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Invio relazione Incontro pubblico Limes Club Milano del 3/12/2004
- Subject: Invio relazione Incontro pubblico Limes Club Milano del 3/12/2004
- From: "Limes Club Milano" <limesclubmilano at yahoo.it>
- Date: Wed, 19 Jan 2005 15:34:07 +0100
Egregi, siamo lieti di inviarvi la relazione dell'incontro "La Russia tra Cecenia ed Eurasia", organizzato dal Limes Club di Milano e tenutosi alla Libreria Feltrinelli il 3 dicembre 2004. Augurandoci che sia di vostro interesse, vi diamo appuntamento ai prossimi incontri. Con i migliori saluti Limes Club Milano Stefania Saltarelli Sintesi della conferenza "La Russia tra Cecenia ed Eurasia" Data: 03.12.2004 Presso: Libreria Feltrinelli - Piazza del Duomo (Milano) Il 3 dicembre il Limes Club Milano ha organizzato, alla libreria Feltrinelli di piazza Duomo, una conferenza dal titolo "La Russia tra Cecenia ed Eurasia - Le mille e una Russia"; tale incontro, prendendo spunto dall'ultimo numero della rivista di geopolitica Limes, era volto ad analizzare alcuni aspetti della nuova Russia di Putin. I relatori sono stati Giulietto Chiesa, giornalista ed Eurodeputato, già corrispondente da Mosca per l'Unità e poi per la Stampa; Lucio Caracciolo, direttore di Limes; e Massimo Nicolazzi, esperto di questioni energetiche ed ex vice presidente di Lukoil (azienda russa che produce petrolio e gas). Pochi giorni prima della conferenza, il 21 novembre, si erano tenute le elezioni presidenziali in Ucraina, che avevano visto la vittoria "ufficiale" del candidato filo-russo Yanukovich contestata però dall'opposizione filo-occidentale guidata da Yushenko, che ha accusato il Presidente in carica Kuchma (di cui Yanukovic era il delfino) di brogli e che ha portato migliaia di persone in piazza. Era dunque inevitabile che tale tema si imponesse quale uno dei principali argomenti della discussione. Infatti Giulietto Chiesa, il primo a prendere la parola, non si è sottratto all'attualità e ha dato la sua lettura dei fatti in corso. A suo giudizio, gli eventi in Ucraina stanno rovinando il disegno politico di Putin di ricostruire almeno una parte della "Grande Russia"; il Presidente, infatti, si è presentato fin dal suo primo mandato con il progetto di riaffermare l'influenza del proprio paese su alcune delle Repubbliche ex sovietiche, ottenendo il convinto sostegno popolare. In particolare, Putin poteva contare su quattro Stati: Kazakistan, Bielorussia, Armenia e, appunto, Ucraina. Ma è proprio quest'ultimo il più importante, per storia, popolazione, dimensioni e posizione geografica: se l'Ucraina dovesse davvero cadere nell'orbita occidentale, quindi, il disegno di Putin sarebbe davvero finito. Per questo, Chiesa prevede che il Presidente russo non cederà e che di conseguenza la situazione degenererà, venendo a creare una tensione con l'occidente mai vista negli ultimi quindici anni (una tensione che il relatore ha paragonato addirittura all'assedio di Berlino dell'inizio della Guerra Fredda). Basti pensare che, proprio pochi giorni prima delle elezioni ucraine, Putin aveva dichiarato al mondo che la Russia si era dotata di nuove armi strategiche nucleari sconosciute agli Stati Uniti e ai loro alleati: un chiaro ammonimento ai paesi occidentali di non forzare la mano sulla questione ucraina. Quindi il titolo dell'ultimo numero di Limes "La Russia in gioco" è, a detta di Chiesa, quanto mai indovinato: siamo di fronte all'ultima tappa della fine dell'Unione Sovietica, di una partita che sta arrivando a compimento. La parola è dunque passata a Massimo Nicolazzi, il quale si è concentrato sulla questione energetica. L'ex vice presidente della Lukoil ha voluto iniziare da alcune considerazioni di tipo generale. Nel decennio dal 1992 al 2002 il Pil russo, al netto della partita energetica (petrolio, gas, elettricitàŠ), è stato in costante diminuzione (il 2003 è stato il primo anno in cui è risalito); appare quindi chiaro come il problema della Russia sia spostare risorse dal settore energetico ad altri settori. Infatti il paese esporta gas e petrolio ma è costretto ad importare quasi tutti i beni di consumo, rischiando così di diventare una nazione ad «economia petrolifera»; e i paesi che si sviluppano esclusivamente attraverso il petrolio non riescono a svilupparsi veramente (se non riconvertito in investimenti in altri settori, il petrolio rischia quasi di essere «una controindicazione allo sviluppo nazionale» perché abbassa il bisogno e lo stimolo ad operare una diversificazione). La partita energetica è una partita che Putin ha iniziato a giocare: per la prima volta dal 1992, infatti, si sta formando un settore pubblico (non solo Gazprom ma una vera industria nazionale): è l'inizio di una politica di partecipazioni statali nel settore petrolifero in Russia; inoltre, l'imposizione fiscale sulle esportazioni di petrolio è piuttosto alta e sta permettendo l'accumulazione di un ingente capitale (ma bisognerà poi vedere come verrà investito). Nicolazzi è scettico sul ruolo del petrolio nelle grandi decisioni politiche o come fattore decisivo per dichiarare una guerra: infatti oggi c'è un eccesso di produzione, quindi nel breve periodo non è in vista alcun problema di approvvigionamento. Il petrolio russo ha costi di produzione e trasporto (che avviene mediante navi) molto elevati, quindi esso entra in gioco solo se il prezzo del petrolio è alto. Per il gas vale invece un discorso diverso. Esso infatti, per via del modo in cui viene trasportato (tubi anziché navi), è più governabile e «politicizzabile». Una delle principali linee di esportazione del gas russo passa attraverso l'Ucraina; per capire l'importanza di questo dato, basti ricordare che il gas russo rappresenta più del 20% del consumo interno di tale prodotto in Germania, Francia e Italia. Concluso tale intervento, è stata la volta di Lucio Caracciolo. Il direttore di Limes ha iniziato con una breve introduzione generale, nella quale ha sostenuto che la guerra fredda non è ancora veramente finita, in quanto non è stato trovato un nuovo equilibrio di potenza in Europa e nel mondo; Caracciolo ha anche ricordato come la tensione tra Russia e Occidente sia sempre stata dovuta a una contrapposizione geopolitica (ricerca di sfere di influenza) più che a uno scontro ideologico. Il direttore non si è comunque potuto esimere da alcune considerazioni sul tema più di attualità, vale a dire, ancora una volta, il conflitto in atto in Ucraina, «una continuazione della guerra fredda con altri mezzi». Caracciolo ha osservato le parti che si stanno scontrando: in primo luogo la Russia, per la quale la questione ucraina è esistenziale (se perde tale partita, la Russia perde se stessa); in secondo luogo l'occidente, o meglio alcune delle sue parti. A questo proposito, va infatti rilevato lo scarso ruolo giocato dal responsabile della politica estera e di sicurezza comune (Pesc) dell'Unione Europea, Javier Solana, e il ruolo di poco più rilevante dell'Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), i cui osservatori sono stati formalmente incaricati di controllare la regolarità delle elezioni (giudicandole un imbroglio). L'avanguardia dell'Europa in questa crisi è stata invece costituita da Polonia e Lituania (una parte dell'Ucraina è stata in passato parte del Granducato polacco-lituano) che per motivi storici, geografici ed economici hanno forti interessi a che il conflitto si concluda in modo sfavorevole a Putin; il Presidente russo da parte sua si era molto speso per queste elezioni, esponendosi in prima persona, e senza dubbio si aspettava un risultato favorevole a Yanukovic. Caracciolo ha anche sostenuto che, se non si riuscisse a trovare una soluzione di compromesso soddisfacente e duratura alla crisi in corso, l'Ucraina rischierebbe seriamente la secessione (non necessariamente formale, bensì di fatto) tra la parte orientale, filo-russa, e quella occidentale, più vicina a Usa e Ue; in una spartizione di tale genere, sarebbe più difficile per americani e europei tenere in vita la parte occidentale, priva di risorse, rispetto a quanto dovrebbe fare la Russia con l'Ucraina orientale. In conclusione, questa è una partita tra Russia (per la propria sopravvivenza), da un lato, e Stati Uniti, paesi baltici e Polonia (per impedire alla Russia di tornare ad essere un impero) dall'altro; tuttavia sarebbe auspicabile che anche noi europei prendessimo coscienza della natura e dei termini di questa crisi e, soprattutto, di quali sono i nostri interessi in essa, altrimenti per noi decideranno altri. Terminato l'intervento del direttore di Limes, si è aperto il dibattito che, proprio per l'estrema attualità degli argomenti trattati, è stato estremamente vivace e partecipato, con molte domande da parte del pubblico. A una domanda sull'influenza della questione religiosa nella crisi ucraina, Giulietto Chiesa ha risposto sottolineando la prudenza (non priva di significato) del Vaticano, che non ha preso una chiara posizione ma sembra non gradire quanto sta succedendo; alla prudenza del Papa è corrisposto invece l'attivismo delle forze religiose uniate in Ucraina, ben presenti nelle manifestazioni degli "arancioni" di Yushenko. Il tema religioso è comunque ben presente, in quanto provoca una tensione tra il patriarcato di Mosca e la Chiesa uniate nonchè tra il patriarcato di Mosca e quello di Kiev, e una divisione tra ortodossi e cattolici (sia pure di rito greco). Sempre a proposito dell'Ucraina, Chiesa ha anche voluto precisare alcune notizie: innanzitutto, è vero che è divisa ma allo stesso tempo ci sono anche forme di integrazione (infatti si registrano presenze numerose di russofoni anche nella capitale Kiev e nella parte occidentale); per quanto riguarda la situazione sociale, nonostante i dati macroeconomici (ad esempio il Pil) indichino che l'economia nel complesso è in ripresa, le condizioni di vita della popolazione restano pessime, addirittura peggiori che nelle zone rurali russe; infine, Yushenko si presenta come leader democratico ma in realtà dietro di lui operano oligarchi cinici e egoisti. Il dibattito ha poi toccato la complessa vicenda dell'azienda petrolifera russa Yukos. Nicolazzi ha raccontato come la possibile fusione tra tale colosso energetico e Sibneft sembrasse inizialmente benedetta da Putin; poi invece, quasi inaspettatamente, è stato arrestato Kodorkovskij (proprietario di Yukos nonché principale sponsor del partito d'opposizione Yabloko) insieme al suo braccio destro. A detta del relatore, Kodorkovskij stava cercando di coalizzare intorno a sé un gruppo di deputati per poter poi influenzare quelle decisioni della Duma (Camera bassa russa) che richiedevano una maggioranza dei due terzi (maggioranza che il partito di Putin, da solo, non deteneva); ciò poteva essere spiacevole per il Cremlino ma non basta a giustificare la campagna di persecuzione contro il magnate. Tuttavia tale campagna è stata portata a termine e Yukos è stata fatta a pezzi. Adesso la battaglia per il suo controllo è diventata il simbolo del tentativo del Cremlino di recuperare gettito fiscale, dato che molte società privatizzate si erano costruite dei piccoli "paradisi fiscali" in distretti autonomi nella zona degli Urali; gli altri oligarchi hanno trattato e si sono sottomessi, invece Kodorkovskij si è rifiutato. Ma il Cremlino non poteva più permettersi di rinunciare a quel gettito: per capire l'importanza del settore energetico per le finanze dello Stato russo, basti pensare che un quarto delle entrate federali nel 2002 sono state versate da Gazprom. L'esperto ha anche voluto azzardare un'ipotesi per il futuro di Yukos, dicendo che, a suo parere, essa non finirà nella mani di nessuna società internazionale, bensì sarà assorbita da Gazprom. Questi argomenti hanno poi offerto lo spunto per parlare dei rapporti tra Putin e i cosiddetti "oligarchi": Giulietto Chiesa ha osservato che il Presidente aveva stipulato un patto con questi influenti personaggi nel 1999, quando è diventato Capo dello Stato, ma adesso ha deciso di romperlo. La rottura del patto si è verificata il 25-2-2004, quando Putin ha licenziato l'allora premier Mikhail Kasianov, ed è stata confermata dal caso Kodorkovskij, il quale voleva vendere un terzo della sua azienda a Exxon Mobil, ma il Presidente glielo ha impedito opponendo "l'interesse nazionale russo" (Putin non è disposto a cedere agli americani il controllo su una parte delle risorse energetiche russe). L'unico patto che sembra essere rimasto in piedi è quello con la famiglia Eltsin. Per capire il tipo di legame che intercorre tra il Capo dello Stato e gli oligarchi, basti pensare che nel 1998, l'anno precedente all'elezione di Putin, il Fondo Monetario Internazionale erogò alla Russia un prestito di 4,7 miliardi di dollari, che però sparirono in pochi giorni, finendo nelle tasche di pochi, potenti privati (tra cui lo stesso Kodorkovskij); gli oligarchi sanno tutto di Putin (e della sua ascesa al potere) e lo ricattano, di conseguenza appena ha potuto il Presidente li ha colpiti, usando come arma lo Stato e la magistratura. Dal pubblico è anche giunta una domanda sul grande progetto di Putin di "ricostruire" la Grande Russia. Chiesa ha ribadito come tale disegno aspiri a riaggregare Kazakistan, Bielorussia, Armenia e Ucraina e ha spiegato che Putin ha tentato di tenere nascosto questo progetto poiché gli Stati Uniti sono contrari ad un rafforzamento della Russia; gli Usa fin dalla guerra fredda, al di là delle ideologie, miravano a indebolire la Russia e hanno continuato a perseguire tale obiettivo, che invece Putin vuole bloccare. Il relatore ha poi messo in luce come il Presidente avesse davanti a sé due strade per tentare di ricostruire la Grande Russia: quella democratica, attraverso un'unione di popoli, e quella opposta, su cui è poi effettivamente caduta la scelta di Putin; egli ha infatti liquidato l'opposizione comunista, ha imposto una riforma per la quale i Governatori regionali sono scelti direttamente dal Cremlino (e non più eletti dal popolo), ha proposto una riforma elettorale (proporzionale puro con sbarramento al 7%) che ridurrebbe a tre il numero dei partiti. Putin sa che, se aprisse davvero alla democrazia, si inserirebbero tutti i suoi potenziali nemici, interni ed esterni; per scongiurare tale rischio, il Presidente ha scelto la via autoritaria. Dopo queste prime questioni poste dal pubblico, il dibattito è tornato a vertere sulla crisi ucraina. Alla richiesta di delineare una possibile soluzione alla crisi in atto, Giulietto Chiesa ha esplicitato la necessità di un compromesso: è evidente, infatti, che una vittoria che non preveda precise tutele per la minoranza sconfitta non risolverebbe la crisi. E' apparso chiaro, dopo i primi giorni, che una soluzione nel senso auspicato da Mosca era ormai impensabile e che Yushenko era destinato ad essere il nuovo Presidente, tuttavia egli dovrà dare garanzie alla consistente minoranza russofona, assicurando ad esempio che l'Ucraina non entrerà a far parte della Nato. Lucio Caracciolo ha sostenuto che il problema di fondo è che «l'Ucraina non esiste come Stato nazionale», bensì è nata solo a causa della decomposizione dell'Unione Sovietica, di conseguenza è profondamente divisa al suo interno. Richiesto di un parere sulla posizione assunta in questa crisi da Bush, il direttore di Limes ha spiegato che gli Stati Uniti stanno sostenendo la "rivoluzione arancione" filo-occidentale in modo analogo a quando avevano appoggiato in Serbia l'opposizione anti Milosevic o quando avevano supportato Solidarnosc in Polonia o l'attuale Presidente georgiano Saakashvili; la Germania mantiene un profilo basso al fine di evitare uno scontro aperto con Putin; la Francia è perdente, poiché appoggiando l'allargamento dell'Ue ha perso la sua centralità (dato che i nuovi membri sono in prevalenza filo-americani); infine, l'Italia appare completamente tagliata fuori, non avendo voce in capitolo, nonostante buona parte del gas russo che il nostro paese importa passi proprio per l'Ucraina. C'è stato anche spazio per Mauro De Bonis, redattore di Limes, che ha brevemente parlato della questione cecena, anch'essa di grande attualità ma messa in secondo piano dalla crisi scoppiata a Kiev. In tale piccola Repubblica si sono concentrate le tensioni tra i due ex blocchi: è infatti un focolaio di guerra in una zona vitale per i russi ma importante anche per gli americani. Dopo il massacro di Beslan, Putin ha chiaramente accusato forze esterne (senza fare nomi) di sostenere i terroristi islamici per indebolire la Russia. La Cecenia non ha certo le dimensioni dell'Ucraina, tuttavia in dieci anni di guerra (i carri armati di Eltsin entrarono in Cecenia nel dicembre 1994) vi sono morte circa 200.000 persone. Caracciolo ha voluto aggiungere un'ultima osservazione sulle prospettive della Russia. L'ultimo numero monografico di Limes dedicato alla Russia, uscito nel 1998, era intitolato "La Russia a pezzi", un'espressione usata da Primakov al momento di insediarsi come Premier per dare il senso dell'emergenza in cui si trovava il paese. Putin è andato al potere per evitare che lo Stato andasse in pezzi; se oggi la Russia è "in gioco" significa che il Presidente, per l'obiettivo che si era prefissato, ha avuto un certo successo. La conclusione è spettata a Giulietto Chiesa. In risposta ad una domanda, il giornalista ed Eurodeputato ha voluto ricordare che anche in Bielorussia e nella stessa Russia le elezioni sono state irregolari: Lukashenko e Putin godevano già del consenso maggioritario dei rispettivi popoli, tuttavia hanno voluto stravincere e per questo hanno "truccato" le elezioni nei loro paesi. Tutte le tornate elettorali nello spazio ex sovietico sono state falsificate: il candidato che ha il controllo della commissione elettorale vince. Nonostante ciò, gli osservatori dell'Osce, a detta di Chiesa, hanno certificato come sostanzialmente regolari le elezioni presidenziali del 14-3-2004 in Russia (1) e anche quelle del 4-1- 2004 in Georgia (dove pure il vincitore Mikhail Saakashvili ha trionfato con oltre il 96% dei voti!) mentre hanno definito irregolari le consultazioni in Bielorussia (elezioni parlamentari del 17-10- 2004) e quelle in Ucraina qui in esame; questo dimostrerebbe, a detta di Chiesa, che l'Osce «prende ordini» dai governi occidentali e che, quindi, Stati Uniti ed Europa hanno «la coscienza sporca». E' impossibile esportare il nostro modello di democrazia in Russia o in Ucraina, paesi con storia e situazioni diverse (ad esempio manca una forte opinione pubblica); noi occidentali dobbiamo capirlo, se vogliamo aiutare tali Stati e non solamente usarli. Limes club Milano limesclubmilano at yahoo.it (relazione a cura di Alessandro Bozzini) Ulteriori informazioni: Rivista Limes www.limesonline.com Osce - osservatorio elettorale www.osce.org/odihr/?page=elections&div=reports Yukos www.yukos.com Gazprom www.gazprom.ru/eng Giulietto Chiesa www.giuliettochiesa.it Tutti i risultati elettorali www.ifes.org/eguide/index.html ------------ (1) A tal proposito il Limes Club Milano consiglia a tutti i soci di prendere visione del report dell'Osce al link www.osce.org/documents/odihr/2004/06/3033_en.pdf il quale riporta una visione più articolata rispetto a quanto sostenuto da Giulietto Chiesa.
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