INFERNI MEDIORIENTALI...



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UN INFERNO CHIAMATO MEDIORIENTE

AMORI PROIBITI PER LEGGE

ISRAELE/TERRITORI OCCUPATI: FAMIGLIE SEPARATE DA POLITICHE DISCRIMINATORIE



"Dopo 14 anni di matrimonio, mio marito nonché padre dei miei figli non ha
alcun diritto di dormire nella nostra casa, alcun diritto di dare il bacio
della buonanotte alle sue figlie, alcun diritto di vegliare su di loro se
si sentono male nottetempo… Che logica c'è nel costringere una famiglia a
vivere questo inferno ogni giorno, anno dopo anno?"

(Terry Bullata, 38 anni, preside in una scuola di Gerusalemme)



A migliaia di palestinesi è negato il diritto fondamentale di vivere in un
nucleo familiare, grazie a una legislazione israeliana il cui riesame è
previsto per la fine di questo mese. Si tratta della Legge sulla
cittadinanza e l'ingresso in Israele, che impedisce agli israeliani sposati
con palestinesi dei Territori Occupati di vivere in Israele con il loro
consorte.



In un rapporto pubblicato oggi, "Separati: famiglie divise da politiche
discriminatorie", Amnesty International chiede a Israele di ritirare la
legge sulle unioni familiari, che è fonte di discriminazione nei confronti
dei palestinesi di Cisgiordania e Gaza nonché dei palestinesi con
cittadinanza israeliana o residenti a Gerusalemme che li sposano.



"La legge istituzionalizza la discriminazione razziale contravvenendo alle
disposizioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto
umanitario. Senza il diritto all'unione familiare, migliaia di palestinesi
con cittadinanza israeliana o residenti a Gerusalemme si trovano nella
condizione di avere accanto il proprio coniuge in condizione di illegalità
e a rischio quotidiano di espulsione, oppure di dover lasciare il paese per
poter vivere in un nucleo familiare".



Uno dei casi citati nel rapporto di Amnesty International è quello di Salwa
Abu Jaber, 29 anni, che lavora in un asilo nido ad Umm al-Ghanam, nel nord
di Israele: "Al ministero dell'Interno mi hanno detto che o divorziavo o
andavo a vivere in Cisgiordania. Ma io amo mio marito e lui ama me, non
vogliamo divorziare e io non voglio che i miei figli vivano in Cisgordania,
in mezzo alla guerra e all' insicurezza".



Le procedure per esaminare le richieste di unione familiare dei palestinesi
dei Territori Occupati sposati con cittadini o residenti di altri paesi
sono state sospese dall'esercito israeliano alla fine del 2000.



Il governo israeliano ha giustificato il divieto di unione familiare con
"motivi di sicurezza", sostenendo che la legge ha l'obiettivo di ridurre le
potenziali minacce di attacchi condotti da palestinesi all'interno di
Israele. Tuttavia, ministri e funzionari israeliani hanno ripetutamente
affermato che la percentuale di palestinesi con cittadinanza israeliana
rappresenta una "minaccia demografica" e una minaccia al carattere ebraico
dello Stato. Ciò lascia supporre che la legge faccia parte di una
consolidata politica volta a limitare il numero di palestinesi cui viene
concesso di vivere in Israele e a Gerusalemme Est.



Amnesty International chiede alle autorità israeliane di:

-         ritirare la Legge sulla cittadinanza e l'ingresso in Israele;

-         riprendere l'esame delle richieste di unione familiare secondo
criteri non discriminatori;

-         esaminare le migliaia di richieste che si sono accumulate e
riesaminare quelle respinte prima della sospensione delle procedure;

-         fornire le motivazioni di ogni richiesta respinta per consentire
al richiedente di fare ricorso.

Il rapporto "Separati: famiglie divise da politiche discriminatorie" è
disponibile su
<http://web.amnesty.org/library/index/engmde/150632004>http://web.amnesty.org/library/index/engmde/150632004