cronaca attendibile della liberazione



fonte : La Repubblica

Poche ore prima della liberazione di Torretta e Pari si è rischiato che tutto andasse a monte per il riscatto
L'ultima telefonata coi rapitori Un litigio con i mediatori
Le due ragazze erano state ritenute due spie e perciò sottoposte a una sorta di processo
dal nostro inviato RENATO CAPRILE


BAGDAD - Alle 14.17 del giorno in cui sarebbero state poi liberate, si è rischiato che tutto andasse a monte. Che le due Simone potessero restare prigioniere. Proprio come i due giornalisti francesi. Perché alle 14.17 in punto una voce alterata dall'altro capo del filo rimproverava allo sceicco Ali Al Dulemi d'aver intascato soldi.

Quei 500 mila dollari di cui parlava un quotidiano di Kuwait City. Danaro che i sequestratori giuravano di non aver assolutamente preteso. Così almeno dicevano con tono offeso. Calava il gelo nel ricco studio di Dulemi in Masbah Street, non lontano da Karrada out e dal centro di Bagdad.

Il leader del Consiglio centrale dei capitribù iracheni e arabi, un vero e proprio contropotere, che stava da giorni mediando il rilascio delle due volontarie italiane, alzava a sua volta la voce: "Come ti permetti di accusarmi di una cosa del genere, non capisci che abbiamo molti nemici e sicuramente qualcuno stata tentando di fregarci, sabotando la trattativa? Mi chiedi chi, prova a ragionare. Noi non ci sporchiamo le mani per mezzo milione di dollari", parole dure ma che forse andavano a segno. Lo sceicco chiudeva la comunicazione con un secco "mi aspetto che le liberiate al massimo entro le 13 di domani - oggi per chi legge, ndr - altrimenti noi ci facciamo da parte".

Quattromila tribù: sunnite, sciite, curde, turcomanne, integrate da componenti cristiane. In pratica tutto l'Iraq che conta. Professionisti, gente che parla le lingue, che sa usare i computer e che non esibisce fucili. L'intellighenzia moderata di un possibile Nuovo Iraq. Ecco che cos'è il Consiglio centrale delle tribù.


Ci avevano contattato nel tardo pomeriggio di domenica scorsa. Cercavano giornalisti italiani a cui far sapere che la liberazione delle due ragazze era vicina. Che stavano bene, che nessuno le aveva sfiorate nemmeno con un dito, che non sarebbe stato pagato alcun riscatto, che le condizioni per il rilascio erano altre. E nemmeno le si poteva chiamare condizioni, perché le condizioni si impongono e quelle - dicevano - erano solo proposte. Insistevano con forza sul fatto di non volere denaro. Particolare che ovviamente resta tutto da verificare anche perché nessuno può ancora sapere quali altri canali e intermediari si siano intrecciati nella vicenda. In ogni caso ci raccontavano tutto a condizione di pubblicare il resoconto solo a cose fatte.

Dulemi che è di Ramadi ed è una sorta di premier di questo "governo ombra", dava poi la parola al dottor Tareq Alani, responsabile degli affari politici del Consiglio e di fatto una sorta di ministro degli Interni. Alto, robusto, vestito all'occidentale, Alani spiegava di essere in contatto da giorni con due esponenti dei servizi segreti italiani: Andrea Cresmo e Abu Laila. "Non mi illudo che siano i loro veri nomi, ma ho le prove che trattano per conto del vostro governo. Abu Laila parla arabo, un discreto arabo classico, ma non è arabo. L'ultima telefonata l'ho ricevuta un'ora fa. Ho detto loro che tempo 48 ore e le ragazze saranno libere e che avrebbero dovuto inviare in gran fretta un aereo qui a Bagdad".

Tareq spiegava anche come teneva i contatti con i rapitori. Chiamava un numero fisso e lasciava un messaggio in codice. Cinque minuti dopo il suo cellulare squillava. Dall'altra parte sempre lo stesso uomo. Ma perché rapire proprio quelle due ragazze? Sospettavano che fossero spie, agenti dei servizi segreti. Le hanno sottoposte nei giorni della prigionia a una sorta di processo. Le hanno interrogate a lungo e alla fine si sono convinti che erano davvero quello che dicevano di essere: due volontari, in Iraq per aiutare i più deboli. Dovevano quindi essere liberate e senza condizioni. Una specie di ammissione di colpa, un implicito: abbiamo sbagliato. E allora la trattativa poteva andare avanti, cercando di ottenere dal governo italiano alcune cose che certamente Berlusconi non si sarebbe rifiutato di dare.

Le due volontarie italiane
subito dopo la liberazione


Essenzialmente quattro richieste, di natura per dire così umanitaria. La prima: trenta bambini di Falluja gravemente feriti da curare negli ospedali del nostro paese. La seconda: l'impegno del governo a partecipare alla ricostruzione di Falluja e Ramadi, quasi completamente distrutte. La terza: una pressione italiana sull'alleato americano perché metta fine ai bombardamenti nel triangolo sunnita. Quarta ed ultima: l'invito in Italia di alcuni esponenti del Consiglio perché possano spiegare all'opinione pubblica l'altra faccia della guerra. Quella sconosciuta, che ha fatto migliaia di vittime innocenti.

Roba seria, dunque. Niente di irragionevole. Una specie di miracolo a tempo scaduto. Cresmo e Abu Laila garantivano che si poteva fare. L'aereo italiano era già sulla pista dell'aeroporto internazionale di Bagdad in attesa del prezioso carico. Aveva però fatto scalo in Giordania prima di decollare alla volta della capitale irachena. Gli americani avevano chiesto spiegazioni prima di dare l'ok e si erano sentiti rispondere: stiamo andando a prendere le due Simone.

E forse non è un caso che proprio dalla Giordania partisse l'indiscrezione che le due ragazze erano vive e vicine ad essere liberate. Il corrispondente del quotidiano del Kuwait scriveva del pagamento di un riscatto. Un milione di dollari da versare in due trance. I primi 500 mila subito, gli altri a liberazione avvenuta. Circostanza questa che metteva a repentaglio la riuscita di tutta l'operazione. Dulemi ci convocava nuovamente. Lo sceicco Yahya Al Hazà s'incaricava di scortarci dall'hotel Palestine alla villetta in Masbah Street. Nello studio di Al Dulemi era in corso una riunione. Le facce erano piuttosto scure. Al Dulemi non nascondeva che le cose si erano improvvisamente complicate. E le notizie di riscatto correvano il rischio di affondare la trattativa. Addirittura temeva che si fosse inserito un terzo soggetto. E il nostro accordo non aveva più valore.

Avremmo potuto scrivere tutto e raccontare l'eventuale sconfitta dell'ala moderata della guerriglia irachena. Qualche speranza c'era ancora, ma quei maledetti 500 mila dollari potevano compromettere tutto. "Credetemi - ci diceva - tra noi ci sono imprenditori e proprietari terrieri per i quali quella cifra, pur considerevole è poca cosa. Ma il gruppo che ha in mano le vostre ragazze pensa che vogliamo fregarli. Tareq è riuscito a spiegare la fuga di notizie dalla Giordania e dal Kuwait, ma sui soldi non è stato convincente. Vogliono parlare con me. Sto aspettando la loro telefonata". Che alle 14.17 in punto per fortuna arrivava. Al Dulemi riusciva a trovare le parole giuste.

Ma c'era sempre un piccolo margine di rischio che tutto saltasse all'ultimo momento. Un blitz, un ripensamento. Ci salutavamo con la speranza che tutto si concludesse entro le 13 di oggi. Poi alle 18.30 ora di Bagdad (le 16.30 in Italia) i rapitori chiamavano Tareq Alani: "Le stiamo liberando". Era vero. E il resto è la cronaca di un giorno felice.

(29 settembre 2004)