Apprezzo quanto dici. E per quanto mi riguarda, e con
quale fatica! e risultati alterni che anche il mio "porgermi", spesso affatto
violento, conferma, tento di ispirarmi ad analoghi principi.
E cerco di convincere altri della necessità strategica
ancor prima che etica del metodo nonviolento.
Ma comprendo che la mia scelta è per certi versi
finanche facile, quasi ipocrita, davanti ai disastri del mondo. Contro cui non
faccio abbastanza.
La nonviolenza è in cammino, noi l'aspettiamo con
ansia. Ma c'è chi non può aspettare.
E mai, perché non posso conoscere quale carico stia
sulle sue spalle, giudico l'oppresso che si ribella violentemente
all'oppressore.
Almeno se sia possibile distinguere tra l'uno e
l'altro.
Mi si potrebbe dire che la qualifica di oppressi mal
si attagli ai "ragazzi di Milano".
Ci sarebbe molto da dire.
Intanto loro erano lì ad opporsi al
fascismo.
E siamo sicuri di sapere come siano andate davvero le
cose?
Ci bastano le veline della questura, per
giudicare?
Chi vi scrive, solo per dirne una, è segnalato, nei
documenti della questura, come "pregiudicato" e "anarcoinsurrezionalista".
Non sono né l'una né l'altra cosa. La prima è
facilmente dimostrabile, basta fare un certificato penale: sono candido. La
seconda, non so nemmeno cosa significhi. Semplicemente, e sempre con metodi
nonviolenti - chi mi conosce, anche su questa lista, potrà confermare o smentire
-, ho dato il mio (piccolissimo) apporto a campagne sgradite al potere.
Contro un'antenna qua, contro un tunnel là.
Credo si chiami intimidazione.
Ci bastano le veline della questura, per
giudicare?
Se avessimo stigmatizzato e combattuto settanta volte
sette ciò che i fascismi, e i fascisti che sfilavano lì, rappresentano, forse
potremmo dire una parola contro chi brucia una vetrina. L'abbiamo
fatto?
Altrimenti facciamo il gioco di
Lorsignori.
Vi inoltro questo scritto che mi arriva.
Pensiamoci.
----- Original Message -----
Segnalerei, del tutto di passaggio, che, in silenzioso accordo con gli
striscioni dei fascisti alla manifestazione autorizzata di Milano,
"basta immigrati", circa 300.000 migranti che non otterranno il permesso
di soggiorno perchè in esubero rispetto ai 170.000 sanciti dalla legge e ora,
dopo la domanda, conosciuti dal ministero dell'interno, saranno espulsi a
forza dall'italia. Le domande presentate sono state infatti circa
470.000 300.000 se ne devono andare. Trecentomila. Come da
dichiarazioni di maroni e del vice di pisanu. Mi aspetto che tutti quelli che
hanno fatto fuoco e fiamme per le vetrine delle multinazionali in
frantumi e 5 macchine (sante) s'indignino almeno un decimo di quanto si
sono indignati sabato scorso.
----- Original Message -----
Sent: Wednesday, March 15, 2006 10:30
PM
Subject: Re: PARIGI SI MILANO NO:
VICINO-LONTANO
La necessaria concisione a volte (come nel mio primo intervento) può
sembrare o anche cadere nel sentenziare. Cerco di spiegarmi ancora, ragionando
su ciò che dice Sandro Martis.
Bisogna comprendere la violenza, quando non è quella del dominio (ma
anche il dominatore fa pena, perché ha una misera umanità), ma è la
violenza della rivolta contro il dominio; quando è, per ignoranza o
disperazione, o per dipendenza psicologica, l'unica forma per esprimersi, per
farsi riconoscere, perché ti è negato non solo questo o quel diritto e bene,
ma lo stesso riconoscimento di soggetto umano.
Vedi che non faccio divisione manichea tra violenti e nonviolenti.
Discuto la violenza che si crede "giusta", perchè in realtà è disumana e
contraria allo scopo giusto che si vuole.
Non è giusto interpretare chi critica la rivolta violenta come se
condannasse gli oppressi o volesse ignorare la loro condizione. Chi vuole che
continui la loro oppressione gli fa credere che abbiano solo la violenza per
liberarsi, e così li frega più che mai.
Comprendere la violenza degli oppressi o esclusi non toglie che la loro
violenza sia ingiusta e che sia un favore fatto all'avversario, perché si
diventa come lui, gli si dà ragione. Fatta da lui o fatta da me, la violenza è
antiumana, ci disumanizza. E' sempre fascista, di fatto.
Il rifiuto del dominio è sempre giusto, anzi doveroso. Agire è giusto e
necessario. Il problema è come agire: se si commette nuova ingiustizia non si
esce dalla trappola, si vende l'anima al dominatore, che ne gode, e rafforza
il suo dominio. La peggiore sconfitta dello schiavo è somigliare al suo
padrone.
Bisogna agire, ma con forze umane, non disumane e disumanizzanti. La
violenza deforma il volto, cioè la nostra umanità. Non libera.
E' stata giustificata, la violenza, quando è efficace per togliere una
violenza maggiore. Certo, nella scala oppressione-rivolta-repressione, la
violenza madre, la più grave, è la prima. Questo bisogna dirlo chiaro. Ma se
la rivolta, invece di essere efficace, dà solamente la possibilità
all'oppressione di rafforzarsi, peggio, di apparire giusta, oppure se la
violenza rende violento la'nimo, allora la rivolta è sbagliata per due motivi,
uno umano, uno strategico: primo, perché ci degrada; secondo, perché è stolta,
fa il gioco dell'avversario.
Naturalmente, condannare i mezzi violenti che snaturano una lotta giusta,
impegna a proporre mezzi nonviolenti ed efficaci. Tutta la ricerca, cultura,
esperienza, storia della nonviolenza attiva e positiva fa sempre questo, e lo
sappiamo se appena ce ne siamo interessati una sola volta.
La forza umana dell'unità, della ragione, dello stare attaccati alla
verità della giustizia, è una forza grande, che si esercita in una
quantità di tecniche di azione, che nella storia sono state più frequenti di
quanto si creda, ed anche efficaci: prova a vedere "Difesa senza guerra" in http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyrettiPopoli
di tutte le culture, religioni, idee, epoche storiche hanno lottato con
la forza della nonviolenza. Anche questa costa sacrifici (perché, la violenza
forse no?), ma assai meno dolorosi e infinitamente più dignitosi.
La Resistenza. Certo, fu armata. Ma non solo armata. La storia ormai da
anni scopre e valorizza tante forme di resistenza al nazifascismo, forte ed
efficace, condotta senza armi, da donne, da civili, da difensori degli ebrei,
da operai con scioperi e boicottaggi, dai 600.000 militari prigionieri che
rifiutarono di collaborare coi nazifascisti.
Anche l'azione di informazione e propaganda capillare era forte
resistenza (p. es. la Rosa Bianca in Germania), tra l'altro indispensabile al
sostegno popolare alla lotta armata. Chi faceva la stampa clandestina, senza
toccare un fucile, usava un'arma creatrice di coscienza e di forza umana,
qualcosa molto più profondamente attivo che uccidere un tedesco. Prova a
vedere Semelin, "Senz'armi di fronte a Hitler", edizioni Sonda (sulla
resistenza nonviolenta in tutta l'Europa occupata dai nazisti); prova a
cercare in internet gli scritti di Anna Bravo e i suoi libri.
I partigiani in gran parte usarono le armi. Ognuno lotta come sa e come
può, fa il possibile, nelle circostanze date. Ai nazifascisti bisognava
opporsi. Ma oggi, in una simile situazione, sarebbe possibile conoscere e
attuare forme di lotta umanamente superiori. L'uso delle armi rischia
molto di ridurre la sensibilità umana, che deve essere elevata nella
liberazione. Ovviamente, pensare lotte nonviolente non significa affatto
disconoscere la lotta armata partigiana, ma solo progettare lotte più libere
dalla contaminazione della violenza.
Una volta Bobbio (che non era nonviolento) mi disse: "Mi pento di non
avere preso le armi e ucciso un tedesco. Ma so che se lo avessi fatto,
ora me ne pentirei".
La lotta nonviolenta si fa in mille modi, secondo le capacità di
ciascuno: si fa anche con la cultura, l'educazione, l'elaborazione di idee, la
storia delle esperienze, con la coscientizzazione, e con tutto il lavoro
sociale, con questa nostra discussione.
Buona salute, buon coraggio, buona resistenza, buona speranza! Enrico
Peyretti
----- Original Message -----
Sent: Wednesday, March 15, 2006 8:21 PM
Subject: Fw: PARIGI SI MILANO NO: VICINO-LONTANO
> > > Di tutto ciò che non si conosce, è
meglio tacere. > Probabilmente nessuno di noi, che animiamo questa
gustosa e inutile > discussione, era a Milano e ha potuto vedere, e ha
potuto capire. > Resta la malafede poliziesca, resta la stampa asservita
al potere, resta la > strumentalizzazione di destra e di sinistra per
fini di scranno, restiamo, > noi, i buoni. Quelli che l'obbedienza è di
nuovo una virtù, quelli che non > disturbano il manovratore. Quelli
sempre pronti a dover dimostrare > all'oppressore che no, non siamo
contro di lui. Quelli sempre pronti a > bastonare l'oppresso se non si
presenta gentilmente all'oppressore. > Quelli che la questura stima. Ché
non diamo fastidio > Certo, li conosco, quei "facinorosi", e so quanto
stupidamente cadano nel > tranello della provocazione
poliziesca. > Non per questo mi schiero con la polizia. > Non per
questo mi schiero con i gattopardi della sinistra. La sinistra? La >
sinistra ideale e romantica di Peyretti? O la sinistra reale dei
Bianco, > Minniti, D'Alema? > Vedo Fassino faticare a prender
sonno, la notte, perché tormentato dal > pensiero di non aver "ancora
imparato il satyagraha gandhiano, che è la più > grande forza". >
Intendiamoci. Condivido quanto detto da Peyretti. Solo vorrei
sapessimo > metterlo in pratica. > La realtà è complessa. >
La divisione manichea tra violenti e nonviolenti, la presa di distanza
da > chi, pur con strumenti che non condividiamo, si oppone
all'oppressione e ai > fascismi, forse fa il gioco dei fascismi almeno
quanto "pietre, incendi, e > devastazioni sul tavolo dei mass media che
avevano già pronti i commenti del > caso". > Il confronto è
banale, ritorna sempre, ma sempre è difficile rispondere: > come la
mettiamo con la Resistenza? Era nonviolenta? Era sbagliata? > E il
fascismo di oggi è meno dannoso di quello di ieri? Meno dannono per >
noi? e per i migranti? e per i popoli oppressi? e per gli animali, >
l'ambiente? > E quanto è giusto, per noi, giudicare lotte a cui non
prendiamo parte? > Bastano "le piccole azioni nonviolente e quotidiane"
davanti alla sempre più > evidente fascistizzazione della
società? > Esiste un sistema di valori universalmente condivisi, da
difendere? e c'è un > limite oltre il quale, per difenderli, anche la
violenza ha una sua > giustificazione? > Chi stabilisce qual è il
limite? Vogliamo stabilirlo noi, anche per gli > altri? o è giusto lo
stabilisca chi violenza subisce? > Io, per la mia storia, per la mia
cultura, per il mio relativo benessere, > posso (permettermi di) essere
nonviolento. Devo imporre la mia nonviolenza > ad altri? >
Impariamo a porci domande. > Impariamo a non giudicare con troppa
facilità. > Anche questa forse è nonviolenza. > > >
> -- > Mailing list Pace dell'associazione PeaceLink. > Per
ISCRIZIONI/CANCELLAZIONI: http://www.peacelink.it/mailing_admin.html >
Archivio messaggi: http://www.peacelink.it/webgate/pace/maillist.html >
Area tematica collegata: http://italy.peacelink.org/pace >
Si sottintende l'accettazione della Policy Generale: > http://www.peacelink.it/associazione/html/policy_generale.html >
> > > -- > No virus found in this incoming
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Database: 268.2.3/281 - Release Date: 14/03/2006 > >
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