Aggiornamento da Nablus



Ricevo dai volontari/ie del Presidio di Nablus:

Nablus, 5 giugno 2005

Ieri abbiamo deciso di unirci alla manifestazione contro il muro organizzata dal comitato popolare del villaggio di Marda, vicino a Salfit.

Inizialmente eravamo un po’ timoros*.
Un arresto per noi potrebbe avere conseguenze fatali (espulsione, divieto a rientrare nel paese per un numero x di anni). Poi abbiamo pensato che non aveva senso rinunciare.

La manifestazione era prevista lungo il tracciato del muro previsto (e legalmente contestato) tra due villaggi. Il tracciato andra’ a chiudere il “cerchio” di Ariel, cioe’ circondera’ l’insediamento di Ariel (un mostro da 20.000 persone) dal resto del Westbank, inglobandolo allo stato di Israele assieme alle terre che lo circondano e riducendo cosi’ ancora di più i terreni palestinesi. Qui come altrove, il muro separera’ i/le palestinesi tra di loro, dalla loro terra, dalle infrastrutture e dalle strade di collegamento.

Nella notte attivist* israelian* avevano trasformato i cartelli stradali che portano ad Ariel (e ai due villaggi palestinesi) con adesivi che con la stessa grafica e lo stesso colore dicevano cose come “tot kilometri al muro dell’Apartheid”. Oppure “Ariel: terra rubata”. Facevano un bell’effetto, ci voleva qualche secondo per capire il trucco!

Raccontarvi della manifestazione ci sembra impossibile.

E’ stato un bagno di energia positiva. I nostri cartelli dicevano: “costruite fiducia non muri” “sradicate i coloni non gli alberi” (cinquecento alberi sradicati nel paese due giorni prima per fare spazio al muro).

Eravamo pochissimi per i criteri italiani da milioni di persone a piazza San Giovanni. Forse duecento. Meta’ palestinesi e meta’ internazionali e israelian*. Duecento persone disposte a affrontare i soldati per niente. Per un simbolo. Il diritto a camminare sulla strada che collega i due villaggi.

Prima di partire avevamo scelto una linea di prudenza: sempre indietro con le donne anziane palestinesi. Ma neppure le donne anziane palestinesi resistevano all’andare a gridare in faccia ai soldati cosa pensano di loro, del muro, dell’occupazione. Figuriamoci noi.

Certo aveva un effetto galvanizzante (non solo per i/le palestinesi) affrontare gli occupanti, contrastare il blocco con cui volevano impedirci di uscire dal villaggio, impedire gli arresti. Tutto questo anche grazie alla relativa sicurezza offerta dal primo cordone fatto tutto di giovanissim* israelian*, presto sostituito da donne bambini anziani palestinesi e di altre nazionalita’ che si alternavano di fronte ai soldati.

Tuttavia sono state le relazioni tra di noi la cosa piu’ entusiasmante.

Abbiamo visto un ragazzo palestinese di forse diciotto anni arretrare dalla mischia dopo un po’ stanco e assetato e chiedere in inglese a due donne anziane israeliane se poteva bere dalla loro bottiglia. Abbiamo visto un bambino palestinese parlare di dio con un cinquantenne ateo israeliano che gli diceva io non credo in dio, ma dio e’ uno solo per tutti gli esseri umani. E non ci punisce, ci ama.

Abbiamo visto una donna palestinese, cosi’ religiosa da non volere essere fotografata, urlare per tre ore slogan in arabo, inglese, ebraico dentro ad un megafono, e tutto il suo villaggio la seguiva ripetendo. Abbiamo visto una bambina palestinese attaccarsi per tutto il tempo alla mano di una ragazza israeliana, come se quella mano fosse l’unica protezione dalla paura immensa che provava solo a vedere i soldati. Abbiamo visto la stessa ragazza buttarsi in una mischia furibonda per andare a riprendere il fratello della bambina catturato e picchiato, uscirne con il ragazzo libero, e riprendere come una calamita la mano della bambina che piangeva.

Abbiamo visto una donna palestinese sgridare i bambini che a fine manifestazione chiacchieravano curiosi con i soldati ormai rilassati.
“Perche’?” le abbiamo chiesto.
“Se vogliono fare amicizia con i nostri bambini si tolgano la divisa e le armi e parlino con loro da esseri umani, come gli israeliani che hanno marciato con noi.” Effettivamente, la signora non ha torto….

Abbiamo parlato con un texano biondo e cristiano che vive a Falluja cercando di mediare tra sunniti e sciiti e che ci chiedeva se non avevamo paura a vivere a Nablus (?????!!!!!).

Abbiamo visto un bambino palestinese prima della manifestazione andare dagli/dalle israelian* e chiedere sconvolto, sei ebre*? Anche tu? Ma sei di Tel Aviv? Anche tu? Anche tu? Anche tu? E loro rispondere in arabo si e tu?

Comunque siamo arrivat* la’ dove era previsto, ma non lungo la strada (e’ per i coloni, ovviamente!) ma per i campi.
Uno strano effetto manifestare per i campi. È tutto diverso….

E’ stato bello constatare come la manifestazione fosse una chiara espressione della societa’ civile: c’erano bandiere palestinesi, cartelloni colorati ma pochi simboli di partito (unica eccezione l’Almubadara, presente con il suo coordinatore, Mustafa’ Barghouti), ed e’ grandioso vedere che la societa’ civile si sa muovere e si impegna senza il bisogno di essere diretta dall’alto..

Quando siamo tornat* a casa volevamo raccontare tutte queste cose ai nostri amici di Nablus.
Ma e’ quasi impossibile.
Da Marda (il paese dove eravamo) a Nablus non ci saranno dieci kilometri. Ma ci sono mille galassie. Peccato non essere riusciti a portare nessuno. Forse se quelle cose le avessero viste avrebbero saputo raccontarle agli altri. Ma: chi ha meno di 25 anni non ha diritto ad uscire dal checkpoint, chi ne ha di piu’ lavora per aiutare la famiglia o ha una famiglia, le donne non escono di casa, purtroppo il Medical Relief locale non ha partecipato (era pero’ presente quello di Salfit).

Mille motivi che strangolano questa citta’, mentre fuori forse qualcosa si muove. Non il processo di pace del governo israeliano, fatto di check point, incursioni notturne, arresti, costruzione del muro, ampliamento delle colonie. Ma modi nuovi (o forse vecchi e dimenticati) di lottare e resistere. Modi che testimoniano come si possa resistere in modo attivo rifiutandosi di delegare ad altri, piu’ in alto in qualche scala gerarchica, la propria lotta.

Tutto questo e’ fondamentale, in Palestina cosi’ come ovunque nel mondo.

Ruby, Quico, Sobrin. min Nablus
Presidio di pace a Nablus - http://assopace.blog.tiscali.it/
Associazione per la Pace - www.assopace.org