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Comunicato 11 settembre '04 GlobalBeach
- Subject: Comunicato 11 settembre '04 GlobalBeach
- From: "EuroMayDay '004" <euromayday004 at cantiere.org>
- Date: Mon, 13 Sep 2004 09:50:09 +0200
Comunicato sabato 11 settembre 2004 Ci rivolgiamo a voi tutti riuniti a Roma, nel tentativo di sciogliere alcuni nodi della matassa, drammatica e complessa, che ci viene consegnata dai fatti di Beslan e dal rapimento delle due attiviste di "un Ponte per", con l'esigenza, chiaramente, di parlare del movimento e della fase che sta attraversando. Partiamo intanto col dirvi perché non siamo a Roma e dove ci troviamo in questo momento. Da più di 10 giorni abbiamo occupato una spiaggia del lido di Venezia, uno spazio balneare della Polizia dello Stato abbandonato da nove anni, dando vita ad una TAZ (Zona Temporaneamente Autonoma) in occasione della Mostra del Cinema di Venezia: Global Beach. Qui, raggiunti da tante e tanti precari, intermittenti francesi, mediattivisti, registi e attivisti del giornalismo globale, attori e scrittori, abbiamo costruito un laboratorio politico inedito. Abbiamo attraversato la Mostra del Cinema con azioni, "benedette" da San Precario, sulla precarietà e sui diritti dei migranti, abbiamo prodotto un evento culturale e politico che ha avuto (grazie alla presenza di Naomi Klein e di Tim Robbins, oltre alle centinaia di persone accorse per ascoltarli!) la guerra e le forme di resistenza possibili al centro della discussione. Global Beach ha tentato di posizionarsi su un terreno nuovo di sperimentazione. Il terreno dell'esemplarità e della ricerca, esodante rispetto al deja vu della linea politica o dello scontro delle linee politiche dentro uno spazio relazionale statico. È per questo anche che abbiamo deciso di non essere a Roma, perché nulla nella presentazione dei lavori alludeva a questo desiderio di nuova ricerca, all'assunzione dei limiti e dell'esaurimento ormai inaggirabile di un ciclo di movimento, così come l'avevamo conosciuto a Seattle, a Genova e nei due anni successivi in Italia. Il movimento è una cosa viva, e non statica, cristallizzata, eterna e sempre uguale. Agisce e si esprime in termini biopolitici, e non politici. E non si può, secondo noi, pensare al movimento come alla fotografia delle sue vecchie dinamiche di rappresentanza. Bisogna definire conclusa l'esperienza e soprattutto la finzione del "gruppo di continuità", dei portavoce e del GSF. Dobbiamo oggi ripensare al movimento, al nuovo ciclo di lotte e progetti che ci si apre davanti, come ad uno spazio biopolitico globale in costruzione. Portiamo con noi l'accumulo di esperienze, gioie e dolori, tragedie e vittorie del ciclo precedente. Abbiamo imparato, dall'Argentina all'Europa, che ciò che serve non è una "linea politica", ma un flusso di esemplarità, di esperienze da mettere in rete, un flusso di produzione di significato, di senso, che scriva collettivamente una nuova storia. Ma è anche necessario per noi definire lo spazio pubblico e biopolitico che il movimento di moltitudine e progetti si può conquistare: uno spazio determinato dal suo essere in conflitto, radicale e netto, con l'Impero, con la guerra globale permanente, con le forme nuove e terribili di sfruttamento imposte sull'uomo e sul pianeta. Va da sè che esprimere esemplarità significa farlo a partire da orientamenti aperti ma nello stesso tempo situati dentro contesti, esperienze e storie politiche. Orientamento per noi significa accumulo e in questo abbiamo imparato quanto fa male ai movimenti costruire spazi politici statici o affidarsi alle linee di partito. Quanto accaduto negli ultimi mesi, fino all'intervista di Bertinotti su La Repubblica dell'altro ieri, ne sono la testimonianza più significativa. Mai come adesso la questione dell'autonomia dei movimenti si fa questione ineludibile, meglio, lo era già un po' di tempo fa, ad esempio dopo il 4 ottobre, data di inizio della campagna di Rifondazione sulla "violenza-nonviolenza" che ha tentato di introdurre pericolosissimi ed artificiosi steccati culturali e politici all'autonomia del movimento. In quella occasione però fummo tra i pochi a dirlo e a ripeterlo con forza. Quello che accade oggi è la conseguenza di quella strada intrapresa allora da questi signori. E' anche frutto delle ingenuità di noi tutti, che al tempo di Genova non abbiamo compreso quanto fosse importante definire lo spazio di movimento come "spazio libero dai partiti". Abbiamo lasciato che Rifondazione giocasse con facilità la carta, falsa, del "partito-movimento", ed il risultato si vede. E si è visto anche durante le elezioni. Veniamo ai fatti e alle prese di posizione degli ultimissimi giorni. Che due integralismi fossero a confronto, a partire dall'11 settembre, non l'abbiamo mai negato. Due integralismi che hanno costituito e costituiscono lo scenario drammatico della guerra globale permanente. Si tratta, però, non tanto di un "uguale" contrapposto a un "contrario", ma di un "uguale" soltanto. È il dispositivo della guerra globale e ordinativa, del "golpe nell'impero" di Bush che non può che produrre coincidentemente barbarie e orrore. Parafrasando uno slogan famoso: guerra o barbarie! Esercizio del controllo, limitazioni delle libertà, produzione di paura, orrore sono le forme che riguardano entrambe. Quando ci siamo opposti, noi e molti altri nel mondo, all'uso del binomio "guerra-terrorismo", l'abbiamo fatto per questo. Il detournamento, operato con forza dalla sinistra specialmente "comunista" (che ne dite del parallelo di Ingrao tra il rapimento Moro e quello in Iraq? Che ne dite del Barenghi-pensiero su tagliatori di teste e marines?) delle caratteristiche nuove e potenti della guerra globale permanente, che non è la riedizione della guerra imperialista nella dimensione degli stati-nazione, porta ad una sola cosa: la resa alla guerra. L'accettazione di un unico mondo possibile, quello ordinato e controllato dalla guerra globale. Un mondo dove pure è previsto che via sia un "senato democratico", si chiami Onu o altro, dove la finzione della condivisione delle scelte e la macchina ad essa connessa della produzione di opinione e consenso, possa girare a pieno ritmo nonostante le sempre più evidenti inaccettabili ingiustizie. Dire oggi "siamo contro la guerra e il terrorismo" apre la strada alla collaborazione con le dinamiche imperiale e chiude quella delle possibili, e necessarie forme di resistenza alla guerra. "L'unità nazionale" è una cosa vergognosa e inaccettabile, a partire dalle convinzioni profonde anche delle due attiviste rapite. Ma questo gioco lo conduce la sinistra, quella che vuole il "senato democratico" per andare al governo, e che è terrorizzata dalle forme radicali di movimento, che la mettono peraltro in discussione. Sta a noi scegliere da che parte stare, non tra guerra e terrorismo, ma tra il diritto di resistenza e "collaborazionismo". E come la guerra produce barbarie, il diritto di resistenza afferma umanità e nuova democrazia, con ogni mezzo necessario. I rapimenti delle due attiviste italiane e di due irakeni, assieme a loro, parlano con la stessa drammaticità dei ventidue milioni di ostaggi irakeni della guerra, delle migliaia di donne irakene imprigionate e maltrattate nelle carceri dell'esercito di occupazione. Ci segnalano inoltre il fatto che target diviene ogni cosa, anche il lento lavoro di tessitura e di relazione portato avanti da Simona e Simona, lavoro che tentava di rendere praticabile qualche forma di diplomazia dal basso in Iraq. Ma nella complessità dello scenario irakeno lo stesso intervento delle Ong, (che peraltro non sono tutte uguali ) al pari di quello dell'informazione, non può che essere embedded e quando non lo è viene messo a rischio, senza differenze, per la stretta coincidenza tra guerra di occupazione e intervento umanitario. A tutto questo riteniamo sia gravissimo rispondere con l'opportunistica e strumentale dismissione dei panni anti-war. Quando due a attiviste anti-war vengono rapite perché assimilate allo stato italiano in guerra bisogna fare del tutto per rendere evidente e irriducibile questa radicale differenza piuttosto che favorire processi noti di "unità nazionale". L'unica via d'uscita da questa situazione, a nostro avviso, rimane il conflitto e il sabotaggio materiale della guerra. Non c'è altro spazio politico possibile per il movimento se non la diserzione attiva dal dispositivo di guerra e di controllo, l'affermazione "bio-politica" dei diritti e di forme di democrazia radicale. È evidente che per far questo e per uscire da una rigida logica di opinione e di testimonianza bisogna mettere al centro del proprio agire politico il desiderio e non il calcolo. Questa è l'unica virtù irrinunciabile per un movimento che ritiene di dover affrontare una nuova fase dentro la velocità sanguinaria della guerra globale, il resto sono chiacchiere e non discorso, paralisi dell'azione e non conflitto. GlobalBeach 11.09.04 ... ore 12:50 Tutti in passarella: i ribelli alla guerra, sotto i leoni della mostra... Aggiornamenti: http://www.globalproject.info/art-1940.html http://www.globalproject.info/art-1793.html www.globalproject.info
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