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RossoNotizie n. 46 - 24 dicembre 2003
- Subject: RossoNotizie n. 46 - 24 dicembre 2003
- From: "associazione culturale punto rosso" <puntorosso at puntorosso.it>
- Date: Sat, 3 Jan 2004 16:06:44 +0100
ROSSONotizieNet numero 46 - 24 dicembre 2003 _____ periodico elettronico dell'Associazione Culturale Punto Rosso _____ Auguri di cuore Questo numero ve lo inviamo alla vigilia di Natale. Per credenti e non credenti un grande augurio, soprattutto per il nuovo anno. L'auspicio di sempre: continuiamo a lavorare e a lottare per "apprestare il terreno alla gentilezza". La gentilezza, altro nome della pace, della giustizia, della dignità umana, della dignità della natura. Contro tutti gli arroganti, farabutti, lestofanti, guerrafondai, truffatori (dai "barbari texani", Bush, Cheney, Rumsfeld, Wolfowitz a Berlusconi e a taluni ominicchi che albergano anche nella sinistra). Per i miti, i giusti, gli eguali, gli zapatisti, le millenarie civiltà della Mesopotamia, della Palestina, gli autoferrotranvieri. Per le donne e gli uomini di buona volontà, in ogni angolo del mondo. Sommario - Appello "Africa, Asia e America Latina a Mumbay 2004" - Diario processo a Leyla Zana a cura di Silvana Barbieri (vedi allegato) - Libera Università Popolare. Prossimi corsi sui grandi modelli della democrazia occidentale (teoria e storia) e sulla storia dei sistemi democratici - Novità Edizioni Punto Rosso - Biblioteca Minima - Materiali: introduzione di Giorgio Riolo al numero speciale del giornale di strada Come in occasione del Forum Sociale Mondiale di Mumbai 2004 e lettera-auguri di Emilio Molinari per la ripresa del lavoro sull'acqua _____ AFRICA, ASIA E AMERICA LATINA A MUMBAY (BOMBAY) 2004 QUARTO FORUM SOCIALE MONDIALE Dal 16 al 21 Gennaio 2004 Il Forum Sociale Mondiale sta diventando oggi l'unica e concreta alternativa alla devastante applicazione dell'idea neoliberista di globalizzazione, il luogo morale, culturale e politico in cui i popoli pensano e costruiscono alternative concrete a questa situazione insostenibile. Rispetto alle tre edizioni precedenti, quest'anno c'è una novità importante: il Forum si svolgerà in India, toccando quindi per la prima volta il continente asiatico, così centrale e determinante nella definizione dei futuri equilibri mondiali. Ciò sicuramente non riduce, ma se possibile rende ancora più presente la necessità di sostenere economicamente movimenti ed associazioni delle aree più svantaggiate del pianeta, affinché possano partecipare al Forum nonostante la scarsità di mezzi. Si tratta di organismi africani, latinoamericani e asiatici, con un'attenzione particolare alle aree geografiche più pesantemente colpite dagli sconvolgimenti di questi anni, come i paesi arabi e mediorientali. In particolare vorremmo favorire la presenza di esponenti afgani e iracheni di organismi democratici di quei martoriati paesi. E' essenziale riuscire a raccogliere 25.000 euro per contribuire alle spese burocratiche, di viaggio e di pernottamento di studiosi e di militanti di queste organizzazioni. Le sottoscrizioni debbono pervenire al conto corrente postale N. 37398203 intestato ad Associazione Culturale Punto Rosso - Via Morigi 8 - 20123 Milano, specificando come causale "Africa, Asia e America Latina a Bombay"; oppure mediante bonifico bancario sul c/c N. 10438 dell'Associazione Culturale Punto Rosso presso Banca Popolare di Milano Ag. 18 - Meravigli ABI 05584 CAB 01618. Firmatari: SAMIR AMIN, FRANCOIS HOUTART, GIORGIO RIOLO, JOSE' LUIZ DEL ROIO, VITTORIO AGNOLETTO, MARIO AGOSTINELLI, PIERO BASSO, GIOVANNI BERLINGUER, MARCO BERSANI, FAUSTO BERTINOTTI, RAFFAELLA BOLINI, LORIS CAMPETTI, SALVATORE CANNAVO', FEDERICO CERATTI, GIULIETTO CHIESA, GIORGIO CREMASCHI, ROSARIO LEMBO, ROBERTO MAPELLI, ALESSANDRA MECOZZI, EMILIO MOLINARI, LUCIANO MUHLBAUER, ANGELA PASCUCCI, ALFONSO PECORARO SCANIO, GUGLIELMO RAGOZZINO, ROSSANA ROSSANDA, RAFFAELE K. SALINARI, CESARE SALVI, PIERO SANSONETTI, SABINA SINISCALCHI, PIERLUIGI SULLO, LUIGI VINCI, ALBERTO VITALI, ALEX ZANOTELLI. Testate che hanno collaborato: Il manifesto, Liberazione, Carta, Le monde diplomatique, Solidarietà internazionale, Terres des hommes, Altreconomia. L'appello è assunto dal Coordinamento Italiano del Forum Sociale Europeo. _____ LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE PROSSIMI CORSI STORIA DEL PENSIERO POLITICO. I GRANDI MODELLI DELLA DEMOCRAZIA OCCIDENTALE: TEORIA E STORIA. Durata: 4 incontri Luogo: Punto Rosso Orario: 18.30-20.30 Quota di partecipazione: 15 Euro Giovedì 15 Gennaio La filosofia del diritto di Hegel e la critica di Marx Relatore: Giorgio Riolo e Roberto Mapelli (Punto Rosso) Giovedì 22 Gennaio Lenin, Kautsky e Rosa Luxemburg Relatore: Vittorio Morfino (Università di Milano) Giovedì 29 Gennaio Tocqueville e la democrazia in America. Relatrice: Monica Quirico (Università di Torino) Giovedì 5 Febbraio Stuart Mill e il liberalismo. Relatore: Antonella Besussi (Università di Milano) LA NASCITA DELLA DEMOCRAZIA MODERNA. 1850-1945. Durata: 3 incontri Luogo: Punto Rosso Orario: 18.30-20.30 Quota di partecipazione: 10 Euro Mercoledì 21 Gennaio Gli Stati Uniti. Relatore Bruno Cartosio (Università di Bergamo) Mercoledì 28 Gennaio La Francia. Relatrice Loredana Scalcon (insegnante) Mercoledì 4 Febbraio L'Inghilterra. Relatore Giorgio Giovannetti (storico) _____ BIBLIOTECA MINIMA * IMMANUEL WALLERSTEIN, Alla scoperta del sistema mondo, Manifestolibri 2003, pp. 518, ¤ 30 Il percorso intellettuale del grande sociologo statunitense. E' la raccolta di numerosi saggi, scritti dagli anni sessanta a oggi, tesi a illustrare il maturare delle categorie chiave del suo prezioso apporto alla teoria del sistema-mondo, dei movimenti antisistemici. Con Samir Amin, Andre Gunder Frank, Giovanni Arrighi, assieme ad altri studiosi, uno dei fondamenti teorici dell'attuale movimento altermondialista. * PIER PAOLO POGGIO, La crisi ecologica. Origini, rimozioni, significati, Jaca Book 2003, pp. 199, ¤ 13 Poggio, già direttore scientifico della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia, da tempo lavora sui temi dell'ecologia. Ha scritto un libro importante sui fondamenti filosofici, storici, sociali dell'ecologismo critico o dell'ecologia politica. Le nozioni di progresso, antropocentrismo, sviluppo sostenibile ecc. rivisitate criticamente. Bello anche il riferimento al dibattito russo (populismo, Herzen, Tolstoj, Dostoevskij ecc.). _____ MATERIALI Come è un giornale di strada ed è una testata con la quale collaboriamo da tempo. In occasione del Forum Sociale Mondiale di Mumbai 2004, pubblica un numero speciale a cura di Giorgio Riolo, José Luiz Del Roio in collaborazione con Marcello Andreetti e Marco Costa. Con contributi di Lidia Menapace, Mario Agostinelli, Roberto Savio, Andrea Fumagalli, Rosella Simone, Riccardo Petrella, Gianni Fabbris ecc. Anticipiamo l'introduzione al numero di Giorgio Riolo. Giorgio Riolo IL FORUM SOCIALE MONDIALE. STORIA E CONTENUTI DI UNA SPERANZA PER IL FUTURO DEL PIANETA. Il tempo Il Forum Sociale Mondiale ha una data precisa di inizio. Tuttavia, come ogni accadimento umano, nella storia e nella società, esso è essenzialmente un risultato, è un processo. Così come quello che chiamiamo il movimento dei movimenti, o meglio ancora, il movimento alternativo mondiale contro il neoliberismo e contro la guerra. Dire che il movimento nasce a Seattle, come protesta (il "popolo di Seattle"), o a Porto Alegre come proposta (il "popolo di Porto Alegre"), risponde solo al bisogno simbolico di definire, di caratterizzare. Il processo è lungo. Usiamo ricordare il 1992, al tempo delle celebrazioni dei 500 anni della scoperta dell'America e dell'insurgencia del movimento indigeno, il 1994 con lo zapatismo, il 1996-1997 con il movimento di denuncia, di opinione, soprattutto per mezzo di Internet, del Mai o Ami (l'Accordo multilaterale sugli investimenti) ecc. A fine novembre-inizi di dicembre 1999 a Seattle si palesa un movimento sotterraneo che viene da lontano. E non solo della protesta, ma, contestuale, anche della proposta. Viene dalle alternative al sistema dominante dei movimenti antisistemici degli anni Sessanta e degli anni Settanta. Viene dai soggetti novecenteschi, operaio, contadino, ecologista, dei diritti, femminista ecc. Tutto il materiale contestativo del sistema dominante. Viene dal solidarismo cristiano, cattolico e non, dal consumerismo critico, dai gruppi alternativi degli stili di vita ecc. Ora però, con la sfida mortale lanciata dal neoliberismo, non più solo questi soggetti spesso in concorrenza tra loro, ma l'essere obbligati, per rispondere con efficacia a tale sfida, a mettersi in relazione, a collaborare, a costruire ponti. È il tempo della "convergenza nella diversità". Veramente: è tempo di rovesciare il corso della storia. Nel 1947, in una località montana svizzera, Mont Pelerin, sopra Vevey, nel cantone di Vaud, i teorici del neoliberismo gettano le basi del pensiero politico, sociale, filosofico di una corrente allora minoritaria, avversante il keynesismo (e naturalmente il comunismo) e ogni politica del welfare, dello stato sociale, dell'intervento pubblico in economia. Il neoliberismo si affermerà con la signora Thatcher e con Reagan, tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta. Diventerà filosofia sociale complessiva egemone, pensiero unico, politica corrente non solo a destra, ma anche a sinistra, tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta del secolo scorso. Davvero, la sfida brutale alle condizioni sociali, ambientali, culturali, politiche del pianeta era (ed è) tale che era ed è tempo di rovesciare il corso della storia. Il luogo Nell'esistenza umana, nonché nella storia e nella società, i luoghi sono importanti. Ogni anno a Davos, località montana vicino a Zurigo, dove prima si trovava il sanatorio, reso famoso dal grande romanzo di Thomas Mann La montagna incantata, si teneva il Forum Economico Mondiale. Un vertice di governanti, banchieri, padroni e manager di multinazionali, economisti, giornalisti ecc., in grado di pagare una tassa di partecipazione di 20.000 dollari, tutti al servizio del capitale, nel quale discutere e decidere le politiche mondiali, i destini del pianeta. Nel gennaio 1999 si tiene un controvertice pensato e proposto dal Forum Mondiale delle Alternative, nelle persone di Amin e Houtart, al quale partecipano studiosi e rappresentanti di movimenti sociali provenienti da tutto il mondo. Sono poche centinaia le persone coinvolte. Da Samir Amin, François Houtart, Perry Anderson a Susan George, Bernard Cassen, Riccardo Petrella, dai Sem Terra ai sindacati sudcoreani. Ma questo è il primo appuntamento, l'AltraDavos, il laboratorio politico, sociale e culturale per elaborare le alternative all'ordine neoliberista mondiale, di cui il Fem è la testa, il simbolo. Dall'incontro i protagonisti ne escono con il pensiero e il proponimento che un grande appuntamento mondiale non solo sia solo possibile e auspicabile, ma sia anche necessario. Un Forum di tutte le forze, gli organismi, i soggetti che desiderano, pensano a, agiscono per, un altro mondo. Il luogo dei potenti è Davos, nella opulenta Svizzera, vicino agli gnomi della finanza di Zurigo. Il luogo morale, politico e sociale dell'alternativa, del disegno di un pianeta giusto, eguale, salvaguardato e riproducibile dovrà essere nelle periferie del mondo. Nel cosiddetto Sud, disprezzato, oppresso, umiliato e offeso. Porto Alegre Bernard Cassen è tra i fondatori di Attac, un movimento nato in Francia attorno a Le monde diplomatique e subito diffusosi in tutto il mondo. Conosce l'esperienza del bilancio partecipativo della città brasiliana di Porto Alegre, nello stato di Rio Grande do Sul e ne è attratto. Quando, all'inizio del 2000, si incontra con Chico Whitaker e Oded Grajew, due autorevoli esponenti del movimento brasiliano, il primo della Commissione Iustitia et Pax, il secondo dell'Istituto Ethos, il luogo di Porto Alegre è presto individuato. Occorre una città governata dalla sinistra che metta a disposizione strutture e facilitazioni per un gigantesco appuntamento mondiale. Non basta un palazzetto dello sport, un solo campus universitario. Occorre l'appoggio anche dello stato e del governatore di Rio Grande do Sul Olivio Dutra. In più a Porto Alegre, nel Brasile fecondato dalla teologia della liberazione, il vescovo mette a disposizione la Pontificia Università Cattolica, la ormai, per tutti noi partecipanti, famosa Puc. Nel maggio 2000 a Bologna, alla prima settimana con Le monde diplomatique, organizzata dal Punto Rosso-Forum Mondiale delle Alternative e da Attac, Cassen annuncia in Italia il prossimo Forum Sociale Mondiale di gennaio 2001. In preparazione del ControG8 di Genova, come Punto Rosso-Forum Mondiale delle Alternative lavoriamo per favorire la partecipazione italiana al grande evento. Organizziamo il viaggio e la sistemazione, contribuiamo a informare sul suo significato. Che cosa sono i Forum Il luogo morale, sociale, politico, culturale del mondo in costruzione. Una folla di sentimenti, di emozioni, di lingue, di sguardi, di occhi. Gli occhi di una umanità pensosa e preoccupata, gioiosa e piena di speranza. È veramente, come dice Houtart, la sanzione della fine del monopolio culturale neoliberista secondo cui non esiste alternativa al capitalismo mondializzato. L'alacrità della coscientizzazione dei tanti seminari, delle plenarie, dei workshops. Al primo Fsm di Porto Alegre, tra il 25 e il 30 gennaio 2001, ci siamo ritrovati in 4700 delegati, 18.000 partecipanti, provenienti da 122 paesi del mondo. Nessuna risoluzione finale, né tantomeno direttive alla maniera delle Internazionali, alla fine abbiamo firmato una Carta dei Principi condivisa da tutti (molti di noi, sull'onda della forte emozione iniziale, aveva proposto una sorta di nuovo "giuramento della Pallacorda", di non separsi mai fino a che non avessimo ottenuto significativi cambiamenti dell'ordine mondiale). Eravamo felici e consci di aver partecipato a un evento epocale, di quelle svolte storiche che periodizzano lo sviluppo dell'umanità. Consci anche di aver sperimentato la "pedagogia degli oppressi" alla Paulo Freire, l'autoapprendimento collettivo. E tuttavia non possiamo non avvederci che siamo soprattutto europei e latinoamericani (il famoso asse franco-brasiliano, egemone nel Forum) e che molto occorre fare per far sì che partecipino delegati di movimenti africani e asiatici (molti di questi organismi semplicemente non hanno le risorse per finanziare i viaggi e le spese di soggiorno, da qui la campagna "Asia, Africa a Porto Alegre" lanciata dal Fma). Il Consiglio Internazionale La faticosa ricerca di un modo che salvaguardi la rappresentatività di ogni organismo iscritto al Fsm, e al contempo assicuri un minimo di coordinamento e di decisione collettiva, ha condotto, nel giugno 2001, alla creazione di un Consiglio Internazionale di 70 membri circa di associazioni, organismi, movimenti. Da allora il CI si è riunito periodicamente per discutere i problemi del Fsm e adottare le misure per un virtuoso sviluppo del Fsm stesso. Oggi si sta pensando a come riformarlo, a renderlo più aderente alla complessità dei movimenti sociali, al compito primario del coordinamento. Alla risposta efficace alla strategia coerente e complessiva, non ultima la guerra come politica corrente planetaria, dei poteri mondiali, delle potenze a guida Usa. Il II e il III Fsm di Porto Alegre: problemi e prospettive Il II Fsm di Porto Alegre 2002 si svolge dopo l'11 settembre. La guerra preventiva, permanente, globale è al centro delle preoccupazioni. Oltre all'acqua, ai beni comuni, alla democrazia, all'agricoltura, ai diritti, alla istruzione, alla cultura, la guerra diventa l'asse principale del Fsm. Ci ritroviamo in circa 43.000 delegati, 80.000 partecipanti. 11 plenarie, 30 seminari, 800 workshops. Tutti conveniamo che è umanamente impossibile poter avere non diciamo la padronanza, ma almeno la cognizione dell'interezza dei lavori. Ognuno di noi sarà testimone e protagonista di un frammento, di un pezzo del Fsm. Già si era pensato ai Forum tematici, sull'educazione e la cultura, sui popoli indigeni amazzonici (il Forum Panamazonico di Belem do Parà, il I nel gennaio 2002 e il II nel gennaio 2003), il prossimo forum tematico sulla guerra nel febbraio 2004 ecc. Ora si propone di tenere ogni anno i forum continentali, europeo, africano, asiatico, latinoamericano ecc. per agevolare la discussione e la partecipazione. Con il proposito di riportare al Fsm i risultati di detti forum continentali. Con Houtart e Amin conveniamo che ormai Porto Alegre si è imposto nell'agenda politica mondiale e che il compito ormai ineludibile è quello di procedere speditamente nella elaborazione, precisazione e definizione delle alternative. Mentre il sistema dominante può permettersi il lusso di essere conservativo (ma l'esperienza storica mostra invece quanto esso sia mutevole, "rivoluzionario", come diceva Marx, e gli stessi cosiddetti neoconservatori dell'amministrazione Bush, la banda di forsennati guerrafondai che stanno al posto di commando in Usa oggi, in realtà, sono definiti, con più proprietà di linguaggio, "rivoluzionari", a causa del sovvertimento da essi voluto del diritto internazionale, del diritto tout court ecc.), il movimento è condannato a non ripetere, a non ricominciare sempre da capo, a sviluppare le alternative ecc. Al III Fsm di gennaio 2003, delegati 51.300 quasi 100.000 partecipanti. Lula, in un memorabile discorso alla spianata di Por do Sol, afferma che "il Fsm è il fatto politico più importante della nostra epoca". È la rivoluzione copernicana: Porto Alegre non ruota più attorno a Davos, ma al contrario. Davos ruota attorno a Porto Alere, è l'Anti-Porto Alegre. Parliamo già di "gigantismo" del Fsm, il Forum come i giochi olimpici (Emir Sader). 1714 seminari e workshops. La frammentazione geografica e per settori di attività rimane un problema. Così ci avvediamo che, per esempio, il grande Forum Sociale Europeo svoltosi a Firenze nel novembre 2002 non ha accumulato scienza ed esperienza da riportare al Fsm. Il principio di accumulazione, non del capitale bensì dell'elaborazione delle alternative, a cui siamo condannati, obbliga a ripartire dal punto raggiunto nel Forum precedente, nel Forum continentale, nel Forum tematico ecc. per compiere altri passi in avanti. Non ricapitolare, non ripetere. Il Consiglio Internazionale decide di tentare di attenuare il carattere europeo e latinoamericano del Fsm col tenere il prossimo Fsm 2004 in India, a Bombay. L'anno successivo dovrebbe essere la volta dell'Africa, ma il Sudafrica non è pronto e quindi si conviene che il Fsm 2005 ritorni a Porto Alegre. A mo' di conclusione, alcuni problemi Il Fsm, per sua intima essenza, è al contempo un mezzo e un fine. È un potente strumento nel millenario cammino per l'emancipazione umana e per la salvaguardia della natura. È anche un fine, poiché esprime al massimo grado lo spirito solidale, egualitario, dialogico, comunitario, prefigurazione della società alternativa di liberi e di eguali, riconciliati con la natura e con l'ambiente. Possiede una potente carica di attrazione, una potente spinta all'aggregazione. Da qui le migliaia di giovanissimi che ne riempiono le sale nei seminari, assieme ai tanti attivisti e attiviste di qualunque età. Un movimento intergenerazionale come pochi si sono visti nella storia. Ma questa forza fatica a tradursi in efficacia politica, in politiche alternative in grado di mettere ancor più in difficoltà i poteri mondiali. Siamo alla ricerca di un tertium, di una terza modalità che eviti i due mali, per dirla con Houtart. La Scilla della Woodstock sociale, l'evento, l'happening da figli dei fiori, dell'autocompiacimento del ritrovarsi assieme, cantare e ballare ecc. e la Cariddi della V Internazionale (prolungamento della IV, della III e via dicendo) gerarchica, ferreamente centralizzata e direttiva. La ricerca delle alternative è anche la ricerca del metodo. La politica e la democrazia come fine e come mezzo. Dopo l'ignominioso discredito in cui sono cadute queste due grandi e nobili nozioni, la necessità della loro rinobilitazione, della loro ridefinizione e non della loro cancellazione. Allora da qui il potente impulso a superare l'autoreferenzialità dei movimenti e dei gruppi dirigenti. Gruppi dirigenti che siano di alto profilo culturale, politico, morale. Gruppi dirigenti che siano selezionati non casualmente, non arbitrariamente, ma riconosciuti per quell'alto profilo di cui sopra. Ciò è ancora di là da venire, soprattutto per il grande movimento italiano. I francesi possiedono una bella espressione che suona così: il faut recouler pour mieux sauter. Occorre fermarsi, e anche fare due passi indietro, per prendere la rincorsa e saltare meglio, più in alto. Occorre agire, siamo condannati a rispondere agli eventi, alle mosse dei poteri. Il tempo dei dominanti non coincide con il tempo dei dominati. La coscientizzazione e l'aggregazione necessitano di tempi lunghi. Per precisare sempre meglio i fini, le alternative, occorrono riflessione e cultura. Il capitale e i dominanti impongono il tempo breve. E la logica della guerra risponde anche a questo bisogno. Qui sta lo iato, lo scarto. Il grande Agostino d'Ippona diceva che il tempo appartiene al Signore. Non ai mercanti, ai signori. Noi possiamo sostituire al termine "Signore", il termine "umanità". Riapproprimoci del tempo, riappropriamoci del mondo che appartiene ai popoli, alle persone, donne e uomini, di buona volontà. _____ Emilio Molinari (Vice presidente, Italia, del Contratto Mondiale Sull'acqua). Tanti Auguri a tutti. ( E una forte, fortissima, sollecitazione ad un vostro rinnovato impegno sull'acqua.) Cari amici, con il 2003 finiscono le celebrazioni sull'acqua e il rischio, come si suole dire, è che "passata la feste, gabbato lo santo" Ovvero, non se ne parli più o se ne parli sempre meno, se ne parli solo in termini generali e ideali, se ne parli in termini di aiuto ai poveri, di educazione al risparmio personale eccŠ. Tutte cose necessarie, estremamente importanti, ma che eludono il principale problema di oggi, cioè: l'epocale scontro politico che è in atto universalmente sulla mercificazione del bene comune ACQUA, ovvero la sua PETROLIZZAZIONE, che si presenta come un vero e proprio passaggio di civiltà. - Questo scontro, penso lo sappiate bene, si manifesta prima di tutto con la privatizzazione dei servizi idrici locali e con la messa in bottiglia del diritto al bere. Entrambe le cose hanno a che fare con le scelte politiche. - Questo scontro muove dagli enormi interessi di potenti Multinazionali, sostenuti da pubblicità e mass media, da governi, partiti, istituzioni di tutti i tipi e in tutto il mondo. - Questo scontro attraversa profondamente il nostro paese, i nostri partiti, le nostre istituzioni nazionali e locali, e fino all'ultimo si è manifestato nella la finanziaria che il parlamento ha appena votato. Nel nostro paese questo scontro è in atto da tempo, abbiamo ottenuto alcuni risultati, ma non è finito. Il parlamento ha dovuto recepire la pressione del movimento e rinunciare a rendere obbligatoria la privatizzazione dei servizi idrici locali, ha dovuto concedere la possibilità di scelta delle SPA interamente pubbliche gestite in hause. Ebbene, più del 60% delle società di gestione del servizio idrico in Italia, non è ancora stato messo a gara, non ha perciò ceduto azioni ai privati. Inoltre si è costituita l'Associazione degli eletti dell'acqua, che pensiamo possa costituire un punto di forza e nello stesso tempo un elemento di strategia per ricostruire la politica a partire appunto dai beni comuni. Quindi cari amici la battaglia nel nostro paese, è ancora aperta e dovremmo riprenderla nel 2004 con forza, tutti assieme possiamo farcela. Credo però che ognuno debba riscoprire in sé, prima della fedeltà o disciplina al partito, il rispetto per le proprie idee, la libertà di giudizio personale. Perché, a chiusura di un anno, permettetemi di parlare con brutale franchezza: -credo non sia più possibile nasconderci che in questo scontro, purtroppo, la maggioranza dei partiti del centro sinistra e gli enti locali governati dal centro sinistra, sono stati in prima fila, e determinatissimi, nel sostenere la privatizzazione dell'acqua. -Gli on. Bersani e Bassanini sono stati a questo proposito, degli integralisti delle privatizzazioni. -E sarà bene non nasconderci anche che i sindacati, le grandi associazioni ambientaliste non hanno brillato per chiarezza, che purtroppo anche la sinistra radicale e antiliberista si è sicuramente impegnata di più, ma solo localmente e talvolta marginalmente, e non ha impiegato i propri mezzi di propaganda e gli spazi mediatici che dispone per informare l'opinione pubblica della portata politica dello scontro in atto che mi sia concesso è, per la cultura dei diritti, forse della stessa portata dell'art. 18. Inoltre tutta la sinistra ha completamente escluso, sembra aver rimosso dai propri programmi, la questione della privatizzazione dell'acqua e quella delle privatizzazioni in generale. Oggi, in vista di elezioni mentre si moltiplicano i tavoli di confronto programmatico in tutto il centro sinistra e Rifondazione comunista, nessun partito sta ponendo con la dovuta serietà la questione delle privatizzazioni. Del passaggio al mercato dell'acqua, dell'energia, della sanità, della scuola, dei trasporti, negli accordi elettorali e nei programmi per i futuri governi locali e nazionali non si parla, l'unico a parlarne ancora con cipiglio è l'on. Bersani che intervistato dal Corriere della Sera, a proposito del programma per un futuro governo di centro sinistra, ha risposto con una sola inequivocabile parola:"liberalizzazioni" La parola chiave, quella che i poteri veri e forti vogliono sentir dire dai politici. Ma io sono convintissimo che: - la questione delle privatizzazioni è la vera grande questione in gioco, in Italia e in Europa. Sono convintissimo che: - oggi riaffermare la democrazia, voglia dire principalmente ridare senso collettivo al cittadino, al lavoratore, all'abitante, riaffermare nella loro cultura un DNA universale, l'intangibilità dei beni comuni, dello stato sociale, dei diritti fondamentali, del servizio pubblico nell'interesse di tutti. Cari amici, credo cominci ad essere uno scandalo il fatto che i partiti della sinistra non tirino concrete conseguenze politiche dai catastrofici avvenimenti come la crisi Argentina e le conseguenze sociali delle privatizzazioni. Non imparino nulla dal fatto che l'anno che ci lasciamo alle spalle, sia stato segnato dal ripetersi di drammatici segnali, tutti simili come le "crisi-degrado" delle grandi multinazionali Enrom, Warcom,Vivendi prima, e poi Cirio e Parmalat quella dell'unica acqua micro filtrata, quella che ha comprato le centrali del latte comunali. Non riflettano sulla grande crisi del privato, della sua etica, della sua efficienza, e in particolare sulla crisi di quel privato globalizzato e legato alla politica, che trae benefici dalle privatizzazioni dei settori pubblici e dei servizi. Credo sia allarmante che non si ragioni sui blak out elettrici americani, canadesi ed italiani, eventi che hanno tutti a che fare con le privatizzazioni. Non traggano contenuti programmatici dalle sacrosante manifestazioni della società civile: dalla rivolta Boliviana contro la privatizzazione dell'acqua e del gas, agli odierni scioperi spontanei dei lavoratori dei trasporti pubblici, vittime assieme agli utenti della "efficienza" delle privatizzazioni che, è ormai palese e sotto gli occhi di tutti, hanno generato sottosalari, precarizzazione del lavoro, caduta delle professionalità e deresponsabilizzazione, cattive manutenzioni, pericoli, peggioramento dei servizi. Scusate ancora per questo sfogo di fine anno, ci siamo conosciuti in tanti dibattiti e sapete che nelle mie parole non c'è alcun spirito qualunquista e nessun invito ad abbandonare i partiti, nessuna partigianeria per questo o quel partito, c'è la partigianeria, questa sì, per i BENI COMUNI e la profonda convinzione che la PARTECIPAZIONE diretta sui contenuti e alle battaglie che si ritengono giuste, sia l'unica cosa che può prevenire disastrosi risvegli all'umanità e ridare dignità alla politica e alla democrazia. Per un 2004 di PARTECIPAZIONE Per i BENI COMUNI Per la REX PUBBLICA TANTI AUGURI ------------------------------------------------------------------- ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO puntorosso at puntorosso.it FORUM MONDIALE DELLE ALTERNATIVE fma at puntorosso.it LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE lup at puntorosso.it EDIZIONI PUNTO ROSSO edizioni at puntorosso.it VIA MORIGI 8 - 20123 MILANO - ITALIA TEL. 02-874324 e 02-875045 (anche fax) www.puntorosso.it <http://www.puntorosso.it/> Ankara: diario della nona udienza. 21 novembre 2003 Ankara, 21 novembre 2003 Diario della nona udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi colleghi Selim Sadak, Hatip Dicle, Orhan Dogan A cura di Silvana Barbieri Sono presenti a quest'udienza, come di consueto, numerosi osservatori internazionali: rappresentanti del Parlamento Europeo, della Commissione Europea, dell'Associazione Internazionale Giuristi Indipendenti, dell'Ambasciata italiana, questa anche per conto del Consiglio Europeo, inoltre ci sono io in rappresentanza dell'Associazione Punto Rosso. E come di consueto sono presenti dirigenti e militanti di DEHAP, delle associazioni turche per i diritti umani e molti parenti e amici degli imputati. Siamo giunti ieri ad Ankara e appena in albergo abbiamo saputo che a mezzogiorno il palazzo che a Istanbul ospita il Consolato britannico e una banca britannica era stato colpito da un duplice attentato, con molte vittime, tra le quali il Console britannico. Solo cinque giorni fa in questa città c'erano stati gli attentati a due sinagoghe, sempre con molte vittime. La vita ad Ankara tuttavia non appare alterata. La polizia si farà viva dinanzi al nostro albergo solo stasera, con agenti che impediranno alle automobili di portarsi troppo vicino all'edificio. Gli interventi degli imputati I testimoni convocati dall'accusa sono risultati per l'ennesima volta irreperibili. Com'è possibile, afferma Alataþ, uno di loro è membro del Parlamento per conto del Partito al Governo, inoltre è iscritto all'Albo dei dentisti. Va bene, risponde il Procuratore, manderemo la convocazione al suo gruppo parlamentare. In effetti il processo si sta trascinando da parecchie udienze al rallentatore: e l'impressione, non soltanto nostra, è che i giudici lo stiano intenzionalmente portando per le lunghe. Da una parte essi intendono proteggere il processo del 1994, cioè non vogliono emettere una sentenza di assoluzione, che sarebbe l'ammissione che quello del 1994 fu un processo non giusto, dall'altra avvertono la pressione degli osservatori internazionali, e anche dall'interno della Turchia, non solo da parte della politica ma dei mass-media, che vuole una sentenza giusta quindi l'assoluzione degli imputati. Guardo i tre uomini della Corte e il Procuratore. Vestiti dimessi, comportamento non più arrogante, da parecchie udienze, però orgoglioso. Un giovane funzionario europeo, tra i molti che si sono appassionati a questo processo e del quale siamo diventati amici, ci ha appena spiegato che nella gerarchia dei funzionari dello Stato turco i giudici sono quelli messi peggio. Al vertice sono i militari, poi vengono le forze di sicurezza. Le differenze sono in tutto, non solo negli stipendi. Se trasferiti i giudici, finché non hanno trovato casa, vengono alloggiati in modestissime foresterie statali, agli ufficiali dell'esercito toccano invece alloggi di lusso. Che l'ostinazione antidemocratica e sciovinista della Corte e del Procuratore razionalizzi un bisogno, in un quadro di frustrazione, di sentirsi necessari alla Turchia, sia il fatto di rappresentarsi tra i più fedeli seguaci oggi del kemalismo, rifletta un'idea di sé di tutori dello Stato laico contro l'emergenza politica dell'islamismo e dell'unità dello Stato contro quello che essi vivono come il tentativo del suo dissolvimento da parte curda? Che cosa c'è nella testa di questi quattro uomini, bersaglio da mesi del disprezzo non solo degli imputati, degli avvocati e degli osservatori internazionali, ma di tanti loro connazionali, di gran parte della stampa turca, di parte della stessa politica ufficiale? Sta per intervenire Leyla Zana. Tono e argomenti, come vedremo, saranno assai duri, nella valutazione dell'operato della Corte e nelle argomentazioni politiche. E lo stesso sarà da parte degli altri imputati e degli avvocati. Chiederemo poi agli avvocati il motivo di questo cambiamento rispetto alla linea precedente, che mescolava alla rivendicazione politica argomentazioni tese a documentare la propria innocenza. L'ottava udienza, ci spiegherà Alataþ, nella quale è stata letta una testimonianza resa fuori dall'aula che dichiara che Leyla Zana si muoveva alla vigilia della sua elezioni al Parlamento turco in sintonia con il PKK (che dichiara che Leyla Zana era stata nel 1991 in un campo in Libano del PKK, che lì Öcalan le aveva detto come agire in vista delle elezioni politiche, ecc.) e la Corte ha respinto l'acquisizione di testimonianze e di prove atte a dimostrare che tutto questo è falso ha convinto gli imputati che questo processo è solo il paravento di un'operazione tutta politica della parte antidemocratica della Magistratura, orientata al sabotaggio di quel poco di riforme democratiche varate dal Parlamento turco. Inoltre una dichiarazione in ottobre del Ministro della Giustizia Çiçek, riportata da un autorevole giornale turco, Hurriyet, auspicante uno scambio tra la scarcerazione degli imputati e la messa del partito KADEK (ex PKK) sulla lista dell'Unione Europea delle organizzazioni terroriste ha convinto gli imputati che una partita parimenti cinica è giocata su di loro da parte del Governo. Quindi hanno concluso che difendersi giuridicamente non ha senso e che l'unica difesa che abbia un valore è quella politica, inoltre che questa difesa debba consistere nella rivendicazione della legittimità della lotta nel suo complesso della popolazione curda della Turchia per il diritto alla propria identità. Leyla Zana. Condanno gli attentati di questi giorni, anche a nome dei miei compagni. Sono delitti contro tutta l'umanità, il loro scopo è di creare odio tra i popoli. Non volevamo più intervenire nelle udienze, perché abbiamo capito che la Corte sta ripetendo il processo del 1994, ma il 22 ottobre su Hurriyet abbiamo letto della proposta di uno scambio Zana-KADEK, e questo ci ha obbligato a intervenire di nuovo. Sino ad oggi abbiamo soprattutto parlato dei fatti del processo e della giustizia in Turchia, ora invece ci esprimeremo politicamente. Quello che ho letto dello scambio Zana-KADEK non mi ha sorpreso. Sapevo già che la giustizia in Turchia non è indipendente ma è subordinata a quello che succede nella politica. Né mi sorprende che con questo scambio continui la politica di Susurluk (NB: si tratta del luogo di un incidente automobilistico attraverso il quale vennero alla luce i legami tra il Governo di allora, capeggiato da Tansu Ciller, l'esercito golpista e la mafia). E come in quegli anni la lotta del popolo curdo sconfisse quella politica, così accadrà dinanzi alla sua continuazione di oggi. La politica a cui noi invece siamo legati è quella della lotta di un popolo, l'esatto contrario del mercato di ogni principio democratico e civile. Da dieci anni siamo ostaggi di questo mercato. Ma prima o poi la nostra politica prevarrà, questo mercato sarà sconfitto. Non c'è più quasi nessun paese al mondo, infatti, dove le cose vadano come continuano ad andare in Turchia. La questione curda è molto complicata: i curdi vivono in quattro paesi molto differenti. Quello che succede in uno di questi paesi si riflette, inoltre, sugli altri. Ma proprio per questo la soluzione della questione curda non può essere nella guerra. Noi non vogliamo la guerra. Noi vogliamo i nostri diritti, vogliamo la libertà di essere curdi in questo paese. Se la situazione ci sta spingendo nuovamente verso la guerra è solo perché siamo impediti nei nostri diritti. Per dimostrare che noi curdi siamo dalla parte della pace il partito KADEK si è sciolto, e il nuovo Kongra Gel (Congresso dei Popoli del Curdistan: un'assemblea di partiti di tutte le parti del Curdistan, turca, irachena, iraniana, siriana) è per il mantenimento delle frontiere attuali della nostra area. I turchi hanno vissuto in questi anni con la paura di una rottura della Turchia: stiano tranquilli, nessuno questa rottura la vuole. Questo Governo continua a dire che la Turchia è circondata da nemici: ma i nemici è solo la Turchia che se li crea, in primo luogo dentro a se stessa, fomentando l'odio tra le sue popolazioni, poi da parte delle popolazioni confinanti. E' solo la Turchia a crearsi i suoi empasse e i suoi guai. Voglio anche parlare della condizione terribile della carcerazione di Abdullah Öcalan. Per molte settimane i suoi avvocati non hanno potuto incontrarlo, e questo ha creato tensione nella popolazione curda. Mercoledì scorso gli avvocati hanno potuto incontrarlo, e questo ha alleggerito la tensione. Abdullah Öcalan è l'autore dell'armistizio che ha permesso alla Turchia in questi cinque anni di vivere in pace. Al contrario neanche questo Governo si muove per la pace. Continua infatti a creare allarme perché l'unità del Paese sarebbe in pericolo e a non far nulla di sostanziale per risolvere la questione curda. L'esempio più evidente di dove si vada a finire percorrendo questa strada è fornito dalla situazione di Israele e Palestina. Si va cioè a finire in una guerra terribile e senza prospettiva che non sia la sua prosecuzione infinita. Vogliamo tornare a una situazione simile? Turchi e curdi possono vivere in pace tra loro. Dipende solo dalla Turchia. Se essa realizzerà la pace che le nostre due popolazioni sognano la Turchia diverrà un grande riferimento per tutte le popolazioni della nostra area. Signori giudici, quando uno scrittore è anche il protagonista della vicenda che racconta, egli conosce la fine della vicenda e questo può far perdere al suo racconto tensione ed equilibrio. Di questo processo lo scrittore, cioè la Corte, sa la fine. Sin dall'inizio essa si è premurata di ripetere il processo del 1994. Non siete infatti dei giudici, ma le controfigure di quelli che usano questo processo per le loro partite politiche. Ponete almeno fine rapidamente a questa vicenda. Selim Sadak. La nostra lotta per la giustizia in Turchia è fatta di pazienza. Dopo avere saputo che erano stato due giudici su tre invece di tutta la Corte a decidere di rifare questo processo noi imputati abbiamo rinunciato ad avere come obiettivo principale la nostra liberazione e abbiamo voluto parlare principalmente della libertà in Turchia e della libertà per il popolo curdo in particolare. L'impostazione data dalla Corte a questo processo è una finzione giuridica, è uno show. La giustizia è solo la facciata. I testimoni dell'accusa continuano a essere chiamati testimoni dello Stato, mentre hanno tutti un passato sporco, sono tutti o ex agenti della polizia di quelli che nelle gendarmerie dei villaggi torturavano i curdi oppure sono guardiani del villaggio o capi tribù che ancora oggi opprimono i contadini. Nelle udienze precedenti questi testimoni hanno confermato le deposizioni del 1994, ma è stato pure dimostrato, grazie alle poche testimonianze della difesa accettate dalla Corte, che essi avevano mentito e continuano a mentire: e la Corte non ha reagito. Quando sui giornali è apparsa la proposta del Governo di uno scambio Leyla Zana-KADEK la Corte non ha detto una parola di smentita o di deplorazione. Se un tale fatto si fosse verificato in uno Stato democratico ci sarebbe stato uno scandalo. Anche questa perciò è un'indicazione del grado reale di democrazia e di giustizia in questo paese. Come il fatto che da dieci anni siamo degli ostaggi dello stato. Come il fatto che eravamo deputati, eravamo rappresentanti della nostra società, e siamo stati arrestati per le nostre opinioni. Come il fatto che avevo una madre semiparalizzata che voleva incontrarmi in carcere con l'intera famiglia (NB: si tratta della possibilità in Turchia di visite collettive ai carcerati, che sono chiamate "visite aperte"), e che non le è stato dato il permesso, così poco dopo è morta senza potermi rivedere. Altri detenuti, mafiosi che hanno svaligiato banche o hanno derubato lo Stato, hanno invece trattamenti di favore, possono ricevere tutte le "visite aperte" che vogliono. Non solo noi siamo degli ostaggi. La questione curda è ostaggio dello Stato in Turchia. Noi non siamo altro, in effetti, che ostaggi dello Stato a nome della questione curda. C'è stata la lotta armata degli anni scorsi. Nessuna delle parti ha vinto. Lo Stato ha detto che era in pericolo la sua unità. Quest'unità non è mai stata messa in discussione: la lotta armata era stata causata dal tentativo dello Stato di assimilarci e di distruggere così la nostra identità. E' stato questo tentativo a seminare l'odio tra turchi e curdi. Nel momento in cui questa politica dello Stato fosse cessata la lotta armata non avrebbe più avuto ragione di continuare. Gli autori della politica anticurda li abbiamo visti tutti chi fossero grazie all'incidente di Susurluk. E purtroppo però essa continua anche senza i personaggi di Susurluk. Continua nella politica di una parte del Governo di divisione di Cipro e negli incidenti che continuano a essere prodotti in Iraq tra curdi e turcomanni, per consentire alla Turchia di entrare in guerra nel Nord dell'Iraq. Lo Stato continua a dire che abbiamo nemici, ma se abbiamo cattivi rapporti con i nostri vicini è per colpa dello Stato. Da qualche anno grazie agli sforzi da parte curda in Turchia viviamo in pace. Ed è stato Abdullah Öcalan a porre le basi della pace. E' Öcalan che ha fermato la guerra inviando oltre confine le forze armate del PKK e che ha fatto venire in Turchia due delegazioni per discutere con il Governo della pace - due delegazioni che il governo ha invece fatto arrestare, contravvenendo agli impegni a contrario presi. Il Governo si aspettava così di ottenere la ripresa della guerra, invece Öcalan ha mantenuto la pace, con un atto unilaterale. Öcalan in questi anni ha continuato a mandare messaggi di pace, i Governi turchi non hanno mai risposto a questi messaggi. Ora il popolo curdo chiede il trasferimento di Abdullah Öcalan in un'altra prigione, e il Governo dice di no. Quindi se in questi anni la tensione tra i curdi e lo Stato è diminuita è solo per merito nostro. Ora se si vuole che la pace continui occorre porre termine alla condizione di oppressione dei curdi e porre termine alla condizione di isolamento carcerario di Abdullah Öcalan. C'è stato solamente un Primo Ministro in Turchia ad avere in programma la soluzione della questione curda, ed era Ozal. Ma egli morì, non si sa se per un infarto o perché fu avvelenato. In un incontro che ebbi con lui mi disse che la Turchia è un grande Paese e che in essa c'è posto per i turchi come per i curdi. Mi disse anche che una parte dell'esercito era per la pace e che poteva convincere della pace tutto l'esercito. Abdullah Öcalan avrebbe così potuto tornare in Turchia a farvi politica, come qualsiasi altro cittadino. "So che questa politica", concluse Ozal, "mi fa correre qualche rischio, ma io amo il mio Paese e vorrei vederlo vivere in pace". Invece il Governo di oggi continua con le sue provocazioni a tentare di spingerci di nuovo verso la lotta armata. Su questa strada la Turchia rischia di diventare come la Palestina. Bisogna impedirlo. Bisogna far tornare Abdullah Öcalan alla politica. Ci vuole una soluzione democratica della questione curda. Orhan Dogan. Con il rifacimento del processo abbiamo sperato in un rinnovamento della giustizia in Turchia. Invece si sta ancora difendendo la vecchia situazione. La Corte di Strasburgo ha chiesto ai nostri giudici di cambiare il loro modo di amministrare la giustizia, ma loro continuano nel modo di sempre. In più hanno paura di prendere una decisione. Qual è la nostra condizione? Siamo in stato di arresto o dei condannati? Questo processo è il primo a essere rifatto in Turchia a seguito di una sentenza della Corte di Strasburgo. Quindi questo processo dovrebbe fare da battistrada, da esempio, per altri processi. La prospettiva dunque non è buona. Voglio capire cosa c'è dietro allo scambio Leyla Zana-KADEK e cosa sta succedendo alle spalle della giustizia in questo processo. Il giornale Radikal è rimasto molto sorpreso per la proposta di questo scambio e ha affermato che essa dimostra come in Turchia non esista una giustizia indipendente; e soprattutto è rimasto sorpreso del fatto che nessuno, né dalla parte del Governo né da quella della Magistratura, abbia smentito la notizia. Io invece non mi sorprendo per niente, la nostra società è abituata alla sottomissione della giustizia ai Governi. In un recente sondaggio è emerso che il 65% della popolazione non crede all'indipendenza della giustizia. Il diplomatico Yalin Eral si chiede a sua volta come mai i deputati del DEP siano ancora in carcere e afferma che nella politica contemporanea non è mai accaduto uno scambio di ostaggi. La giornalista Koray Düzgoren è rimasta pure lei sorpresa per la notizia dello scambio e afferma che i deputati del DEP sono ostaggi dello Stato da dieci anni e di non capire come mai da ogni udienza essi arrivano al Tribunale con le mani ammanettate e i piedi incatenati. La situazione della giustizia in Turchia è bloccata. Le Corti per la Sicurezza dello Stato sono il prodotto di un colpo di Stato, e se oggi sopravvivano è per proseguirne la politica. Il capo dell'esercito ha detto che oggi potremmo abolire lo stato di emergenza, tanto ci sono le Corti per la Sicurezza dello Stato a fare come se ci fosse lo stato di emergenza. Ma in questa maniera continuerete solo a mandare gente in montagna. E così perderemo tutti. Il Ministro della Giustizia Çiçek ha rilasciato un'intervista alla televisione nella quale ha affermato che l'incarcerazione dei deputati del DEP continua perché la Corte che li giudica non considera sbagliata la sentenza del 1994. Inoltre ha aggiunto che l'Unione Europea non accetta di mettere KADEK nell'elenco delle organizzazioni terroristiche, quindi che mentre la Turchia fa molte delle cose che l'Unione Europea le chiede l'Unione Europea non fa niente di quello che la Turchia le chiede. Quest'intervista perciò documenta che il Governo le riforme le fa solamente per far entrare la Turchia nell'Unione Europea, cioè che del progresso reale della democrazia in Turchia, della sua pratica giuridica, non gliene importa nulla. Kongra Gel ha nel suo programma la pace, cioè la fine della lotta armata. Ma il Governo turco ha già dichiarato che si tratta di una manovra curda. Recentemente sono aumentati i tentativi dell'esercito di trascinarci ancora in una guerra civile. Gli scontri armati provocati dall'esercito sono sempre più frequenti. Il 29 ottobre la Repubblica di Turchia ha compiuto i suoi 69 anni. Vorrei ricordare come questa Repubblica sia stata fondata insieme da turchi e curdi. Ci sono due paesi dai quali possiamo imparare a riprendere la strada iniziale della nostra Repubblica. Uno è il Salvador. Questo paese è uscito da una lunga guerra interna causata da un colpo di Stato. Hanno fatto un compromesso, ci sono state le elezioni, dopo le elezioni è stato aperto un dialogo, Governo e guerriglia hanno costruito insieme la pace. L'altro esempio è quello del Sud Africa. Il dialogo tra il potere bianco e Mandela ha prodotto la fine della guerra e l'abolizione dell'apartheid. Questi due esempi ci insegnano che è possibile lavorare utilmente per la pace. I contadini curdi legati al PKK che si trovano nei campi del nord dell'Iraq hanno dichiarato di essere pronti a lavorare per la pace e per la fraternizzazione tra curdi e turchi. Essi, e tutti i curdi, sono pronti a dire: il mio nemico è diventato mio fratello. 500 membri di KADEK sono pronti a rientrare in Turchia se la Turchia li accetterà. Tutti noi curdi vogliamo risolvere la questione curda nella pace. Lasciate da parte il vostro orgoglio. Viviamo insieme nella pace e nella solidarietà tra i nostri popoli. Intervallo pranzo. Si riprende alle 14. Hatip Dicle. Occorrerebbe indagare bene sulle cause degli attentati, fare un'inchiesta seria sugli hezbollah. Gli Stati Uniti per 25 anni hanno costruito una cintura contro l'Unione Sovietica e la sua presenza in Afghanistan, fatta di gruppi armati islamici. E il Governo turco ha creato anche lui gruppi armati di islamici, per la guerra contro il PKK. Questi gruppi sono stati costituiti nelle zone curde della Turchia. Non a caso due degli attentatori alle sinagoghe sono di Bingöl. I Governi hanno arrestato in questi anni molti hezbollah ma non hanno mai voluto completare l'opera. Questo nostro processo continua da nove mesi. Questa Corte sta opponendo resistenza a tutti i cambiamenti e a tutte le riforme. D'altro canto questo tipo di Corte esiste per via del colpo di Stato ed è espressione dei militari. Noi fummo arrestati il 2 marzo del 1994 e dietro al nostro arresto c'era la Ciller. Inoltre c'è che l'intervista di Çiçek è sulla stessa linea della Ciller. Egli ha dichiarato per quanto attiene al nostro processo che non bisogna mettere in discussione la buona fede dei suoi giudici. Infine il suo machiavellismo, espresso dalla proposta di uno scambio Leyla Zana-KADEK, dimostra che siamo ancora oggi degli ostaggi. L'andamento di questo processo è preoccupante. Intanto perché è un processo che si muove secondo una logica tutta politica. In secondo luogo perché attiene alla questione curda, che è esplosiva. In ultimo perché la nostra posizione chiara dal lato del riconoscimento dei diritti del nostro popolo ha sollevato una risposta irritata nelle autorità di Governo. La Turchia non sta andando bene. Questo processo è legato alle sue questioni e queste questioni non stanno andando bene. In particolare la questione curda non sta andando bene. Mi sembra chiaro perciò che questo processo finirà come quello del 1994. Abdullah Öcalan lavora da anni per la pace in Turchia. Si tratta di un problema difficile: l'unità nello stesso Stato di due popolazioni diverse. E' un problema che si è posto a più riprese nella storia. Si sta concludendo in Irlanda, è irrisolto in Palestina. Attraverso Öcalan il PKK intende inserirsi nel processo della costruzione democratica della Turchia. Di passi in questa direzione ce ne sono già stati da parte del PKK, ma il Governo anziché rispondere con un'amnistia ha fatto la legge del pentimento, anziché reinserire KADEK nella società gli muove contro nuove operazioni militari. Inoltre mentre Abdullah Öcalan è un detenuto politico esattamente come lo siamo noi, non ha nessuno dei diritti che a noi sono riconosciuti: non ha un televisore, non può ricevere posta, non può scrivere. Vive in condizioni di detenzione che sono incivili. I suoi diritti umani sono totalmente violati. Ma se volete risolvere la questione curda dovete allargare gli spazi della democrazia, non restringerli. Questa questione può essere risolta solo attraverso il nostro programma, che ha al centro la democrazia e i diritti umani. Noi curdi la soluzione della nostra questione la vogliamo non solo per il nostro bene ma per quello di tutti. Vogliamo che grazie a questa soluzione turchi e curdi entrino insieme nell'Unione Europea. Vogliamo tornare a quando nel 1919-1920, Atatürk aveva preso il potere, turchi e curdi erano fratelli. Se invece questo processo sarà uno degli episodi di complicate manovre politiche, nuovi conflitti saranno incoraggiati. Dovete pensarci bene. Dovete ragionare sul periodo che stiamo attraversando, sui suoi pericoli, sui cambiamenti che richiede. Gli interventi dei difensori Yusuf Alata_. Per noi questo processo è terminato. La Corte non si sta interrogando sulla validità della sentenza del precedente processo. Non sta ottemperando per nulla ai contenuti della sentenza della Corte di Strasburgo. Anche i nostri assistiti la pensano così. E fuori da quest'aula c'è molta gente che considera non equo questo processo, compresa una parte dei politici. Volevamo un processo equo. Sono stato al Parlamento Europeo e lì un deputato mi ha chiesto: "che cosa possiamo fare per voi?". "Niente", gli ho risposto, "noi vogliamo soltanto un processo equo". Se avessimo voluto potevamo portare a questo processo tremila avvocati e trasformarlo in un grande spettacolo politico. Abbiamo invece tentato di tenere la politica fuori dal processo. D'altro canto sono dieci anni che stiamo lottando per un trattamento giusto in sede giuridica dei nostri assistiti. Non solo questa Corte non si attiene alla sentenza di Strasburgo, che ha imposto alla Turchia un processo giusto ai nostri assistiti. Non li ha neppure scarcerati, sebbene il nostro codice preveda che quando ci sia la possibilità del rifacimento di un processo gli imputati, se in carcere, debbano essere scarcerati all'atto stesso della decisione di questo rifacimento. Non li avete scarcerati, nonostante lo imponga la Convenzione europea sui diritti umani, che la Turchia ha firmato. Avete affermato che gli imputati debbono rimanere in carcere per tutto il periodo di raccolta delle prove. Ma le prove a loro carico sono quelle già raccolte nel 1994. Tutte queste violazioni e le altre in questo processo dei diritti della difesa sono documentate in un rapporto (Alataþ lo consegna alla Corte) pubblicato dall'Associazione dei Giuristi Indipendenti, che segue questo processo da maggio. Mi sono messo in contatto con il Tribunale di Strasburgo. Intendiamo farvi ricorso contro questo processo. Interruzione del Presidente della Corte: "siete davvero sicuri di ottenere una sentenza favorevole?": "sì, più che sicuri". Se in un Paese non c'è una giustizia indipendente vuol dire che non c'è democrazia. Il nostro Governo dice che in Turchia c'è una giustizia indipendente. Ma il 22 del mese scorso abbiamo letto sulla stampa della proposta del Governo all'Unione Europea di uno scambio Leyla Zana-KADEK. Tutto è in ostaggio in questo Paese, tutto sta diventando merce di scambio per l'entrata nell'Unione Europea: Leyla Zana, Cipro. In questo paese ogni principio di civiltà continua a essere sporcato. Mustafa Özer. La giustizia è un'istituzione necessaria, di cui c'è bisogno in ogni società. Quindi occorre che la gente possa fidarsi della giustizia. Per questa ragione quando è apparsa sulla stampa la notizia dello scambio Leyla Zana-KADEk la Corte avrebbe dovuto dichiarare che gli imputati di questo processo non sono ostaggi del potere politico. Invece ha taciuto. Ha così ammesso, di fatto, che questo è un processo regolato da convenienze politiche anziché dai principi del diritto. La Corte di Strasburgo ha dichiarato che il processo del 1994 non fu equo. In questo processo non avete accettato gran parte dei testimoni della difesa. Inoltre noi avvocati non abbiamo potuto interrogare direttamente i testimoni dell'accusa. Le nostre domande a questi testimoni sono state filtrate dal Presidente, che in più ha sempre accettato le obiezioni del Procuratore. Quando Abdullah Dostun ha dichiarato qui che aveva preso in ostaggio una persona, nel contesto di una faida tra la tribù di cui è capo e un'altra tribù, voi non avete reagito. Ho fatto la richiesta di un procedimento contro questo testimone, ma il Procuratore si è opposto e voi non avete fatto niente. Un testimone dell'accusa ha dichiarato che Leyla Zana andò nel 1991 in un campo militare in Libano del PKK. Abbiamo chiesto un'indagine, attraverso i Ministeri degli Esteri e degli Interni, per accertare dov'era in quel periodo Leyla Zana, e voi avete rifiutato dichiarando che questa richiesta non contribuiva all'accertamento dei fatti contestati in questo processo. Hamit Geylani. Siamo arrivati ad un punto in questo processo in cui le parole non sono più utili. La Corte di Strasburgo ha sentenziato che il processo del 1994 non fu equo e quindi che doveva essere rifatto. Questo rifacimento poi è stato consentito dal terzo pacchetto di riforme. Ma voi giudici non state rifacendo il processo, vi state comportando come se fossimo in Cassazione, dove si tratta solo di rivisitare le prove del processo precedente. Quindi voi state violando sia le norme internazionali che le nostre stesse leggi nazionali. State violando le disposizioni della sentenza di Strasburgo. La ragione è semplice. Voi volete riportare la Turchia alle condizioni del 1994. Altri Paesi sono stati condannati per processi ingiusti dalla Corte di Strasburgo: ma tutti questi Paesi hanno poi ottemperato realmente alle sentenze di questa Corte. Solo la Turchia sta insistendo, con questo processo, sulla linea della violazione dei diritti degli imputati. Penso quindi che la Corte di Strasburgo vi condannerà nuovamente. Oltre a comportarvi illegalmente state anche danneggiando l'immagine della Turchia a livello internazionale. Le decisioni della Corte Non verranno escussi ulteriori testimoni. Verranno ascoltati solo i testimoni che attualmente sono in carcere. La scarcerazione degli imputati è respinta. La prossima udienza si terrà il 16 gennaio prossimo.
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