sul fare e il disfare



Sul fare e sul disfare concretamente

Frascati, 2 settembre 2006

da Alfonso Navarra ai pacifisti con i piedi per terra

Dopo i dubbi seminati sui luoghi comuni della "vittoria" o "sconfitta"
israeliana tento ora di fare ragionare il mio prossimo sul concetto
pratico, costruttivo, di concretezza.
In questi giorni in cui mi viene proposto da alcuni (li chiamiamo
governisti?) di marciare a sostegno dei "soldati arcobaleno", da altri (gli
antimperialisti?) di manifestare in solidarieta' con le milizie Hezbollah e
affini, io rispondo: e se provassimo ad uscire dalla guerra (i vari fronti
sono oggi un'unica guerra) e a disarmare?
Dobbiamo per forza intrupparci, per essere "concreti", dietro questa o
quella "difesa" armata, dietro questo o quell' inrtervento militare
"umanitario"?
I marciaoli, governisti o meno, credono di "fare", si presentano come
quelli che intervengono attivamente sui conflitti in atto; a me sembra
invece che stiano disfacendo: compromettono in primo luogo la possibilita'
di sviluppo e diffusione della cultura di pace.
E' come l'intervento violento: appare, a prima vista, di impatto ed
efficace, ma, passato il botto, si capisce subito che non risolve alcun
problema, anzi lo aggrava.
Sparare razzi sui civili israeliani da parte degli Hezb puo' sembrare una
difesa attiva molto concreta. Io credo invece rappresenti, oltre che un
atto infame, una manifestazione di imbecilllita' assoluta. Come chi ha
avuto occhi per vedere ha gia' visto. E come vedremo tra breve meglio,
passata l'ubriacatura emotiva di questi giorni. Mi spiace, ma su questo ho
ben pochi dubbi.
Oggi sono costretto a subire interventi come quello di chi scrive: "Io
credo che NON spetti al "movimento per la pace" o ai/alle nonviolenti/e
dire se e' giusto o no mandare degli eserciti a fare la pace".
Ma no! Non siamo nati proprio per impedire che gli eserciti se ne vadano in
giro a fare le paci a loro modo? A creare i tacitiani deserti?
Disertare dalle guerre e disarmare e' fare. E' avere obiettivi concrete che
richiedono azioni ben piu' concrete delle sfilate una-due-tre tantum:
azioni dirette, obiezioni di coscienza, disobbedienza civile, non
collaborazione attiva come strategia...
Applaudire gli eserciti "pacifisti" e', invece, come regola, avallare
imprese nella migliore delle ipotesi avventuristiche;  ed e' disfare la
cultura di pace.
L'abbaglio dell'intervento ONU come alba di un nuovo diritto internazionale
lo prese Ernesto Balducci nel 1991, quando Bush padre, con i timbri delle
Nazioni Unite, scateno' la guerra del Golfo; ma  Balducci poi, che era un
gran testa, si penti' subito.
Oggi i folgorati sulla via di Ginevra e New York sono diventati falange.
Con molte meno basi argomentative di quelle di cui disponeva Balducci a suo
tempo.
Daniel Amit (Universita' di Roma La Sapienza) ha scritto oggi sul Manifesto
un illuminante articolo dal titolo "Se l'Europa fa da foglia di fico
all'aggressione israeliana".
Vi invito a leggerlo per intero.
Ne estraggo solo qualche brano:
"Il ruolo dell'ONU in questo conflitto e' quantomeno ambiguo. Se l'ONU
fosse intervenuta tempestivamente dopo l'inizio dell'attacco, puntando
sull'offensore (Israele) e sui complici (Stati Uniti e Gran Bretagna) e
imponendo un cessate-il-fuoco e un ritiro immediati, con pagamento di
danni, e minacciando sanzioni in caso di omissione, si sarebbe guadagnata
un minimo di fiducia.
Invece l'attacco e' stato fatto proseguire per 33 giorni, con flusso
continuo di materiale bellico dagli Stati Uniti, con la Rice che definiva
gli obiettivi e Balir che li giustificava.  Inoltre, le esternazioni del
segretario generale Kofi Annan, in visita in questi giorni nella regione,
dimostrano apertamente che il ruolo concepito dalla massima autorita'
dell'ONU non e' ristabilire un ordine internazionale dcente. Annan non
critica nessuno: richiede la liberazione dei due militari prigionieri
israeliani, obiettivo mancato della guerra, ma non menziona i detenuti
libanesi nelle prigioni israeliani (e ce ne sono parecchi), ne' la gravita'
della violazione (che persiste) dell'integrita' territoriale del Libano;
ne' il fatto che durante le ultime settimane sono stati uccisi piu' di 200
palestinesi nella striscia di Gaza; ne' del fatto che una gran parte del
sistema governativo palestinese, democraticamente eletto, e' stato rapito
da Israele (formalmente parlando).
Sembra sempre piu' logico attribuire all'ONU e al suo segretario generale
il ruolo di "interprete" per coloro che sono militarmente piu' forti. E
l?Europa, che si vanta di aver trovato il suo ruolo di autonomia in
politica estera, purtroppo si presta al ruolo fi foglia di fico in questo
schema. Il problema e' che questo sviluppo non rappresenta solo la mancata
realizzazione  di un ideale di rispetto del diritto internazionale e dei
diritti umani (il che non sarebbe poco), ma che soprattutto costituisce una
ricetta di instabilita' foriera di una prossima deflagrazione che in
Israele e' considerata ineluttabile".
L'articolo conferma di un'ovvia considerazione: un pacifista non e' colui
che, per principio, appoggia ogni guerra ed ogni intervento militare ONU.
(Comunque auguri a chi si sta imbarcando nell'appoggio a Unifil 2. Per
"concretezza").
Ai pacifisti suicidi ed unilateralisti, come me, proporrei invece di
"ricominciare da tre".
Sarebbe il caso di mettere insieme, A PARTIRE DA UNA ASSEMBLEA DI BASE, IN
CUI TUTTI ABBIANO LA POSSIBILITA' DI PARLARE, in modo fattivo, e non
reattivo, il "vero" movimento nonviolento e per la pace, evitando che sia
sfiancato in discussioni fini a se' stesse e che sia, in questo modo,
paralizzato dalle "quinte colonne" di quella  che Giulio Marcon di
"Sbilanciamoci!" ha definito la "dittatura dei  partiti".

L'unità popolare che persegue la nonviolenza e'- ritengo - innanzitutto una
unita' di base che deve spesso affermarsi contro i falsi unanimismi della
politica di vertice. (Non a caso il massimo di  unita' manipolata che si
riscontra storicamente e' quella delle masse che salutano festanti i
soldati in partenza per la guerra).

Mi  sta quindi bene un appuntamento di discussione, ma eviterei, nel
proporlo, di cancellare tutto quanto di buono abbiamo costruito
CONCRETAMENTE in
questi mesi (e questi anni).
Ripartirei "da tre", da alcuni punti fermi, espressione del lavoro di chi,
in quanto pacifista e nonviolento di base, e' strutturalmente fuori dalla
spirale guerra-terrorismo
in cui vogliono ricacciarci.

I punti fermi e CONCRETI del movimento pacifista  autonomo e conseguente
sono, secondo me, questi:
- la campagna per il  disarmo atomico che ha gia' una sua buona sponda
istituzionale nella "mozione Martone"
- la richiesta di una commissione di inchiesta sui crimini di guerra in
Libano e la rescissione della cooperazione militare con Israele
- l'intervento nonviolento in Libano e in Palestina prefigurante, con
modestia e serieta', i Corpi civili di pace
- l'"exit strategy"  dall'Afghanistan da sancire entro il dicembre 2006 (ed
il ritiro dell'ENI dall'Iraq)
- il rilancio dell'obiezione di coscienza alle  spese militari "per la
Difesa popolare nonviolenta"
- l'istituzione del Ministero per la Pace collegata alla definizione di un
percorso del servizio civile finalizzato alla difesa popolare nonviolenta.

Di qui a novembre fisserei due scadenze determinanti di mobilitazione:
1- il vertice Nato di Riga, per proporre la denuclearizzazione materiale e
strategica dell'Europa;
2- le elezioni di medio termine negli USA:  dobbiamo studiare e praticare
forme di sostegno ai pacifisti americani che sono - essi si' - una grande
speranza per "fermare la guerra" di Bush.

Ovviamente va tenuto in massimo conto l'appuntamento della Legge
Finanziaria, che attuera' tagli per 30 miliardi di euro.
Saremo in grado di proporre un discorso qualitativo e credibile sulla
riduzione  delle spese militari?  Un dicorso collegato ad obiettivi di pace
per la
politica estera e di difesa?

Parlerei di questi punti e della  linea di azione che sottendono alla
riunione dei nonviolenti che  terremo l'8 settembre a Pisa, a ridosso
dell'iniziativa del
Centro Gandhi per il centenario del Satyagraha gandhiano.
Buona pace a tutte e a tutti

Alfonso Navarra