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Votare
- Subject: Votare
- From: "bruno\.leopoldo\@libero\.it" <Bruno.Leopoldo at libero.it>
- Date: Mon, 20 Mar 2006 14:11:47 +0100
Votare Per quanto possa interessare, forse non andrò a votare oppure forse ci andrò. Votare per qualcosa o per qualcuno è donare; affidare parte di se stessi. Ne consegue, in genere, una particolare attenzione verso il comportamento di chi - ricevendo il proprio voto - viene eletto. Ad ognuno di noi può in seguito capitare che, a causa del proprio voto, ci si mangi le mani o si stia male. Il voto è di per sé un atto completo. Nasce dal privato, dall’intimo, fino a trasformarsi in una delle massime espressioni di volontà pubblica. Tale percorso lo rende paragonabile all’opera d’arte. Essa prende vita dall’interno del suo creatore e diviene poi arte. Entrambi hanno un momento particolare, senza il quale non acquistano valenza riconosciuta. Per l’opera d’arte, tale momento è “il battesimo”. Quel rito di passaggio, quell’attimo in cui si attribuisce il complemento di specificazione all’opera; che si differenzia così dalla manodopera del lavoratore dipendente o dall’opera dell’artigiano. Il battesimo può essere consacrato dal pubblico, dallo stesso artista (quando è già accreditato), dalla critica specializzata oppure ancora dalle esposizioni di musei, mostre e fiere d’arte. Il voto – invece - il suo momento di trasformazione lo ha nell’atto simbolico della scheda; quando viene destinata con le proprie mani nell’urna. Da allora diviene pubblico. Quasi ci si libera di una responsabilità, dichiarando poi apertamente il proprio voto, le motivazioni determinanti e le speranze. Cominciano allora le interpretazioni e la festa nazionale della vittoria di tutti. Nel proprio piccolo, che piaccia o no, la legittimità al sistema la diamo in primo luogo recandoci a votare. In questa campagna elettorale ci sono alcune particolarità. Tra le altre, ad esempio, nel centrosinistra fra le posizioni di Fausto Bertinotti e quelle di Clemente Mastella non si registrano differenze di rilievo; mentre sappiamo che continua ad esserci differenza fra i simpatizzanti, i militanti e anche fra i singoli deputati. Con queste elezioni, inoltre, il candidato ha bisogno sì di soldi, ma soprattutto di buoni legami con la ristretta cerchia di tenutari-decisori del proprio partito. Il proprio nome e cognome deve essere stato ben predisposto; contano soltanto il territorio dove si viene candidati e la disposizione nella lista. Umberto Eco nel suo “Appello agli indecisi” conclude così l’esortazione: “Ora la nave potrebbe affondare. Ciascuno deve prendere il proprio posto”. Peccato che Eco – facendo torto alle sue indiscusse capacità – non si sia soffermato a riflettere su come è ridotta la nave. Bastava ad esempio accennare allo scempio compiuto durante questi 60 anni dai politici italiani che - nel loro lento susseguirsi - hanno trasformato la Costituzione in carta da parato. Lo studioso Gianfranco Pasquino rispondendogli scrive: “...anche se sicuramente voterò per il centro-sinistra...continuerò, però, fino al giorno del voto e immediatamente dopo la comunicazione dei risultati elettorali, nella mia critica severa dei centrosinistri.” E qui emerge un punto centrale. Del centrodestra, senza dilungarmi o andare troppo indietro, basta ricordare i fatti dell’11/3/6 a Milano; Ministri della Repubblica che difendono il “diritto” a manifestare di un gruppo organizzato di fascisti. In due parole: in occasione di un’iniziativa vietata dalla Costituzione, ci sono stati dei rappresentanti del potere esecutivo che hanno difeso pubblicamente tale evento; al momento, impunemente. Dall’altro lato, sappiamo cosa ha fatto il centrosinistra in cinque anni di governo. Quando non ha creato danni, ha gestito l’esistente. Ad esempio, ha precarizzato il mercato del lavoro, non ha sviluppato l’istruzione come invece aveva promesso durante la campagna elettorale del 1996 e ha preso parte alla guerra umanitaria, bombardando le città della ex Jugoslavia. Per quanto riguarda il domani, leggendo il Programma dell’Unione si sa cosa ci aspetta. Fa un accenno Andrea Colombo: “La vittoria di Berlusconi...metterebbe in dirittura d’uscita i gruppi dirigenti del centrosinistra e decreterebbe una trasformazione radicale di tutti i suoi attuali assetti”. Per intenderci, cesserebbe l’era in cui ai programmi ci lavorano persone con idee come quelle di Giuliano Amato. Signor Eco, signor Pasquino, signori tutti-e, il punto centrale è: vale la pena destinare energie al salvataggio della nave? Conoscendo cosa è accaduto prima e cosa riserva il dopo, che senso ha dare il nostro voto? Dall’esito della risposta ne discende il relativo percorso. Ricordiamo che anche Indro Montanelli qualche decennio fa esortava ad andare a votare; per la Democrazia Cristiana “turandosi il naso”. E infatti, negli anni, per molti il voto è diventato “l’ultimo voto” così come quando ci si assolve: “facciamo l’ultima guerra” oppure “ho detto l’ultima bugia”. Fermandosi a riflettere, si ha l’idea che per l’uomo ci sia sempre un valido motivo per l’ultima autogiustificazione. Il paradosso è che (come esclamano tutti): il sistema è fallito! Eppure pochissimi, poi, nel prenderne atto agiscono di conseguenza. C’è chi, come ad esempio i sindacati, si ostina a dedicare la propria attività per eliminare qualche distorsione (sic!) del sistema; chi lenisce funzionalmente. Che il sistema sia fallito lo dimostra il fatto stesso che non è in grado di mettersi in gioco. Da un lato, sommerge con i suoi mezzi le forme di libera conoscenza e organizzazione o le reprime come e quando vuole. Dall’altro, il sistema si dichiara legittimato grazie al voto. Dando la mera libertà a tutti noi occidentali di esprimerci su un “duello” fra Bush e Kerry, fra Berlusconi e Prodi, oppure fra non so chi e Blair (che rappresenta la sinistra). Il capitalismo, con il suo attuale modello neoliberista, non si fa mettere in discussione a ogni elezione politica. Anzi, è un sistema economico e di vita che nessuno deve seriamente mettere in dubbio e punto. Ma ci ricorda Elias Canetti: “Come ogni altra cosa, il potere porta in sé la propria fine”. Dentro o fuori. Votare o non votare. E se sì, volendo incentivare la fine del sistema possono essere più convenienti per il Movimento affrontare altri cinque anni con Berlusconi oppure invece un nuovo periodo di gestione Prodi? Spesso si ha l’idea che in campagna elettorale, per il centrosinistra, quei milioni di italiani scesi in piazza contro la guerra rappresentano semplicemente i destinatari del sottile ricatto della scelta del meno peggio. Insomma, o si vota quel che c’è oppure gli si lascia il cerino in mano con tutte le responsabilità di una possibile vittoria del centrodestra. Di fatto si confrontano due coalizioni che sembrano spostarsi – contigue e parallele l’una all’altra - sempre più verso centrodestra. L’alternativa che si prospetta è fra Fini o D’Alema come ministro degli esteri. Se si fa visita al sito www.romanoprodi.it si scopre che della pace non c’è traccia. Così Eduardo Galeano inquadra l’attuale situazione: “Il mondo sta soffrendo un allarmante discredito della dignità. Gli indegni, che sono coloro che comandano nel mondo, dicono che noi arrabbiati siamo preistorici, nostalgici, romantici, e che neghiamo la verità. Tutti i giorni, ovunque, ascoltiamo l’elogio dell’opportunismo e l’identificazione del realismo con il cinismo, il realismo che obbliga a sgomitare e proibisce l’abbraccio, il realismo del tutto fa brodo e del si salvi chi può e se non puoi crepa.” Se il lettore convenisse con quanto ho scritto, la risposta al punto centrale sembrerebbe bella e fatta. E invece no. Non è così. Raymond Boudon, ad esempio, chiama in gioco “il posto del caso”. Quindi si potrebbe riflettere approfonditamente sull’argomento se sia più “utile” una forte repressione da cui scaturisca una spallata liberatoria di massa oppure se sia auspicabile un governo “amico” dal quale – dopo aver fatto assaporare un minimo di agibilità politico sociale – si produca inarrestabile un effettivo movimento di massa, di liberazione postimperiale. Con mia figlia maggiorenne – nel mio piccolo - al momento sarebbe più comodo se il 9 aprile 2006 mi recassi alle urne. Infatti non me la caverei più così facilmente come avvenne il 13 maggio 2001, quando giustificai il mio non voto spiegandole di un candidato premier con le idee di Francesco Rutelli. Forse non andrò a votare oppure forse ci andrò. Calpestando la mia propria bile. 20/3/6 – Leopoldo BRUNO Materiale di riferimento: Boudon Raymond, Il posto del disordine, il Mulino, 1997, pag. 224, trad. di Pina Lalli; Canetti Elias, Massa e potere, Tascabili Bompiani, ed. 1990, pag. 280, trad. di Furio Jesi; Colombo Andrea, il manifesto, 10 marzo 2006, pag. 4; Eco Umberto, l’Unità, 8 marzo 2006, pag. 1; Galeano Eduardo, il manifesto, 17 marzo 2006, pag. 20, trad. di Marcella Trambaioli; Pasquino Gianfranco, l’Unità, 10 marzo 2006, pag. 1.
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