Fw: NO AL MURO. L'8 NOVEMBRE MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA



NO AL MURO. L'8 NOVEMBRE MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA



Ecco la versione definitiva del documento al termine di un altro giro di
discussione. L'orizzonte si e allargato all'insieme del medioriente, alla
guerra infinita di bush e sharon e all'iraq.
Vi ricordo che la riunione nazionale a Roma ci sarà domenica 26 ottobre e
che allora sarà pronto anche il manifesto della manifestazione. e
importante raccogliere in questa settimana il maggior numero di adesioni e
segnalare le iniziative locali di preparazione della manifestazione e
eventuali indicazioni per i Pullman e i treni per venire a Roma


STOP THE WALL, STOP THE WAR

VITA, TERRA, LIBERTA' PER IL POPOLO PALESTINESE E TUTTI I POPOLI DEL
MEDIORIENTE


Il  9 novembre del 1989 cadeva il muro di Berlino. Nel novembre del 2003 un
altro muro sta sorgendo in Palestina, nei territori occupati nel 1967, ad
opera del governo israeliano di Ariel Sharon. Il muro dell'apartheid si
prospetta come il più grande furto di terre dal 1967 in poi tanto che, una
volta completato, avrà una lunghezza di 650 chilometri e permetterà ad
Israele di controllare defintivamente più della metà della Cisgiordania
rendendo così impossibile qualsiasi soluzione negoziata del conflitto
israelo-palestinese.
 Questa costruzione - chiamata con eufemismo «barriera di sicurezza»-  non
segue infatti il confine tra Israele e la Cisgiordania occupata ma penetra
all?interno della West Bank per oltre 20 chilometri connettendo tra di loro
e con Israele la stragrande maggioranza delle colonie ebraiche (illegali
per la Convenzione di Ginevra e la comunità internazionale) che sarebbero
così annesse definitivamente allo stato ebraico  con una buona metà delle
terre palestinesi della Cisgiordania, e con la gran parte delle fonti
idriche della regione.

Un altro muro è previsto nella valle del Giordano, scorrendo a 20-30
chilometri all?interno della Cisgiordania occupata, con lâobiettivo di
tagliare fuori  i palestinesi da terre fertili, risorse idriche e da ogni
sbocco verso la Giordania. In tal modo, con questo secondo muro, verranno
defintivamente annesse ad Israele sia la valle del giordano che il «deserto
della giudea».
La vita dentro il muro, in particolare nel nord-ovest della Cisgiordania
sarà impossibile: il popolo palestinese, imprigionato dentro vere e proprie
«riserve circondati da muri e con una sola porta di entrata e di uscita per
ogni città e villaggio perderà la possibilità di coltivare le sue terre
rimaste al di fuori del muro, le risorse d?acqua e quindi i suoi mezzi di
sostentamento oltre alla possibilità di recarsi a scuola o negli ospedali
del centri maggiori. I primi 150 chilometri del muro sono già completi
oltre il 10% dei palestinesi della Cisgiordania, in particolare quelli
delle comunità  più vicine al confine con Israele, Qalqiliya, Tulkarem etc,
sono già imprigionati dentro il muro come avveniva nei ghetti ebraici delle
nostre città nei tempi  più bui della storia europea.
Secondo l?organismo israeliano per i diritti umani Betzelem circa 80.000
palestinesi perderanno ogni forma di sostentamento dal momento che le loro
terre sono rimaste al di là del muro.

Questi terreni nella parte nord-occidentale della West Bank (Jenin,
Tulkarem, Khaliliya) costituiscono il 40% delle terre coltivabili della
Cisgiordania e sono tra le più produttive con una
resa doppia rispetto a quelle delle altre regioni.

In questa zona, già investitata dal muro, ci sono inoltre i  2/3 delle
sorgenti della West Bank e ben 28 pozzi si trovano ormai al di là della
muraglia, verso Israele.
 Ancora più tragica la sorte di quei palestinesi, circa 30.000, che abitano
13 villaggi che si sono trovati ad ovest del muro tra il confine con
Israele e la grande muraglia, impossibilitati ad andare nello stato
ebraico, impossibilitati a recarsi nel resto della Cisgiordania e persino
nelle città
più vicine alle quali facevano riferimento per gran parte delle loro
esigenze lavorative,
di studio, familiari e per accedere ad ogni servizio di base.
Impossibilitati  a raggiungere i campi da cui traggono il loro sostentamento.
La costruzione di alcune «porte» di passaggio,  dal momento che la loro
apertura è decisa dallâumore dei soldati israeliani, si è rivelata una
tragica beffa. In tal modo non solo verrà annesso ad Israele circa il 60%
della Cisgiordania ma, rendendo loro la vita impossibile, privandoli dei
loro mezzi di sussistenza e di ogni prospettiva di studio, di lavoro e di
movimento verrà realizzata una vera e propria pulizia etnica ai danni di un
numero di palestinesi compreso tra i 90.000 e i 200.000.
Una volta che il  muro sarà stato costruito i palestinesi saranno rinchiusi
in tre grandi «riserve» (una sorta di salsiccia da Jenin a Ramallah, un
altra da Betlemme a Hebron e una terza attorno a Gerico)
separate le une dalle altre, e da ogni sbocco esterno, su una superficie
pari allâincirca al 40% della Cisgiordania (il 9% della Palestina
mandataria).
 In tal modo emerge chiaramente come l?obiettivo del muro sia non certo la
«sicurezza» di Israele, raggiungibile solamente con una giusta pace tra i
due popoli, ma l?annessione allo stato ebraico della "maggior parte delle
terre con il minimo di arabi" che invece verranno concentrati allâinterno
delle città e dei villaggi privi ormai di ogni retroterra.
Uno stato palestinese libero e indipendente diventerà quindi impossibile
dal momento che le condizioni minime perché possa costituirsi sono: il
ritiro di Israele, colonie, coloni e soldati, alle frontiere del 1967, una
continuità territoriale allâinterno dellâentità palestinese e un suo sbocco
verso lâesterno, la Giordania e l?Egitto, oltre naturalmente al
riconoscimento del diritto al ritorno dei profughi - la cui attuazione andà
poi negoziata. Eppure di fronte a questo vero e proprio tentativo di
distruzione dellâesistenza del popolo palestinese come una legittima entità
sociale, politica ed economica attraverso la distruzione della sfera
pubblica e privata degli abitanti
della West bank e di Gaza, le reazioni internazionali e nazionali sono
praticamente inesistenti.
 Per questa ragione un vasto arco di forze politiche e sociali del nostro
paese, raccogliendo l?invito proveniente dalla Palestina per una
mobilitazione internazionale,  ha proposto una manifestazione nazionale a
Roma il prossimo otto novembre contro il muro dellâapartheid, contro
lâoccupazione
israeliana della West Bank e di Gaza e a sostegno del diritto inalienabile
del popolo palestinese alla vita, alla terra, alla libertà.
 Una manifestazione dall?alto profilo che chieda al governo,
allâopposizione, allâopinione pubblica, alle forze politiche e sindacali,
alle singole persone impegnate per il raggiungimento di una pace giusta in
Medioriente di pronunciarsi chiaramente contro il muro della vergogna e
lâoccupazione
israeliana e di adottare concrete misure di pressione su Israele ö come il
congelamento, sulla base della clausola sui diritti umani, del trattato di
associazione di  Tel Aviv allâUnione Europea.


 Una mobilitazione, il più vasta possibile, punto di arrivo ma anche punto
di partenza perché lâItalia dica
No al muro della vergogna,

No allâoccupazione,
No alla prigionia del legittimo presidente palestinese Yasser Arafat, di
Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri politici palestinesi nelle
carceri israeliane e in quella di Gerico.
Un No che, nel solco delle  grandi mobilitazioni per la pace dello scorso
anno, rifiuti la teoria e la pratica della «guerra preventiva» e la follia
della «guerra permanente» di Bush e Sharon contro gli stati e i popoli del
Medioriente ödallâIraq, alla Siria, al Libano, allâIran-  e la
partecipazione italiana a tali avventure coloniali tese a disgregare,
«balcanizzare» e dominare la regione mediorientale.
Una manifestazione che invece chieda una soluzione negoziata del conflitto
israelo-palestinese, che riaffermi la necessità del rispetto della
Convenzione di Ginevra sulla protezione delle popolazioni dei territori
occupati (in Palestina come in Iraq), del rispetto e dell?attuazione delle
risoluzioni
dell?Onu sulla questione palestinese -181 (divisione della Palestina in due
stati), 242 (ritiro da tutti i territori occupati), 194 (diritto al ritorno
dei profughi palestinesi) - e dei diritti umani e nazionali del
popolo palestinese e di tutti i popoli del Medioriente.

No al muro dellâapartheid in Palestina
No allâoccupazione israeliana della West bank, di Gaza e delle alture del Golan
No alla guerra permanente di Bush e Sharon contro gli stati e i popoli del
Medioriente
No alla partecipazione italiana allâoccupazione Usa dellâIraq


Si al ritiro israeliano alle frontiere del 1967 e alla nascita dello stato
palestinese
Si al rispetto delle risoluzioni dell?Onu e della Convenzione di Ginevra
Si alla liberazione di Yasser Arafat, Marwan Barghouti e di tutti i
prigionieri politici palestinesi
Si ad un Medioriente di pace senza armi di distruzione di massa
Si al ritiro del contingente italiano dallâIraq


***Il Comitato promotore della manifestazione dell'8 novembre a Roma:
Comitato per non dimenticare Chatila, Bruno Steri (Prc), Mauro Bulgarelli
(Verdi), Maurizio Musolino (Pdci), Letizia Mancusi (Prc), Comunità
palestinese del Lazio, Forum Palestina, Com. di solidarietà con l'Intifada,
Amici della Mezzaluna Rossa palestinese.







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