Newsletter Osservatorio Iraq: 03/2006







Newsletter Osservatorio Iraq

03/2006

18 gennaio - 03 febbraio 2006




Con una mossa a sorpresa, il governo ha deciso di
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1909>inserire la
proposta di rifinanziamento della missione “Antica Babilonia” e di altre
missioni all’estero, come quella in
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1868>Afghanistan
all’interno del maxi emendamento al decreto 1.2000, sul quale ha già posto
la fiducia al Senato e che ora dovrà passare  alla Camera. Non ci sarà così
la possibilità di discutere nel merito di quella che, definita “missione di
pace”, si mostra ogni volta di più missione di guerra. La procura militare,
dopo lo scandalo delle armi e dei reperti trafugati in Iraq, ha iscritto
nel registro degli indagati un altro militare, ma questa volta per un
crimine ben più grave: violazione dell’articolo 191 del codice militare di
guerra, che vieta di sparare sulle ambulanze. “Sparai contro il mezzo
perché così mi fu ordinato dal mare?sciallo Stivai. Se mi fossi accorto che
si trattava di un'ambulanza mai e poi mai avrei sparato e avrei chiesto
spie?gazioni al superiore”, racconta il militare indagato, le cui
affermazioni smentiscono quanto dichiarato dall’allora ministro degli
esteri Franco Frattini,  che in Parlamento dichiarò: “Non è vero che si
trattava di un mezzo di soccorso, era un'autobomba”. E’ quanto emerge da un
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1912>articolo
di Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, che ripropone ancora una
volta il problema del silenzio su quanto davvero succede a Nassirya.

Il Ministro Martino ha
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1871>affermato
di recente, davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato, che la
missione italiana cambierà pelle, diventando “davvero” umanitaria. Ma, come
sottolinea
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1905>Gino
Strada <http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1905> “se
si tratta di curare i bambini non servono carabinieri ma servono pediatri.
Se si tratta di costruire case, pozzi, scuole, ospedali servono ingegneri e
non serve il battaglione Tuscania”.



La strategia del ritiro, in qualunque modo la si voglia chiamare, è ormai
nell’agenda politica di tutti i paesi partecipanti alla coalizione, in
primo luogo in quella degli Usa. Secondo
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1913>Stephen
Walt , docente di relazioni internazionali all’università di Harvard, “gli
Stati Uniti dovrebbero ritirarsi dall’Iraq fissando un limite di diciotto
mesi. Questo permetterebbe di evitare di indebolire l’esercito americano
...Bisognerà presentare questa decisione non come un ritiro, né come una
partenza, ma come un riposizionamento strategico”. Ma ammette che, se ci
sono molte cose che può fare un potere militare, ce ne é una che non è
possibile, né lo sarà mai: governare un paese.



L’Iraq oggi si trova,  dopo le
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1879>elezioni,
sempre più diviso a livello confessionale, e questo si riflette nella vita
quotidiana: da quello che succede nella città
di<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1872>
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1872>Kirkuk,
dove i curdi, nell’attesa di un referendum, fanno le prove generali di
un’annessione ancora da venire; a quello che succede in molte città
irachene, dove, con il crescere delle tensioni confessionali e il
diffondersi di discorsi di guerra civile, un numero sempre maggiore di
iracheni si sta trasferendo in zone in cui predomina il loro
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1990>gruppo
religioso <http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1990>
.



E’ questo il destino dell’Iraq? E’ la domanda che si pone
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1873>Tariq
Ali, analizzando quanto successo nel paese con l’emergere delle divisioni
confessionali, e con la vittoria degli sciiti alle elezioni.  Una tendenza
che probabilmente non si sarebbe potuta evitare, e che sicuramente non era
possibile evitare per gli Stati Uniti. Inevitabile anche secondo
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1888>Gilbert
Achcar, per  il quale “se si stabilisce in Iraq un regime politico basato
su elezioni democratiche, è praticamente inevitabile  che le forze sciite
simpatizzanti dell’Iran le vincano. Non ci sono che gli ingenui – per non
usare un termine più duro – che a Washington  potevano pensare che gli Usa
potessero mettere in piedi un regime sotto loro controllo” .



A cercare di bilanciare diversamente la politica espressa dal nuovo
Parlamento iracheno restano, ancora secondo Achcar,  le istanze della
“società civile” irachena, in particolar modo i sindacati.

Sindacati che a gennaio hanno espresso in un
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1864>documento
le loro contrarietà alle politiche del FMI e della Banca Mondiale,
proponendo una diversa agenda per l’economia irachena, in un paese dove una
recente
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1892>indagine
ha valutato al 20% la percentuale di famiglie povere e in condizioni di
miseria.



Una delegazione di questi sindacalisti sarà in Italia dalla prossima
settimana, invitata da “Costruire Ponti di Pace”: sarà l’occasione per
ascoltare anche la loro voce, dopo aver ascoltato troppo solo quella delle
armi e di chi le usa.




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