Fantasmi no-global



Fantasmi "no global"

Ormai ci siamo. Le cerimonie inaugurali delle Olimpiadi invernali provocano
appelli, nervosismi, insinuazioni e allarmi. Un fantasma agita i sonni
degli organizzatori, degli sponsor e dei politici di tutte le specie: i "no
global". La Repubblica di mercoledì apre la prima pagina con questo titolo:
"Ciampi ai no global: non spegnete la fiaccola". Il segretario dei Ds
Fassino se la prende con il "no global" Francesco Caruso, candidato al
parlamento con Rifondazione, e con chiunque protesti "per non si sa cosa".
Il ministro degli interni Pisanu dice - bontà sua - di temere più "no
global e No Tav" che i terroristi islamici. Forza Italia fa un manifesto
elettorale che grida: "No global al governo? No, grazie", mentre Fini
conclude la conferenza programmatica di Alleanza nazionale, oltre che
vantandosi per la peggiore legge sulle droghe del pianeta, accusando
l'Unione di ospitare "non solo Rifondazione e Verdi, ma anche i no
global".Giorgio Bocca sulla Repubblica e Lucia Annunziata sulla Stampa
segnalano l'impotenza del segretario di Rifondazione comunista a fermare i
"no global", e Gianni Riotta, sul Corriere della Sera, insulta i
"protoleghisti" della Val di Susa e si offre di portare la fiaccola
personalmente, piccolo Prometeo del progresso ad alta velocità.

Questo è il panorama del dibattito - chiamiamolo così - nazionale, almeno
quello che i media maggiori alimentano. Ed è un panorama a un tempo
deprimente nella sua ripetitività e sorprendente. Perché il fenomeno
chiamato "no global" torna prepotentemente sulla scena. Certo per ragioni
spurie: serve, come feticcio e simbolo, a scontri e polemiche nella stanza
senza finestre della politica; e dell'Unione che, preparandosi al governo,
deve regolare i suoi rapporti di forza interni. Ad esempio: prevarrà chi
chiede l'abolizione della legge 30 sul lavoro precario, chi ne chiede una
radicale modifica o chi vorrebbe che - grosso modo - resti com'è? O ancora:
che ne sarà dei giganteschi, per quanto piuttosto immaginari, flussi di
denaro destinati a mega-opere, come la Tav o il Ponte o le nuove autostrade
romagnole tanto care ai Ds e alle Cooperative, che sono insieme garanzia di
"sviluppo" [delle grandi imprese e dei loro bilanci] e del ruolo
re-distributivo [alle grandi imprese] dei politici al governo? Così, se tu
sinistra radicale sei alleata con quei pazzi che aggrediscono i tedofori, e
ti incastro in questo ruolo irresponsabile, allora diventerai più debole -
nella rappresentazione della politica sui media - e al momento di decidere
questo o quello avrai meno voce in capitolo. Magari, non prendere le
distanze dai "no global" - pensano i Fassino e i Chiamparino - ti costerà
dei voti, ecc.
Ma questo è il lato miserabile della faccenda. Il lato gemello, diciamo
così, della mobilitazione di eserciti di poliziotti confusi e innervositi
contro invasioni di mostri: anarco-insurrezionalisti, centri sociali,
squatter, "no global" e perfino gli irridenti "pink" [il Corriere della
Sera ha pubblicato in proposito una "mappa" veramente comica].

C'è un altro lato, meno visibile, di questo "dibattito", che invece lascia
intravvedere una inquietudine fondata. Ed è finalmente la domanda: noi
diciamo "no global", ma in effetti di cosa si tratta? E' un fenomeno
sociale, politico, culturale? Che nesso c'è tra le centinaia di "cortili"
italiani che, come la Val di Susa, rifiutano questo tipo di "sviluppo" e
questa democrazia verticale, e il più noto e confortante - nella sua
prevedibilità - estremismo di sinistra di vario genere? I giornali, si sa,
sono pieni di ex redattori - nella loro ormai lontana gioventù - del
manifesto, che quindi sono reputati "esperti" di movimenti sociali e
sinistre radicali. L'esemplare tipico di questa categoria è Gianni Riotta,
che ciclicamente fa questo gioco: apre per cinque minuti Indymedia, pesca
il messaggio più truculento tra le migliaia che vi compaiono, e lo cita
come esempio di estremismo "no global" con la bava alla bocca. Lucia
Annunziata, sulla Stampa di mercoledì, svolge a sua volta un ragionamento
un po' contorto, a proposito di Bertinotti che dice "non posso far nulla"
per fermare i No Tav e sull'impotenza della politica, ma arriva a una
conclusione interessante, nella sua follia. Questa: accade uno strano
fenomeno, che, "battezzato e autobattezzatosi in mille modi, da comunità a
no global, da Nimby e leghismo, accoglie, è vero, anche tutti gli
estremismo possibili, ma non ne è guidato e non ne è l'espressione… Questo
pot-purri di cause… non ha ancora trovato un suo collante unico, salvo un
vago anti-globalismo, e rimane inconciliabile con la politica, inclusa
quella radicale". E Giorgio Bocca, sulla Repubblica dello stesso giorno,
scrive che la contestazione delle Olimpiadi è un esempio del "nuovo e
ignoto", di "una opposizione allo stato nascente e fluido, un coagulo
improvviso di no global, No Tav…".

Bene, non sarebbe molto difficile rischiarare almeno un po' l"ignoto", se
si rinunciasse ai feticci simbolici, come i "no global", se si mettessero
da parte la confusione colposa con il "leghismo" o la disinformazione
sull'"antiglobalismo" ["altermondialismo", che ha un significato opposto, è
un'espressione diffusissima in almeno due continenti]. Sarebbe sufficiente
prendere atto del disastro sociale e ambientale provocato dalle politiche
neoliberiste, fare due conti e constatare come siano cittadini organizzati,
comunità locali e intere categorie sociali non solo a ribellarsi, ma a
disegnare un futuro differente [e una politica di altro tipo]. Se Lucia
Annunziata e Gianni Riotta [con fiaccola o senza] venissero al Forum "Il
grande cortile", organizzato la prossima settimana tra Val di Susa e Torino
[nella sede di quell'anarco.insurrezionalista di don Ciotti], e
ascoltassero con un po' di curiosità i dibattiti, scoprirebbero un mondo
nuovo, molto lontano dalla politica e dalle sue rappresentazione teatrali,
e molto vicino alla società.

Pierluigi Sullo



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