Intervista Deiana Afghanistan (LIberazione 7/07/2006)



Car@ tutt@ vi mando in allegato il resoconto dell'intervista a Elettra
Deiana sulla missione Afghanistan  pubblicata da  LIberazione  il
 7/07/2006 .
ciao
Linda 




La parlamentare del Prc: «Lavoriamo perché il governo metta in agenda la
strategia di uscita da Kabul. Nè nuove armi né nuovi soldati»
Deiana: «Afghanistan, eredità inaccettabile»


Frida Nacinovich
Onorevole Deiana, ora che si fa? Restiamo in Afghanistan per salvare il
governo Prodi?
Prima di tutto il governo deve prendere atto che sulle questioni
internazionali esistono nell'alleanza che lo sostiene posizioni differenti.
Era noto, è noto, e non può essere negato. Ora occorre avviare un processo
serio per costruire dei punti di unitarietà politica, pur sapendo che ci
sono divergenze profonde sulle strategie di politica internazionale.

Qualche esempio?
Noi di Rifondazione comunista pensiamo che della Nato si potrebbe fare a
meno, in seconda battuta che la Nato non si dovrebbe arrogare quel ruolo di
polizia globale che gli è stato attribuito dal trattato di Washington del
1999, senza che nessun Parlamento lo abbia mai ratificato. Noi crediamo che
una guerra non sia giusta solo perché è multilaterale o perché l'Onu la
registra ex post, manteniamo come bussola l'articolo 11 della Costituzione.
Come unica bussola.

Elettra Deiana non ha mai fatto mistero della sua contrarietà alla missione
Nato in Afghanistan. E ora?
Sull'Afghanistan ci sono divergenze serie e di varia natura. Il giudizio
negativo che noi abbiamo dato sulla partecipazione dell'Italia
all'avventura militare in Afghanistan è noto a tutti. Le nostre ragioni
sono molto radicali: abbiamo sostenuto che quella missione non fosse
legittima, siamo convinti che non sia quella la strada per combattere il
terrorismo internazionale, e che quella guerra più che per contrastare il
terrorismo di Bin Laden sia stata e sia funzionale al dominio imperiale
degli Stati uniti di America.

Oggi all'ordine del giorno c'è il rifinanziamento della missione militare a
Kabul.
Ma oggi possiamo trovare un punto di unitarietà d'intenti, proprio sulla
base di una valutazione fattuale di quello che è successo in questi cinque
anni. L'inefficacia della lotta al terrorismo, la negatività della
repressione della ribellione di guerriglieri talebani e terroristi con
bombardamenti che nel sud del paese colpiscono indiscriminatamente le
popolazioni civili. Siamo consapevoli che ci sono divergenze strategiche.
Ma, partendo dallo stato dell'arte, possiamo arrivare a condividere una
strategia di uscita dall'ambito militare e la ricerca di altre forme di
aiuto alla popolazione afghana. Noi abbiamo dato la nostra disponibilità,
accettando che la presenza italiana rimanga e chiedendo contemporaneamente
che la exit strategy diventi punto di discussione e sia messa nell'agenda
politica del governo.

In sintesi, quale è la posizione di Rifondazione comunista? Va bene il
senso di responsabilità, ma per quanto ancora gli italiani scesi in piazza
con le bandiere arcobaleno dovranno sopportare queste "missioni militari di
pace"?
Accettiamo un impegno militare che detestiamo ma chiediamo al governo di
prendere sul serio la richiesta di un rientro, a partire dalla scelta di
riduzione del danno e cioè dal congelamento della missione in Afghanistan
per quello che è stata fino ad adesso. Rifiutando le richieste del
Pentagono e della Nato, la quale sta assumendo il comando complessivo delle
due missioni, quella di guerra guerreggiata "enduring freedom" e quella di
polizia internazionale "isaf". Rifiutando la richieste di fusione delle due
missioni e di potenziamento anche da parte italiana della belligeranza in
atto. No agli aerei "Amx", no a regole di ingaggio di guerra, no ai reparti
speciali da inviare nelle zone del sud, no a responsabilità dirette
dell'Italia nella conduzione di "enduring freedom".

In Afghanistan c'è andata l'Italia guidata dal governo di Berlusconi,
quella guidata da Prodi che farà?
Questa maggioranza ha ereditato questa guerra dal governo precedente.
Chiaramente cambierebbe radicalmente il nostro atteggiamento se questo
governo si avventurasse ex nuovo in un'impresa del genere. Dobbiamo
liberarci di questa pessima eredità, far in modo che questa maggioranza a
cui noi teniamo - perché ha mandato via un terribile governo che voleva
fare carta straccia della Costituzione e della solidarietà sociale - si
liberi anche del peso di questa guerra. Non vogliamo legittimare l'eredità
negativa: ecco perché diciamo no al ministro Parisi che vuole continuare
"enduring freedom" per altri dieci anni.

Il ministro degli Esteri Massimo D'Alema parla della missione in
Afghanistan come di un elemento centrale della politica dell'Unione.
I punti centrali non li sceglie D'Alema. Ognuno se li sceglie. Vale il
principio della pari dignità, il consenso va ricercato nella pratica,
discutendo. Il passo successivo è l'unitarietà politica.

L'altra metà del bicchiere è sempre piena, l'Unione ha deciso di uscire
dalla guerra in Iraq.
Sull'Iraq il punto d'incontro è stato più facile. Perché è ancora più
evidente il carattere di assoluta violazione di ogni regola da parte degli
Stati Uniti e poi, diciamocelo francamente, abbiamo goduto dello
straordinario patrimonio unitario che ci è venuto dal movimento pacifista.
Ma anche sull'Afghanistan, se si ragiona seriamente, si possono condividere
un'uscita e un impegno diverso. Lavoriamo in questa direzione e non
impegniamoci ulteriormente nell'avventura afghana.



Liberazione venerdì 7 Luglio 2006