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Accordi Ginevra per la Palestina
- Subject: Accordi Ginevra per la Palestina
- From: "Edvino Ugolini" <edvinoug at tin.it>
- Date: Wed, 19 Nov 2003 22:51:14 +0100
A tutti gli interessati! Un piano per una pace possibile Non è per caso che decidiamo oggi di pubblicare la sintesi degli accordi "israelo-palestinesi" destinati a essere siglati "ufficialmente" il prossimo 20 novembre a Ginevra. Le virgolette sono d'obbligo perché si tratta di accordi informali, costruiti nelle pieghe della società civile israeliana e raccolti ufficialmente solo dalla controparte palestinese. Nondimeno dimostrano la possibilità di un accordo di pace in medioriente. Non il migliore degli accordi possibili - ad esempio viene sostanzialmente rinviata la spinosa questione dei profughi palestinesi - ma un accordo possibile, siglato da esponenti di entrambe le parti e garante di una convivenza pacifica. Questo accordo è stato prontamente sottoscritto da Arafat. I suoi detrattori non faranno fatica a dimostrare che lo ha fatto strumentalmente. Con più fatica, però, riusciranno a negare l'evidenza di quest'accettazione che rimanda dall'altra parte del campo, a Tel Aviv, la responsabilità di una risposta. Anche perché nel frattempo le adesioni internazionali all'accordo aumentano coinvolgendo la stessa Unione europea. Se questo accordo fosse oggi sottoposto a sondaggio non esiteremmo a scommettere sulla sua schiacciante vittoria. In realtà, il desiderio di pace e le accuse al governo Sharon sono due facce di una medesima medaglia dietro la quale la distruzione di Israele non c'entra per nulla. Non accorgersene o, peggio, gettare fango contro chi lo mette in evidenza non aiuterà né il dialogo né, tantomeno, Israele. Sa. Can. I punti principali dell'intesa L'obiettivo è stato individuato da tempo: la pace attraverso lo Stato palestinese. Tuttavia, il metodo caldeggiato da chi ha concepito il nuovo piano di pace israeliano-palestinese è rivoluzionario. In luogo della politica dei piccoli passi sostenuta da dieci anni a questa parte, dagli Accordi di Oslo alla "Road Map" dell'aprile di quest'anno, quei consumati negoziatori che sono l'israeliano Yossi Beilin e il palestinese Yasser Abed Rabbo, insieme a esperti e responsabili politici delle due parti, hanno scelto di innovare, privilegiando un modo di procedere molto volontaristico, enormemente facilitato, questo è vero, dalla natura non ufficiale del loro percorso. L'iniziativa, che sarà simbolicamente ratificata a Ginevra a metà novembre, affronta direttamente ciò che finora è sempre stato rinviato all'ultima fase delle presunte trattative: gli argomenti principali del contenzioso tra israeliani e palestinesi. Il piano, dunque, abborda il problema dei confini, dello statuto di Gerusalemme, del destino delle colonie e di quello dei rifugiati. E' una scelta che deriva dall'analisi della situazione, condotta dopo tre anni di ininterrotte violenze. Secondo gli artefici del piano, la pace ormai non può nascere se non dalla soluzione, la più rapida possibile, di questi dolorosi problemi. Volutamente, perciò, si eludono le condizioni di un eventuale ritorno alla calma. Scartata anche l'ipotesi di una nuova fase transitoria, ritenuta per forza fonte di frustrazioni, per la durata e per il contenuto. Per quanto, in compenso, riguarda le risposte fornite alla sfida posta dalla creazione di uno Stato palestinese accanto ad Israele, alla rottura nel modo di procedere si affianca una evidente continuità con il contenuto degli ultimi negoziati, tenuti ormai quasi tre anni or sono. Il filo conduttore delle "discussioni di Taba" (Egitto) - le ultime per datazione intercorse tra due delegazioni ufficiali israeliana e palestinese, nel gennaio 2001 - viene ripreso e dipanato fino in fondo da un accordo che rientra, tra l'altro, nel quadro dei "parametri" proposti dal presidente nordamericano Bill Clinton prima di lasciare la Casa Bianca, nel dicembre 2000, venuti meno così tragicamente nel vertice fallimentare di Camp David, sei mesi dopo. I princìpi L'accordo sancisce l'esistenza di due parti: lo Stato di Israele e l'Organizzazione di liberazione della Palestina (Olp). Esso riconosce "il diritto del popolo ebraico a uno Stato" e "il diritto del popolo palestinese a uno Stato". Il documento fa riferimento a tutte le iniziative ed accordi precedenti, nonchéalle risoluzioni Onu nn. 242 e 338. I redattori assicurano che esso rientra nel discorso del "presidente Bush" e nel processo della "Road Map" del Quartetto (Stati Uniti, Unione Europea, Russia, Onu). L'obiettivo è quello della "riconciliazione storica tra i palestinesi e gli israeliani", per approdare alla riconciliazione tra "il mondo arabo e Israele". Lo statuto permanente porrà fine a un'"epoca di conflitti e di violenza", a pro di un'"epoca di pace, di collaborazione e di coabitazione". L'applicazione del progetto d'intesa porrà fine a tutte le rimostranze delle parti, che si impegneranno peraltro a non sollevarne di nuove. I confini La base del tracciato è costituita dalla Linea Verde, la linea d'armistizio del 1949, combinata a margine con alcuni scambi di territori, per risolvere una delle questioni più spinose del conflitto: quella delle colonie ebraiche. Lo scambio avviene su basi di parità (in luogo del rapporto di 1 a 9 proposto nel 2000, a Camp David, dall'allora Primo ministro israeliano, Ehud Barak). In concreto, rimangono israeliani soltanto i principali quartieri di colonizzazione di Gerusalemme Est (Givat Zeev, Gilo), la principale colonia della Cisgiordania (Maale Adumin), una parte del "blocco" del Gush Etzion (alcuni dei cui insediamenti sono anteriori alla creazione di Israele) e altri insediamenti contigui alla Linea Verde. In compenso, i palestinesi ricevono terre equivalenti nel Sud della Cisgiordania e, soprattutto, lungo la Striscia di Gaza. Sono evacuate e cedute, "intatte", ai palestinesi tutte le altre colonie (Ariel inclusa, nel Nord della Cisgiordania). Si prevede un corridoio sotto sovranità israeliana, per collegare Gaza alla Cisgiordania senza interferire con la rete stradale israeliana. I tempi previsti per l'evacuazione sono di trenta mesi, tranne che per la valle del Giordano, oggetto di un trattamento particolare. Il territorio palestinese evacuato, dove si installa una "forza multinazionale", è smilitarizzato. La Striscia di Gaza viene evacuata integralmente. Per questo periodo di trenta mesi, Israele conserva il diritto d'ispezione sui movimenti di beni e persone nei punti d'accesso a questo territorio. Entrambe le parti (i palestinesi sono di fatto direttamente interessati) si impegnano a lottare contro il "terrorismo". Sono vietate le alleanze concluse con Stati terzi apertamente ostili ad una delle due parti. Infine, si creano due "stazioni di allerta" (basi di vigilanza) israeliane in Cisgiordania, per un periodo di dieci anni. Gerusalemme La soluzione del caso di Gerusalemme avviene in base a un principio "clintoniano", vale a dire la sovranità palestinese sulle zone popolate in maggioranza da palestinesi e la sovranità israeliana in quelle maggioritariamente popolate da israeliani. La conseguenza che ne deriva è la spartizione politica della città, nella quale i due paesi possono insediare le rispettive capitali riconosciute dalla comunità internazionale. La città vecchia non sfugge a questa spartizione. Israele gode della sovranità sul quartiere ebraico e il Kotel, il Muro del Pianto. La sovranità sul resto della città vecchia, soprattutto sulla spianata delle Moschee (il monte del Tempio per gli ebrei), spetta in compenso alla parte palestinese. Nel caso della spianata delle Moschee/monte del Tempio, la sovranità palestinese si esercita sotto controllo di un "gruppo internazionale" (con il dispiegamento in loco di una "presenza multinazionale"). Israele conserva l'accesso al cimitero ebraico del monte degli Ulivi. I due municipi così creati costituiscono un "comitato di coordinamento e di sviluppo di Gerusalemme", responsabile per i problemi comuni di edilizia, idrici, di trasporto, economici e di polizia. I rifugiati Ad ogni palestinese rifugiato all'estero si propongono una serie di scelte, sotto il controllo di una "commissione internazionale". I rifugiati possono esercitare il diritto al ritorno nel quadro dello Stato palestinese così creato, sia all'interno della Linea Verde, sia nelle parti di territorio cedute da Israele. Possono anche optare per un paese terzo, per Israele, o per rimanere nel paese di residenza. Israele resta tuttavia sovrano sul numero di rifugiati autorizzati a rientrare in territorio israeliano. La base stabilita al riguardo si calcola a partire dalla media dei rifugiati accolti da ciascuno degli altri nuovi paesi di accoglienza. I rifugiati hanno a disposizione due anni per fare la propria scelta. Al termine di questo periodo essi perdono automaticamente lo statuto di rifugiati. Il reinsediamento va insieme al versamento di indennizzi, a compensazione dei danni subiti. A questo scopo, si costituiscono una "commissione internazionale" e un "fondo internazionale". Per valutare l'ammontare delle perdite, si istituisce un "panel" di esperti che, in capo a sei mesi, comunica le proprie decisioni. Israele partecipa al finanziamento del fondo. Si prevede un periodo di cinque anni perché tutti i casi siano risolti. Trascorso questo periodo, non si accettano più ricorsi e si scioglie l'organismo dell'Onu appositamente creato per venire in aiuto ai rifugiati palestinesi all'indomani della creazione dello Stato di Israele (l'Unrwa). Controllo, accesso ai Luoghi santi, liberazione dei prigionieri Si costituisce un "gruppo di applicazione e di verifica" per "aiutare, assistere, garantire, controllare e risolvere le controversie" connesse all'applicazione dell'accordo. Esso è prevalentemente composto da Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Onu. Lo dirige un "gruppo di contatto", con alla testa un "esponente speciale" che lo rappresenta in loco; sotto la sua autorità è posta la "forza multinazionale", della quale designa il comandante supremo. Specifici accomodamenti sono previsti per la visita ai Luoghi santi ebraici posti sotto sovranità palestinese, ad esempio le tombe dei Patriarchi a Ebron, o la tomba di Rachele a Nord di Bethlemme. Il controllo di queste visite spetta alla "forza multinazionale". Il problema dei prigionieri è oggetto di un trattamento bilaterale. Essi sono suddivisi in tre categorie. La prima concerne i detenuti da più antica data (quelli detenuti da prima del 1994), le donne, i bambini, i malati e i detenuti "amministrativi": questi saranno tutti liberati appena entrato in vigore l'accordo. La seconda categoria riguarda le persone detenute dopo il 1994, che saranno liberate entro diciotto mesi al massimo. La terza comprende i casi ritenuti più problematici (responsabili politici, o persone implicate nell'organizzazione di un attentato): questi ultimi detenuti saranno liberati dopo trenta mesi dall'entrata in vigore dell'accordo. Dal quotidiano "Le Monde" a cura di Gilles Paris e Stéphanie Le Bars Traduzione dal francese di Titti Pierini
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