prossime iniziative dei punto rosso locali e testo sull'India di François Houtart



Ricordando Massimo Gorla

La straordinaria esperienza del Fsm di Mumbai 2004 costituisce una svolta
epocale. Esso quindi necessita di una valutazione seria e argomentata. Lo
faremo all'inizio di settimana prossima. Nel frattempo vi alleghiamo un
capitolo del libro LA TIRANNIA DEL MERCATO E LE SUE ALTERNATIVE di François
Houtart che apparirà ai primi di febbraio presso le Edizioni Punto Rosso. Il
capitolo è sull'India, con una parte dedicata al problema dei dalits, degli
intoccabili.

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Sommario

- Cena di finanziamento "Africa, Asia, America Latina a Bombay 2004" -
Triuggio (Mi)
- Ciclo di incontri su "Diritti e globalizzazione" - Carnate (Mi)
- Iniziativa e proiezione video Bbc sui crimini italiani in Jugoslavia e in
Etiopia - Jesi

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CENA DI FINANZIAMENTO DELLA CAMPAGNA "AFRICA, ASIA, AMERICA LATINA A BOMBAY
2004"

Fabbrica Degli Anticorpi + Arcore Social Forum, ovvero Cuochi Rivoluzionari,
vi invitano alla cena di finanziamento a sostegno delle spese di viaggio dei
rappresentanti dei paesi del Sud del mondo al Quarto Forum Sociale Mondiale
di Mumbai. Sabato 24 gennaio, ore 20.15 (puntuali!), presso la Coop Solaris,
via dell'acqua 9, Triuggio Interverrà Giusy Baioni, giornalista, di ritorno
da Mumbai. *Galleria fotografica con le immagini dal 4° ForumSociale
Mondiale
*Menù:
-Pane&Mortadella con salsine di contorno
-Pasta al forno
-Salsicce
-Zuppa di lenticchie mediorientale
-Vino&Acqua
-Dolce
-Caffe Equo&Solidale
*Quota di partecipazione: 13 nEuri
*Prenotazioni/informazioni:
-Federico 328 0220408
-Massimo masscorv at tin.it
-Faustino fausto.emme at libero.it

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CICLO DI INCONTRI SU DIRITTI E GLOBALIZZAZIONE

Il Comune di Carnate, in collaborazione con
l'Associazione Culturale Punto Rosso,
propone alcuni incontri tematici che si svolgeranno presso la Sala
Consigliare dello stesso Comune. L'articolazione delle sei serate, si
propone di approfondire da punti di vista ed angolature diverse, anche
storico - geografiche,  le categorie dei diritti della persona nel contesto
socio - economico non solo nazionale, ma globale. I relatori, attraverso le
loro competenze ed esperienze, ci aiuteranno a riflettere sulla storia, sui
cambiamenti, sulla complessità dei diritti in alcune aree del pianeta:
Occidentale, Islamica, Asiatica, ....... : alfine di essere in grado di fare
confronti, di comprendere più a fondo le politiche nazionali, di cogliere
meglio il nesso delle relazioni internazionali.

DIRITTI   E   GLOBALIZZAZIONE

Prima  serata (Lunedì 26 Gennaio 2004):
Dolores Morondo - docente di Diritto all'università di Urbino 1. Storia
della conquista dei diritti nel corso dei secoli ed alle diverse latitudini,
con particolare evidenziazione di percorsi, concezioni e scelte delle
singole nazioni, società, gruppi etnici. 2. Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo delle Nazioni Unite. 3. Dichiarazione universale dei
diritti dei bambini delle Nazioni Unite.

Seconda serata ( Lunedì 2 Febbraio 2004 ) :
Raffaele Salinari -   Presidente della O.N.G.  ' Terre des Hommes '
4. Confronto tra le enunciazioni dei diritti nelle diverse aree:
occidentale, islamica, asiatica, ... .

Terza serata   ( Lunedì 9 Febbraio 2004 ) :
Andrea FUMAGALLI  -  docente di Economia all'università di Pavia 5. Diritto
del lavoro.

Quarta serata  ( Lunedì 16 Febbraio 2004 ) :
Padre Giuseppe PIROLA  -  Padre Gesuita
6. Diritti della persona nella  globalizzazione.

Quinta serata  ( Lunedì 23 Febbraio 2004 ) :
Fabio CLETO  -   docente di Letteratura Inglese all'università di Bergamo
Francesca PASQUALI  - docente di Teoria e tecniche dei nuovi media
all'università di Bg. 7.  Nuovi attacchi ai diritti acquisiti attraverso le
nuove tecnologie.

Sesta serata   ( Lunedì 1 Marzo 2004  ) :
Mario AGOSTINELLI  - Punto Rosso-Fma, sindacalista della CGIL di Milano 8.
I diritti nella costituzione europea in fase di elaborazione.

Sala Consigliare del Comune di Carnate ( Mi ) presso la Villa Banfi Ore 21

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ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO DI JESI E ANPI
CON IL PATROCINIO DELLA CONSULTA PER LA PACE DEL COMUNE DI JESI


JESI 26 GENNAIO 2004 alle ore 18.30
presso p.zzo CONVEGNI CORSO MATTEOTTI


Proiezione del filmato “FASCIST LEGACY” di Ken Kirby – BBC 1989 Sui crimini
di guerra italiani in Etiopia e in Jugoslavia.

Interviene:
MASSIMO RAFFAELI (Critico letterario)

TUTTE LE ORGANIZZAZIONI PACIFISTE, ANTIFASCISTE, DI MOVIMENTO SONO INVITATE
A PARTECIPARE




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ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO puntorosso at puntorosso.it
<mailto:puntorosso at puntorosso.it>
FORUM MONDIALE DELLE ALTERNATIVE fma at puntorosso.it
<mailto:fma at puntorosso.it>
LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE lup at puntorosso.it <mailto:lup at puntorosso.it>
EDIZIONI PUNTO ROSSO edizioni at puntorosso.it <mailto:edizioni at puntorosso.it>
VIA MORIGI 8 - 20123 MILANO - ITALIA
TEL. 02-874324 e 02-875045 (anche fax)
www.puntorosso.it
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François Houtart
L'India: il Fmi, le riforme economiche e i dalit


Nel novembre 1996 il direttore generale del Fmi si congratulò con il
governo indiano per il tasso di crescita raggiunto, che negli ultimi anni
aveva superato il 6%. In tal modo dimostrava la sua soddi-sfazione di
fronte al fatto che il governo, insediatosi all'inizio del 1996, continuava
la politica di ri-forme economiche. Il Fmi riteneva, tuttavia, che tali
riforme dovessero avere nuovo impulso e che si dovessero rimuovere gli
ostacoli posti agli investimenti provenienti dall'interno e dall'estero1.
Come sempre in questi casi, le misure correttive attivate all'inizio del
1991 prevedono la riduzione della spesa da parte dello Stato, l'apertura
del mercato, l'orientamento dell'economia verso le e-sportazioni e la
privatizzazione delle imprese di Stato. Ancora una volta una politica di
questo tipo non tiene conto dei rapporti sociali che caratterizzano la
società indiana e tanto meno dei rapporti esistenti con le potenze
economiche straniere.
Queste misure colpiscono di fatto la struttura sociale dell'India, portando
all'arricchimento di una minoranza e all'impoverimento dei piccoli
agricoltori, accelerando l'esodo dalle campagne. Non sarà forse un
obiettivo esplicito delle organizzazioni di Bretton Woods, ma è sicuramente
una conse-guenza inevitabile che i programmi di lotta alla povertà non
potranno non affrontare. L'analfabetismo sociale delle grandi
organizzazioni internazionali è tale che le si direbbe incapaci di uscire
dal circolo vizioso del loro corso economicista.
In India è in corso un inasprimento dei conflitti di casta, in particolare
tra i dalit (gli intoccabili) e le caste superiori, in una fase in cui le
politiche neoliberiste sembrano rafforzare le strutture di classe
costituitesi durante la colonizzazione inglese e sviluppatesi ulteriormente
durante i cinquant'anni di indipendenza. In questo mezzo secolo di impegno
per la costruzione della nazione (nation building) il regime ha
nazionalizzato gran parte delle industrie di base (le meno redditizie), ha
favorito il ca-pitale nazionale (con misure protezionistiche) e ha risposto
alla pressione popolare con l'istruzione (dopo il 1951 le scuole elementari
furono triplicate) e la sanità pubblica, in parte con aiuti alimentari e
con l'assegnazione di quote, nell'impiego pubblico, a favore delle caste e
delle tribù appartenenti agli strati più bassi nella scala sociale
(scheduled castes or tribes).
Parte di tali misure mirava ad agevolare la popolazione urbana, il che
permetteva di mantenere bassi salari per lo sviluppo di un'industria locale
che produceva soprattutto beni di consumo per il 15% o il 20% dei cittadini
avendo come risultato un mercato redditizio. Così come la politica di
ispirazione keynesiana dei Paesi industrializzati, volta a salvare dalla
crisi il capitalismo, aveva apportato reali benefici alle classi
lavoratrici, anche il populismo della borghesia indiana ha ottenuto buoni
risultati per una parte della popolazione. Chiaramente si è trattato di
risultati molto relativi, dato che dopo mezzo secolo di indipendenza metà
della popolazione indiana ancor oggi vive al di sotto della soglia di
povertà.

I. Le riforme economiche

Stando così le cose, qual è e quale sarà l'effetto degli orientamenti
neoliberisti in economia, rafforzati ulteriormente dalla pressione delle
organizzazioni internazionali e dalla odierna globalizzazione? Su questo
problema stanno lavorando alcuni analisti indiani. G.Parthasarathi dimostra
che l'apertura verso gli investimenti stranieri non ha effetti positivi
sull'occupazione nel settore organizzato dell'economia2, che non è
cresciuta dopo il 1980. Rispetto al settore informale si sarebbero persi da
500 a 800.000 posti di lavoro dall'inizio del Programma di riforme
strutturali. Le cause: i nuovi investimenti utilizzano tecnologie importate
con un ingente flusso di capitali, la mano d'opera non qualificata è
diminuita e sono richiesti lavoratori qualificati nel settore non
organizzato.
D'altro canto l'aumento del prezzo delle materie prime locali, a seguito di
una politica di importa-zioni, colpisce in primo luogo il settore non
organizzato, i cui beni di consumo di base dipendono dal settore
organizzato. In tal modo nel settore tessile centinaia di piccole imprese
devono chiudere, con conseguenti situazioni di miseria ad Andhra Pradesh,
dove si sono avuti casi di morte per fame. Il governo non è autorizzato a
intervenire sui prezzi e non può proteggere il mercato, dovendo ridurre le
spese.
Ed è proprio l'attivazione di queste misure protezionistiche (aiuti
alimentari e sussidi per i costi della produzione agricola, quote per
l'occupazione a favore delle caste e delle tribù inferiori) a col-pire
maggiormente coloro che si collocano negli strati inferiori della società.
In particolare nel settore agricolo, dove si concentra la maggioranza dei
poveri, la liberalizzazione del mercato della terra ha come risultato
l'espulsione di mille piccoli agricoltori che si trasformano in braccianti
occasionali, con entrate del tutto inconsistenti. Meno del 25% degli
agricoltori (grandi e medi) verranno beneficiati da queste misure. Va
aggiunto che l'esportazione di prodotti agricoli (più di quattro mi-lioni
di tonnellate di riso, considerando che metà della popolazione soffre di
condizioni alimentari inadeguate), esportazione che deriva da un aumento
dei prezzi interni ed è legata a una riduzione dei sussidi, ha come
conseguenza l'aumento delle entrate per i grandi produttori, mentre il
salario reale degli operai agricoli diminuisce mentre aumenta la migrazione
verso le città.
La domanda nazionale da parte dell'élite ha effetti negativi sul settore
non organizzato. Di fatto il settore organizzato, oltre a non creare
occupazione, entra in concorrenza con il settore non organiz-zato per
quanto riguarda le materie prime. Quest'ultimo tende allora a mettersi in
concorrenza con il primo ricorrendo allo sfruttamento minorile. Ad esempio
a Chennai (antica Madras), un piccolo la-boratorio che produce vasi
metallici non ferrosi utilizza bambini in età dai nove ai dieci anni che
la-vorano in un ambiente privo di finestre, con un tornio elettrico per
pulire il metallo e senza alcuna protezione: non esiste ventilazione e vi è
una fitta polvere metallica. Il lavoro ha inizio alle 7 del mattino e
termina alle 7 di sera. Il salario varia tra le 10 e le 20 rupie
giornaliere (da 0,25 a 0,55 dollari).
Nel settore tessile a lavorare sono soprattutto le bambine. Cominciano
all'età di 5 o 6 anni e guada-gnano tra le 5 e le 8 rupie al giorno ( da
0,012 a 0,25 dollari ) con l'obbligo di lavorare da 10 a 12 ore. Lo stesso
succede nella produzione di scatole di cartone, di fiori di plastica e di
tappeti nella regione di Varanasi (Benares), per non parlare del settore
edilizio, che impiega bambini piccoli, nonostante il divieto di utilizzare
bambini inferiori ai 14 anni. A Chennai (Madras) una Ong locale
(Arunodhaya: raggio di sole) prepara donne di vari quartieri popolari per
tentare di recuperare i bambini e mandarli a scuola. La maggioranza di
queste donne, di provenienza dalit, si oppone ai proprietari di laboratori
artigianali e di piccole imprese entrando spesso in conflitto con i
genitori. Esse hanno preso coscienza che la soluzione del problema dipende
dalle politiche globali e iniziano a organizzarsi: "Il governo non si fa
sufficientemente carico di questo problema", dicono, "neppure i sindacati
si interessano dei bambini. Dobbiamo diventare noi stesse un gruppo di
pressione"3.
Ma non sono soltanto le imprese indiane a ricorrere allo sfruttamento
minorile. Anche le transna-zionali americane ed europee lo attuano nel
settore tessile, in quello calzaturiero e dell'abbigliamento Quando si
criticano i governi del Terzo mondo e nello stesso tempo si contribuisce a
creare il problema l'ipocrisia è evidente. La nuova politica economica,
incrementando le esportazioni, ha ottenuto un risultato importante nella
crescita occupazionale dei bambini nell'industria dei tappeti, ad esempio,
controllata da grandi mediatori commerciali e da interessi stranieri. La
stessa cosa succede nella produzione agricola. A Uttar Pradesh aumenta
sempre di più il numero di bambini dalit del Bihar, reclutati dai contadini
locali per mandare avanti l'agricoltura da esportazione.
Quanto alle politiche governative di sostegno alle classi popolari, esse
tendono a diminuire sotto la pressione internazionale. Dagli anni Settanta
il modello populista sembra indebolirsi, soprattutto in termini
qualitativi, adeguandosi sempre meno al progetto di accumulazione della
borghesia indiana, interessata a tipi di prodotti sofisticati rivolti a una
minoranza opulenta (un mercato importante qua-si come quello europeo) e non
destinati alle masse, che possono contare su uno scarso valore ag-giunto.
La pressione è aumentata con i Programmi di riforma strutturale a partire
dagli ultimi anni Ottanta e in particolare con la nuova politica economica
del 19914.
In India la resistenza è stata comunque notevole, sia grazie all'azione
delle organizzazioni operaie e dei partiti di sinistra, sia come
conseguenza di una certa idea di solidarietà nazionale da parte dello Stato
e per il timore di certa borghesia, consapevole delle conseguenze sociali
di un brusco cam-biamento di politica. Secondo uno studio dell'Indian
Council for Research on International Economic Relations, tra il 1987-1988
e il 1992-1993 la percentuale di aiuti socio-economici è passata dal 15,28
rispetto al Pil, che ha mostrato con evidenza una stabilità in termini
relativi. Tale risultato è stato comunque possibile grazie a un cedimento
da parte del governo nazionale nei confronti degli Stati dell'unione,
conseguente a pressioni internazionali. Quando il primo negli anni
1987-1988 si accollava il 43% delle spese, nel 1992-93 si impegnava solo
per il 39%, mentre l'impegno degli Stati locali è passato dal 57 al 61%. Si
nota quindi, come in molti altri Paesi, un decentramento dei contributi,
senza una corrispondente distribuzione di mezzi economici. Gli enti locali
(Stati, provin-ce, comuni) devono assumersi compiti sempre più gravosi,
fare delle scelte e dare priorità a certi settori a detrimento di altri.

II. Effetti sul rafforzamento dei rapporti di casta

Questa situazione viene forse ad accrescere la differenza tra le classi,
come in altre parti del mondo? In termini relativi il settore organizzato
dell'economia sta perdendo posti di lavoro, il che indebolisce i sindacati,
mentre il settore non organizzato soffre di una crescente pressione
economica, au-mentando così gli strati della popolazione che si trovano a
livello di sopravvivenza. Le classi su-balterne vedono una diminuzione
delle entrate, con un aumento del fenomeno della povertà. Sono solo le
classi alte e parte delle classi medie a trarre vantaggio da questo
sistema, il che smentisce la teoria del carattere selettivo della crescita
economica (trickle down). Un autorevole economista in-diano, C. T. Kurien,
ex direttore del Center for Development Studies di Chennai, dimostrava
chia-ramente in un suo seminario al Tata Institute of Social Studies a
Mumbai (ex-Bombay), che ci tro-viamo in presenza di una crescita economica
senza aumento di occupazione5.
Anche se sembra un paradosso, la nuova politica economica e le riforme
strutturali rafforzano le strutture di casta e soprattutto favoriscono la
presa di coscienza dei dalit. È logico, infatti, che dall'indebolimento
delle classi inferiori consegua un consolidamento delle classi
tradizionali, sia per quanto riguarda le relazioni sociali, sia per quanto
concerne l'espressione dell'appartenenza culturale o religiosa.
Appare significativo il caso dei dalit. Da vent'anni a questa parte si è
vista una vera esplosione di movimenti spesso poco organizzati che
affermano la propria identità di senza-casta. Nel 1990 l'Indian Social
Institute di Delhi ne ha contati più di 5.000.6 Il fatto di chiamarsi
dalit, vale a dire oppressi, sviluppando proprio per questo una forma di
consapevolezza e di orgoglio, è qualcosa di assolutamente nuovo nella
storia sociale dell'India. L'egemonia dei bramini ha condizionato a tal
punto gli intoccabili o chandals (malfattori) che essi stessi hanno finito
per definire in quei termini il proprio comportamento sociale, arrivando
persino al disprezzo di sé. Nel 1932 Gandhi li chiamò ha-rijans, cioè figli
di Dio, recuperando un termine antico usato per i bambini nati dagli amori
proibiti tra le ballerine dei templi e i bramini e la cui nascita veniva
attribuita agli dei. La riscoperta dell'origine di questo termine offre
nuovi motivi per recuperarlo.
La costituzione indiana intendeva avere un'ispirazione laica. Dopo il
Goverment of India Act del 1935 furono introdotti termini come scheduled
castes o tribes (caste programmate o tribù) a cui fu riservato un
trattamento preferenziale (quote riservate nel pubblico impiego, o
reservation). Baba Sahil Ambedkar, essendo egli stesso di origine senza
casta e presidente della Commissione costitu-zionale, diede la preferenza a
questo termine, consigliando in seguito l'uso della parola dalit. Oggi, con
un'accezione meno politicizzata, vengono chiamati bahujans (gruppi sociali
subordinati) oppure adivasis (contadini).
Questa tradizione risalente a più di 2.000 anni fa era indubbiamente ben
radicata nella tradizione, specialmente nelle regioni agricole. Ma nella
storia numerosi sono stati anche i movimenti di resi-stenza e di rivolta,
in particolare di natura religiosa, come la corrente bhakti del secolo
XVII, o, più recentemente, il movimento della fine del secolo XIX iniziato
da Sri Narayana Guru insieme agli Erhavas del Kerala, i quali rivendicavano
le pratiche induiste per le caste inferiori e che sfociò nelle lotte degli
anni Trenta per l'apertura dei templi7.
L'emarginazione di casta oggi ha ripreso vigore, soprattutto nelle
campagne. Innumerevoli sono gli atti di violenza contro i dalit, per non
parlare della loro esclusione dalle pratiche più frequenti della vita
quotidiana. Si tratta di una reazione di difesa da parte delle caste
superiori i cui membri, lungi dall'appartenere alle classi dominanti,
vedono peggiorare le loro condizioni materiali grazie alle nuove politiche
economiche, mentre quelli che hanno raggiunto o sono riusciti a conservare
una condizione economica di privilegio temono che l'emancipazione dei dalit
minacci la loro situazione, specie quando si tratta di rivendicazioni
bracciantili con paghe di miseria oppure di lavoratori istituzionalmente
vincolati ai proprietari (bonded labour).
Le barriere elevate dalle classi superiori hanno avuto il loro effetto.
Secondo la Commissione go-vernativa sulle scheduled castes, nel 1982 queste
costituivano il 20% della popolazione, possedeva-no soltanto l'8% dei
terreni e solo il 21,4% era alfabetizzata. Nel censimento del 1991 il
numero dei dalit raggiungeva i 138,2 milioni, di cui soltanto il 18,72%
viveva in città. Le rivendicazioni sociali dei dalit urbani sono
generalmente di natura economica (lavoro, educazione, casa)e quelle dei
dalit rurali riguardano soprattutto la rispettabilità sociale.

III. I movimenti dalit

Baba Sahib Ambedkar è stato il promotore dell'emancipazione dei dalit.
Avvocato, aveva studiato a Londra e senza rinnegare la sua origine aveva
preso partito in modo ben diverso da Gandhi. La sua posizione era laica,
concentrata sul problema degli oppressi. Lottò per il riconoscimento
sociale degli intoccabili, per far esplodere il sistema delle caste, pur
restando nel quadro della legalità democratica e senza mettere in
discussione il sistema economico capitalistico. Accusava Gandhi di
paternalismo, di legami con il bramanesimo e di cercare soluzioni nella
conversione dei cuori e nella reinterpretazione delle strutture per
induizzare i dalit, invece di inserirli nella lotta politica. Nel 1936
fondò l'Independent Labour Party e rinunciò all'induismo. Nel 1950 si legò
al buddismo come forma di lotta sociale.
Oggi il movimento dei dalit ha dato il via a molte campagne polemiche. Uno
dei suoi organi, Dalit Voices, che viene pubblicato dal 1981 a Bangalore,
tra le sue colonne ricorda le posizioni di Gandhi sfavorevoli
all'emancipazione dei neri dell'Africa meridionale, oppure la sua alleanza
con i bramini dell'establishment economico e politico. Il direttore, V.T.
Rajshekar, cui il governo indiano ritirò il passaporto più di dieci anni
fa, non esita a ad affermare che l'ideologia bramina è simile a quella
nazista, essendo responsabile di una forma di razzismo interno,
rappresentato dal Bharatya Janata Party (Bjp), partito che con il sostegno
delle classi medie sta diventando il primo partito indiano.
La conversione religiosa ha costituito per i dalit uno strumento di
emancipazione e di rivolta non solo verso il buddismo, con mezzo milione
circa al seguito di Ambedkar (in particolare le classi medie urbane), ma
anche verso il cristianesimo, verso l'Islam e i sik, in forma diversa a
seconda delle sotto-caste (jati).
I partiti di sinistra, il Cpi (Partito comunista indiano) e il il Cpi ml
(Partito comunista indiano mar-xista-leninista) avrebbero dovuto assumere
la rappresentanza politica dei dalit, ma la loro angusta idea di classe e
la leadership intellettuale appartenente alla casta superiore (compresi i
bramini), sono stati gli ostacoli più seri perché lo divenissero.
Indubbiamente la loro base sociale, specie a Kerala nel Bengala, è
costituita dai senza-casta, ma la nascente consapevolezza dei dalit, che si
fonda essenzialmente sul conflitto di casta, li ha accusati di non tenere
conto della loro specificità. In se-guito a questo si sono costituiti dei
partiti dalit nel nord del Paese e in particolare a Uttar Pradesh8.
Il più importante di essi, il Bahujan Samaj Party (Bsp), fondato da Kanshi
Ram, è al potere in quello Stato, che è il più popoloso dell'India (150
milioni di abitanti). Benché il successo abbia rafforzato la coscienza dei
dalit, i suoi dirigenti non si distinguono per nulla dagli altri sia per le
mire elettoraliste, specie nello Stato di Uttar Pradesh, sia per il ricorso
a brutali politiche di tipo autoritario, come dimostrano i fatti di Luknow
dell'ottobre 1996 (alcuni giornalisti furono presi a bastonate), sia per la
corruzione. È nota, inoltre, la politica di Phoonan Devi, meglio conosciuta
come regina dei banditi, che ha contribuito a denunciare l'oppressione dei
dalit. Le divisioni tra jati (sotto-caste), problema permanente in tutti i
movimenti sociali in India, ostacola gli sforzi compiuti sul piano
politico, poiché le singole identità (Paria, Paravar, Maravar, ecc.) si
impongono sull'identità dei dalit. È difficile, pertanto, prevedere il
futuro di tali partiti.
Le Dalit Panthers of India (Dpa) sono considerate il movimento più
radicale. Costituitesi nel 1972 sul modello delle Black Panthers americane,
si trovano soprattutto nel sud e nel Maharashtra e fanno riferimento a
B.Ambedkar. Raccolgono i giovani delle città, oppure i lavoratori manuali
come quelli della miniera di lignite de Neivelly, presso Pondichery, che
ritengono il termine pantere sinonimo di coraggio e di sprezzo della paura.
Il loro obiettivo è il collegamento con la rivoluzione mondiale. Eppure, in
seguito alle divisioni tra i dirigenti, alle alleanze compromettenti per
l'esercizio del potere e all'assenza di organizzazione, tale movimento non
si è dimostrato efficace se non nel rafforzamento dell'identità.
Nella creazione di una coscienza sociale dalit va segnalato anche il peso
assunto dalle donne. Ma è soprattutto a livello economico che i gruppi di
donne ottengono un certo successo, il che conferisce loro un'influenza
sempre maggiore, consentendo loro l'accesso ad attività e iniziative fino a
oggi proibite ai senza-casta. Si raggruppano in cooperative di credito o in
cooperative di piccola produ-zione. La loro identità dalits si manifesta
anche attraverso una corrente letteraria importante che si distingue per il
suo carattere di protesta. Le autrici si raccolgono nel Dalit Sahitya
Academy (Acca-demia letteraria dalit ).
A partire dal 1989 nel Tamil Nadu si è sviluppato un movimento dalit
cristiano (Dalit liberation movement). Il suo presidente, Sr. Mary John, ci
spiegava a Chennai (Madras) che la loro azione trae ragione dalla
segregazione contro la Chiesa cattolica: i dalit costituiscono il 70% dei
fedeli e vengono discriminati nella scuola e talvolta anche nelle chiese,
mentre il 95% del clero e tutti i vescovi (tranne uno nominato
ultimamente), provengono a volte da caste inferiori, ma non sono dalit. Va
ricordato che chi si converte al cristianesimo perde automaticamente lo
status di scheduled caste, insieme alla protezione legale e ai posti loro
riservati nelle scuole o nel settore pubblico. Molto attivi sono stati
alcuni gesuiti nella formazione di questo movimento e uno di essi, padre
Yesumarian, nel 1994 ha pagato con la prigione e la tortura.
Come in molti movimenti basati sull'origine sociale pre-capistalistica (di
tipo etnico, religioso, lin-guistico, di casta), la transizione verso una
società di classe spesso passa attraverso il fenomeno di leaders che
identificano la loro promozione sociale con quella del gruppo. L'entrata
nella nuova struttura sociale (nella classe media o, eccezionalmente, nella
classe dominante, nella generazione successiva) non favorisce la
solidarietà, anzi tende a esaltare l'emancipazione individuale a
detri-mento di un reale cambiamento sociale a favore dell'intero gruppo.
L'identità di gruppo diventa così una frattura ideologica che rafforza la
posizione di alcuni che riescono ad elevarsi e a raggiungere una posizione
privilegiata attraverso la politica o tramite la cooptazione economica.
Solamente una prospettiva più ampia, che comprenda una dimensione di
classe, potrà realizzare una emancipazione a largo raggio, pur senza
rinnegare la dimensione di casta.
In conclusione, possiamo affermare, con il Prof. B.N. Juyal, del Gandhian
Institute of Studies di Varanasi (Benares), che la nuova politica
economica, favorita dalle organizzazioni finanziarie inter-nazionali,
aumenterà le tensioni tra le caste, in particolare quella dei dalit, che
sono coloro che più immediatamente soffrono degli effetti sociali. Ciò
contribuisce a creare poli di resistenza rafforzando la reazione spesso
violenta delle classi superiori. Scrive Matthew Kayany: "Con l'attuale
sistema di economia di mercato e con la globalizzazione il lavoro perde il
suo valore di mercato e il governo si trova a controllare l'economia a
vantaggio delle multinazionali"9. Pur se in termini relativi, questi erano,
comunque, i legami dei dalit con il complesso della società. È chiaro che
seguire certe politiche economiche senza tenere conto della complessità dei
rapporti sociali, nuovi o tradizionali che siano, e delle loro reciproche
interazioni, in definitiva comporterà costi sociali notevoli. Ma tenerne
conto causerebbe una contraddizione all'interno dell'ideologia economica
liberista, che deve privilegiare l'efficienza e creare le condizioni per il
successo dei vincitori, i quali ben difficilmente potrebbero adeguarvisi.


Note:

1. The Hindu, 07.11.96
2. G.Parthasarathi, "An organised Sector and Structural Adjustment",
Economic and Political Weekly, Vol. XXXI, N°28 (13 luglio 1996), 1897.
3. Sudipto Mundle, citato da G. Parthasarathi, EPW, ibidem, 1868.
4. G. Parthasarathi, ibidem.
5. The Weekly Observer, 09-11-1996.
6. Times of India, 08-11-1996
7. Geneviève Lemercinier, Religion and Ideology in Kerala,
Louvain-la-Neuve, Centre Tricontinental, Tiruvananthapura, Institute for
the Study of Development Areas, 1994.
8. Siddhart I.Monishek, Dalit leadership and the challenge ahead, Indian
Currents, 07-09-1995.
9. Matthew Kayany, The eternally marginalized, Dea in Sociologia,
Louvain-la-Neuve, 1996.