fazioni palestinesi, che hanno sottoscritto all'unanimità la tregua, ritengono le operazioni dell'IDF in West Bank una palese violazione e hanno immediatamente ripreso il lancio dei razzi Qassam verso Sderot, per vendicare i militanti uccisi. Tuttavia, il fatto che tutte le organizzazioni palestinesi abbiamo aderito formalmente alla tregua è un avvenimento senza precedenti nel conflitto. Il merito va senz'altro attribuito al "documento dei prigionieri", a cui hanno aderito i dirigenti di Fatah, Hamas, Jihad e PRC rinchiusi nelle carceri israeliane, grazie al quale si sta per formare il governo di unità nazionale dell'ANP. Il documento dei prigionieri è stato scritto da Marwan Barghouti, leader di Fatah, il quale, secondo le rivelazioni del quotidiano Haaretz, è in realtà uno degli artefici dell'attuale cessate-il-fuoco, preparato dopo lunghe mediazioni segrete con funzionari vicini a Olmert. L'allusione dello stesso Olmert al rilascio di prigionieri con "lunghe condanne" da scontare si riferisce con estrema probabilità proprio a Barghouti e agli altri leader estensori del documento in carcere. In questo modo, Israele cercherebbe di indebolire Hamas e rinforzare la malconcia leadership di Fatah, grazie alla grande popolarità che Barghouti riscuote tra i giovani palestinesi.

Le motivazioni alla base di questa tregua sono molteplici. Da parte palestinese, i molti mesi di guerra a Gaza hanno lasciato un pesantissimo bilancio di vittime e di distruzione delle infrastrutture, mentre l'embargo internazionale nei confronti delle istituzioni dell'ANP sta portando al collasso umanitario. L'accordo tra le organizzazioni della resistenza è un chiaro segnale della volontà di spezzare il fronte internazionale, compatto nel boicottaggio dell'ANP, per iniziare a ricostruire le istituzioni palestinesi. Alcune fazioni hanno poi reso nota l'intenzione di utilizzare questo periodo di calma per ricostruire anche le reti della stremata resistenza e rimpinguare i propri arsenali, in attesa dell'eventuale ritorno dell'IDF a Gaza. Secondo i principali quotidiani israeliani, la tregua ha dimostrato la strategia vincente di Hamas che, nonostante il boicottaggio internazionale e la guerra a Gaza, è riuscito a mantenere salda la leadership e a costringere il governo Olmert a rivedere completamente la propria strategia, così come ha fatto Hizbullah in Libano. Il continuo lancio di razzi Qassam, controllato da Hamas, si è intensificato sensibilmente nelle ultime settimane, tanto da portare alla morte di due abitanti di Sderot. La pressione dei media israeliani e l'evidente incapacità di risolvere manu militari la questione Qassam hanno condotto il governo Olmert in un vicolo cieco, precipitando nei sondaggi più recenti la sua popolarità al minimo storico del dieci per cento. Preso atto che la strategia di annientamento del governo Hamas e di scontro frontale non ha dato alcun frutto, Olmert ha deciso di spiazzare i critici con l'annuncio della tregua, in realtà preparata in segreto da alcune settimane. La brusca sterzata israeliana ricorda senza dubbio l'analogo annuncio di Sharon, che due anni fa proponeva il ritiro unilaterale da Gaza, in un periodo di estrema difficoltà per la sua leadership. Allora come adesso, pesanti accuse di corruzione gravano sul premier e su molti dei ministri e entro poco tempo i tribunali dovranno decidere se procedere alle incriminazioni formali. A Sharon, all'epoca, il ritiro da Gaza fruttò l'archiviazione temporanea di tutte le accuse.

L'arrivo in settimana di Bush e Rice in Giordania permette di leggere il cessate-il-fuoco in prospettiva più ampia. Negli ultimi mesi, dopo la guerra in Libano ed in particolare dopo la recente strage di Beit Hanoun, lo spazio di manovra israeliano nell'area ha incominciato a restringersi e gli appoggi internazionali, soprattutto quello europeo, a vacillare. Il sostegno incondizionato degli Stati Uniti alle operazioni dell'IDF potrebbe venir meno nei prossimi mesi. Dopo la disastrosa avventura libanese, la zoppicante amministrazione Bush è ora impegnata nella ricerca di un exit strategy in Iraq, per la quale saranno cruciali gli attuali colloqui in Giordania. La richiesta americana di aiuto a Siria e Iran mette in seria difficoltà il governo israeliano, tanto da poterlo spingere a cercare una mediazione con i vicini arabi, a cominciare da quello che ora, a sorpresa, sembra essere diventato per la prima volta il problema più semplice da risolvere, ovvero la fine dell'occupazione dei Territori e la creazione di uno stato palestinese.

 

Gerusalemme - 28.11.06