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"Costituzione Europea Problemi politici e soluzioni giuridiche" di U. Allegretti
- Subject: "Costituzione Europea Problemi politici e soluzioni giuridiche" di U. Allegretti
- From: "Cristina Ronzitti" <cricket at tiscalinet.it>
- Date: Fri, 27 Jun 2003 12:50:04 +0200
Salve, l'articolo sui lavori della Convenzione Europea che qui vi propongo in effetti é un pò vecchietto (é uscito sul numero del 15 giugno della rivista Rocca), e Umberto Allegretti mi ha fatto sapere che i suoi commenti agli esiti del vertice di Salonicco usciranno solo fra 2 numeri della stessa rivista , però forse vi può far piacere leggerlo ugualmente. Secondo la mia personale opinione in Sardegna si discute troppo poco di questioni europee trascurando che ormai é quello il nostro principale quadro di riferimento. Ciao Cristina "Costituzione Europea Problemi politici e soluzioni giuridiche", uscito nel numero del 15 giugno c.a. della rivista " Rocca" (Rivista della Pro Civitate Christiana Assisi). Nelle prime settimane di giugno, importanti sviluppi dovrebbero aversi in Europa su un terreno che è insieme politico, giuridico-istituzionale, sociale e, vorrei dire, culturale e addirittura filosofico. Da un lato la Convenzione (l'organismo incaricato della redazione della bozza di Trattato costituzionale europeo) dovrebbe consegnare il suo prodotto al Consiglio europeo; dall'altro, con i vari incontri internazionali in corso dovrebbe farsi un po' di chiarezza in più sui dissidi nei rapporti con gli Stati Uniti e in seno all'Europa generati soprattutto dalla guerra contro l'Iraq. Pur nella loro distinzione i due ordini di problemi sono connessi e comunque il legame temporale che si è stabilito tra loro deve essere tenuto in conto se si vuole affrontarli correttamente. Certamente, essi non si prestano a diagnosi facili e non desta meraviglia che, allo stato delle cose, la situazione sia molto fluida; è perciò impensabile che chi ne scrive possa darne una sintesi sufficientemente sicura, per cui converrà limitarsi a un bilancio approssimativo e a qualche criterio che aiuti nella lettura delle novità destinate a maturare. Cominciando dai lavori della Convenzione, dopo l'incerto avvio del 2002, quest'organismo - che malgrado i suoi limiti costituisce una modalità nuova e positivamente apprezzabile per progredire negli ordinamenti del nostro continente, rispetto alle pure trattative intergovernative del passato - ha consentito di preparare alcuni traguardi significativi. Sembrano ormai acquisiti, infatti, alcuni orientamenti che i governi non potranno sconfessare : il nuovo trattato europeo ci darà un ordinamento che merita il nome di Costituzione; in esso figurerà la Carta dei diritti fondamentali già proclamata a Nizza ma che finora era priva di vero valore giuridico; l' Unione cesserà di essere un coacervo di varie comunità per presentarsi nell' arena internazionale come persona giuridica unica; le disposizioni dei trattati saranno semplificate e riordinate, rivestendo le funzioni e gli atti dell'Unione di concetti giuridici precisi e corretti coi quali si introdurrà finalmente un discorso di competenze, atti e procedure legislative al posto dell'improprio linguaggio precedente. Molte tuttavia sono ancora le incertezze e le insoddisfazioni che le bozze finora rese note dalla Presidenza della Convenzione sollevano e che, se non sciolte positivamente, darebbero un risultato non certo adeguato alle necessità e possibilità di una svolta nell'organizzazione politica e giuridica del continente. La pace, il contributo dell'Europa a una società mondiale fondata sulla giustizia economica, sul rispetto dei diritti umani e su un corretto rapporto tra le culture, la sua opera per realizzare i principi che stanno correttamente a base delle Nazioni Unite ma che trovano nel loro funzionamento tanta difficoltà a essere seguiti, non sono ancorati nel progetto a precise norme, ma solo affidati alla indicazione di obiettivi vaghi sebbene ripetutamente enunciati, talora espressi i termini eurocentrici e paternalistici. La fisionomia degli organi fondamentali dell' Unione oscilla (come è ben noto dalle polemiche di stampa) tra l' accentuazione del loro carattere intergovernativo conseguente al potenziamento massimo del Consiglio e del suo Presidente e la difesa di un organo meritorio ma di natura eccessivamente tecnocratica come la Commissione, senza che si veda un'adeguata valorizzazione dei circuiti democratici, neppure attraverso il Parlamento europeo e attraverso i parlamenti nazionali. Tra le carenze più importanti, la insufficiente espansione del principio di maggioranza, terreno sul quale ha giustamente sollevato accese critiche la previsione come procedura normale per la politica estera e di sicurezza di quel principio di unanimità che, consentendo su ogni decisione il veto di ogni singolo stato membro, paralizza la possibilità di sviluppo di una comune politica estera dell' Europa, provocando casi più che gravi come le posizioni radicalmente diverse che si sono avute sulla questione dell'Iraq e più in generale determinando la mancanza di una linea europea di politica internazionale. E' da tutto questo (e non solo da questo) che si vede quanto cammino ci sia ancora da fare per rinnovare il "senso" d'Europa rispetto alla cinquantennale storia dell'unità e alle carenze delle politiche degli Stati. E' appunto sul senso d'Europa, sul senso che essa vuol avere verso l'interno e verso l'esterno, che bisogna progredire. Verso l'interno: è giusto parlare di modello sociale europeo come un sistema di relazioni individuo-stato-società diverso, per esempio, da quello degli Usa. Ma è allo stesso tempo inutile, se poi l'Europa si attarda in una concezione economicistica che - benché verbalmente superata con la indivisibilità dei diritti sociali da quelli di libertà proclamata dalla Carta dei diritti fondamentali - rimane sostanzialmente intatta per il fatto che, mentre i diritti sociali restano nella competenza degli Stati, le politiche necessarie per realizzarli (le politiche sociali) sono radicalmente messe in difficoltà dalla scelte economiche, monetarie e finanziarie di competenza dell'Unione. E dunque non serve che nella prima parte del Trattato costituzionale si elenchino occupazione, sanità e sicurezza sociale tra le "competenze condivise" tra Unione e Stati, se poi le disposizioni che le regolano sono quelle delle vecchie "politiche" trasfuse nella terza parte, che le riducono a mere "azioni di sostegno" complementari a quelle degli Stati. Verso l'esterno, il progresso non c'è se l'Europa non precisa il suo impegno per la pace e la cooperazione internazionale riproducendo (sulla base di emendamenti italiani) il divieto della guerra stabilito dall'art. 11 della nostra Costituzione, impegnandosi al rispetto non solo dei principi ma anche di tutte le disposizioni dello Statuto dell'Onu e mettendo in piedi norme e politiche ben più coraggiose delle precedenti verso il Sud del mondo. In questo quadro, la ricerca in corso, ora torpida ora affannosa, della costruzione di una forza armata comune europea dovrebbe avere un ruolo subalterno e assolutamente strumentale rispetto alla presenza di una concezione politica e non militare della vita internazionale; altrimenti, la creazione di un esercito europeo anticipata rispetto alla creazione d'una vera politica e svincolata da questa risulterebbe in un ulteriore contributo alla crescente militarizzazione del pianeta. Ma questioni di questo tipo non sono inquadrabili correttamente facendo riferimento soltanto a creazioni di tipo giuridico. Le soluzioni giuridiche, che non sarebbero di per sé difficili da trovare, si intrecciano con fatti e problemi politici e questi affondano le loro radici in concezioni, prima che politiche, culturali e antropologiche più generali. E' qui che si inserisce il ruolo della crisi che si è aperta di recente sul piano internazionale. I problemi sorti con gli Stati Uniti, a seguito degli sviluppi che questi hanno dato alla lotta contro il terrorismo e rivelatisi drammaticamente con la decisione e la messa in opera della guerra all'Iraq, non possono essere considerati degli avvenimenti episodici per quanto gravi, ma sono probabilmente qualcosa di più: il rivelatore dell'addensarsi di approcci diversi ai problemi della convivenza nel mondo globalizzato. Il sospetto è accreditato da alcune recentissime prese di posizione di intellettuali statunitensi vicini alla politica: ad esempio Huntington e Kagan. Il primo ha avuto l'improntitudine di dichiarare al Corriere della Sera, nel corso della riunione di Venezia dell'Aspen Institute, che sarebbe ormai il caso di togliere il potere di veto in seno al Consiglio di Sicurezza alle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, esclusi gli Stati Uniti, che vi avrebbero diritto come superpotenza planetaria. Il secondo, nel libro Paradiso e potere (Mondadori), che va letto per capire che possibilità ci aspettano, teorizza una contrapposizione drastica tra americani ed europei: i primi avrebbero una concezione "hobbesiana" delle relazioni internazionali - stato di natura retto dal confronto delle forze - mentre i secondi sarebbero illusi dall'utopia "kantiana" di un pianeta pacificato; la sua origine si troverebbe in tutta la storia americana (alcune prove, anche secondo noi, non mancano) e la contrapposizione sarebbe destinata a perpetuarsi nel futuro. Ma c'è nella realtà presente qualcosa di più d'una crisi nelle concezioni sull'uso della forza e sui rapporti pacifici tra i popoli. Discutendo con Huntington a Firenze durante il suo viaggio italiano, è stato evidente che il modo che si sta delineando negli Stati Uniti e che egli ha teorizzato in un libro famoso, di affrontare la convivenza mondiale dopo la fine della guerra fredda in termini di scontro di civiltà, trascura l'esistenza del divario profondissimo e crescente tra quello che siamo soliti chiamare il Nord ed enormi zone del pianeta comprendenti la maggior parte dell'umanità, al quale il disprezzo dell'Occidente per le culture diverse da sé si mischia unendo insieme contrapposizione spirituale e condizione materiale. I documenti periodicamente pubblicati dalla Presidenza degli Stati Uniti e denominati National Security Strategy - sia quelli delle due presidenze Bush, sia, si badi, quelli della presidenza Clinton, senza apprezzabili diversità tra loro - mettono in rilievo un modo di porsi degli Usa di fronte ai problemi del mondo in termini di pura e cieca fiducia negli automatismi del mercato come via per la soluzione dei problemi economici di tutto il globo, che si combina con un altrettanto cieco orgoglio per la superiorità tecnologica e ideologica dell'America rispetto al resto dell'umanità, tale da abilitarla alla così chiamata leadership universale. Ci pare che sia tutto questo complesso di concezioni che l'Europa deve saper mettere in gioco nel dibattito con il grande alleato e dentro se stessa. Essa non può più rattrappirsi - come ha fatto per cinquanta anni - in una concezione dei rapporti mondiali sostanzialmente mimetica rispetto agli Stati Uniti, deve saperla mettere in discussione, non per sfidare gli Usa sul piano economico o militare, cosa non solo impensabile ma negativa, non per praticare una politica simile ad essi all'ombra d'una retorica della diversità, ma per riavviare una discussione su nientemeno che perché stiamo al mondo come uomini e donne del nostro tempo. Se dovesse risultare seria e realizzabile la strada individuata per l'avvio a soluzione del problema della Palestina, sarebbe una prova che tra Europa e Stati Uniti è possibile trovare vie comuni qualora si voglia confrontarsi su un terreno aderente alla gravità dei problemi. Sarebbe positivo porsi nello stesso modo nei confronti delle questioni poste dall'evoluzione dell'Est europeo. Per le ex-democrazie popolari, il percorso dovrebbe essere segnato dalla già avvenuta integrazione all'Unione, purché questa venga perseguita con un' adeguata apertura nella condotta dei paesi dell'Europa, diciamo, "vecchia", e con il senso della misura da parte di quelli della "nuova". Questi non possono pretendere di instaurare con gli Stati Uniti, come gli Usa manifestamente desiderano e come sta avvenendo soprattutto da parte della Polonia, un rapporto privilegiato che scavalchi l'Europa. Per quanto riguarda la Russia, viene già avanzato (dal suo governo, da Berlusconi) il proposito, quanto meno prematuro, della sua adesione all'Unione. Appare più praticabile, dato il gran numero di variabili in gioco, la proposta di Prodi di un partenariato, di una forma di associazione che consenta un elevato grado di collaborazione ma non inserisca quel paese nell'Unione. E' con uno sguardo di questo tipo, che ardisca mirare alto e lontano e allo stesso tempo sia consapevole della complessità e della processualità dei problemi del presente, che possiamo leggere (così almeno crediamo) in maniera adeguata le notizie che ci perverranno attraverso i mezzi di informazione sui prossimi sviluppi della discussione europea, sviluppi che meritano un'attenzione e, in quanto possibile, un intervento come società civile, che in passato non abbiamo sufficientemente praticato. Umberto Allegretti Prof. di diritto pubblico generale presso l'università di Firenze ********************************************** Movimento Federalista Europeo Sezione di Cagliari V.le Regina Elena, 7 c/o AICCRE sito web cittadino: www.mfe.it/cagliari sito nazionale: www.mfe.it ****************************************
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