La Repubblica non è in armi




Carissime/i
Vi invio copia dell'articolo pubblicato oggi su Liberazione sperando sia di
vostro gradimento.
Un cordiale saluto
Elettra Deiana
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La Repubblica non è “ in armi”



Elettra Deiana



Il 2 giugno di quest’anno ricorre il 60° anniversario della proclamazione
delle Repubblica italiana. Sarebbe stata dunque un’occasione importante non
per generici festeggiamenti ma per iniziative che a tutti i livelli e in
tutti i luoghi pubblici si ponessero un duplice obiettivo: da una parte di
valorizzare le ragioni di fondo che resero possibile la nascita della
Repubblica, dall’altra di connettere quella nascita con lo straordinario
percorso sociale e politico-istituzionale che portò all’elaborazione della
Costituzione del ’48. Le due cose stanno strettamente insieme: da sempre ma
mai come in queste settimane, quando incombe la necessità di una forte
battaglia nel Paese per bloccare con il “no” referendario la pessima
controriforma costituzionale voluta dalla Casa delle Libertà. E quando è
necessario, come io penso sia necessario, mettere in luce e difendere il
grande tratto di modernità che segna la nostra Costituzione, contro i
ricorrenti tentativi messi in atto da più parti – e non soltanto dal
centro-destra - per stravolgerne l’impianto.

Il dibattito pubblico, invece, sembra avere dimenticato sia l’importanza
dell’anniversario – i 60 anni della Repubblica, appunto - sia la posta in
gioco – il referendum del 25 giugno, appunto - e si è sempre più
avviluppato intorno all’unica questione della sfilata militare ai Fori
imperiali, in termini che rischiano di ridurre la questione soltanto a una
querelle tra i “patriottici” amici delle Forze armate e i settori più
radicali del popolo pacifista.

Bisogna ovviamente insistere affinché la sfilata del 2 giugno sia
cancellata dall’agenda delle cerimonie pubbliche del Paese e bisognerà
continuare a insistere per il futuro, perché intanto, quest’anno, la
sfilata si svolgerà purtroppo come da calendario previsto.

Ma un punto dovrebbe essere intanto chiarito: le ragioni per chiedere la
cancellazione della sfilata, prima ancora che essere quelle sacrosante
dell’antimilitarismo e del pacifismo, sono ragioni generali, di natura
strettamente repubblicana, iscritte nelle radici storiche della Repubblica
e confermate dal carattere complessivo della Carta costituzionale.
Riguardano o dovrebbero riguardare quindi tutti e tutte, toccare tutti gli
aspetti essenziali della vita pubblica.

Nell’idea di festeggiare la Repubblica facendo sfilare le Forze armate e i
più sofisticati strumenti della moderna tecnologia militare, come è
avvenuto negli ultimi anni, c’è invece una negativa riduzione delle cose a
un unico aspetto, che diventa non soltanto preponderante ma quanto mai
improprio e negativo oggi, di fronte alle trasformazioni – quasi sempre
perniciose - che il concetto di difesa ha subito negli ultimi quindici anni
e alle continue violazioni condotte contro l’articolo 11 della
Costituzione, che della Repubblica italiana dovrebbe invece rappresentare
un inaggirabile marchio di fabbrica.

L’Italia non è una repubblica “in armi”, come quella scaturita dalla
Rivoluzione francese, quando il diritto di cittadinanza si incarnò
storicamente in quegli “uomini in armi”, bianchi, proprietari e per questo
liberi, che animarono il trapasso dall’Ancien régime alla modernità. Le
armi della Resistenza ne accompagnano il percorso, ma non ne fondano
l’identità. Bisogna lavorare a cancellare culturalmente ogni suggestione di
questo genere, partendo dalla consapevolezza che la Repubblica italiana è
davvero un’altra cosa rispetto a quella tradizione storica e che difenderla
significa oggi portarne innanzitutto alla luce la trama di fondo,
democratica, libertaria e pacifista, i valori e i principi di civiltà che
rendono la nostra Costituzione lo strumento più efficace per una convivenza
civile degna di questo nome in Italia e nel mondo.

La Repubblica fu conquistata dal popolo italiano attraverso l’esercizio
democratico del voto – per la prima volta il voto fu veramente universale
comprendendo anche le donne – e dopo aver subito, sotto il regime
monarchico, venti anni di dittatura fascista, l’occupazione nazista del
Paese, una serie di guerre coloniali – la cui verità in termini di eccidi,
violenze, responsabilità aspetta ancora di essere interamente sviscerata –
due guerre mondiali. E nacque da uno straordinario moto di popolo che seppe
tenere insieme resistenza militare e forte partecipazione civile, pratiche
di strenua opposizione sul campo all’occupazione e percorsi di intenso
lavoro intellettuale, per ideare e costruire l’edificio della convivenza
sociale. Non a caso il voto popolare che portò alla proclamazione della
Repubblica fu contemporaneo all’avvio dei lavori dell’Assemblea
costituente, che nel 1948 approvò la Carta costituzionale, ispirata ai
principi dell’uguaglianza, della libertà, della democrazia e della pace.

Per questo la ricorrenza del 2 giugno non deve essere confusa con la festa
delle Forze armate, che ricorre il 4 novembre ed ha una sua legittima
specificità istituzionale. La Repubblica deve essere festeggiata in pace,
con solennità istituzionale e soprattutto festosità popolare; bisogna
parlare quel giorno il linguaggio della pace, della convivenza, della
solidarietà, della democrazia. E bisogna sottrarre la Repubblica a tutti i
nefasti ossimori della contemporaneità, a cominciare da quello della
“guerra umanitaria” che così malamente ha deturpato la nostra storia
repubblicana.