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diario da ankara - quarta udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi compagni deputati curdi
- Subject: diario da ankara - quarta udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi compagni deputati curdi
- From: "associazione culturale punto rosso" <puntorosso at puntorosso.it>
- Date: Tue, 8 Jul 2003 15:57:45 +0200
In allegato trovate il diario di Silvana Barbieri da Ankara, che descrive la quarta udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi compagni deputati curdi. La quarta udienza si caratterizza per l'ammissione di quattro testimoni a favore degli imputati e la loro testimonianza mette in crisi l'impianto accusatorio, costruito sulla base delle false testimonianze. E'questo il motivo per cui è difficile per la difesa riuscire a portare in aula testimoni a proprio favore. La quarta udienza si caratterizza per l'ammissione di quattro testimoni a favore degli imputati e la loro testimonianza mette in crisi l'impianto accusatorio, costruito sulla base delle false testimonianze. E'questo il motivo per cui è difficile per la difesa riuscire a portare in aula testimoni a proprio favore. Ankara: diario della quarta udienza. 20 giugno 2003 Ankara, 20 giugno 2003 Quarta udienza del processo in corso a Leyla Zana, Hatip Dicle, Orhan Dogan, Selim Sadak Scontro aperto Entriamo in aula assieme, parlamentari europei, Feleknas Uca e Luigi Vinci della Sinistra Unita, funzionari di questo gruppo e rappresentanti di Punto Rosso, notando subito che è scomparsa la polizia e che i gendarmi armati di fucili d'assalto che separano il pubblico dagli imputati continuano a essere pochi. Fuori dal tribunale continua a essere diradata la presenza della polizia e della gendarmeria, anche se i funzionari di polizia non perdono l'occasione di mostrarci che comandano loro, trattenendoci per una decina di minuti. Insomma questo processo sembra riflettere passo dopo passo il ritmo e i contenuti incerti e, ad ora, inconcludenti delle riforme in corso in Turchia. Entrano in aula anche i rappresentanti della Ambasciate di Germania, Italia e Grecia, quest'ultima è qui anche in rappresentanza del Consiglio Europeo, i rappresentanti della Commissione Europea, giuristi britannici e francesi. Sono anche presenti numerosi parlamentari turchi, tra i quali, come nella prima udienza, il Presidente della Commissione per i Diritti Umani, il cui rapporto con gli avvocati della difesa appare assai cordiale, e sono presenti Akim Birdal, Eren Keskin, i rappresentanti delle associazioni per i diritti umani e di Amnesty International, il nuovo Presidente del partito DEHAP, altre figure di dirigenti curdi. E sono tantissimi, come sempre, i parenti e gli amici degli imputati. Questa quarta udienza del processo ai quattro parlamentari del DEP, Leyla Zana, Hatip Dicle, Orhan Dogan, Selim Sadak, condannati nel 1994 dal Tribunale per la Sicurezza dello Stato a 15 anni di carcere per terrorismo e separatismo, inizia con la chiamata dei tre residui testimoni dell'accusa (un quarto, viene detto dal Presidente della Corte, è morto). Ma nessuno di essi è presente, "yok". Uno di essi, viene spiegato sempre dal Presidente della Corte, è in carcere in Germania, un altro è in carcere a Mardin, città che è nel Sud-est della Turchia. Gli avvocati della difesa chiedono la parola per esprimere le loro valutazioni globali sul processo. Sezgin Tanrikulu, della Camera degli Avvocati di Diyarbakir, sottolinea come questo non sia il processo nuovo che era stato richiesto dalla Corte di Strasburgo, bensì come la Corte con il suo comportamento stia facendo la ripetizione di quello del 1994. Essa si sta comportando come la Corte del processo precedente. Il processo precedente era stato considerato non equo dalla Corte di Strasburgo, in ragione, principalmente, della violazione dei diritti della difesa: e nel processo in corso in diritti della difesa continuano a essere violati. Finora in questo processo hanno parlato solo i testimoni dell'accusa, sono state ascoltate, perciò, delle testimonianze quasi sempre completamente false. Soprattutto in questo sta la ripetizione del comportamento della Corte: non sono stati accolti sinora dalla Corte i testimoni della difesa. L'accusa agli imputati di appartenere ad un'associazione terroristica si basò e continua a basarsi sulle sole testimonianze di agenti di polizia e di guardie del villaggio, inoltre queste testimonianze furono quasi sempre raccolte nelle gendarmerie dei villaggi, ciò che è totalmente illegale. Infine dalla Corte vengono accolte solo le richieste dell'accusa e sono continuamente respinte le richieste della difesa. Solo quella di farci avere le cassette registrate è stata accolta. Come nel precedente processo, accusa e difesa non sono sullo stesso piano. Ricapitolando, la difesa ha fatto quattro richieste: l'ascolto delle cassette registrate, che non sono state sentite e neppure sono state viste tanto nel precedente processo che, sinora, in quello attuale; una perizia a proposito della collocazione del bar nel quale Leyla Zana e altri accusati avrebbero fatto propaganda per il PKK; l'ascolto dei testimoni della difesa; la scarcerazione immediata dei quattro imputati, come richiesto dalla Corte di Strasburgo. Yusuf Alatas, presidente del collegio degli avvocati della difesa, sottolinea egli pure come il rifacimento del processo dovesse significare la correzione degli errori del precedente, mentre in realtà li si sta ripetendo tali e quali. Questi errori non erano e non sono formali ma consistono in un'impostazione iniqua e in una serie di iniquità. Ma se il processo viene ad avere il medesimo svolgimento di quello precedente, perché rifarlo? La Corte inoltre avrebbe dovuto liberare sin dall'inizio gli accusati, invece di accettare la sentenza del precedente processo. La Corte ha ancora accettato tutte le richieste dell'accusa e pressoché nessuna di quelle della difesa. Non ci è stato consentito di controinterrogare direttamente i testimoni. L'argomento è stato che quest'ascolto avrebbe richiesto un certo tempo: ma anche l'ascolto dei testimoni dell'accusa sta richiedendo tempo! Il nostro controinterrogatorio di un testimone importante, ammanicato all'esercito, è stato interrotto con una pausa e poi bloccato: quando abbiamo chiesto a questo testimone perché non aveva denunciato quelli che, a suo dire, erano 16 membri del PKK né avesse denunciato le dichiarazioni, sempre a suo dire, a favore del PKK di Leyla Zana, l'accusa ha obiettato alle domande e il Presidente della Corte è stato d'accordo con l'accusa. La Corte non ha fatto nessuna domanda ai testimoni: questo non è normale. Avete respinto la nostra richiesta di una ricognizione in loco relativa al bar e alla sua distanza dalla caserma. Perciò il modo in cui si sta svolgendo questo processo significa che da parte della Corte non si vuole arrivare alla verità. In questo processo, inoltre, l'accusa sta in alto, accanto alla Corte, la difesa sta in basso. L'accusa ha potuto presentare i suoi testimoni, noi non abbiamo potuto presentare i nostri. L'accusa ha raccolto documenti, cassette, a noi la Corte ha limitato la conoscenza di questi materiali. L'accusa detta direttamente le sue dichiarazioni a verbale, invece quelle dei difensori sono dettate dal Presidente, per di più dopo essere state riassunte. Non riusciamo neppure a sentire ciò che il Presidente detta a verbale a proposito delle nostre dichiarazioni, siamo costretti a leggercelo alla sera. Dove sta l'uguaglianza tra l'accusa e la difesa? Addirittura, infine, nei verbali delle udienze dettati dal Presidente molte cose importanti non stanno scritte. Ma che sarebbe andata a finire così si era capito fin dall'inizio, fin da prima che il processo cominciasse, quando il Presidente di questa Corte si era pronunciato contro il rifacimento del processo. Fin dall'inizio si era capito che il Presidente è vicino all'accusa, è subalterno all'accusa, anziché essere imparziale, anziché porsi in mezzo tra l'accusa e la difesa. E' per questo che avevamo richiesto la sostituzione del Presidente. Questa richiesta tuttavia fu respinta dalla Corte. (Interruzione del Presidente: mi sta accusando di qualcosa? Risposta: sto solo criticando l'impostazione del processo, che continua a violare i diritti della difesa). I testimoni dell'accusa non sono imparziali, hanno mentito, erano quasi tutti guardiani del villaggio o agenti di polizia ed erano quasi tutti nemici degli imputati. Però quando abbiamo chiesto loro della loro inimicizia l'accusa ha obiettato e la Corte ha dato ragione all'accusa. I due testimoni che non erano guardiani del villaggio o agenti di polizia hanno ritrattato le loro precedenti testimonianze e dichiarato che erano state loro estorte con la prigione e la tortura, ma la Corte non ne ha tratto nessuna conseguenza. Sulla collocazione del bar abbiamo ascoltato dichiarazioni assurde e contraddittorie da parte dei testimoni dell'accusa, eppure la perizia a questo proposito continua a esserci negata. Troppi sono i testimoni dell'accusa che hanno risposto non ricordo, è successo dieci anni fa, e su queste risposte non si è approfondito e le testimonianze al precedente processo di questi testimoni sono state ritenute valide da parte della Corte. Le riforme approvate dal nostro Parlamento sono rimaste fuori dall'aula di questo processo. I giudici di questo processo hanno la stessa mentalità dei giudici del 1994. In conclusione, andando avanti in questo modo la sentenza non potrà che tener conto dei testimoni dell'accusa. Quando abbiamo richiesto la scarcerazione degli imputati la Corte ci ha obiettato che si tratta di persone che sono state condannate a 15 anni. Questo vuol dire che essa ha in mente sin dall'inizio del processo che si tratta di condannare nuovamente gli imputati a 15 anni. Quindi noi insistiamo: vogliamo che vengano ascoltati i testimoni della difesa. Alcuni di loro sono già qui, fuori dalla porta dell'aula, pronti ad essere ascoltati. Altri avvocati intervengono a raffica. Codici alla mano rivendicano che i testimoni della difesa presenti fuori dall'aula vengano ascoltati. Protestano per lo stato di detenzione degli imputati. La Corte di Strasburgo ha condannato il precedente processo e quindi gli imputati debbono essere scarcerati. L'Unione Europea non considera l'esistenza di questo tipo di corte un fatto accettabile. Ci sono stati in questi mesi numerosi cambiamenti giuridici e anche costituzionali in Turchia, anche importanti, ma sono rimasti sulla carta, come dimostra questo stesso processo. E' stato per noi una sorpresa e una frustrazione il rifiuto dei testimoni della difesa. Questo processo è importante per la storia della giurisprudenza in Turchia, occorre che sia un processo equo. Un processo equo farà solo del bene alla Turchia. Abbiamo chiesto l'ascolto dei nostri testimoni qua fuori, la Corte ci dia una risposta! Perché non ce la dà? Il Procuratore (l'accusa) appare agitato e molto frastornato, teme, evidentemente, che la Corte vacilli, si oppone alla richiesta di ascolto dei testimoni della difesa, i quattro fuori dall'uscio compresi, ma argomenta in modo paradossale: gli avvocati della difesa non hanno chiesto nulla, ho ascoltato solo delle critiche! Il Presidente appare incerto. Chiede: ci sono là fuori dei testimoni? Alatas: sí, ce ne sono quattro, e come difesa ne abbiamo più di venti da far ascoltare. Il Procuratore nel frattempo si è ripreso e obietta più sensatamente: non sono per ascoltare questi testimoni, abbiamo già deciso in precedenza di rifiutare i testimoni della difesa. Il Presidente chiude la discussione: ascolteremo i quattro testimoni qui presenti, non convocheremo invece il complesso dei testimoni della difesa. Si tratta di un cambiamento notevole nell'andamento del processo. L'attacco a fondo della difesa contro il comportamento della Corte ha messo quest'ultima in grossa difficoltà. Gli avvocati sono palesemente contenti, l'attacco sferrato ha raggiunto il bersaglio. Ci affanniamo a cercare di capire esattamente cosa è successo, ci riusciremo soltanto durante la pausa per il pranzo, grazie agli avvocati. Vigerebbe nel codice di procedura penale turco la possibilità di ascoltare testimoni presenti fuori dall'aula di un processo anche quando essi non siano stati accettati in precedenza dalla Corte, o siano, per così dire, testimoni "improvvisi", testimoni non previsti. Ma dipende sempre dalla Corte di accettarli. Sia come sia, la Corte ha fatto una significativa, benché parziale, macchina indietro. I testimoni della difesa Il primo di essi si chiama Ahmet Temel. La sua testimonianza è sicura e precisa, anche quando risponde alle domande, a volte maliziose, del Presidente della Corte. Il 26 aprile del 1994 Temel fu rapito, legato e bendato da Abdullah Dursum, capo di una formazione di guardiani del villaggio e capotribù, e da due dei suoi figli, mentre passava davanti alla loro abitazione. L'automobile di Temel fu trovata abbandonata nel centro del paese da alcuni amici, che l'avevano riconosciuta. Essi informarono i genitori di Temel, che inoltre furono informati da vicini di Dursum che dalla casa di questi si sentiva gridare Temel. Temel per sei giorni fu picchiato, torturato e minacciato di essere ucciso, perché Dursum voleva fargli dichiarare che era stato lui a far entrare uno dei figli di Dursum nel PKK. Ma lui, Temel, aveva sì frequentato la stessa scuola di questo figlio di Dursum ma non lo aveva mai conosciuto, non sapeva niente dei rapporti tra questo figlio di Dursum e il PKK, inoltre lui, Temel, non era del PKK: c´era invece che la sua tribù era nemica della tribù di Dursum e che normalmente i guardiani del villaggio accusavano le tribù nemiche di essere simpatizzanti del PKK. La famiglia di Temel si rivolse a Leyla Zana perché facesse da mediatrice: Leyla Zana era parlamentare ed era molto conosciuta nella zona, inoltre nella tradizione curda è sempre una donna a fare da paciere nei conflitti tribali. Infatti dopo l'intervento di Leyla Zana Temel venne liberato, cioè venne abbandonato dai rapitori lungo una strada. Egli saprà dell'intervento di Leyla Zana solo dopo essere stato liberato, dai genitori. (Alatas pone alcune domande, il Presidente le rivolge a Temel). I miei rapitori, Dursum e figli, quando mi rapirono erano in divisa militare. Mi dissero che mi ritenevano responsabile del comportamento del figlio di Dursum andato con il PKK: gli ho sempre risposto che non lo conoscevo. Non sono mai stato guardiano del villaggio. (Dursum, ricordiamo, aveva dichiarato nella seconda udienza del processo che Leyla Zana era andata da lui come rappresentante del PKK e che nel corso di una delle visite era accompagnata da 16 membri di questo partito. La testimonianza di Temel dunque smonta tutta quanta l'impalcatura dell'accusa.) Intervallo per il pranzo, si riprende all'una e trenta. Tutti si congratulano con Alatas e scherzano sulla sua mimica. Sembravi un italiano, gli dice Luigi, e tutti ridono. Il secondo testimone si chiama Ihsan Erbas. Erbas lavorava in qualità di segretario nell'abitazione di Erhan Dogan, incaricato di ricevere la gente, si trattava di 30-40 persone al giorno. Orhan Dogan inoltre ospitava continuamente nella sua abitazione una quantità di persone provenienti dal Sud-est. Tutti gli si rivolgevano per ogni genere di cose ma anche per avere consigli. Accadde dunque che Orhan Dogan fosse fuori città e che Erbas ricevesse la telefonata di una persona che cercava Orhan Dogan per chiedergli ospitalità e l'indirizzo di un oculista. L'appuntamento con l'oculista fu fissato di lì ad alcuni giorni, e questa persona rimase ospite in casa di Orhan Dogan per tutto il periodo. Fu Erbas a decidere questo, inoltre per far sì che l'oculista fissasse la visita prima possibile gli dichiarò che si trattava di uno dei figli di Orhan Dogan. Fu poi Erbas a pagare la visita, e lo fece a nome di Orhan Dogan. D'altro canto Erbas riteneva che Orhan Dogan avrebbe agito sostanzialmente allo stesso modo. E' per questo che lo Stato successivamente rimborserà Orhan Dogan del prezzo della visita. Si verrà poi a sapere che la persona in questione era membro del PKK: quindi Orhan Dogan sarà accusato di aver prestato aiuto a un membro del PKK. Ma in realtà Orhan Dogan non c'entrava niente con tutta la faccenda, non ne aveva mai saputo niente, questa persona non l'aveva mai incontrata. Il terzo testimone si chiama Salman Kaya. Dichiara che nel periodo in cui Orhan Dogan era parlamentare anche lui lo era, per conto del partito SHP, abitava accanto a Orhan Dogan e vedeva continuamente come la sua casa fosse un porto di mare. Orhan Dogan ospitava molta gente della sua regione, a volte trenta persone per volta, inoltre lui Kaya è certo, conoscendo le posizioni di allora di Erhan Dogan, che questi non sapesse nulla del fatto di avere avuto un ospite membro del PKK. Lui Kaya non ha mai conosciuto il membro del PKK ospite della casa di Orhan Dogan. Tutti i parlamentari del Sud-est ospitavano molta gente e l'aiutavano in tutti i modi. Il quarto testimone si chiama Abdulhakir Mutluer. Mutluer era a Senova il giorno in cui Selim Sadak, secondo l'accusa, che si basa su numerose testimonianze di guardie del villaggio, avrebbe fatto propaganda per il PKK. Ma egli era assieme a Selim Sadak quel giorno, e stettero assieme per gran parte del tempo in cui Selim Sadak avrebbe fatto propaganda per il PKK senza in realtà fare nulla: ambedue infatti rimasero in fila in automobile per molte ore dinnanzi ad un posto di controllo. Mentre erano lì un certo Sehmuz Babak, che era in funzione al posto di controllo, li riconobbe e li invitò a prendere un tè, insisté molto perché accettassero, infine essi lo fecero, presero assieme il tè, poi se ne tornarono alla loro automobile a fare la fila. Quando infine raggiunsero il bar all'inizio c'erano due uomini della tribù Babak, poi ne arrivarono altri, Babak e non. In tutto lui, Mutluer, e Selim Sadak si fermarono lì per 10 o 15 minuti. Non ci fu nessuna propaganda per il PKK e quindi nessun arresto di nessuno. Quando Selim Sadak sarà arrestato i guardiani del villaggio testimonieranno che egli aveva fatto propaganda quel giorno in quel bar per il PKK: ora Mutluer è venuto a chiedere alla Corte di essere messo a confronto con questi testimoni per poterli smentire. Gli interventi degli imputati e della difesa e la conclusione dell'udienza Selim Sadak comincia affrontando le questioni, connesse, della popolazione di lingua curda e della povertà nel Sud-est. Egli sottolinea come per risolvere la questione curda occorra anche un passaggio positivo nella gestione della giustizia. Questo passaggio in questi anni non c'è stato, e anche questo ha frenato lo sviluppo economico del Sud-est. Solo una piccola minoranza della popolazione del Sud-est e dell'intera Turchia trae vantaggio e si arricchisce per via del conflitto tra curdi e Stato turco, quindi agisce perché la tensione nel Sud-est permanga e la guerra ricominci. Noi non avevamo paura di essere arrestati, pertanto ci siamo assunti tutti i rischi del tentativo di portare la libertà nel Sud-est e di affermare l'uguaglianza tra turchi e curdi. Per questo siamo in carcere da dieci anni: ma non ne siamo rattristati, abbiamo fatto bene a fare quello che abbiamo fatto. Quando il PKK dichiarò la prima tregua noi dicemmo che era un'opportunità da raccogliere per fermare la guerra, e il Presidente allora della Repubblica Turgut Ozal ci sostenne dichiarando che la Turchia aveva due popoli. Ma Ozal morì poco dopo, e sono molte le persone, a partire dalla moglie e dal fratello, che pensano che sia stato ucciso. Così noi siamo stati poi accusati e condannati, e questo semplicemente perché l'esercito turco è dal 1924 che non riconosce i diritti elementari del popolo curdo. Il nostro programma era un programma di pace sociale e di sviluppo economico nel Sud-est e di progrssiva democratizzazione in tutta la Turchia. Con questo programma eravamo stati eletti in Parlamento. Molti altri parlamentari di quel periodo pensavano le stesse cose, però avevano paura a sostenerle. Vorrei anche ricordare, conclude Sadak, come il Procuratore che ci fece condannare nel 1994, Nusret Demiral, entrerà successivamente nel partito dei Lupi Grigi. Ma oggi qualcosa sta cambiando in Turchia. Poco tempo fa i militari hanno ucciso un pastore perché, hanno affermato, sarebbe stato membro del KADEK, il partito costituito a seguito dello scioglimento del PKK: ma l'inchiesta svolta dalla Commissione per i Diritti Umani del Parlamento ha accertato che era stato ucciso un semplice pastore, un uomo che non aveva nessun rapporto con il KADEK, e che questa uccisione era da aggiungere al lungo elenco delle esecuzioni extragiudiziarie. Anche aver appena ascoltato quattro testimoni della difesa è un cambiamento importante. Per risolvere i problemi della Turchia, infatti, la giustizia deve diventare indipendente e imparziale. La giustizia quando è indipendente e imparziale è garanzia di pace. Hatip Dicle inizia il suo lungo intervento con l'affermazione che nelle udienze precedenti del processo si sono solo ascoltate le menzogne sempre uguali delle guardie del villaggio e non è stato fatto nessun passo avanti verso la verità dei fatti. Noi siamo stati condannati perché in 22 parlamentari firmammo una petizione che chiedeva l'abolizione dell'articolo 81 della Costituzione, un articolo sciovinista e razzista che si prefigge la cancellazione dell'esistenza stessa del popolo curdo. Dei 22 parlamentari che firmarono la petizione solo otto verranno condannati, tra i quali noi quattro a 15 anni, alcuni invece faranno carriera, uno diverrà vicepresidente del Parlamento, altri due ministri, 14 infine saranno ignorati dal meccanismo della repressione. Perciò come potete vedere è stato compiuto un atto di profonda ingiustizia nei nostri confronti. Si violò inoltre nei nostri confronti l'articolo 83 della Costituzione, che dichiara che tutti i parlamentari possono liberamente proporre cambiamenti della Costituzione. Oggi il Newroz, il capodanno curdo, si può fare: ma nel 1992 nel corso della ricorrenza del Newroz a Cizre e a Sirnak vennero uccise dall'esercito 103 persone. Con numerosi intellettuali turchi e curdi producemmo un appello che chiedeva che queste stragi fossero fermate, l'azione intimidatoria del governo e dell'esercito ottenne però che molti intellettuali ritirassero la firma. La repressione così continuò e uccise molti contadini, solo a Silvana, nella provincia di Diyarbakir, ne furono uccisi 600, e anche molti intellettuali. Tutto il nostro impegno perciò era orientato a fermare la guerra: ma siamo stati condannati a seguito dell'accusa di essere membri di un'organizzazione armata! Quest'accusa si basa su una cassetta registrata che né nel precedente processo né in questo ho potuto ascoltare. Sono stato condannato anche per un'intervista. Riferendone sul suo giornale il giornalista che me la fece cambiò le mie parole. Si trattava della mia opinione su un attacco armato effettuato dal PKK contro una scuola militare: io dissi che non approvavo le azioni militari, che lavoravo per la pace, e che però se c'è una guerra ci sono pure i morti e che invece di recriminare ipocritamente sui morti occorre fermare la guerra. Il giornalista scrisse tutto il contrario, cioè che appoggiavo l'attacco armato del PKK. Sono perciò stato arrestato per delle cose che non ho mai detto. Naturalmente quell'intervista mi aveva messo contro l'opinione pubblica. In conclusione siamo stati condannati per le nostre idee, solo per le nostre idee. Leyla Zana rinuncia a intervenire: perché sono le cinque, fa un gran caldo e siamo tutti stanchissimi. Interverrò un'altra volta. I membri della Corte e lo stesso arcigno Procuratore debbono averla ringraziata anch'essi in cuor loro. Orhan Dogan ricorda come all'inizio del processo gli imputati abbiano chiesto la sostituzione del Presidente della Corte, poiché questi si era pubblicamente pronunciato contro il rifacimento del processo. Questa posizione infatti significava che il Presidente non poteva essere considerato imparziale. La Corte di Strasburgo ha sottolineato come la presenza nella Corte del 1994 di un giudice militare violasse l'articolo 6 della Convenzione sui Diritti Umani. Pertanto la Corte di Strasburgo ha voluto che il processo si rifacesse da capo, si facesse cioè questo processo come se fosse il primo sulla sua materia, interrogando i testimoni sia dell'accusa che della difesa e mettendoli a confronto, ricercando la verità vera sui fatti e non quella costruita nelle gendarmerie. Ma fino alla terza udienza sono stati ascoltati solo i testimoni dell'accusa, oggi solo quattro della difesa, quindi questo non è un nuovo processo ma, sostanzialmente, il rifacimento del processo del 1994. Non è quindi un processo equo. Ancora in questo processo i testimoni dell'accusa hanno detto una quantità di falsità, e se in Turchia esistesse realmente la giustizia questi testimoni dovrebbero essere condannati. In ogni caso io chiedo che siano condannati. Ricordo che nel 1954 negli Stati Uniti vennero condannati a morte i Rosenberg, marito e moglie, per l'accusa di essere delle spie sovietiche. Molti testimoni deposero contro di loro, e solo dopo l'esecuzione della condanna si scoprì che erano stati falsi testimoni. Uno di loro dichiarò che le loro testimonianze erano state false. Tre cose hanno portato alla nostra condanna: la nostra opposizione alla politica anticurda dello Stato; la nostra denuncia sistematica di questa politica; la nostra proposta di una politica alternativa. Lo Stato rispetto a noi aveva tre alternative: tentare di portarci al suo servizio; ucciderci; espellerci dalla politica, mettendoci in carcere. Ha scelto la terza alternativa. Oggi in Turchia sono in corso alcuni cambiamenti riguardo alle minoranze etniche, ma sono piccoli e sono in corso perché sono stati imposti dal cambiamento in questa materia in corso nel mondo. Clinton benché con due secoli di ritardo ha chiesto scusa agli indiani, la mentalità contemporanea considera le culture aborigene un patrimonio prezioso dell'umanità. Spero che la sentenza della Corte sarà in sintonia con questo cambiamento nel mondo, che si andrà così nella direzione della pacificazione interna e della democrazia. Interviene ora brevemente Yusuf Alatas. Alatas dichiara che se questo processo non fosse il proseguimento di quello del 1994 ma un nuovo processo lo status degli imputati sarebbe diverso, non sarebbero in carcere in quanto condannati ma imputati a piede libero in attesa della sentenza. Per questo la difesa ne chiede nuovamente la scarcerazione. La condanna del 1994 a 15 anni fu il massimo di ciò che poteva essere comminato e di questi 15 anni gli imputati già ne hanno scontato dieci. Hanno già subito un danno enorme, nessuno potrà risarcirli di questo danno, che almeno vengano immediatamente rimessi in libertà. Altri avvocati ricordano come il testimone dell'accusa che prese in ostaggio Temel nella sua deposizione nella seconda udienza abbia fatto nuovi nomi, cioè abbia fatto nomi non segnalati nel precedente processo. Ci si chiede come mai questa Corte non abbia indagato, ponendogli per esempio la domanda di come mai questi nomi nel 1994 non siano apparsi. Questa Corte non vuole accertare la verità, è l'unica conclusione possibile. Questa Corte non ha interrogato i testimoni dell'accusa ma si è limitata a chiedergli se confermavano le deposizioni rese nel 1994. Ma le deposizioni del 1994 non possono essere accettate a scatola chiusa. I testimoni che le resero debbono deporre come se fosse la prima volta che depongono. Non si può parlare, altrimenti, di un nuovo processo. Inoltre c'è che questi testimoni hanno mentito e continuano a mentire. La testimonianza di Temel dimostra come il testimone dell'accusa Dursum, cioè il rapitore di Temel, abbia mentito. Ecco perché occorre ascoltare tutti i testimoni in questo processo, quelli della difesa come quelli dell'accusa. Se si vuole veramente arrivare alla verità è questo che bisogna fare. In caso contrario la sentenza della Corte sarà nuovamente basata, come nel 1994, su testimonianze unilaterali e, in concreto, false. Dursum infine è anche un criminale: ha rapito un ragazzo e lo ha tenuto prigioniero e torturato per sei giorni: Dursum dovrebbe essere messo in prigione. C'è molta attenzione fuori da questo tribunale rispetto a questo processo: la Corte pensi anche a questo, liberi gli imputati. Il rifacimento del processo avrebbe dovuto cancellare la condanna precedente. La Corte ha accettato il rifacimento del processo, la Corte liberi gli imputati. Il Procuratore chiede l'escussione dei tre testimoni residui dell'accusa, compreso quello in carcere in Germania. La Corte si ritira per decidere, sempre, va da sé, assieme al Procuratore. Ci impiega cinque minuti. Nel frattempo una quantità di gendarmi si schiera, fucile d'assalto in pugno e petto gagliardo in fuori, tra gli imputati e il pubblico, a fronteggiare i pericolosi dinamitardi che lo compongono. Ed ecco le decisioni della Corte. Rispetto alle richieste del Procuratore, verranno ascoltati il testimone Izzettin Ay (ex membro del PKK, divenuto poi "collaboratore" dello Stato), se necessario procedendo ad escussione forzata, giacché per la seconda volta questi non si è presentato, e il testimone Ejder Paçal (questi pure ex membro del PKK e poi collaboratore dello Stato). Poiché Paçal è in carcere a Mardin, succederà questo: che sarà il tribunale di Mardin ad effettuare l'interrogatorio, in presenza ovviamente dei difensori degli imputati, poi il verbale dell'interrogatorio verrà letto in udienza. La Corte invece respinge la richiesta sempre del Procuratore di procedere all'ascolto del testimone in carcere in Germania. La Corte respinge, infine, la richiesta della difesa di liberazione degli imputati, e aggiorna il processo al 18 di luglio. Ci rechiamo immediatamente all'ufficio di Yusuf Alatas per una valutazione da parte sua di quest'udienza, è lo stesso Alatas a proporlo. Ha un'opinione in parte positiva: la difesa è finalmente riuscita a forzare il muro delle resistenze della Corte. Questa è stata la migliore delle quattro udienze. Il 18 luglio la difesa porterà in tribunale altri testimoni. Ragionevolmente il processo continuerà per altre tre o quattro udienze: c'è perciò il tempo per altre pressioni esterne. L'esito del processo, per il carattere tutto politico del comportamento della Corte, dipende molto dal proseguimento delle azioni di pressione. ------------------------------------------------------------------- ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO puntorosso at puntorosso.it FORUM MONDIALE DELLE ALTERNATIVE fma at puntorosso.it LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE lup at puntorosso.it EDIZIONI PUNTO ROSSO edizioni at puntorosso.it VIA MORIGI 8 - 20123 MILANO - ITALIA TEL. 02-874324 e 02-875045 (anche fax) www.puntorosso.it
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