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missione falluja?
- Subject: missione falluja?
- From: "alfonsonavarra at virgilio.it" <alfonsonavarra at virgilio.it>
- Date: Fri, 25 Nov 2005 12:21:02 +0100
Missione di pace a Falluja? Il direttore del centro per i diritti umani di Falluja, Mohamed Tareq Al-Deraji, con il quale siamo in contatto per il tramite dei Berretti Bianchi, ha formulato, in una conferenza stampa organizzata da Rainews 24, una proposta: una inchiesta indipendente dell'ONU sull'uso del fosforo bianco da parte americana in Iraq. Ma il fosforo bianco è solo un aspetto delle possibili violazioni delle Convenzioni di Ginevra perpetrate nella sanguinosa battaglia del novembre 2004 per "bonificare" la cittadina iraqena: si parla anche di massacri indiscriminati di civili durante i rastrellamenti e di fosse comuni, ad esempio. L'appello del biologo iraqeno non dovrebbe perciò essere lasciato cadere nel vuoto. Egli interpreta una precisa richiesta della popolazione civile di Falluja, che reclama attenzione e giustizia dopo l'orrore subito. Ecco una idea che viene sottoposta al vostro vaglio critico e propositivo, con l'invito a prenderla responsabilmente sul serio. Possiamo autonomamente, dietro richiesta del Centro di Falluja e su suo invito, facilmente sollecitabile, da "consulenti" ed "esperti" italiani, predisporre una missione ricognitiva che prepari il terreno ad una futura ed auspicabile inchiesta ONU sui, diciamo così,, possibili crimini commessi. Si chiede al governo iraqeno di andare una settimana sul posto per effettuare analisi sommarie di carattere fisico e chimico, e per raccogliere le testimonianze dei superstiti La "missione" potrebbe essere composta da: - deputati e senatori del Parlamento italiano (e - perché no? - anche europeo) - scienziati e scienziate del comitato coordinato da Angelo Baracca - operatori del diritto contro la guerra - esponenti pacifisti e delle ONG italiane - reporters democratici di media interessati a conoscere e documentare la verità. In un certo senso bisognerà fare i finti tonti per smascherare una situazione che l'opinione pubblica, persino nei più avvertiti settori pacifisti, ha poco o nulla presente: nel "democratico" Iraq non esiste libertà di circolazione e tutti i movimenti sono sotto stretto controllo delle truppe di occupazione americane. Fare scalo all'Aeroporto di Bagdad, per una persona "normale", ed uscirne è di per sè stesso un problema, figuriamoci raggiungere la cittadina sunnita ed andare in giro ad ispezionare e a fare domande dove e come si vuole! Abbiamo tutti ben presente come il povero Calipari, per portare in salvo la Sgrena, sia stato costretto a muoversi cercando di sfuggire al controllo dell'amico ed alleato americano... Ma se, per negare il permesso, dalle nuove Autorità iraqene viene accampata la scusa che si tratta di garantire la nostra incolumità e la nostra sicurezza a rischio, con la ribellione terrorista in agguato pronta a rapirci e a tagliarci la gola, questa argomentazione deve essere ritorta contro chi la svolge. Esistono, infatti, dei Paesi democratici che si confrontano con il problema del terrorismo senza che ciò significhi per essi abolire la libertà di circolazione dei cittadini (e dei "consulenti", anche stranieri, che i cittadini decidono di ingaggiare e portare con sé). Evidentemente la situazione in Iraq non è paragonabile a quella spagnola o inglese, tanto per fare gli esempi più ovvi. Non esiste ordine, non esiste tranquillità, non esiste libertà di spostarsi, di riunirsi e parlare: la "democrazia" tanto decantata ha i piedi di argilla, riposa ed insieme soffoca sotto le armi e le violenze degli occupanti, è sempre sull'orlo di una guerra civile generalizzata. Questa realtà di disordine, di insicurezza e di arbitrio, e di disordine alimentato dall'arbitrio degli occupanti, potrebbe - credo - essere meglio portata alla luce se insistessimo e spingessimo con la nostra ingenua e modesta proposta: aderire all'invito del nostro amico Mohamed Tareq per compiere una missione democratica e di pace... Alfonso Navarra - LDU - redattore sociale per la pace Dal Sito Osservatorio Iraq - Informazione sull'occupazione militare Lavorare è impossibile Intervista a Hannah Allam, giornalista, responsabile dell'ufficio di Baghdad del gruppo Knight Ridder WNYC Radio (New York Public Radio), 22 aprile 2005 BROOKE GLADSTONE: Come abbiamo appena sentito, gli attacchi terroristici in Iraq (Š) continuano (Š) - fra i 30 e i 40 al giorno, secondo cifre del Pentagono. Sono diminuiti da una media di 140 al giorno nel periodo che si avvicinava alle elezioni di gennaio. Ma per i giornalisti la situazione è migliorata? La settimana scorsa, la responsabile dell'ufficio di Baghdad del gruppo Knight Ridder, Hannah Allam, ha affrontato la domanda durante la convention annuale dell'American Society of Newspaper Editors [Società americana dei direttori di giornali NdT]. L'abbiamo raggiunta a Oklahoma City, un giorno prima che rientrasse in Iraq, e le abbiamo chiesto se ha notato un cambiamento. HANNAH ALLAM: Veramente non riesco a vedere alcuna differenza per i giornalisti stranieri che lavorano a Baghdad. Abbiamo appena perso una cara amica lo scorso fine settimana, Marla. Era lì per una organizzazione no-profit che aveva fondato lei. Era in macchina sulla strada per l'aeroporto ed è rimasta vittima di un attentato suicida, ed è morta - a 28 anni. Era in Iraq dall'inizio, e molti giornalisti la conoscevano. Quindi questo ci ha fatto davvero capire che la minaccia c'è ancora. Non è cambiata. BROOKE GLADSTONE: Hai detto che è morta sulla strada per l'aeroporto di Baghdad, che penso sia uno dei posti più insidiosi di tutto il paese, o forse perfino di tutto il pianeta. Voi come andate su quella strada? HANNAH ALLAM: Con molta cautela. Normalmente, preferiamo tenere un profilo molto basso in Iraq. Andiamo solo magari in due macchine, senza contrassegni o cose del genere. Ma sulla strada per l'aeroporto, è il caso in cui davvero portiamo una guardia del corpo e armi, e sono sette miglia [1 miglio = 1,609 Km NdT] di terrore, decisamente. ........................................................................ ............................ HANNAH ALLAM: Ciò che mi ha veramente colpito da quando sono tornata negli Stati Uniti - dovunque vado, è quando la gente sente che vivo a Baghdad e dice: "Oh, beh, sei a Baghdad, ma almeno adesso là va tanto meglio". E non è vero. Voglio dire, gli iracheni muoiono ancora a dozzine tutti i giorni, in alcuni casi. Sai, le cose sul terreno sono ancora molto, molto pericolose. Quindi, credo che sia importante non confondere una diminuzione degli attacchi contro i soldati americani e gli interessi americani con qualche tipo di cambiamento significativo nella guerra. BROOKE GLADSTONE: Hannah, una zona dell'Iraq di cui non abbiamo sentito parlare molto è Falluja, il che sembra un po' strano, considerando l' operazione vasta ed enormemente distruttiva che è stata condotta là sei mesi fa, dalle truppe americane. Di chi è la colpa? I giornalisti hanno un qualche accesso a Falluja? HANNAH ALLAM: No. In realtà, qualunque iracheno che non sia di Falluja non ha accesso a Falluja. Per entrare a Falluja, si viene sottoposti a ogni genere di prova - credo scansione della retina e bisogna esibire la carta di residenza. Per gli stranieri, in realtà l'unico modo per andare a Falluja è muoversi con le forze armate Usa o l'ambasciata Usa per andare a vedere qualche progetto di ricostruzione o qualcosa del genere. Quindi i giornalisti veramente non si avventurano fuori Baghdad, ancor meno in un posto dove c'è ancora molta agitazione e, sai, rabbia e astio dopo l'invasione di novembre. ,....................................................................... ...................................
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