tortura preventiva



Ricevo e inoltro (anch'io ci sarò a contestare bush)

Uomini e no


Sono passati sessanta anni da quando, agli ordini del Comitato Nazionale di
Liberazione, il 4 giugno uscimmo per le strade di Roma a viso aperto, con la
fascia tricolore al braccio, per impedire che gli occupanti tedeschi
minassero le strade e facessero saltare i ponti per bloccare l'ingresso
delle armate Usa, nostre alleate contro il nazi-fascismo.
Accogliemmo allora i soldati a stelle e strisce come compagni della stessa
causa, unendo i nostri tricolori e le nostre bandiere garibaldine ai loro
vessilli. La guerra sarebbe durata ancora un anno, ma noi eravamo già
convinti che, con Roma libera, iniziava la nuova epoca. La guerra sarebbe
stata ripudiata per sempre e mai più nel mondo ci sarebbe stato spazio per
invasioni imperialistiche, occupazioni belliche, colonialismo, razzismo,
intolleranza e torture. Troppo alto era il prezzo che il mondo stava ancora
pagando per i folli disegni di Hitler e Mussolini e per l'ignavia, le
cautele e i tatticismi che ne avevano consentito l'affermazione e
l'espansione.

Ma quelle intenzioni e speranze - che ancora per un po' sembrarono poter
illuminare le menti dei padroni del mondo e la nostra stessa classe politica
nazionale (si pensi solo a quello straordinario documento di civiltà e di
umanità che è tuttora la nostra Costituzione) - sono state travolte negli
anni e nei decenni da nuovi voraci appetiti ed egoismi.
Sessant'anni dopo, il prossimo 4 giugno, il governo di centro-destra
italiano (che non vede, non sente e non parla degli orrori iracheni) si
prepara ad accogliere trionfalmente l'"amico americano" Bush, accusato in
queste ore dalla stessa maggioranza degli americani e dalla Croce Rossa
Internazionale di "atti disumani diffusi". E c'è qualcuno della stessa
opposizione riformista - pur figlio della sinistra che partecipò da
protagonista alla lotta anti-fascista, alla Liberazione e alla elaborazione
della Costituzione - che ci invita a stare zitti, a non disturbare
eccessivamente i "manovratori" degli eccidi iracheni. Qualcuno che magari
già prepara il vestito blu, per sedersi il più vicino possibile al
presidente Usa, al tavolo del pranzo di gala.

Non è mia abitudine usare parole pesanti e spesso rimprovero chi si attarda
a non voler capire che l'estremismo, come sosteneva un grande
rivoluzionario, è spesso utile solo ai poliziotti dello Zar. Ma, oggi, con
tutte le energie che rimangono al mio vecchio corpo, vi assicuro che il 4
giugno sarò al fianco di quanti, in tutte le piazze e le strade di Roma,
grideranno "Bush Go Home". Lo faremo? Certo, usando tutte le tecniche della
nonviolenza perché proprio il braccio armato e ufficiale dell'Impero - da
ultimi, gli infami e vili torturatori che hanno avuto persino la
spudoratezza di farsi fotografare nell'atto dell'ignominia - ci ricordano
che noi popolo della pace siamo da loro totalmente diversi. Noi siamo
uomini, loro delle bestie feroci.
Sessanta anni dopo, dunque, un altro americano torna da noi, nella nostra
città, ma non porta più la bandiera della libertà e della pace. Ci porta un
nero vessillo di morte e di terrorismo. Perciò noi gli grideremo in faccia:
"Bush Go Home", vattene dall'Iraq, vattene da casa nostra, augurandoci che
fra qualche mese milioni di americani lo sappiano cacciare dalla Casa
Bianca.
Come, quel 4 giugno 1944, abbracciai il primo soldato Usa giunto alle porte
di Roma, ieri avrei voluto abbracciare quelle ragazze e ragazzi Usa che,
penetrati nel Senato di Washington, hanno gridato: "Boia! " al ministro
della guerra di Bush, responsabile della "terza guerra mondiale", moralmente
ancora più infame e vile delle prime due perché dichiarata preventivamente e
unilateralmente dalla sola super-potenza bellica rimasta sul pianeta terra.

Alessandro Curzi
(da Liberazione del 9 maggio 2004)