Re: leadership nonviolenta




----- Original Message -----
From: <alfonsonavarra at virgilio.it>


Caro sandro,
grazie per la risposta, piena di spunti interessanti su
cui mi prendo il tempo adeguato di riletterci su con la dovuta
attenzione.
Non sarei schiavo delle parole e accetterei compromessi
positivi con la realta', che e' sempre piu' complessa dei nostri
schemi: ogni concetto preso in modo assoluto - credo -  diventa la
caricatura di se' stesso.
Gandhi era un leader oppure no?
Ti pongo la
domanda perche', dal punto di vista nonviolento, credo che non si debba
eludere il problema della leadership ma pensare e sperimentare delle
risposte diverse rispetto al modello burocratico di organizzazione
(ricavato dal modello militarista): autorevolezza, non autorita',
rotazione, controlli democratici, metodo del consenso e del dissenso,
gruppi di affinita'...
Ovviamente posso sbagliarmi...
Discutiamone
Ciao,


Alfonso Navarra



La parola "leader" non mi piace, ma forse è solo una questione di termini.
A Cagliari lavoro da una decina d'anni in un gruppo che non si è mai dato alcuna struttura e, in mezzo agli sfasci, alle liti, ai protagonismi che vedo in altri gruppi, il nostro ha sempre funzionato in grande e bella armonia.
Certo, siamo una decina e non migliaia.
Certo, partiamo da una sostanziale condivisione di mezzi e di fini.
E anche nel nostro gruppo, come ovunque, si realizzano "dinamiche di potere". Che però definirei "naturali" se vengono, come vengono, dal fatto che alcun* danno un apporto, in termini pratici o teorici, che li pone "naturalmente" in maggiore "evidenza". Allo stesso modo, ritengo che Gandhi, e altri, siano stati delle "guide" naturali, e che personalità come Zanotelli, per idee, principi o vissuto, siano "naturalmente" nostre guide, senza bisogno di investiture. Però parliamone. Perché potrei sbagliarmi: l'esperienza della Rete Lilliput, che dell'assenza di "leaderismi" ha fatto ragione di vita, potrebbe faticare a emergere proprio per questo motivo.

Ciao

Sandro