Sociologia dell'Arte



(So che purtroppo appesantisco un po' ma penso anche che in questo materiale - seppur con orrori e omissioni - ci possa essere qualcosa di buono per chiunque. Buon 1 maggio da Leo)


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Alma Mater Studiorum – a.a. 2005/06 – Laurea specialistica in Scienze della comunicazione pubblica, sociale e politica – Insegnamento di Sociologia dell’Arte – prof. Pietro BELLASI – collabora il dott. Christian ARNOLDI

Interventi  dei proff. BELLASI, NANNI e dei dott. SPARAGNI, EVANGELISTI e OSTI; liberamente riassunti e trascritti a cura di Leopoldo BRUNO 

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- Prof. Pietro BELLASI – Dipartimento di Scienze della Comunicazione -
Titolare della cattedra di Sociologia dell’Arte –

Il corso è relativo a un insegnamento particolare. Si occupa di arti, soprattutto figurative che è un qualcosa di abbastanza marginale. L’arte di solito è marginale. Ci vorrebbe un corso di tre anni per sapere di cosa parliamo...
Dico due cose relative alle strutture universitarie di oggi, che considero deleterie. 1) Non credo nel sistema dei crediti che riduce le qualità in quantità. La scuola di Francoforte, per prima, pose la questione delle qualità ridotte a quantità; la quantificazione universale. Karl Marx parlò della mercificazione ad esempio dei rapporti sociali, ecc. Questo è il sistema dei crediti. L’università non prepara le professioni, facciamo finta di... 2) La riduzione del tempo. L’esamificio. C’è didattica senza spazi pedagogici, di comunicazione non univoca e unidirezionale. Con i corsi di 6/7/8 mesi c’era la possibilità durante il corso di andare a cinema, a teatro; si creavano delle curiosità. Ora abbiamo cinque settimane per sapere cosa è l’arte; l’arte figurativa se è comunicazione e come si fa a comunicare l’arte. Sociologia dell’arte come meteorite (in trenta ore di lezione) in un corso di laurea in scienze della comunicazione. Ho scelto la formula del “guastatore”  dà stimoli su cui lavorare. Si può solo tentare di seminare delle curiosità. Il professore come se fosse un posatore di mine antiuomo. Seminare crisi, interrogativi, certezze da mettere in gioco, utopie. Oggi è un pazzo o un eroe chi si impegna nell’università.

Il corso si occupa di due grossi argomenti. L’arte come comunicazione e come si comunica l’arte. Il problema del pubblico, dei pubblici, delle mostre. Cosa è arte, oggi? Cosa si intende? Quali sono i problemi della comunicazione dell’arte, oggi? Poter avere, durante le lezioni del corso, un contatto diretto con una pluralità di esperienze concrete sull’arte, l’essenza dell’arte, la sua funzione nelle società postmoderne ma soprattutto esperienze concrete di gestione dell’arte; di chi vive con l’arte. Queste persone possono dirci cosa sia l’arte oggi. 
Bisogna tener conto dei gusti del pubblico da seguire? Come in tv? Lo share...
Gli impressionisti ad esempio hanno un gran pubblico, che si spreca, ma bisogna far conoscere nicchie e talenti nuovi; questo è il problema. Le classifiche del pubblico presente nelle mostre certificano la bravura?    

In Italia e in tutto il mondo i finanziamenti per musei, gallerie, fondazioni sono a zero. Si è  costretti a far cose che non costano niente; vi è un totale oscurantismo. Cultura che da noi non serve a niente. 

L’artista è di fronte alla libertà di interpretazione; egli finisce l’opera d’arte solo là dove un pubblico interpreta l’interpretazione dell’artista stesso. L’arte affonda le sue radici nella libertà! Non c’è niente di più libero che l’interpretazione. Come radice di una civiltà libera. Il regime totalitario impone la sua arte; un’arte che non sia interpretabile. Nel ‘900 abbiamo avuto regimi totalitari e arti totalitarie. Non c’era più interpretazione dell’artista né del pubblico. E allora c’è propaganda. E’ arte realistica. Non pubblicità. I realismi come arti totalitarie. Realismo socialista, nazista, fascista. Di reale o realistico davvero non c’è niente, ma solo ideologia, utopia, incubo. Oppure – meglio - sono arti segnaletiche; totalitarie come il senso unico stradale. Un’arte che indica! Segnala la strada univoca dell’ideologia. L’olocausto come frutto di un’ostilità verso una cultura che interpreta come quella ebraica. Rapporto arte-libertà-interpretazione. Con il comandamento unilaterale del potere, il pubblico e l’artista non interpretano. Lo stile così viene fuori pulito; estetica del nitore, del segnale. Ma invece l’arte come interpretazione ha un portato etico enorme come promuovere la libertà di interpretazione; creare disorientamento; insicurezza.
Le sicurezze, gli orientamenti sono contro l’arte!

La famiglia Giacometti è  una famiglia dedicata all’arte. Giovanni post impressionista; Augusto che crea astrazioni sorprendenti nel 1889 (già prima di Wassily Kandinsky); Alberto il più conosciuto; il fratello Diego grande designer di mobili che con Alberto anche a Parigi; Bruno (l’ultimo) architetto di notevole valore. Fino a che punto della famiglia Giacometti si può parlare come di un caso straordinario? Cosa hanno a che fare le loro origini culturali che non sono del tutto italiane? Fino a che punto è lecito parlare di origini culturali di montagna della Val Bregaglia? Non si sa molto delle loro origini, è lecito trovare gli elementi di cultura alpina, protestante. In Val Bregaglia sono passati, fra gli altri, Friedrich Nietzsche e Giovanni Segantini. Si può analizzare il caso della Val Bregaglia e come? E’ sociologia o antropologia dell’arte? Stimoli, curiosità su casi reali e concreti. Esperienza di vita con l’arte o esperienza di preparazione dell’arte. 
L’arte è comunicazione per eccellenza. La sociologia dell’arte non nasce dai sociologi; è stata trattata solo da Max Weber ed Emile Durkheim, oltre che da Georg Simmel. La sociologia dell’arte è un insieme di prospettive fra più strade: storia dell’arte, sociologia, psicologia sociale, ecc. Noi partiamo da tre prospettive più quella del corso. In ordine di comparsa storica: 1) il rapporto fra arte e società, prospettiva marxista che spiega l’opera d’arte partendo dal contesto della sua produzione, in esame l’opera d’arte con la società. Norbert Elias, conflittualità fra gruppi, civiltà e esigenza di esaltare i luoghi e i modi di culto. 2) Arte nella società, rivolta al passato, si considera principalmente il contesto di produzione-fruizione. Il prezzo dell’opera d’arte come si forma nel ‘400 italiano; epoca barocca e vincoli degli artisti: tele, mecenati, ecc. 3) Prospettiva contemporanea: arte come società. Sociologia, tecniche di ricerche sociali che si rivolgono al mondo dell’arte nella contemporaneità: problema dei pubblici. Questo corso di sociologia dell’arte studia il sistema dell’arte. Avrà testimonianze di chi ruota nell’universo dell’arte, ad esempio analizzeremo come si organizza una mostra. 4) Prospettiva che non si trova di solito. Che in Italia emerge da Bellasi. Antropologia dell’arte; conoscenza e arte; conoscenza scientifica e mitica; arte come forma di conoscenza. Opere d’arte che non spiegano la società ma società che invece si capiscono a partire dalle opere d’arte. Questo quarto orientamento si avvicina ai metodi di tipo antropologico e soprattutto all’immaginario. Distinzioni fra reale, simbolico e immaginario. L’immaginario del ‘900 o borghese o tecnologico. Gaston Bachelard (critico della Sorbona), Claude Levi Strauss, Emile Durkheim; quest’ultimo diceva che perché la scienza sia operativa è necessario che l’immaginario collettivo dia alla scienza il crisma di una credenza, altrimenti la scienza non è operativa. Secondo Berges, lo spirito de¿
Senza fare classifiche, vi sono tre modi di conoscenza: mitico, scientifico-estetico e la trasformazione immaginaria della realtà. Creare l’immagine di una società è altrettanto importante di quanto non sia la realtà. La rappresentazione del mondo è allucinazione; alluciniamo il mondo scientificamente con i miti o con la produzione estetica. Non è un’azione monodirezionale, è un’azione reazione rispetto all’immagine di ogni cosa. Vi è un tempo legato all’immaginario delle rocce e dei sassi. Si suggerisce un immaginario delle materie aeriforme, liquido o solido. Rocce, fango, nubi, vento. 
Alberto Giacometti dice: Quando le mie dita palpeggiano l’argilla, mi ritrovo sui sentieri di Stampa. Ritornando da scuola con il fango sui miei scarponi...i rapaci planano sopra tutte le carogne della mia vita”. Giacometti non è mai riuscito a fare qualcosa di somigliante al reale. Poetica del fallimento della rappresentazione; della somiglianza del reale. “Non riesco mai a fare un volto. Mi ci avvicino, ma non ci arrivo mai. Alla fine, la statua mi si disfa in mano”. Non è mai contento, non si ferma mai. Non raggiunge l’opera per far emergere una rappresentazione altra rispetto al mondo. Alberto Giacometti esprime barlumi di ricordi, nostalgie folgoranti che partono dall’argilla. E’ solo un ricordo o è un filo rosso della sua opera?
John Ruskin sottolinea l’importanza della memoria individuale e collettiva; nutrimento dell’immaginario. Immaginario che parte dalle materie più che dalle forme. Riserva di memoria che comprende le sillabe per i poeti e ogni colore per i pittori. L’immaginario guidato dal sogno; impressioni, percezioni, campi di memoria di artista e riflessione sul rapporto fra memoria e immaginario.           
La foto è di grande moda, contro quanto afferma Benjamin. Cioè la fotografia oggi tende a essere unica o in tirature estremamente limitate. Si riducono le tirature e l’uso di riproducibilità tecnica che toglie la unicità, la magia, la sacralità che erano proprie dell’unicum dell’opera. La Gioconda se riprodotta vedrebbe scomparire la sua aura. Oggi c’è la riproducibilità da un lato e dall’altro l’arte si avvicina sempre di più alla vita quotidiana. Il video, ad esempio, è spesso noioso che riproduce scene banali. Arte contemporanea uguale banalità quotidiana, trivialità quotidiana. Esiste il problema del rapporto fra quotidiano e storia nella nostra società; ripetitività, indifferenza etica ed estetica della quotidianità. Forte è il problema di oggi. La sensibilità degli artisti più giovani, per scandalizzare il borghese benpensante. Non ci sono più borghesi da sorprendere e nessuno si sorprende più di nulla. Oggi, la tendenza analitica interna alla sociologia dell’arte la rende uguale all’antropologia dell’arte. E’ possibile analizzare ciò, grazie al caso particolare della famiglia Giacometti. Alberto, pittore e scultore, è nato nelle Alpi, in Val Bregaglia. E’ uno dei massimi artisti del ‘900, con Sigmund Freud e Francis Bacon. Rappresentano biografie nel clima pre esistenzialista e post surrealista di Parigi. Alberto è stato un artista metropolitano, cosmopolita, ma noi capiamo solo oggi fino a che punto il suo immaginario viene assorbito in Francia dall’ambiente fisico in contatto. Forme e materie; ambiente di cultura “bassa” della sua valle; fino a che punto può avere un peso nella sua vita e nella sua opera? Immaginario giovanile come deposito immaginario di memorie che in contatto con elementi cosmopoliti di Parigi e Milano hanno dato luogo alla sua arte e al suo stile. Il turismo dell’alta e altissima borghesia si inventa le Alpi ad inizio ‘900 in Svizzera come riserva indiana dei montanari primitivi, bravi e accoglienti, non decadenti e non malavitosi. Rus¿ 
Analisi socio-antropologica: ricerca su Alberto Giacometti. Sociologia dell’arte attenta all’immaginario, a un caso particolare, alla famiglia di A. Giacometti. Cooptato da Jean-Paul Sartre come l’artista dell’esistenzialismo, dell’incomunicabilità, delle folle solitarie, delle piazze e delle foreste in cui gli uomini passeggiano solitari. Afferma Bachelaird, critico della Sorbona, che il paese natale non è tanto uno spazio, quanto una materia, un’acqua, una luce. Il nostro immaginario è fatto soprattutto di ricordo, di memoria e memorie. Memoria volontaria e memoria involontaria. La prima è la volontà di ricordare qualcosa che appartiene all’area immaginaria della mia memoria (il desiderio, mi metto a riordinare i miei ricordi). John Ruskin, critico inglese morto nel 1900, autore del libro “Pittori moderni” dice che tutto ciò che si è visto nella vita è accatastato nella memoria, da dove spunta una memoria precisa. Sulla memoria involontaria, si innesta quella volontaria. Ambedue fanno parte di un immaginario. 
E’ l’infanzia la grande riserva di memoria e ricordi. Il mondo lo si vede tutti attraverso il caleidoscopio dell’infanzia. 
Walter Benjamin, ebreo comunista che si suicida nel timore di essere arrestato dalla Gestapo, ricorda: calzini di lana venivano rimessi puliti in un fagottino che dà calore (sospetto di tipo sessuale), rumore del cestello delle chiavi, casa che diventa il calco della visione di vita. Memoria incommensurabile non inventariata. Memoria involontaria guidata dal sogno. Se mette in ordine le idee è volontaria. 
Durkheim: la realtà è quella che noi sognamo e rappresentiamo. La società è un’enorme macchina per sognare a occhi aperti. L’uomo è un sistema di allucinazioni, di rappresentazioni dal punto di vista sociale. Che ci permettono di sopravvivere all’idea del tempo che passa e all’idea dell’irripetibilità del tempo. Dal punto di vista fisico, l’uomo è un insieme di molecole. Tra un prima che si è perduto e un dopo che non conosciamo. Un punto che si perde in mezzo all’oblio. 
L’immaginario è distinto dalla pura percezione perché appartiene al sogno e all’allucinazione. Da una piccola cosa si avvia una cosa che produce di tutto; ad esempio, le bandiere come immaginario collettivo che produce milioni di morti. Hitler consacra le bandiere dei battaglioni con la bandiera macchiata dal sangue dei nazisti della prima ora, dei martiri nazisti. Sacralità acquisita. Bachelard: l’immagine percepita e quella creata, sognata, allucinata. Elaboriamo l’immaginario perché ciò che è altro da noi, per noi è pericoloso. Anche gli elementi più innocui sono atti di offesa e di difesa; sono guerre preventive. Il dono e il controdono. Il dono è la nostra bandierina. E’ una colonizzazione dell’altro! Si apre un contenzioso. L’atto sessuale è aggressivo. Senza aggressione non c’è amore. Oltre le due immagini di Bachelard, c’è la terza. Che appartiene alla creatività del pittore che lavora sull’immagine immaginata. Cioè imprime qualche cosa che è uno stile nuovo. E’ una forma di conoscenza che parte da una teorizzazione. L’immagine creatrice ha tutte le funzioni dell’immagine. Sforzo continuo di vivere nell’irrealtà. Vivere nella realtà ideale che fa parte della società reale. Difficile da distinguere. Entrambe socialmente utili. Prendono spunto dall’immaginario che le materie ci suggeriscono. Ma cosa accade nell’arte? Nanni e Sparagni hanno accennato al rapporto fra potere e funzione artistica. Arte sempre in combutta con il potere. Ma la Evangelisti ci ha detto quanto mercato e arte facciano parte di un sistema. Nel progetto di produzione artistica ci sono due poli di interpretazione. Umberto Eco in “Opera aperta” dice che l’artista percepisce il reale, subentra l’immaginario e inizia l’interpretazione. Un surplus di interpretazione, di creazione in cui concorrono l’immaginario volontario e quello involontario insieme all’immaginario delle materie. Assoluta libertà interpretativa che inizia e conclude l’opera dell’artista. E’ vero che l’arte è collusa con il ¿Come mai le grandi collezioni sono di famiglie ebree o protestanti e non di famiglie cattoliche? 
Quasi tutte le opere naziste “hard” sono state portate a Washington, dove in camere blindate sono rinchiuse e proclamate dal Senato Usa come “ideologicamente infette”. I dettami del nazismo sull’arte erano estremamente rigidi. C’erano degli interi libretti nazisti che dettavano linee rigidamente. In Italia, il regime adotta una politica più leggera e organizza dei premi. Alcuni premi erano per i fascisti-fascisti, che non firmavano nemmeno le proprie opere; poi c’erano quelli un po’ meno; e infine opere più libere. In Italia rimane così ancora uno scarto di interpretazione e di ambiguità.  Sironi fa opere cupe, fuligginose, tristi, con città in cui si vaga, dispersi. 
E’ mostruoso che il tratto dell’arte nazista dalla scultura alla pittura tenta di raggiungere il reale attraverso la sola ideologia. Realismo nazista, socialista, fascista. E’ solo una realtà trasformata che dà luogo a una libertà interpretativa che porta con sé un’ambiguità che è la salvezza dell’interpretazione.                                          
Quest’arte è quindi chiamata arte segnaletica, che ha come referente la fotografia segnaletica documentaristica. L’arte è rinchiusa in una interpretazione totalmente esaustiva; che si racchiude in un’estetica del nitore. Nel nazismo c’è un nitore molto simile alla fotografia. Che esce dallo studio dei fotografi e diventa un accessorio. Il formato 24  x 36 ci dà la possibilità di riprodurre la quotidianità. La Laika, macchina fotografica tedesca, è un oggetto sacro in Germania, di nostalgia. Poi la Kontax, la Exatta (reflex), sono macchine che riproducono una realtà reale. Arno Brecher ha le sue statue/sculture in uno strano castello. E’ il campione dell’estetica del nitore; senza incertezze, non ci sono interruzioni impressioniste. Ma è una carta geografica, topografica dell’ideologia. Perché l’ideologia (totalitaria) monumentalizza il mondo? E ci tiene tanto? Ad esempio, la Statua della libertà e la Torre Eiffel raffigurano idee considerate grandi che devono ammobiliare la mente dell’uomo. I monumenti sono il mobilio delle ideologie totalitarie che devono mettere in ordine. Il collezionista è un dittatore in erba. Il collezionista di francobolli è alla perenne ricerca del francobollo che manca e mette sempre in ordine. Per Ernst Hans Gombrich, ne “Il senso dell’ordine”, il collezionista è uno dedito alla miniatura. Si costruisce un cosmo con due principi: l’orrore del pezzo che manca e l’amore infinito. “Orror vacui e amor infiniti”. Utero domestico che raccoglie storia nel suo cassetto. Storia del mondo, della conoscenza. Piccolo universo che si mette in ordine per mettere ordine nel mondo intero. Monumentalizzazione del mondo. Albert Speer mette una catena di riflettori antiaerei sulle mura dello stadio e costruisce nella notte una cattedrale di luce. La notte mette in dubbio; non fa più riconoscere; diventiamo come un granello di sabbia. Charles Darwin dice che siamo un granello di una catena evolutiva. Il buio si chiude con la luce. La montagna è disordine; mo¿Il teschio riprodotto con l’anamorfosi, tecnica rigorosa e precisa di distorsione delle forme, deformazione per far leggere in condizioni particolari. Anamorfosi lineare, piramidale, cilindrica. Pensiero della morte, il teschio che si insinua nel potere. 

Protestantesimo e modernità come fucine. Due fucine quindi - rivoluzione francese e Riforma – non ci sono state in Italia e oggi siamo nei pasticci. Nel 1900, balzo delle innovazioni tecnologiche nella ricerca scientifica. Inizia l’ossessione per la modernità. All’entusiasmo produttivo si mescolano dei grandi sensi di colpa. Timore di aver sfidato Dio sul suo stesso terreno. Oggi, di nuovo, timori con la genetica. Ma le scoperte valgono solo nel momento in cui sono accettate dalla gente, perché così nasce la credenza. Tutta la nostra vita dipende dalla scienza che è una credenza. Ad esempio, non sappiamo cosa è la genetica; credenza nella scienza. Fine ‘800 - inizio ‘900, l’immaginario collettivo non riesce ad assumere le scoperte con tranquillità e allora le dittature comuniste e, soprattutto, fasciste e naziste operano una semplificazione assoluta del pensiero con la romanicità e la razza. Sono tre risposte di tipo pseudo religioso-magico a quei sensi di colpa che subentrano con lo sviluppo della scienza e della tecnologia. Ciò emerge nella sensibilità dell’arte. L’arte va conosciuta dal sociologo meglio dell’economia perché è un radar che coglie sintomi appena nascenti. L’iconografia dittatoriale è vicina, ispirata a quella religiosa. Ad esempio, l’idea nazista del mondo; ideologicamente infetto: condanna Usa. Ideologie che sono forme di religione secolarizzata per dare un senso alla propria vita. Sacrificio non solo per il lavoro, ma per il partito. Segnale importante è stato il cinema espressionista tedesco. Metropolis di Fritz Lang del 1927; Siegfried Krakauer “da Caligari a Hitler”. Analisi di antropologia dell’arte, straordinaria. Esamina la processione dei mostri che diventa quella dei tiranni. Dracula, Mabuse, Caligari sono mostri che sembrano preconizzare i mostri storici della politica europea. In questi casi c’è sempre la figura dello scienziato pazzo e l’innesto della tecnologia sul corpo a vincere la finitudine della vita ma anche la libertà di cosci¿La sociologia dell’arte - come già detto - è molto vicina all’antropologia, da cui ad esempio il caso Giacometti. In fondo abbiamo proclamato che il messaggio dell’arte, come produzione estetica, è un messaggio aperto. E’ un processo di interpretazione. L’opera d’arte è anche il nucleo del concetto di libertà. Interpretazione della realtà di un artista che è però imprevedibile. Noi possiamo scegliere un immaginario. Interpretazioni e tecniche (più o meno sofisticate) ma sarà sempre una rappresentazione, almeno una miniaturizzazione. Vi è un’ambiguità di base, un qualcosa di irrisolto che si accetta. Arte molto simile delle dittature, realismi. Però è realtà filtrata da un’ideologia. Fascismo e nazismo privi di pensiero; con miti, semplicismo della razza, umanità. Il comunismo è molto più articolato. Quindi arti segnaletiche che esorcizzano l’interpretazione, così le arti come non mai sono sottoposte in presa diretta come strumento di potere. In più succede che, all’inizio del XX secolo, sulla scia della rivoluzione industriale e dell’urbanizzazione la coscienza collettiva  comincia ad acquisire le grandi conoscenze e scoperte della scienza. C’è così un’ossessione della modernità, simbolo dell’immaginario collettivo. Grandi ferite narcisistiche dell’umanità. 
La scienza oggi detta tutta la nostra vita poiché è stata assunta come culto, religione. Le scoperte scientifiche si fanno strada nella coscienza collettiva e viene meno la resistenza. L’ossessione della modernità subentra anche con la scoperta di non essere più al centro dell’universo. La gente, l’immaginario collettivo percepisce che la Terra è una briciola che fugge a una velocità folle verso l’ignoto. Non siamo più al centro del creato! L’io cammina verso l’inconscio. Con i lapsus (Psicopatologia della vita quotidiana – Freud) ciò che succede e facciamo non è mai così innocente. Baratro sconosciuto fra mente e corpo. 
L’ossessione della modernità: da un lato ci si getta entusiasticamente nella modernità cercando però di controllarla rendendola familiare, metabolizzandola in senso familiare, movimenti futuristi che abbracciano in pieno la modernità; dall’altro lato, l’espressionismo tedesco sente il senos di colpa per l’invasione del campo di divinità del Creatore. Si creano i mostri; si è condannati dai mostri che si creano. Processione di mostri veri: i dittatori. L’arte futurista è un’arte che interpreta i progressi scientifici e tecnologici inserendo la volontà dell’uomo a cui dare i processi. Ambiguità per reperire i sentimenti umani di entusiasmo e violenza all’interno dei progressi scientifici e tecnologici. Ma ci sono altri movimenti che danno altre ambiguità, di più. Infatti il futurismo è vicino al fascismo, all’entusiasmo totalitario per la scienza e la tecnologia. I totalitarismi in fondo sono un modo estremo per governare l’ossessione della modernità, i sensi di colpa, la paura dei mostri dello scienziato folle che sfida Dio nella costruzione della vita e non solo della saggezza. Poi i movimenti dada che vengono attaccati; essi smontano l’unidimensionalità tecnologica con l’ambiguità della sessualità. I dadaisti vedono nelle macchine un qualcosa che somiglia all’uomo soprattutto nel suo fare amoroso. Macchine inutili, ma la macchina “deve” produrre. Il dada smonta la scienza e la tecnologia come pensieri unici; come centri di pensiero unico; come nuova religione. Ma scienza e tecnologia erano così vigorose che bisognava smontarle ridicolizzandole. Così Gilles Deleuze e Felix Guattari le chiamano “macchine desideranti”. Per Freud, la libido è il desiderio di qualcosa che manca. Per Jacques Lacan, il desiderio è mancanza a essere. 

Sul desiderio si impianta la pubblicità; quella delle auto, delle scarpe, ecc. La sessualità è desiderio e allora la pubblicità si fa “sopra” la sessualità. I consumi tamponano un desiderio infinito e indeterminato. 

Libido, sessualità introdotta dai dada nel pensiero univoco, monopolizzato dalla scienza e dalla tecnologia. E quindi molte composizioni dada si rifanno alla morte, all’amore. Gli istinti di vita e morte che si intrecciano e finiscono solo con la morte del corpo. Il dada disinnesca, esorcizza l’onnipotenza della scienza e della tecnica. La violenza della tecnologia è attaccata dall’ambiguità del desiderio erotico. Marcel Duchamp crea l’oggetto più misterioso e affascinante del ‘900, l’opera più importante del dadaismo, “Il grande vetro” e, anche, “La sposa messa a nudo dai suoi pretendenti”.
Macchine celibi. Invasione di campo da parte del desiderio erotico nel campo della scienza, della tecnologia, del macchinismo. E’ drammatico; un miscuglio, intrusione di elementi umani e di elementi di macchine. Celibi macchine che pretendono la mano della sposa, macchine desacralizzate. Il macchinismo è esiliato nel terreno eterogeneo della sessualità. E lì le macchine confessano tutta la violenza insita nel pensiero tecnologico. Il “Profilo continuo” del volto ritratto di Mussolini (opera di Renato Bertelli) dà l’idea della circolarità del pensiero che torna su se stesso, senza rotture. Che differenza con il volto di Diego Giacometti fatto da Alberto; morte e vita che si confrontano. Il ritratto di Bacon: violenza e fragilità. 
La Val Bregaglia al nord della Valtellina. Alberto Giacometti e Francis Bacon rappresentano un’arte assolutamente antitetica rispetto a quella totalitaria. Che discende dai dada ma prende una strada di totale ambivalenza e ambiguità fra morte e vita. Esistenzialismo di Sartre che prende a sé Giacometti. 
La montagna; analisi antropologica. Non solo posto di vacanza e suo immaginario. Invenzione e mistiche delle vette e delle montagne; purezza, acque, non tecnologia. Ma è anche un luogo terrificante, di solitudine in cui l’uomo è un po’ un optional; desolazione della montagna. Montagna che è un’allucinazione, non è turismo della bella epoque. Per Bachelard la montagna è verticalità in rovina; forza vitale e – insieme - corrosione, erosione e caducità dei nostri corpi. Accumulando ai nostri piedi i detriti di ciò che si è perduto nella nostra vita: amicizie, affetti, ecc. Tragico-allucinatorio della montagna. L’orizzontalità è il destino della montagna. La morte. Il corpo come ski line di montagna. Reskin: se una montagna dovesse raccontare la propria storia direbbe di come erano alte e come invece sono ridotte. Crolli spaventosi nelle Alpi per via dei ghiacciai che non ci sono più. L’immaginario del granito resistente ma che si spezza. Pinnacoli eterni che si spezzano. Vita dell’uomo che si corrode. La montagna come trionfo dell’entropia. Granito con immagine di durezza e fragilità ma la montagna è crollo e disfacimento. E’ il risultato di qualcosa che crolla verso l’orizzontalità. Mistero della famiglia Giacometti: tutti artisti, tutti della Val Bregaglia. Augusto Giacometti che arriva all’astrazione a inizio ‘900. Alberto Giacometti che nelle sue sculture procedeva per sottrazione di materia; prima modellava e poi portava via. Le facciate dei palazzi di Parigi dipinte con lo stesso colore del granito delle sue vallate. Le vallate di Parigi! 
L’esistenzialismo è piazza, città, oppure foresta con spiazzi. Vita sospesa fra il nascere e la perdita. “L’uomo che inciampa” di Alberto Giacometti; altro che la solidità delle figure naziste... Monumento alla debolezza, alla fragilità, all’ambiguità. Un uomo ancora vivo o già morto?                                            



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- Intervento del prof. Luciano NANNI - Docente di Filosofia Estetica alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna e Direttore della rivista “Parol” – Autore, fra gli altri, de “Il silenzio di Hermes: contro la teoria standard della comunicazione” – Meltemi – 2002.

Titolo dell’intervento: Quando qualcosa è Arte? 

Parol uguale discorso, uguale pelle del mondo dove tutto accade e tutto può essere controllato. Ci unisce il livello dei segni. Dentro noi succede qualsiasi cosa ma nessuno lo sa. Quando lo sa, è perché ci rivolgiamo ai segni. 
Scienza privata cioè quello che si appresta a diventare scienza. Ciò su cui sarebbe auspicabile convenire prima e durante ogni discussione (sull’arte). Bisogna prima chiarire questi presupposti. Gli uomini sono condannati a usare il pensiero solo in due modi.  Come devo stare nel tuo discorso, che ne deve essere di me nel tuo discorso; cosa mi chiami a fare nel tuo discorso. 
1) Dimensione pratica che produce comportamenti, in cui siamo autorizzati a entrare in gioco con la nostra visione del mondo. “Usciamo a tagliare l’albero?” e io posso dire la mia. 2) moto di spirito di spostamento (chiave teoretica). “L’albero è verde” e io posso solo dire sì o no. (dimensione teoretica, si controlla, si guarda, si dice si o no). 3) Non c’è un terzo modo; è la confusione. Si può oscillare dal primo al secondo modo ma non c’è un terzo modo di usare il pensiero. 
I filosofi sono curiosi; vogliono vedere cosa succede. Aristotele: azioni poliedriche che producono oggetti; azioni pratiche che producono azioni, comportamenti; azioni teoretiche che guardano. La matematica, la filosofia come scienze dei primi principi; fisica come scienza che guarda le forze. Nell’arte, l’estetica è il discorso scientifico-teoretico. L’estetica è scienza; lasciar fuori il proprio punto di vista. Vedere Giorgio Prodi in “L’uso estetico del linguaggio”, il Mulino. Nell’arte, poetica è il discorso pratico. Il pensiero che pensa l’arte per produrla. E’ dogmatica. Legittimata a far dire la sua chiunque produce arte. Le parole significano ciò che gli uomini le fanno significare. La poetica come discorso produttivo d’arte. 
Gli uomini credono di poter parlare direttamente all’interlocutore. Ma i parlanti non si raggiungono direttamente ma tramite il mondo, che è in noi. Perché non siamo nudi? Perché non ci è concesso. Chi ci impedisce di venir nudi? Convenzioni collettive, se vengo nudo ci sono delle sanzioni. Se voglio esser Papa, anche se sono vestito da Papa la gente non mi considera tale. C’è una ritualità da seguire per diventare Papa.       
Io oggi vi parlo in ciò che concede la lingua italiana; ci parliamo sempre tramite un noi (condiviso). Non si può raggiungere direttamente un fruitore di opera perché ci mette arte. Ma l’arte ha delle convenzioni da seguire. Sono le convenzioni dell’arte che ci fanno raggiungere gli altri. La parola “arte” è uguale alla parola “tecnica” in greco. L’artigianato raccoglie chi tecnicamente produce opere. Anche l’artista è artigiano ma quando quel corpo attiva la funzione specificatrice di artisticità, si ha l’Arte. Noi non ci tocchiamo nemmeno direttamente, non ci vediamo, ma tramite segni, convenzioni, siamo parametrici. Costruiti attraverso parametri. 
Poetica e pensiero produttivo possono avere tre tipi di soggetti: 1) poetica dei singoli, un soggetto singolo, ad esempio la poetica di Montale, l’opera di Morandi; 2) poetica di uno che fa parte di un collettivo, uno di gruppo determinato, ad esempio la poetica dei futuristi (nei manifesti ci sono i gruppi progettuali operati, ci sono contemporaneamente più poetiche a soggetto collettivo, realtà che hanno come soggetto il noi, metagruppo); 3) ma c’è anche la poetica di una cultura a soggetto diffuso, ad esempio poetica di contemporaneità oppure di medioevo. E’ solo una la poetica che coincide con l’epoca. Questi tre tipi possono essere pacifici o conflittuali. Conflittuali soprattutto fra gruppo determinato (collettivi) e soggetto diffuso.       
La lingua è completa nell’insieme dei parlanti; la stessa lingua. Il territorio è delimitato da se stesso. E’ il linguaggio che nomina i soggetti funzionali. Il telefonino indica la funzione che potrebbe essere anche come fermacarta o arma impropria scagliata contro qualcuno. Nessuna cosa può stare in questo mondo se non ha corpo; altrimenti si è dell’altro mondo. L’edicola è una materia di cui è proprietario qualcuno. La funzione di edicola è pubblica; è della coscienza collettiva. Il giornale lo deve vendere per forza; la funzione è collettiva. I luoghi pubblici sono il segno fisico delle regole. Ognuno si fa la roba di cui ha bisogno. L’opera nasce quando qualcuno ne ha bisogno. Tutte le entità hanno due spazi: entità collocate in uno spazio genetico oppure in uno spazio risolutorio (o d’uso). Spazio che va dal non esserci all’apparire; dalla presenza all’assenza. Il medico individua la diagnosi (teoretica; diagnosi che deve essere oggettiva) e indica la cura (soggettiva). Dove c’è l’opera si ha bisogno di quell’opera. Il bisogno d’opera porta all’azione; a una serie di scelte che arrivano all’opera, all’azione, all’oggetto. L’ovvio non lo vediamo. L’università non riesce a far vedere, a riprendere l’ovvio e portarlo alla luce. L’artisticità dell’oggetto non è in funzione dell’oggetto ma dell’uso artistico che si fa. Qualsiasi cosa può diventare arte se la consideriamo tale. Nell’arte concettuale stabilisco che un’opera è arte. La verità è vista spesso ma bisogna metterla al posto giusto. Si ha paura di essere accusati di idealismo e si tradisce la verità. 
Ciò che rende artistico un oggetto è il battesimo. Un battesimo per via circostanziale o dei luoghi si ha quando ad esempio uno scola bottiglie è in un museo; vorrà dire che è un’opera d’arte. L’artisticità è una modalità del vedere. Tutte le opere d’arte sono spostamenti, di cose trovate fatte. Chiunque fa una cosa non cambia nulla. L’oggetto è fatto dall’industria e un corpo d’artista fa l’oggetto d’arte. Leonardo fa l’artigiano disegnando la Gioconda. Poi, quando vede che è “una cosa buona” la fa girare come arte fatta da un artista. La battezza in nome dell’arte. Chi ruba prende ciò che è battezzato con la firma dell’artista, altrimenti ruba una produzione artigianale. L’opera si può rifare perfettamente invece il battesimo non si può più riprodurre. Le due operazioni sono separate. L’opera quando nasce è un bambino inerme. L’uomo non è uomo per natura, ma lo è per cultura. Le donne o i negri sono diventati uomini quando la cultura ha deciso che lo dovevano essere. Altrimenti, non erano uomini! 
Qual è lo spazio di azione del battesimo? Agisce come arte nello spazio conquistato. Arte in casa propria; arte per se stessi. L’artista può decidere lo spazio di funzione di artisticità in base alla poetica che sceglie. Se il museo accoglie un’opera si ha una vidimazione della propria opera.              

L’artista autorizza la collettività a usare quell’opera secondo le esigenze e la volontà della collettività stessa. 
Vi è bisogno dell’io, quando l’io si costituisce e vive tramite un oggetto in situazione psicoanalitica. Quando invece l’io che produce l’opera è già costituito, non ha bisogno dell’oggetto per costituirsi. L’artista è colui che può battezzare direttamente, altrimenti si è dei critici che interpretano esautorando, oggi, l’emittente-artista.

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- Intervento della dott.ssa Tulliola SPARAGNI - Direttore Scientifico della Fondazione Antonio Mazzotta di Milano -  
Titolo: Comunicare l’Arte: la storia del ‘900 attraverso le grandi mostre

La dott.ssa Sparagni – premette il prof. Bellasi - attraverso tre lezioni-conversazioni porta l’esperienza delle Fondazioni private e tratta il tema di come l’arte è stata comunicata attraverso la storia delle mostre. Le mostre come fenomeno sociale, economico, culturale e - aspetto decisivo per la storia della mostra - artistico. Mostrare è far vedere, esporre. Mostra, esposizione, portare fuori, portare da, provenienza e esteriorità, portare come porre da o fuori. La mostra è un fenomeno attivo! E’ un far vedere che presuppone un movimento. Spostare un’opera d’arte da un posto per portarla fuori. Mostra è un movimento di opere d’arte con regole, rischi, prendi da un luogo e lo porti in un altro. La mostra è arte che è un vedere, un farsi vedere. E’ anche arte come dimensione collettiva. Dimensione interiore dell’artista ed esteriore nel far vedere le sue opere.                 
Secondo Walter Benjamin, la sempre maggiore visibilità dell’opera d’arte è una caratteristica moderna. Esigenza di sempre maggiore fruibilità. La performance teatrale è piccola, unitaria in una sola serata. La sera dopo sarà differente; non è mai la stessa. Dimensioni di luogo e temporali uniche; non è un film riprodotto. Unicità del dipinto o della scultura e riproducibilità di una fotografia all’infinito. La visibilità estesa è segno di modernità e, quindi, le mostre sono un segno forte di modernità culturale. 
Ma cosa è moderno? Quando inizia la modernità? Nel 1492 con la scoperta dell’America e con la fine del Medio Evo? Come riporta la scuola, con il mondo nuovo? Oppure con la Rivoluzione francese del 1789? C’è molta differenza! La natura della modernità è differente. Nascita delle mostre con allestimenti di spazi appositi. Far vedere al pubblico nuovi prodotti importati da terre appena scoperte. Ma anche i romani e il Medio Evo usavano templi e chiese per le novità. La chiesa come base di due strutture artistiche fondamentali: 1) il museo, per le reliquie da custodire; 2) l’esibizione delle reliquie per far vedere i suoi tesori agli altri; le spoglie e le armi dei nemici uccisi fatte vedere nei templi. Chiese come meraviglie naturali. La chiesa come primo spazio organizzato per mostre, ma nasce nel ‘600 l’esigenza di uscire per far vedere cose specifiche.
La mostra, per come noi la concepiamo, ha un origine ben precisa che si fa risalire al 1699 quando nel Salon Carré del Louvre si tenne la prima esposizione pubblica delle collezioni reali di pittura. E’ la monarchia francese che espone i suoi capolavori. Uscita dalle chiese, la mostra deve trovare luoghi nuovi e appropriati per la sua funzione principale, che è quella di attirare un pubblico il più possibile numeroso a vedere delle opere d’arte. Sin dai suoi esordi, l’esibizione di opere d’arte si dirama in due direzioni: 1) la mostra di arte antica, basata sulle collezioni (pubbliche o private); 2) la mostra dedicata alla produzione attuale degli artisti viventi o comunque contemporanei. All’epoca delle prime esposizioni, possiamo quindi osservare nel primo tipo di mostra la derivazione diretta dal museo, del quale amplifica la visibilità, nel secondo invece si evidenzia il legame con l’Accademia. Fra questi due tipi di mostre, anche i riti, i luoghi, ecc. sono completamente differenti; non c’è solo differenza di date sui dipinti. Fra contemporaneo e non, c’è sempre stata una differenza di culture per due esigenze: 1) quella per gli artisti viventi di farsi vedere; 2) l’esigenza di istituzioni culturali, musei, accademie di glorificare se stessi di un potere posseduto anche attraverso l’arte. L’Accademia francese è stata fatta per esibire collezioni reali d’epoca ma poi c’è la Maison parigina per esporre opere di artisti contemporanei.                               
Vi è molta differenza nel campo delle mostre: dall’esposizione del singolo artista a quella dell’accademia; dal potere ai governi. Grossa differenza per la natura delle opere mostrate, per il significato differente, ma in ogni caso con l’attenzione alla visibilità e al pubblico. 
In Italia i chiostri vengono utilizzati per mostre d’arte contemporanea;  spazi sistemati appositamente. Con biglietto da pagare e catalogo già nel XVII secolo; quattro secoli di vita delle mostre come fenomeno economico. La mostra fa vedere le opere d’arte a pagamento; il pubblico è pagante fin dalla loro nascita. Il boom delle mostre è nelle città più ricche: Londra, Parigi, Roma.  
Il godimento artistico casalingo, il museo personale c’è sempre stato. 
La mostra è per far vedere ciò che altrimenti non si potrebbe. Ad esempio gli impressionisti si vanno a vedere anche se c’è gran folla; si sfrutta l’occasione. Lo scopo è vedere ciò che altrimenti non si potrebbe; è una partecipazione collettiva a un rito.
Paradiso e inferno della mostra sono connessi; una duplice funzione di disvelamento culturale e sfruttamento economico. Voglia di far vedere e, nel contempo, più pubblico c’è e più è positivo. Le Salon parigini sono mondani ma anche attività economica. Esposizioni che fanno vedere lavori di professori e allievi ma c’era una giuria che decideva se potevano far parte del museo, esporre. Vi erano gran spazi con più file di opere sistemate gerarchicamente. La storia degli impressionisti si può vedere attraverso la partecipazione ai Salon. Con l’impressionismo comincia la modernità dell’arte. Loro furono rifiutati dai Salon e allora fecero le loro esposizioni a partire dal 1874. In forma di società propria economica e fiscale e poi anche con gallerie autonome si ha l’esposizione libera degli impressionisti che non erano pittori accademici. Non avevano mai ricevuto gratificazioni ufficiali. Paul Cezanne, Claude Monet, Edouard Manet esposero poco o nulla. Boicottaggio del loro lavoro. Primo gruppo militante di artisti moderni. Che espongono per conto loro. Può convenire oppure no esporre al salon? Espugnare la fortezza o isolarsi? Chi era ricco poteva creare liberamente. Edgar Degas, Adalbert Deganne, Gustave Caillebotte sono intransigenti con il salon ufficiale. Invece Auguste Renoir dovette prendere la decisione di esporre. Gli impressionisti si spaccano, si dividono; tra chi ha avuto fortuna e chi si trovò costantemente boicottato. Cesanne non ha mai esposto nulla. Vi erano l’arte e il gusto accademico ufficiali e quelli non ufficiali. Come raggiungere un pubblico e vendere? Gli impressionisti espongono da soli e nasce l’arte moderna. L’artista moderno è mercante di se stesso per forza. Non è più il monaco medievale che opera per le chiese. E non è artista di bottega con dei committenti. Manet, Cezanne creavano da loro e poi avevano il problema di vendere. Non c’è più un fruitore privilegiato o committente; c’è un fruitore pubblico collettivo, capriccioso e incompetent¿Annibale Carracci, degli inizi del 1600, bolognese, giovane immagine di un destino, di un corso della rappresentazione della realtà. I più battaglieri hanno lottato per uno statuto dell’arte che si avvicinasse alla realtà. La mimesis, l’avvicinarsi alla realtà quotidiana., a ciò che noi vediamo, differenzia quella occidentale dalle altri arti. Realismo che non c’è nei mussulmani, indiani, ecc. L’occidente moderno è realismo. “Il mangiatore di fagioli” di Carracci, con pane e fiaschetta di vino; soggetto e fattura stilistica realista. Il Van Gohg olandese prima di andare a Parigi esprime una missione sociale e religiosa, laica. I mangiatori di patate della campagna desolata olandese, contadini abbrutiti che mangiano “pommes de terre”, sporchi. Le patate cibo per i poveri lanciato dalla monarchia francese; dalla Francia settentrionale alla Germania, tutti i contadini spinti a mangiarle. Poi Vincent Van Gohg cambia, abbandona l’Olanda, va a Parigi in cui accade di tutto per l’arte. Van Gohg ha uno shock a Mont Martre, quartiere popolare di campagna, zona di orti con mulini. Fino a fine ‘800 è quartiere a sé, dove si viveva con poco, a basso costo. La collina di Mont Martre con gli orti non è la Parigi vera ma la sua antitesi. Van Gohg abbandona la tela nera olandese e si apre al colore puro. E’ l’inizio degli impressionisti ma lui si rifiuta di esserlo. Scrive contro gli impressionisti considerati dei venduti, dei borghesi arricchiti. Nel 1886 sono riconosciuti come dei maestri mentre prima – negli anni dal 1860 al 1870 – gli erano contro. Van Gohg non accetta la qualifica di impressionista e organizza da solo la sua struttura espositiva. Nel 1874 vi è una mostra autonoma degli impressionisti. Nel 1880, organizzano un salone alternativo, un controsalone che non ha nulla a che fare con quello ufficiale, quello degli indipendenti. Vi sono due saloni; quello ufficiale in primavera e l’alternativo in autunno. Due soluzioni organizzative: autopromozione e mostre piccole op¿Vienna e il Palazzo della secessione; i secessionisti sono quelli che si vogliono separare, uscire fuori. A Vienna, Gustav Klimt dice ai suoi colleghi che la loro arte non gli piace, che la loro politica culturale va cambiata. Si fonda un nuovo gruppo; si esce dalla struttura accademica e si fonda il Palazzo della secessione, senza un nome. Mentre a Parigi gli alternativi esponevano anche negli spazi ufficiali, a Vienna fu costruito un edificio apposta. Un gruppo nuovo con un proprio spazio espositivo; padroni assoluti di ciò che si vuole esporre. Il motto sul frontone del Palazzo era: “Ad ogni epoca la sua Arte; all’Arte la sua libertà”. E’ un’affermazione rivoluzionaria, non accademica; l’Arte non è più espressione di potere. Vi è piena autonomia e un’opera eternamente visibile con il Palazzo e il motto dell’Associazione. La “Nuda veritas” di Klimt fece scandalo fra i benpensanti; il pube esposto con accanto lo spermatozoo. Klimt nome di punta con la sua arte commissionata e rifiutata. Fra i secessionisti vi sono stati architetti, designer, ecc., non solo pittori. Solo alcune famiglie ebraiche li finanziavano.                   
La rivista “La primavera sacra” è il segno della ripresa della battaglia culturale; la verità è un fuoco. L’arte e la bellezza sono privilegio di pochi. Poi gli artisti tedeschi si creano le loro strutture organizzative, secessioni. L’edificio viennese diventa simbolo del modo di far mostra. Nel 1902, a culmine dell’attività espositiva della Secessione, vi fu un evento con un’unica opera esposta; dedicata a Beethoven. Max Klinger fu autore di una statua polimaterica presentata con decorazioni di contorno fra cui un fregio di Klimt di 17 metri. Il fregio-Beethoven è considerato oggi una testimonianza esemplare della moderna arte monumentale. L’opera di Klimt non venne distrutta, come invece previsto, ma ormai in mostra si può vedere soltanto la copie fedele, non più l’originale; è un paradosso.       
I secessionisti hanno innovato la pratica dell’allestimento. La cornice diventa importante; cornice moderna chiara per gli impressionisti. Cambia il gusto di presentazione di un quadro o di una mostra. L’allestimento, che diventa fondamentale, dà aspetti, significati, atmosfere; è essenziale per il successo e per la costituzione stessa della mostra, nonché per far acquistare significati, ricchezza, suggestioni con le coreografie. La secessione ha creato un’immagine moderna della mostra. A Vienna l’esposizione è di forma quadrata; anche le sedie sono quadrate. Nell’ottocento c’erano decorazioni in mezzo alle opere; c’era di tutto negli spazi espositivi. I muri erano colorati perché erano la trasposizione dei muri privati colorati e addobbati delle case. Invece i secessionisti con il muro bianco creano uno spazio neutro. Vi è un tempio dell’opera d’arte da non disturbare con accessori. Muro bianco, sacro, pulito, nitido. Il bianco come massimo colore espositivo. Gusto forte innovativo, provocatorio. Oggi si riprova a mettere un po’ di colore perché era un’arte nata per ambienti espositivi con forte colorazione. Poi ci sono i secessionisti dei secessionisti, a causa di dissidi interni nel 1905 Klimt secede di nuovo. Crea un’officina viennese che è un laboratorio di design per cartoline, abiti, disegni, libri, illustrazioni che creano una nuova figura d’artista. Una nuova struttura. Dal 1905 all’inizio della prima guerra mondiale, l’avanguardia produce un rincorrersi di secessioni. L’espressionista che si presenta con brutalità; il clima artistico è completamente mutato. L’inizio dell’espressionismo astratto monacense è battaglia d’arte che si combatte a suon di esposizioni. Ogni artista è fatto di litigi e di battaglie per le mostre. L’arte moderna è fatta di mostre, con la contemporanea le mostre perdono di importanza. C’è più riflessione, e meno battaglia e duello.           

Genesi della mostra e rapporto che esiste fra artisti e mostre. Il museo come luogo simbolico di esposizione permanente; la mostra, l’esposizione vera e propria come effimero. Lo spazio ecclesiastico come museo permanente dell’opera d’arte. La mostra è per l’occasione; un luogo espositivo con suoi specifici aspetti connessi problematici. Possiamo vedere relazioni e connubio oppure - al contrario - una contrapposizione: museo vs mostra o viceversa. Ambedue i percorsi sono legittimi e storici. Attualmente la mostra e l’esposizione effimera rappresentano una delle principali forme di finanziamento economico. Dal successo dell’esposizione nel museo dipende la vita del museo stesso. Vi è un connubio inscindibile, oggi, fra mostre e museo; opere esposte all’interno del palazzo o fatte viaggiare. Teoria e pratica dell’esposizione sono elementi indispensabili del museo d’oggi; soprattutto i musei stranieri come in Usa, ecc. vanno avanti con le mostre. Invece in Italia c’è più un rapporto museo vs mostra. Contrapposizioni e differenze della mostra dal museo. Si vedono mostre ma non musei. I disagi sono per andare a vedere le mostre non per i musei. La contrapposizione danneggia il museo rispetto alla mostra perché se è vero che l’Italia possiede l’ottanta per cento delle opere d’arte ciò crea da solo degli immensi, numerosi e ricchi musei. Opere d’arte antica che fanno fatica a viaggiare; misure, conservazione, sicurezza che fanno sì che non sempre si riesce a spostare le opere. Ciò fa dire di no ai viaggi. L’ordine teorico conservativo è contro la mostra; a causa di fragilità, preziosità, si preferisce non esposizioni effimere ma permanenti. In più, i musei italiani sono vecchi e quasi mai adeguati alla moderna concezione del museo. I nostri grandi musei ad esempio non hanno spazi espositivi; il paradosso di Brera: enorme contenitore senza spazio espositivo, solo visione museale. Negli anni ’70, ci fu una grande Brera insieme all’Accademia con esposizioni, mostre, restauri¿Opere come “Il ratto delle sabine” vennero esposte in sale affittate per l’occasione e a pagamento a causa della burocrazia, ecc. Gli impressionisti trassero ispirazione dai predecessori ed esposero per conto loro. Il dipinto de “La zattera della medusa”, in riferimento al naufragio di un vascello, venne esposto nel 1820 a Londra a pagamento con un grande successo di pubblico (50.000 visitatori ...fascino del reality). Agli impressionisti non interessava nulla di finire al Louvre. Artisti che organizzano per sé mostre in prima persona vanno avanti fino al 1950. Oggi è un fenomeno scomparso; adesso sono organizzate da privati, ecc. I militanti artistici che non esistono e non prendono più vita nell’esposizione è un dato estremamente interessante. Da parte del mondo artistico, il cambiamento delle esposizioni viene a mancare. Oggi, sono organizzate dai professionisti delle mostre; interni o esterni al museo; critico d’arte o direttore di museo. E’ insieme sia per motivi di mercato a causa dei fattori economici sia a causa della complessità e professionalità. Una complicazione di oggi, ad esempio, è quella delle assicurazioni a favore delle opere d’arte stipulate da professionisti. Si pensi al difficile problema del trasporto. Far viaggiare le opere d’arte va incontro a dei rischi. Vi è la questione dei pericoli che corrono le opere d’arte che a volte ritornano ai proprietari con dei problemi: “ammaccati”. Oggi molti collezionisti non espongono per problemi di danneggiamento. Vi sono collezioni diventate pubbliche che non possono lasciare assolutamente le proprie sedi...nemmeno da una stanza all’altra. Vincoli degli autori a non far viaggiare le proprie opere; no, alle esposizioni. Nel ‘900 la “Collezione Barms” era di un collezionista che acquistava direttamente dagli artisti ma volle che la collezione rimanesse nella sua scuola. Poi, per problemi economici, ha dovuto far viaggiare in esposizione itinerante i propri capolavori. Collezione resa come un museo, che si c¿La Composizione VI ha come bozzetto un dipinto su vetro di cm. 25 x 30; da cui realizza un dipinto di due metri per tre!  
I due poli di riferimento della battaglia artistica nel 1900 sono stati il grande realismo e la grande astrazione. Ad inizio del 1900 prevale l’astrazione; dopo la prima guerra mondiale il realismo. Dopo la seconda vige il linguaggio astratto comune di un mondo da ricostruire. Mondo e arte da ricostruire.                       
Nel 1913 vi è una mostra della galleria Der Sturm. Futuristi, cubisti, espressionisti, Oskar Kokoschka, Marc Chagall; il gallerista riunì tutte le correnti più all’avanguardia dell’inizio secolo. Mostra che è diventata il riassunto, il punto principale di unità transnazionale di tutte le avanguardie e poi c’è invece l’esplosione del conflitto. 
Walter Benjamin con “L’opera d’arte all’epoca della sua riproducibilità tecnica” tratta della fotografia; arte che esprime il massimo del realismo, documentazione di arte sociale.
Negli anni ’20, ex espressionisti che abiurano diventando classici: Mario Sironi diventa il massimo del classicismo italiano. Anni ’20 come ritorno all’ordine rispetto al disordine del decennio precedente. Bauhaus diventa nicchia delle avanguardie; mostra organizzata da un istituto privato dove si insegnava arte ma in particolare a diventare designer. Si insegnavano i linguaggi moderni dell’arte applicata. Tipografi che avevano Kandinsky come professore. Linguaggio dell’arte da applicare ai linguaggi pubblicitari, agli spazi architettonici, al design. Si diffonde l’uso del colore ad esempio per indirizzare il visitatore; ospedali colorati, impatti cromatici per visitatori. Gli artisti ci hanno detto quali colori usare per quali spazi. Semplici colori che creano lo spazio.     
Sorto a Weimar nel 1919, il Bauhaus è un istituto d’arte per nuovi architetti, per nuovi professionisti della cultura visuale; volle nel 1924 esporre i lavori dei suoi studenti. Non facevano pittura realistica ma astratta. Alfabeto artistico di colori e forme artistiche sulle quali poi comporre lampade, libri, grafiche editoriali, ecc. I fermenti reazionari di destra costrinsero “il covo di comunisti” del Bauhaus ad andare in un altro land. Dal 1926 nella nuova sede a Dessau in Sassonia senza mai fare mostre. Bauhaus ha teorizzato per primo il bianco come colore base per l’opera d’arte. Così come i segmenti, le rette, le linee per gli spazi espositivi. Per far ragionare su come la percezione visiva venga guidata da elementi formali. Dall’astrazione del Bauhaus al tripudio poi del realismo degli anni ’20. Basta con la geometria astratta; nicchia, enclave del Bauhaus. Poi tradizione e classicismo dell’arte. La triennale del 1933 ebbe luogo a Milano in un edificio in mattoni rossi per mostre di architetture e designer. Il fascismo disciplinò le mostre. A Roma ogni quattro anni mostra d’arte contemporanea; a Venezia la biennale cinema e d’arte internazionale. E a Milano la rassegna triennale di architetti e arti figurative. 

Recupero dell’affresco; artista non più utilitarista che lavora sul cavalletto ma invece che decora con affreschi. Mosaici, grandi bassorilievi da mostrare (all’aperto). Per il pubblico si decoravano tutti gli spazi della triennale. Si lavorava sui muri dopo che per anni si era lavorato su tela. E quindi in molti casi i lavori erano qualitativamente inutili cioè dopo pochissimo tempo gli affreschi si persero. L’affresco di Massimo Campigli all’università di Padova; una delle opere migliori del ‘900. Decorazioni pubbliche (di opere fasciste), opere in grande, mosaici viaggianti. Affreschi e grandi decorazioni nella Germania nazista e con il New Deal di Franklin D. Roosevelt; tutto decorato: scuole, poste, ecc, spazi pubblici occupati attraverso l’arte anche nel dopoguerra Usa. Nel 1939 legge che prevedeva il due per cento di spesa da utilizzare per l’arte e non solo per le grandi opere. Roosevelt pubblicizzò il New Deal grazie alle opere d’arte esposte in pubblico. Per convincere gli americani a sopportare i sacrifici.                


Decorazione della triennale del 1933. L’arte moderna nasce sotto la spinta degli artisti di far vedere le proprie opere, però dal 1920 non riescono più a fare mostre. Non è più tempo per gli artisti di rischiare in prima persona. Negli anni ’20, il potere nei singoli stati si risente molto forte. Per poi esplodere negli anni ’30. Quindi funzioni direttive anche nelle arti della dittatura. Arti come strumento di propaganda ma Mussolini fino al ’37 non impose, non indicò un’arte fascista. Bastava essere iscritti al partito fascista. Non ci fu una scelta di campo del fascismo verso l’arte. Più sottilmente si era costretti all’iscrizione al partito per lavorare. Quindi libertà con gli anni 20-30 con l’Italia che non ebbe affatto una stagnazione artistica né “l’arte degenerata” con Hitler e la purificazione del settore artistico. Campagna di rimozione di persone e opere non gradite. Artisti e arte degenerata, bollata; anche i direttori sono rimossi. Nel 1937, vi è una mostra delle opere sequestrate per presentare al pubblico ludibrio l’arte degenerata e portarla in giro per la Germania. Ma ciò fu un enorme successo; due milioni di visitatori. Chi furono i visitatori? 16.000 opere fra dipinti, sculture e opere su carta, prese nel 1937. In parte bruciate o disperse o vendute all’estero per fare soldi. In Italia fino alle leggi razziali del 36-37 ci fu una notevole pluralità stilistica. Sviluppo di notevoli iniziative in campo artistico; ad esempio la campagna di decorazione pubblica. Così le mostre vengono svolte da organismi di potere e non c’è più bisogno di battaglie politiche. A Parigi – con tutte le tendenze artistiche dell’epoca – nel 1937 in occasione dell’Esposizione universale d’arte non c’è opera d’arte ma il prodotto cioè abiti, sartoria, industrie, telai. Tutto può essere esposto in pubblico, anche l’opera d’arte che ha la funzione di sottolineare il progresso economico. Pablo Picasso con Guernica denuncia i bombardamenti sulla cittadina spagnola. E’ stata la ¿Jackson Pollok è un artista morto nel 1956 ed è quello più apprezzato come artista dell’informale. Artisti con eventi tragici. Otto Wolfgang Schultze Wols, grande nome dell’informale con tendenze autodistruttive (alcolismo esasperato). 

Le biografie sono significative. Drammi. Le miserie dell’Europa attraverso la vita degli artisti. Astrazione come linguaggio che parla della fine di un mondo e dell’inizio di uno nuovo. Trionfo dell’informale. 
Pollok fa esperienze quasi in trans. L’abolizione del cavalletto; epoca che ripudia il linguaggio figurativo. Astrazione come simbolo delle libertà e delle tragedie dell’arte. Dopo il ’45, anche le forme espositive cambiano. Suggerite nuove forme di esposizione ad esempio con il graffito; arte sui muri. Espressione artistica per la città che non ha senso farla vedere in una sede espositiva. Dal muro, dal vagone della metropolitana. La prima generazione di graffitisti americani non espose mai in mostre. In genere con la nuova arte concettuale (le ruote di bicicletta, l’orinatoio, ecc) c’è un doppio sberleffo. L’oggetto quotidiano che diventa arte ma anche sberleffo verso chi va in museo a godere delle ruota di bicicletta. Duchamp che prende in giro, intendendo dire: che cretino che adori una ruota. Vuole andare oltre le forme tradizionali. E’ l’arte come forma concettuale che vuole andare oltre il visibile. Lo scolabottiglie, come valorizzarlo? Va davvero valorizzato con l’esposizione? Tanta arte non è pensata per l’esposizione. E’ più importante l’opera dal vivo o riprodotta su un libro?      

L’arte contemporanea cambia statuto e così suggerisce dei nuovi riti di esposizione. Non più chi gode ma chi costruisce il senso dell’opera stessa. Opera a funzione aperta, che si costruisce con l’interazione di tutte le persone che interagiscono con l’opera stessa. “Opera aperta” di Umberto Eco. 
L’epoca delle grandi esposizioni termina con la II guerra mondiale. Il panorama artistico non ha più il senso epocale delle esposizioni che diventano frammentate. La specializzazione fa sì che non c’è più un’esposizione tipo; una più importante. Ma nello stesso tempo la mostra diventa codificata; diventa una catena di montaggio uguale in tutto il mondo. 

Come si organizza una mostra? Al momento, non c’è un libro particolare; ci sono dei libri, collane, contributi di riflessione sull’operatività di un museo ma non specifici su come fare mostre. Molto si basa sulla gavetta personale. Ci sono – per così dire – dei protocolli internazionali e dei conservatori di museo come corrieri che accompagnano le opere in viaggio.     
La mostra è “un mostro a più teste”. Frutto del lavoro di molti. Vi è un colophon, una sfilza di nomi e mansioni di chi si occupa di una mostra che è impressionante. Quindi la mostra è una creazione composita che nasce da un progetto. Il curatore, ideatore fa un progetto con le sue idee e poi si passa alla vera e propria elaborazione, cioè concretamente si fa una lista di opere che si andranno a ricercare. Il curatore ha un proprio capitale di conoscenza di collezionisti a cui far riferimento per procurare le opere. Si scrive la lettera di prestito per formalizzare la richiesta dell’opera, con l’indicazione del perché si richiede, come sarà assicurata, come viaggia, come sarà conservata, la sicurezza. I costi sono tutti a carico dell’organizzatore. Assicurazione e trasporto sono le due voci che arrivano subito con la richiesta; poi c’è l’indicazione delle sede, titolo e date della mostra. Si definisce il valore assicurativo e il come si vuole essere citati. Questi sono elementi fissi di qualsiasi museo o fondazione nel mondo. La formula adottata dal contratto di assicurazione in genere è: “da chiodo del museo a chiodo della sede espositiva; andata e ritorno”. Atti di terrorismo e guerre nucleari non sono inseriti negli eventi assicurati. Altro elemento della richiesta di prestito è l’indicazione di garanzie di non danneggiamento negli spazi espositivi; la temperatura da garantire fra i 18 e 22 gradi; l’aria non troppo secca e non troppo umida; la luce massima prestabilita per i dipinti e per le opere su carta. In particolare, per l’acquerello e il pastello questo è un dovere fissato a livello internazionale allo scopo di non far sbiadire i disegni. Le opere su carta sono fragili e quindi non esistono esposizioni permanenti perché si potrebbero danneggiare. Disegni e carte subiscono l’alterazione della luce pertanto bisogna fornire maggiori garanzie sui valori adottati. La Fondazione Mazzotta tratta opere su carta. Chi le visita a volte si lamenta della luca, ma non¿Chi richiede l’opera, fornisce garanzie al prestatore. La facility report è una scheda espositiva prodotta allo scopo di fissare i dati tecnici della sede espositiva; uscite di sicurezza, allarmi, impianti di condizionamento, tipologia di illuminazione, ecc. In Usa c’è il massimo della minuziosità.  
Se il prestito è concesso ci sono i contatti fra gli uffici organizzativi della mostra e il registrar, chi è addetto alla movimentazione delle opere, al loro viaggio, ai contatti con l’assicuratore, con il restauratore per la verifica delle condizioni dell’opera, agli adempimenti per il trasporto e il ritiro. Il curatore e la direzione del museo si occupano a livello amministrativo di far viaggiare il prestito. Il restauratore del museo verifica, esamina e fissa le condizioni in cui si trova l’opera; fa un’immagine, una fotocopia dell’opera cioè certifica con un protocollo le condizioni dell’opera prima del viaggio. Viene usata una cassa climatizzata che chiude e assicura all’opera un determinato tasso di umidità. La cassa viaggia e arriva nella sede espositiva. Il restauratore che ha prodotto il protocollo o conservatore fa da corriere viaggiando con l’opera. Apre l’opera e la mette a disposizione; è una funzione delicata. Vengono quindi certificate con doppia firma, di chi fa e di chi riceve il prestito, le condizioni d’arrivo dell’opera. Poi tutto è a carico dell’espositore. A volte le opere non si possono subito montare a parete. La sede deve essere già pronta ad esempio per l’illuminazione, i vetri (che non riflettano la luce agli occhi dello spettatore), l’allestimento, l’ufficio stampa. “La vernice”, cioè l’inaugurazione ufficiale deve vedere preferibilmente la partecipazione di persone celebri nell’ambiente e famose in società. L’apertura al pubblico prevede il servizio di guardiania, la pubblicazione di libretti informativi, cataloghi, ecc. Davanti alle opere d’arte, si può dire che accade di tutto, soprattutto per quanto riguarda il pubblico e il suo comportamento. In genere non è possibile fare foto, né tenere accesi i cellulari a causa della sicurezza poiché bisogna fare in modo da non disturbare il lavoro e lo scambio di informazioni fra la guardiania, che ha una funzione delicata. I diritti di riproduzione sono fatti rispettare con il divieto di usare¿La cultura del curatore crea le fondamenta dell’evento. La mostra nasce da un cervello singolo ma poi è un evento di gruppo. Venti, trenta, quaranta, cinquanta persone che ci lavorano ognuno con le proprie competenze e professionalità. Ma è il pubblico che dà senso alla mostra; il suo gradimento. La mostra ottima sul piano scientifico a volte non viene visitata oppure non valida ma che ha un successo incredibile anche se deficiente da un punto di vista scientifico. Certi successi o insuccessi espositivi sono delle incognite da studiare; si parla tanto di pubblico museale e mai di pubblico espositivo. Il pubblico della mostra va “costruito” in modo diverso dal pubblico televisivo. Perché va a vedere una mostra e perché decide di andare ancora ad altre? Il rapporto con le scuole è importante per la vita di una sede espositiva anche perché si possono predeterminare le visite. Il bambino fa da cassa di risonanza, da stimolo per i genitori. 
Il rapporto con il visitatore (di gruppo o singolo) è una cosa che va costruita; gli studi in merito sono ancora troppo pochi, è un campo vergine di ricerca.     


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- Intervento della dott.ssa Silvia EVANGELISTI - Direttore artistico di ArteFiera, Bologna – e del dott. Lorenzo OSTI – Pubblicitario 

Titolo: Rinnovare ArteFiera 

Le grandi arti-fiere - insieme a musei, mostre, ecc – hanno fatto da qualche anno un salto di qualità straordinario che le pone al centro dell’attenzione. Raccontano cose. 
Funzione dell’arte da praticare negli insegnamenti didattici, esposizioni, saggi, ecc. Livelli di lettura stratificati per vedere di cosa si parla. La cultura, dal fornaio a tutti. Essere all’americana, “di semplice divulgazione”. Arte accessibile a tutti perché ha la certezza di essere comprensibile a tutti. All’artista interessa essere capito da tutti; poi vengono i critici e tutto ciò che c’è intorno. 
ArteFiera è un’azienda, un’impresa, privata. Cos’è una fiera d’arte? Che senso ha entrare in una fiera d’arte? Oggi ha in sé significati differenti rispetto a quando è nata. La prima fiera d’arte contemporanea, la più prestigiosa è quella di Basilea (1972), poi Colonia (1973), quindi ArteFiera (1974) che è nata come una specie di gioco dentro la Fiera Campionaria di Bologna.
Perché nasce una fiera d’arte? Come? Ha molto a che fare con il radicamento sociologico. Mercato d’arte anni ’70. Modo nuovo di porsi. Irruzione dell’arte americana in Europa. Colonizzazione fatta a tavolino. L’operazione culturale d’arte Usa - tramite la pop art – è stata gestita dalla Cia. In effetti è risultata vera la colonizzazione culturale post bellica da parte della Cia; vi sono dei libri di oggi che lo confermano. La Resistenza per la liberazione dell’Europa era connotata da ideologia di sinistra filo sovietica e, quindi, gli Usa il giorno dopo affrontarono il loro ex alleato. Vi era un pericolo di influenza culturale Urss per mezzo degli intellettuali di sinistra. Gli Usa hanno istituito un dipartimento della cultura europea sostenendola con intonazione Usa; in tutto l’occidente europeo grazie agli intellettuali. In occasione di un evento mondiale di riferimento come la Biennale di Venezia del 1964, Leo Castelli della Cia - che aveva organizzato una mostra di pop artisti all’ambasciata Usa – in una notte operò in modo tale da spostarli per far arrivare e esporre i quadri della pop art alla Biennale; e vinsero! L’arte consumistica Usa vige nella nuova società di massa. L’immaginario degli artisti Usa assorbito dalla grande pubblicità che viene poi a sua volta rappresentata nelle opere. Grandi cartelloni, icone assolute; ad esempio, scatolette che grandeggiano e che vengono importate anche come arte.                          
In Usa, fino a pochi decenni fa, non erano legati al collezionismo ma al mecenatismo. Mercato dell’arte invece libero in Europa. Charles Baudelaire dedica un libro ai borghesi nel 1850 perché sono la classe nascente con potere e denaro ma senza cultura, che invece si mette insieme nel corso dei secoli. Un libro che parla di un’arte della nuova società che può rappresentare la borghesia; darle il potere. Dopo il 1950 gli Usa diventano i potenti, non solo arricchiti, che dominano attraverso la cultura e l’arte. 
La cultura eclatante è quella delle arti visive, di impatto immediato. La nascita delle gallerie d’arte è un investimento. Il collezionismo privato che si rivolge dapprima alla borghesia, poi agli imprenditori. Potere squisitamente economico; arte connessa direttamente con il denaro. L’arte contemporanea può vivere, fare ricerca, muoversi grazie al denaro. Connessione da valorizzare, far uscire fra cultura e mercato. Gallerie e galleristi che scelgono l’arte, che si assumono il compito del rischio. Prima lo facevano sistematicamente. Sistema fatto da: artista, gallerista, critico, collezionista, museo che infine certifica il grande artista; opera d’arte di rilievo. Così l’artista ha bisogno delle gallerie, che fanno da riferimento per collezionisti e mercato. Questi mercanti diventano delle personalità di potere in quanto veicoli fondamentali d’arte. La Svizzera rappresenta il fascino dell’evasione fiscale per le opere d’arte. Valorizzazione e centralità del gallerista fra artista e collezionista; riuniscono quindi il meglio dell’arte da comprare nelle gallerie d’arte contemporanee e nasce così la Fiera di Basilea (con Norman Mailer gallerista di spicco). 
L’arte che va verso il denaro svizzero. La Germania ricostruita economicamente vuole anche dimostrare che grazie alla cultura ci si apre contro le dittature e quindi nasce la Fiera di Colonia. A Bologna, ArteFiera nasce grazie a un signore. Si ha una risposta stupefacente, soprattutto Usa. Il governo Usa dava dei soldi ai suoi artisti per esporre a Bologna e diffondere la cultura Usa. L’arte contemporanea italiana invece non è mai stata sostenuta, con la scusa delle opere d’arte antiche. Ma se non si produce, non si conserva. Si diventa mercato delle pulci. Questo rischia l’Italia. Si scopre che una fiera d’arte attira molto di più del museo e della galleria, che mettono più ansia e difficoltà. Sono luoghi che incutono timore, un po’ distanti. In fiera invece, con il gelato e la piadina, si avvicina più gente. La fiera è una summa d’arte contemporanea con più gente. La concorrenza fra artisti, pone i collezionisti in condizioni di comprare e confrontare tante cose. Si crea un meccanismo utile per il mercato; per farsi vedere. Fiera come luogo di interesse che diventa uno degli elementi nel sistema dell’arte. Il consumo che non si esaurisce è uguale all’opera d’arte che si perpetua nel tempo e, anzi, aumenta di valore. Non diventa obsoleto. L’arte come investimento culturale diventando parte del gioco e del circuito, rischiando con l’acquisto di un’opera. Fiera che vende cultura. Bene non materiale, opera d’arte, spiritualità, poesia. Fiera d’arte che vende oggetti particolari. Evangelisti può decidere di fare una fiera che guadagni, che serva il mercato. Ma facendo alzare il mercato verso l’arte e non viceversa. Allora si può far diventare di moda l’arte contemporanea. Richiamare cioè il più possibile persone che richiamano altre persone. 
Le fiere costituiscono un elenco di riferimento annuale dove presentare; vetrina, palcoscenico non di mercato, con appeal. Facendo diventare trendy, chic l’ArteFiera. In cinque giorni fa 40.000 visitatori di cui gran parte è gente comune. Dare l’idea che ad ArteFiera si incontra gente che conta, che fa moda. Progetto di testimonianza per fare una fiera d’arte più frizzante di quella di un puro manager. Ci metti quel particolare in più che sa mettere chi si occupa d’arte, con piccole ispirazioni. Ad ArteFiera sono previsti due padiglioni solo di sculture; è molto complicato e costoso. ArteFiera è attenta a quello che sta per succedere; un’ipotesi di trend. ArteFiera-ArtFirst. Arte prima di tutto. ArteFiera prima fiera dell’anno, arte come significato alto. Chiusa nel 1985 e ricomincia nel 1987. Nasce un problema di comunicazione. Quando si è pensato di farne una fiera internazionale, Montezemolo (presidente di ArteFiera) ha detto: “ci vogliono soldi per stare in piedi”. Basilea ha il supporto delle banche, Londra ha aperto due anni fa con altri supporti. Bisogna aver fortuna, provarci. Oggi l’arte italiana va a ruba nel mondo. Ciò che si compra in ArteFiera poi si vende in tutto il mondo. Venite direttamente alla fonte - a Bologna - a vedere e comprare. Solo un direttore che gira spesso l’estero può dirigere una fiera che è anche internazionale. Far passare – bocca a bocca - il trendy. Prima così contattare i collezionisti e poi le gallerie internazionali. Selezionare le gallerie. Eliminare le gallerie meno interessanti ma che magari più fanno pressione. Avere la sponda per non essere “ricattabili”. Un lavoro che ti possa soccorrere in alternativa, così si possono togliere i rami meno fioriti. Poi nuovi spazi per ArteFiera, areosi, larghi. All’arte si dà respiro attribuendole dello spazio; l’importanza di corridoi larghissimi. Per dare una visione museale. La percezione comanda. Si ha l’idea di essere in un museo. Scelta di avere meno spazi per la vendita ma più qua¿Art first come arte prima di qualsiasi altra cosa. L’urgenza dell’arte! Che fa dimenticare tutto il resto. Bologna art first per intercettare la gente; farla sbattere contro l’ArteFiera. Riuscire a presentare dell’arte, senza voler fare dell’arte. Sociologia dell’arte e comunicazione dell’arte. Selezione delle gallerie, non delle opere. Una fiera deve rappresentare tutto, non è un museo o una mostra di una parte. Certo, non ce la si fa! Ma bisogna tentarci. Sono presenti cinque gallerie internazionali e sette italiane; ArteFiera è a invito. Si fa pertanto pervenire alle gallerie la domanda da presentare nel caso in cui si desidera partecipare ad ArteFiera. Le varie gallerie interessate presentano così delle proposte ad ArteFiera che le seleziona. Si scelgono quelle con proposte più interessanti, gallerie che abbiano partecipato a più mostre con cataloghi, prodotti internazionali. Si valuta la qualità dell’eventuale stand allestito l’anno precedente. No, al suk o al mercatino. Le gallerie di livello, oggi, devono essere alle fiere. Valorizzare contemporaneamente, nei giorni di ArteFiera, luoghi della città che nessuno conosce. Luoghi che ci sono già. Mettere dei grandi riflettori su delle “cosette”. Esporre con ArteFiera il marchio di tutte le realtà della città di Bologna; tutt’insieme da quello della comunità ebraica a quello dell’Ascom. Chi viene da fuori ci crede. Ma non si riesce a veder tutto e quindi si rimane con della curiosità. I “bolli” applicati a terra, sull’asfalto. Attaccati alla città senza rubare spazi agli altri. Non è tanto un’iniziativa gridata; se la gente li segue, parla l’opera. Per la fiera internazionale si fa uso dell’inglese in modo corretto e comprensibile all’italiano medio, in linguaggio non troppo tecnico. Negli spazi della fiera sono incentivati gli incontri con gli artisti. Bologna ha una vocazione collezionista. Il primo collezionismo nasce facendo un giro in fiera; al padiglione de l’Esprit-Nouveau erano esposte opere dal costo di ¿28/4/6 – a cura di Leopoldo Bruno