l'urlo del papa



cordiali saluti
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Ettore Masina
sito web: http://www.ettoremasina.it



    

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La prima definizione che di lui mi viene in mente è quella di "mistico
militante". Sembra una contraddizione in termini, essendo spesso il mistico
persona che cerca la solitudine, mentre Giovanni Paolo II,
instancabilmente, cercava le folle. Tuttavia c'era in lui un trasporto
appassionato per il Sacro, il Misterioso, l'Arcano.  Papa Woytjla  amava le
favole udite, nelle sue escursioni, nei villaggi dei monti Tatra; amava le
leggende auree del martirologio, i segreti delle veggenti e degli
stigmatizzati, le ombre e le luci di antiche tradizioni; ma soprattutto
amava le molteplici immagini della Madonna: quelle acheropite, cioè dipinte
da mani non umane (forse da angeli o da Luca, l'evangelista pittore);
quelle sfregiate dagli infedeli, e quelle apparse alla contadinella di
Lourdes, ai pastorelli di Fatima o a qualche lacero peòn messicano.
Ciascuna di queste immagini sembrava, nella devozione di papa Woytjla,
diversa da tutte le consorelle, quasi non si trattasse della stessa
persona: una dedita alla salvezza dei malati, una alla protezione degli
indios, una  a presidiare una barriera geopolitica dagli attacchi degli
infedeli e l'altra, infine, a proclamare la necessità della distruzione del
bolscevismo. Quest'ultima aveva un rapporto personalissimo con lui: nella
corona regale che a Fatima posero sul capo della sua immagine è inserita la
pallottola che vent'anni fa avrebbe ucciso  Giovanni Paolo Secondo, se
quella Madonna non avesse steso la tenera mano per deviarne il tragitto.
Della Madre del Cristo era tanto devoto da avere scelto come insegna papale
la M di Maria e il motto "Tutto tuo", il quale aveva non soltanto
scandalizzato i protestanti, ma reso perplessi quei cattolici che
preferiscono pensare che ognuno, nella Chiesa, debba essere "tutto" di
Cristo; e quella sua "pietà mariana", che certamente costituiva una pietra
d'inciampo nel processo ecumenico, ebbe anche, più volte, un'altra
singolare espressione. Se, nei curricula di qualche vescovo nominato a una
sede importante, si cercavano invano titoli rilevanti di cultura o una
briciola di profezia, se dunque ci si domandava le ragioni di una scelta
sorprendente, si scopriva spesso che si trattava di persone che -
vietnamite, brasiliane o italiane che fossero - avevano composto  manuali
di spiritualità mariana. Documenti del genere erano per Giovanni Paolo
Secondo garanzie di fedeltà, patenti di ortodossia cattolica.
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Quando, diventato il successore di Pietro, usciva dal tepore di questo
affetto filiale e dalle ombre sacre del passato, Woytjla guardava la Chiesa
come una sacra fortezza assediata  da temibili avversari. Dapprima gli era
stato facile individuare il Nemico:  vivendo in un Paese costretto nei
confini dell'impero moscovita, il papa polacco  - seminarista clandestino
obbli-gato a ore di  pesante lavoro manuale, poi prete  vigilato come
persona sospetta, infine vescovo in perenne contesa con l'intolleranza
dell'apparato statale e di partito -, aveva potuto misurare la pericolosità
del materialismo dialettico, la gravità delle negazioni dei diritti umani,
l'ottusa perversione burocratica della leadership sovietica. Perciò aveva
continuato ad appoggiare con tutto il suo nuovo prestigio la resistenza di
Solidarnosc, e appassionatamente sviluppato una catechesi anticomunista.
Nel 1989, alla caduta del muro di Berlino e delle cortine di ferro, i
governanti dell'Europa e degli Stati Uniti gli rendevano devoto omaggio
come a un grande protagonista (forse il maggiore) dello sgretolamento di
quello che Reagan aveva definito "Impero del Male".
Tuttavia l'anticomunismo di Woytjla non fu privo di conseguenze negative.
Lasciandosi dominare dalle sue esperienze personali ed essendo incapsulato,
volente o nolente, nel sistema informativo reaganiano, Giovanni Paolo II
finì per precipitare nella trappola ideologica di identificare in ogni
fermento di liberazione una sotterranea presenza del comunismo. Egli fu
allora l'autore di una vera e propria (inconsapevole, ma non per questo
meno grave) devastazione della Chiesa dell'America Latina, Nel volto
dominato dalla collera e nel dito levato ad ammonire padre Ernesto Cardenal
inginocchiato davanti a lui, i cattolici di quel continente potevano
cogliere in Woytjla una profonda incomprensione della loro storia.
L'ossessione anticomunista e i suoi consiglieri curiali spinsero Woytjla a
sbrigative condanne di quella teologia della liberazione che aveva dato a
milioni di poveri il senso di una piena cittadinanza nell'ambito della
Chiesa; e  i discorsi di questo papa in occasione dei suoi viaggi nel
continente furono poco più che generici se paragonati alle condizioni di
vita delle popolazioni; ma, certi atti, furono anche peggiori.
Molti diplomatici vaticani preferivano chiudere occhi e orecchie davanti
alla violenza dei ricchi e dei militari: e i loro rapporti influirono
grandemente sul comportamento del pontefice. Woytjla spiegò una volta, con
impressionante semplicismo, che vi erano per lui due tipi di dittature:
quelle comuniste, tese a un futuro senza limiti, radicalmente omicide e
deicide, e quelle latino-americane che entravano temporaneamente in
funzione, come nell'antica Roma, quando le patrie erano in pericolo.
L'immagine di Giovanni Paolo Secondo che si affacciava a un balcone avendo
accanto un sorridente Pinochet fece piangere molte donne dei desaparecidos
e i superstiti delle camere di tortura, che avrebbero avuto bisogno di
conforto.
Uno ad uno, i vescovi "sospetti" furono rimossi o immediatamente pensionati
appena raggiunta l'età canonica, e poi costretti (come dom Helder Camara) a
silenziosi "arresti" domiciliari; altri (come il cardinale Arns) si videro
drasticamente ridotte le dimensioni della propria diocesi; mentre prelati
di alto rango e altezzosa seigneurerie (come il cardinale di Managua,
Obando Bravo) furono mantenuti al loro posto anche se ormai quasi
ottantenni. Si chiuse così la eroica epoca ecclesiale che aveva visto le
comunità di base legate ai loro vescovi da un'intenso rapporto affettivo,
il popolo di Dio non ridotto
alla passività neppure dalla violenza delle dittature e decine di sacerdoti
imprigionati, torturati o addirittura assassinati per avere osato difendere
quei poveri che i documenti del Concilio definiscono immagine del
Crocifisso. Il papa che non esitava a canonizzare come martiri tutti i
preti uccisi dai "rossi" durante la guerra civile spagnola, tacque su
quelli martirizzati in Brasile, in Argentina, in Guatemala, nel Salvador ad
opera degli squadroni della morte. Gli spagnoli, per lui, erano stati
assassinati in odio alla fede cristiana, ma qui, in Latinoamerica,
assassini e mandanti si definivano cattolici, e i morti erano stati, da
vivi, a fianco dei poveri, dunque di ribelli e, in quanto tali,
probabilmente "rossi". È questo fraintendimento che Giovanni Paolo Secondo
dovrà confessare incontrando il sorriso di monsignor Romero, nella Terra
Nuova in cui ogni passato si apre alla riconciliazione.
Nella loro disperata speranza, nella loro sete d'amore, enormi masse di
poveri continuarono ad accogliere con entusiasmo il papa nei suoi viaggi, a
pregare con lui, a suonare maracas, flauti e tamburelli, a offrirgli in
dono serapès, ponchos e diademi di sfolgoranti piume di arara, a
sorridergli con povere bocche sdentate, ma molte persone pensose si
allontanarono dalla Chiesa cattolica. Si ripeteva in America Latina ciò che
era avvenuto per la classe operaia in Europa nel secolo XIX. Come aveva
scritto Moltmann "Non avendo trovato nelle chiese un Dio di speranza, molti
andarono a cercare speranze senza dio".
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Nei primi anni del suo pontificato, Karol Woytjla fu un uomo bellissimo.
Era alto, diritto e forte: si capiva che aveva praticato e amato molti
sport. Il papa alpinista, il papa sciatore, il papa nuotatoreŠ ( I poveri,
così generosi nel comprendere le necessità delle Persone Importanti, gli
perdonarono certamente  la costruzione di una piscina a Castelgandolfo in
cui egli soltanto poteva bagnarsi). Il povero vecchio degli ultimi anni,
squassato dal Parkinson come un albero antico percosso da una bufera senza
tregua, non ha cancellato l'impressione di forza che il  pontefice degli
anni '80 suscitava. I giornalisti "di corte", che non sono soltanto quelli
dell' "Osservatore romano", amavano allora commentare il vigore con il
quale Giovanni Paolo II sottolineava con gesti imperiosi certe sue
affermazioni e finivano per parlare di lui come di un antico condottiero.
Credo che non fosse soltanto piaggeria. Se, per questo papa, la Chiesa era
una roccaforte assediata, allora essa, pensava  Woytjla, aveva bisogno non
solo di un esercito di fedeli ma anche di truppe scelte: e cioè dei gruppi
cattolici di più ferrea disciplina nella ricerca di perfezione spirituale e
quelli più legati a un disegno di restaurazione della cristianità. Davanti
ai drammi della Chiesa nel mondo, Giovanni XXIII aveva convocato un
Concilio; nel giugno del 1998 questo suo successore convocò una grande
riunione di tutti i movimenti cattolici, gli istituti secolari, le nuove
organizzazioni di impegno, i cercatori di pentecoste. Non è un caso che
nelle ore della sua agonìa il TG1 abbia affidato così largamente all'Opus
Dei il compito di riassumere le caratteristiche del pontificato di Woytjla.
A questi suoi militi spirituali, il papa donò velocissime canonizzazioni,
posti di grande rilievo e anche, ciò che non era mai avvenuto nella storia
cattolica, un inquadramento gerarchico proprio, che frantumava le Chiese
locali, sottraendo ai vescovi fedeli ed energie e favorendo il crescere di
orgogliosi settarismi.
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Tuttavia questo papa che alcuni vorrebbero presentare come uno di quegli
atleti della fede che non si smuovono mai dalle loro certezze, fu un uomo
che non cessò di interrogarsi e di confrontarsi con il mondo. Una
progrediente cesura segna il suo magistero fra gli anni '80 e quelli '90.
Quando il Satana dell'Oriente mostrò che i suoi piedi erano di argilla e un
capitalismo selvaggio si insediò brutalmente al suo posto, allora papa
Woytjla ebbe più chiara la miseria spirituale di tanta parte
dell'Occidente, la decadenza del mondo borghese: vide con occhi più
penetranti che non si trattava soltanto di questioni morali che, del resto,
affliggevano anche la Polonia (l'aborto, il divorzio, le inadempienze
sacramentali, l'ignoranza religiosa): l'Europa Occidentale e l'America del
Nord erano contrassegnate da peccati collettivi che sminuivano la dignità
dell'uomo. Allora condannò con maggiore forza - la forza di uno di quegli
"uomini della penitenza" medievali che trascinavano le folle a pentimento -
la distruttività sociale dell'edonismo, l'idolatria per gli status symbols,
l'egoismo  dei popoli ricchi nei confronti dei continenti poverissimi, un
sistema culturale  pressapochista dal punto di vista etico, fatto più di
negazioni che di valori. Dichiarò che il neoliberismo non era meno ateo del
marxismo dialettico, anche se la sua nomenklatura si proclamava
cristianissima, e i libri che produceva non erano così chiaramente avversi
alla religione quanto   la ridicola Bibbia dell'Ateismo distribuita da
un'apposita accademia nei territori dell'Impero sovietico. Vide la dignità
dell'uomo ridotta a quella di una variabile nei conteggi del Mercato, le
borse valori decidere la sorte di miliardi di figli di Dio. Disse che,
almeno, i comunisti avevano lottato contro la disoccupazione e si erano
presi cura dei poveri. L'Occidente - scrisse - aveva creato "strutture di
morte". Il  consumismo gli pareva una tabe mortale per lo spirito. Gridò ai
giovani di non ascoltarne "le sirene perché risucchiano l'anima".
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Soprattutto vide  con chiarezza (che probabilmente lo ferì anche
fisicamente attraverso i misteriosi canali della psiche) che quello che tre
suoi predecessori avevano definito "imperialismo capitalista del danaro"
aveva in sé tali valenze distruttive da portare a guerre mostruose. Allora
il papa che da giovane sembrava voler piantare la sua croce astile come uno
stendardo ai margini di uno spirituale campo di battaglia, si trascinò
.sempre più curvo e malato, sul crinale della storia per percuotere, come
Mosè sul monte, la roccia della durezza dei cuori e farne scaturire l'acqua
dell'amore. Più che qualunque altro papa, gridò, contro tutte le bandiere.
che la violenza è menzogna, che la violenza "è un male inaccettabile e che
mai risolve i problemi". Non si mantenne sulle generali; condannò questa
guerra, in Iraq, come illecita, illegale, immorale.
Gli toccò la sorte dei profeti. Gli uomini del potere imperiale (i Bush, i
Blair, gli Sharon, i Berlusconi) che adesso  si accalcheranno dietro la sua
salma, gli resero allora l'omaggio che non si può ricusare ai vecchi
patriarchi che vogliono ancora parlare alla famiglia ma lo fanno  senza
rendersi ben conto della situazione; e molti vescovi italiani tradussero la
chiarezza dei suoi discorsi in banalità di routine, in consigli vaghi e non
perentorî. Ricordo il febbraio 1991: ero in parlamento quando Giovanni
Paolo II pronunziò parole durissime contro la prima guerra del Golfo.
Rammento il turbamento dei deputati democristiani; ma subito da molti
illustri pulpiti, primo fra tutti quello del cardinale Ruini, la condanna
del papa fu "interpretata" ed estenuata; e il partito "di ispirazione
cattolica" votò l'ingresso dell'Italia nel conflitto.
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Era un papa - il primo - ad avere sofferto i dolori che le guerre moderne
seminano nelle famiglie, così come il primo ad essersi guadagnato il pane
con fatica fisica. Perciò quando parlava di queste cose si sentiva
l'autenticità dei sentimenti. Questo fu importante soprattutto per i
giovani, che sono stufi di parole e affamati di testimonianze.
Nell'impudica moltiplicazione dei telegiornali si producono, come ci ha
insegnato Mac Luhan, fenomeni di aggregazione alla maggioranza, di
necessità psicologica di entrare nel gruppo dominante e di prestarsi  allo
spettacolo mediatico; perciò non mi illudo sulla profondità e durevolezza
delle  espressioni estorte dai telecronisti in questi giorni a tanti
ragazzi e ragazze. Ma è certamente un fatto che questo papa raccolse la
simpatia e anche l'ammirazione dei giovani, e non soltanto di quelli che
andavano a vederlo e ascoltarlo allo  stesso modo che pellegrinano per gli
stadî dei concerti rock. Moltissimi credettero di poter ricevere da quel
vecchio un senso da dare alla propria vita. Egli credette in loro. Li
definì "popolo delle beatitudini evangeliche" perché gli parevano ancora
immuni dal materialismo degli adulti e quindi disponibili alla generosità
cristiana. Li esortò a rischiare la propria vita perché il terzo millennio
vedesse finalmente un mondo di giustizia, di libertà, di pace. Gli furono
riconoscenti della fiducia che manifestava loro.
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Nei lunghi anni del suo pontificato, i cavalieri dell'Apocalisse
galopparono come non mai sulla Terra. Nuovissime pesti, dall'AIDS alla
sars, assaltarono interi continenti. Le guerre non furono soltanto quelle
degli eserciti imperiali: spaventosi conflitti straziarono l'umanità,
generando fame e morte in nome dell'oro, dei diamanti, del coltan,
dell'uranio. Cataclismi che sembaravano apocalittici sembarono annunziare
la ribellione della Terra alle incessanti violenze inferte al pianeta
dall'avidità dei ricchi. Penso che talvolta egli si sia sentito al centro
di un formicaio impazzito che gli imponeva sforzi che non riusciva più a
sostenere. Così la rotta del Grande Pescatore non fu lineare: si rifiutò al
concetto di lotta fra civiltà, difese i diritti dei palestinesi, entrò da
fratello nelle sinagoghe e da adoratore del Dio unico nelle moschee, riuscì
a rinsaldare i rapporti con i figli di Lutero, ma gli parve doveroso
ribadire il suo ruolo di Capo della Chiesa universale, di negare salvezze
che non accettavano di provenire dal Cristo  e consentì che il proselitismo
romano offendesse profondamente le Chiese "sorelle" dell'Oriente. Difese la
vita in fieri, parlò contro la pena di morte ma condannò testardamente
l'uso del condom nonostante gli scienziati gli assicurassero che era di
fatale importanza per bloccare la devastante proliferazione dell'AIDS.  Fu
di rocciosa intransigenza nei confronti dell'obbligatorietà del celibato,
della non ammissibilità ai sacramenti delle persone che, dopo un naufragio
matrimoniale, cercavano di rifarsi una famiglia. Si caricò del passato
della storia ecclesiale, inginocchiandosi a chiedere perdono umilmente per
tanti delitti: ma lo fece a nome dei figli della Chiesa, non a nome
dell'istituzione che pure sapeva semper meretrix. Si occupò poco della
politica italiana ma permise che Sodano e Ruini restringessero il Tevere
allargato dai due papi dei quali aveva assunto il nome. Ebbe un carattere
testardo e impetuoso, persino collerico: ma la sua estrema vecchiaia fu un
esempio toccante di coraggio e di forza morale. Sì, insegnò come si soffre
e si muore da cristiani, cercando fino all'ultimo che la morte ci trovi
vivi, per noi e per gli altri.
Penetrò a questo modo nelle tragedie umane, quelle personali e quelle
collettive, e fu forse la sua lezione più alta. Ho pianto (o quasi) vedendo
il suo urlo silenzioso, alla finestra della sua stanza, quando ha capito
che non sarebbe  mai più riuscito a parlare. Ho ritrovato in questa sua
kenosis le urla di tutto il secolo XX:  il grido senza suono di Munch e il
furore dell'idiota di Faulkner e l'invocazione della donna di "Roma città
aperta" stroncata dal piombo nazista. Ho pensato che in quel momento egli
raccogliesse in sé il pianto di tutte le Racheli  che piangono i loro figli
e non vogliono essere consolate perché non sono più. In quel momento mi è
parso grandissimo e l'ho amato