Israele/Palestina, Operazione Colomba su Umanita' Nova



Umanità Nova, numero 22 del 19 giugno 2005, Anno 85

Israele/Palestina: corrispondenze dai territori occupati
In lotta contro il Muro
Lacrimogeni e pallottole contro manifestanti disarmati



L'articolo che segue, di una compagna che sta partecipando alle azioni
contro il muro, è costruito con un insieme di corrispondenze da lei
inviateci via mail.
La prima è una testimonianza diretta delle azioni del 4, del 5 e del 6
giugno nel villaggio di Marda. La seconda è un breve resoconto delle
drammatiche manifestazioni del 9 giugno a Salfit, tratto da un comunicato
dei volontari dell'Operazione Colomba. Infine un report sugli eventi
verificatisi a Marda il 10 giugno, frutto di una conversazione telefonica
con H, dell'International Women Peace Service.

Nonostante Israele sostenga di voler congelare la sua espansione coloniale
e mostri al mondo la volontà di smantellare alcuni degli insediamenti
edificati illegalmente, quelli della striscia di Gaza, il percorso del Muro
nei pressi di moltissimi villaggi della West Bank è stato invece stabilito
proprio in! modo da incorporare allo Stato di Israele le colonie. I
villaggi palestinesi vengono così privati di parte del loro terreno
agricolo e delle risorse idriche, oltre a venire separati tra di loro,
dalle infrastrutture e dalle strade di collegamento. Ad oggi è stato
completato circa un terzo del Muro dell'Apartheid: solo il 20% della
barriera già costruita si trova lungo la Green Line. Una volta ultimati i
lavori, il Muro sarà lungo 670 chilometri e avrà sottratto il 46% del
territorio dell'attuale Cisgiordania.
Manifestazioni e azioni dirette nonviolente contro il Muro si succedono
quotidianamente nei villaggi palestinesi interessati dai lavori di
costruzione della barriera di separazione.
Sabato 4 giugno, dopo giorni di intensissime proteste in varie zone (Bil'in
e Beit Surik in particolare), anche il comitato popolare del villaggio di
Marda, nella zona di Salfit, ha indetto una manifestazione contro il Muro.
Se il tracciato del muro non verrà modificato, anche Marda perder! à
infatti una larga percentuale del suo terreno agricolo, che verrà annesso
all'insediamento di Ariel. Manifestazioni e azioni dirette hanno dunque
anche qui lo scopo di rallentare i lavori in attesa della decisione
dell'Alta Corte di Giustizia in merito al percorso definitivo.
A Marda come altrove non si tratta però solo di una corsa contro il tempo e
i bulldozer, ma anche e soprattutto del ritorno di metodi di lotta
nonviolenti e dunque più inclusivi di ogni strato della popolazione. Invece
di delegare la propria lotta di liberazione a giovani maschi armati, donne,
uomini e bambini di ogni età affrontano a testa alta l'esercito occupante,
stabilendo relazioni di fiducia e di cooperazione sia all'interno della
comunità sia al di fuori, con altre comunità in lotta e con attivisti e
attiviste internazionali e israeliane. La relazione politica, ma prima
ancora umana, con compagni e compagne israeliane, una relazione basata su
esperienze concrete e obbiettivi comuni e dunque lontana! dalla vuota
retorica della convivenza, tanto cara ai potenti di entrambi i lati negli
anni della finta pace di Oslo, sembra essere un rilevante "effetto
collaterale" di questo tipo di resistenza popolare.
La manifestazione di sabato ha mostrato il lato simbolico di questa lotta.
Circa 200 persone tra abitanti del villaggio e attivisti e attiviste
israeliane e internazionali, hanno marciato lungo il futuro percorso del
muro, scontrandosi in maniera decisa e determinata, ma nonviolenta, contro
l'esercito che cercava di impedirlo. Sono stati scanditi slogan nelle tre
lingue (inglese, arabo e ebraico); donne, uomini e bambini di ogni
nazionalità si sono alternati nelle prime file per gridare ai soldati la
propria rabbia e contenerne la violenza repressiva, riuscendo anche ad
impedire gli arresti. Tutto questo sulla base dell'iniziativa individuale,
della solidarietà e di una pari assunzione delle responsabilità. Ai
margini, ma ugualmente rilevanti, si allacciavano discorsi smozzic! ati,
sorrisi, sguardi, passaggi di bottiglie d'acqua e di mezzi limoni. Come
diceva uno degli slogan: Costruite fiducia, non muri. Nella notte
precedente attivisti e attiviste israeliane avevano trasformato i cartelli
stradali che portano all'insediamento di Ariel (e a Marda) con adesivi che
con la stessa grafica e lo stesso colore dicevano cose come "8 chilometri
al Muro dell'Apartheid". Oppure "Ariel: terra rubata".
Le azioni di domenica e lunedì sono state purtroppo molto più drammatiche.
Domenica il taglio degli ulivi per fare posto al Muro è ricominciato e gli
abitanti si sono seduti sui propri campi per cercare di impedirlo. Le
guardie di sicurezza, poco equipaggiate per fronteggiare una situazione del
genere, hanno prima sparato a terra a pochi metri dalle persone, e poi
chiamato l'esercito che si è limitato a fare interrompere i lavori.
Lunedì, il solo tentativo di raggiungere, disarmati, i campi è stato
respinto dall'esercito schierato in cima alla collina di Arie! l, che ha
sparato centinaia di lacrimogeni per circa tre ore arrivando poi
addirittura ad attaccare alle spalle il gruppo (una trentina di palestinesi
quasi tutti tra i 10 e i 16 anni, tranne qualche contadino del comitato
popolare, tre internazionali, due israeliane) sparando lacrimogeni e
proiettili di gomma da una distanza di pochi metri, per concludere poi con
una caccia all'uomo, anzi al bambino, tra le case del villaggio.
Nonostante questi momenti di resistenza sembrino totalmente disperati,
nonostante cadano nell'indifferenza dei media, dell'opinione pubblica
internazionale e della stessa autorità nazionale palestinese, l'atmosfera
di serena determinazione e di solidarietà che vi si respira è il segno di
quanto fruttuosi si possano invece rivelare sulla lunga durata.
Nei prossimi giorni cercheremo di tornare a Marda. Ultima arrivata nella
lotta contro il Muro, la zona rischia infatti di rimanere priva della
presenza internazionale e israeliana, che negli ultimi tempi ha
frequentemente permesso di contenere la furia omicida dell'esercito.
Ruby, Sobrin, Quico

Salfit-nord Ramallah: arrestati israeliani e una statunitense
Il 9 giugno a Salfit due israeliani e una statunitense sono stati arrestati
dall'esercito israeliano durante una manifestazione nonviolenta contro la
costruzione del muro in atto a Salfit. La loro colpa è l'aver tentato di
documentare tramite un video il dialogo tra un centinaio di palestinesi
disarmati e una ventina di soldati israeliani.

Gas lacrimogeni cancerogeni sono stati lanciati contro i manifestanti,
intossicando in modo grave due palestinesi. Altri 3 manifestanti
palestinesi sono stati bastonati dai soldati.

I manifestanti avevano tentato di raggiungere il cantiere del muro, per
prevenire la distruzione dei numerosi alberi di ulivo. Il cantiere in
questione dista ben 22 km dalla Linea Verde, il limite tra Territori
Occupati di Cisgiordania e Stato d´Israele. Il villaggio di Salfit perderà
più di 600 ettari di terra con decine di migliaia di alberi d´ ulivo, base
della debole economia di ogni famiglia. In alcuni punti il muro che si sta
costruendo intorno l´insediamento di Ariel, dista anche più di un
chilometro dall'insediamento, creando così spazio per la futura espansione
dello stesso. Alla manifestazione erano presenti pacifisti israeliani,
internazionali e anche alcuni italiani.

In serata la ragazza americana arrestata è stata rilasciata dopo aver
firmato un foglio in cui si impegna a non tornare nel nord della
Cisgiordania per le prossime due settimane. I due pacifisti israeliani sono
stati trattenuti in arresto per aver rifiutato di firmare un analogo foglio.

Tratto da un comunicato diffuso dai volontari dell'Operazione Colomba

Nablus, 10 giugno: corrispondenza telefonica sui fatti di Marda
Continua l'escalation di violenza contro le manifestazioni di protesta per
la costruzione del muro nella zona di Salfit e Marda, nei pressi
dell'insediamento di Ariel.
Dopo i gravi fatti di ieri a Salfit, su cui hanno già riferito i volontari
di Operazione Colomba, oggi la situazione è precipitata a Marda. Riferiamo
quanto testimoniatoci al telefono stasera da H., volontaria
dell'International Women Peace Service, che sta coordinando da settimane la
presenza internazionale nella zona:

Nelle prime ore della mattina, circa 150 abitanti del villaggio,
accompagnati da 12 internazionali e israelian* hanno cercato di raggiungere
i propri campi di ulivi, già devastati nei giorni precedenti dal taglio di
alberi, per recitarvi le preghiere del venerdì. L'esercito ha
immediatamente risposto con il lancio di lacrimogeni, bombe sonore e
l'esplosione di proiettili ricoperti di gomma. Dopo poco però i soldati
sono entrati nel villaggio esplodendo numerosi candelotti lacrimogeni,
anche dentro ad edifici e alla moschea. Hanno lanciato bombe sonore e
sparato proiettili ricoperti di gomma in mezzo alla folla in fuga da
distanza ravvicinata. Gli spari hanno ferito tre palestinesi, un quarto è
stato ferito ad una mano da un candelotto lacrimogeno. A questo punto
l'esercito ha iniziato a sparare con armi convenzionali, prima una raffica,
poi dopo alcuni minuti, una seconda. Miracolosamente non ci sono stati
feriti con questi proiettili.

Hanno arrestato un'internazionale, rilasciata in serata dopo aver firmato
un impegno a non rientrare nella zona per due settimane. Il secondo
arrestato, un israeliano, si è rifiutato di firmare l'impegno a non
rientrare per tre mesi nei territori occupati. Si trova tuttora in carcere
e vi rimarrà fino al processo, previsto nelle prossime settimane.

A tutt'ora i due villaggi di Marda e Kifl Haris sono circondati da mezzi
militari. Nel primo sono rimasti per la notte un compagno e una compagna
israeliani, a difesa della popolazione; nel secondo un gruppo di
internazionali presso la sede dell'IWPS. In serata la responsabile H. è
stata intimidita e minacciata di espulsione da parte dei militari presenti.

L'esplosione di raffiche di arma da fuoco contro la folla inerme e
disarmata rappresenta un gravissimo passo di innalzamento della
repressione. L'esercito ha cercato di negare il fatto, arrivando a
sostenere che i colpi fossero stati sparati da palestinesi. Il ritrovamento
dei bossoli da parte di attiviste israeliane rappresenta tuttavia una prova
lampante che è stata immediatamente offerta ai mezzi di informazione e alle
autorità competenti.

Purtroppo ci si aspetta che la spirale non si arresti. Internazionali e
israelian* cercheranno di mantenere una presenza continua nei due villaggi
stretti nella morsa dell'esercito.

Ruby, Sobrin.



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