Editoriali di Pintor



Carissime/i,

per chi li avesse persi, ecco l'ultimo e il primo editoriale di Luigi
Pintor sul "manifesto"
(sono sul sito, con altre cose).

tempi diversi, la stessa strada (la nostra)

forse sono da far leggere
come tutti i suoi libri
(anche ai più giovani)

mario
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il manifesto - 24 Aprile 2003
prima pagina

editoriale

Senza confini

LUIGI PINTOR

La sinistra italiana che conosciamo è morta. Non lo ammettiamo perché si
apre un vuoto che la vita politica quotidiana non ammette. Possiamo sempre
consolarci con elezioni parziali o con una manifestazione rumorosa. Ma la
sinistra rappresentativa, quercia rotta e margherita secca e ulivo senza
tronco, è fuori scena. Non sono una opposizione e una alternativa e neppure
una alternanza, per usare questo gergo. Hanno raggiunto un grado di
subalternità e soggezione non solo alle politiche della destra ma al suo
punto di vista e alla sua mentalità nel quadro internazionale e interno.
Non credo che lo facciano per opportunismo e che sia imputabile a singoli
dirigenti. Dall'89 hanno perso la loro collocazione storica e i loro
riferimenti e sono passati dall'altra parte. Con qualche sfumatura.
Vogliono tornare al governo senza alcuna probabilità e pensano che questo
dipenda dalle relazioni con i gruppi dominanti e con l'opinione
maggioritaria moderata e di destra. Considerano il loro terzo di elettorato
un intralcio più che l'unica risorsa disponibile.
Si sono gettati alle spalle la guerra con un voto parlamentare consensuale.
Non la guerra irachena ma la guerra americana preventiva e permanente. Si
fanno dell'Onu un riparo formale e non vedono lo scenario che si è aperto.
Ciò vale anche per lo scenario italiano, dove il confronto è solo
propagandistico. Non sono mille voci e una sola anima come dice un
manifesto, l'anima non c'è da tempo e ora non c'è la faccia e una
fisionomia politica credibile. E' una constatazione non una polemica.
Noi facciamo molto affidamento sui movimenti dove una presenza e uno
spirito della sinistra si manifestano. Ma non sono anche su scala
internazionale una potenza adeguata. Le nostre idee, i nostri
comportamenti, le nostre parole, sono retrodatate rispetto alla dinamica
delle cose, rispetto all'attualità e alle prospettive.
Non ci vuole una svolta ma un rivolgimento. Molto profondo. C'è un'umanità
divisa in due, al di sopra o al di sotto delle istituzioni, divisa in due
parti inconciliabili nel modo di sentire e di essere ma non ancora di
agire. Niente di manicheo ma bisogna segnare un altro confine e stabilire
una estraneità riguardo all'altra parte. Destra e sinistra sono formule
superficiali e svanite che non segnano questo confine.
Anche la pace e la convivenza civile, nostre bandiere, non possono essere
un'opzione tra le altre, ma un principio assoluto che implica una
concezione del mondo e dell'esistenza quotidiana. Non una bandiera e
un'idealità ma una pratica di vita. Se la parte di umanità oggi dominante
tornasse allo stato di natura con tutte le sue protesi moderne farebbe
dell'uccisione e della soggezione di sé e dell'altro la regola e la leva
della storia. Noi dobbiamo abolire ogni contiguità con questo versante
inconciliabile.
Una internazionale, un'altra parola antica che andrebbe anch'essa abolita
ma a cui siamo affezionati. Non un'organizzazione formale ma una miriade di
donne e uomini di cui non ha importanza la nazionalità, la razza, la fede,
la formazione politica, religiosa. Individui ma non atomi, che si
incontrano e riconoscono quasi d'istinto ed entrano in consonanza con
naturalezza. Nel nostro microcosmo ci chiamavamo compagni con questa
spontaneità ma in un giro circoscritto e geloso. Ora è un'area senza
confini. Non deve vincere domani ma operare ogni giorno e invadere il
campo. Il suo scopo è reinventare la vita in un'era che ce ne sta privando
in forme mai viste.
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il manifesto - 28 Aprile 1971
prima pagina

editoriale

Un giornale comunista

LUIGI PINTOR


Molti ci hanno domandato in queste settimane a volte con simpatia, altre
volte con astio: ma perché fate un giornale quotidiano? Come pensate di
riuscirci? E a che cosa potrà servire? Una nostra risposta a queste
domande, ormai, sarebbe inutile e pedante. Una risposta seria potrà venire
solo dalla vita stessa di queste quattro pagine, che da oggi non sono più
un'idea ma una realtà esposta al giudizio di tutti.
Ma le intenzioni che ci hanno mosso, ad ogni modo, non sono un mistero.
Sono le stesse intenzioni che ci hanno spinto, trenta anni fa, a rompere
con la tradizione borghese che ci aveva regalato il fascismo e la guerra.
Sono le stesse che ci hanno animato nella lunga milizia nel partito e nella
stampa comunista per la rivoluzione italiana. Sono le stesse che ci hanno
fatto vedere nella ribellione operaia e studentesca di questi anni una
nuova occasione storica per l'avanzata del comunismo.
C'è chi ama la società in cui viviamo perché è al decimo posto nella
produzione industriale mondiale. Per noi, è una società impastata di
sfruttamento e di diseguaglianza, di cui sono vittime milioni di operai di
fabbrica, le popolazioni meridionali prive di speranza, le giovani
generazioni senza avvenire. C'è chi giudica democratico lo stato che
abbiamo, solo perché non è fascista e non ha cancellato le libertà formali.
Per noi, è uno stato fondato su leggi e strutture repressive dove polizia e
istituzioni, scuola e cultura ufficiale, forze politiche e maggioranze al
potere, sono modellate per colpire o ingannare gli sfruttati e gli esclusi.
O ancora c'è chi vive a suo agio nel mondo contemporaneo, giudicandolo
passabilmente pacifico. Per noi è invece un mondo odiosamente segnato dal
genocidio imperialista, che solo un rilancio del processo rivoluzionario
mondiale può mutare.
Se dunque questo giornale dovesse soltanto servire a una protesta, a una
battaglia ideale contro l'ordine di cose esistente, già questa non sarebbe
una fatica sprecata. In fondo la stampa operaia ha sempre avuto prima di
tutto questa funzione: di stabilire una linea di demarcazione, con animo
che Gramsci chiamava partigiano, tra chi è contro l'ordine costituito e chi
in esso si adagia.
Ma questo non potrebbe bastare. Il quadro politico che abbiamo oggi di
fronte esige molto più di un rifiuto. E' aperta nel nostro paese una
partita dal cui esito può dipendere la sorte del movimento operaio per un
intero periodo storico. Se non fosse questa la nostra convinzione, non ci
saremmo impegnati in un lavoro e in una lotta che hanno per scopo ultimo la
formazione di una nuova forza politica unitaria della sinistra di classe. E
non faremmo, ora, questo giornale.
Tutti ci accorgiamo, ogni giorno, di nuovi pericoli incombenti, di cui la
ripresa del teppismo fascista è solo un sintomo. Padroni e governo Agnelli
e Colombo, democristiani e presunti socialisti, moltiplicano gli sforzi per
chiudere in gabbia il movimento delle masse, intrecciando repressione ed
elemosine. L'imperialismo americano regola il nostro destino, secondo le
leggi della divisione del mondo in sfere di influenza. Il quadro europeo
che ci sta attorno è oscurato, come mai nel dopoguerra, dall'involuzione
delle società dell'est e dall'azione controrivoluzionaria dei gruppi che vi
esercitano il potere. E sulle grandi organizzazioni del movimento operaio
pesa l'antica illusione del riformismo, l'illusione maledetta che
cinquant'anni fa condusse a una tragica sconfitta. Ma anche ci accorgiamo
ogni giorno delle grandi possibilità di riscossa esistenti. Si è da poco
celebrata la ricorrenza di una gloriosa insurrezione armata che non ebbe
solo una ispirazione antifascista, ma un'ispirazione anticapitalista e
rivoluzionaria che ha formato la nostra generazione ed è tuttora viva nella
coscienza di grandi masse. Abbiamo alle spalle un decennio straordinario di
offensiva operaia e di rivolta giovanile, che ha dimostrato come le
fortezze dell'occidente possono essere prese d'assalto e scosse nelle
fondamenta. Ancora oggi duecentomila operai del più grande complesso
produttivo nazionale riscendono in lotta contro il vero nemico, contro
l'organizzazione capitalistica del lavoro e del consumo. Su scala mondiale,
lo scontro di classe non cede il passo né alla ferocia della guerra
imperialista né alle insidie della diplomazia delle grandi potenze, e anzi
ritrova nuovo alimento nella crescita della rivoluzione cinese.
In questa situazione, noi pensiamo che l'orientamento delle grandi
organizzazioni politiche e sindacali della classe operaia, e per un altro
verso i limiti e le divisioni dei gruppi della sinistra, non ridanno la
forza necessaria a una prospettiva socialista, e neppure lasciano sperare
in un esito vittorioso dello scontro in atto. Siamo convinti che c'è
bisogno e urgenza di una forza rivoluzionaria rinnovata, di un nuovo
schieramento, di una nuova unità della sinistra di classe, di un nuovo
orientamento strategico complessivo. Pensiamo che solo per questa via sarà
possibile mettere a frutto il patrimonio che le esperienze del passato e
del presente hanno accumulato. Perciò ci siamo costituiti in gruppo
politico, perciò vogliamo dar vita - con tutte le forze disponibili ma
anche con le sole nostre forze - a un movimento politico organizzato come
tappa di un processo più generale.
Questo è il nostro programma, e non ci sfiora l'idea che un foglio stampato
possa supplire a questo lavoro di costruzione politica. Ma se questo
giornale potrà favorire e accelerare un tale lavoro, offrire uno strumento
di conoscenza, di intervento, di mobilitazione, segnare una presenza e
stabilire un punto fermo già in questa fase cruciale dello scontro di
classe, allora la sua ragione d'essere e la sua verità saranno chiare.
Questo è tutto. Ed è qualcosa che appare a noi così essenziale che nessun
limite, nessun ostacolo e nessun rischio ci è sembrato proibitivo. Perciò
usciamo con solo quattro pagine, senza null'altro che un notiziario
politico, senza abbellimenti o manipolazioni, nella persuasione che uno
sforzo di semplicità e di chiarezza può valere più di tutto il resto.
Perciò usciamo senza altro denaro che quello che ci è venuto e ci verrà dai
compagni e dai lettori, dai quali interamente dipende la vita o la morte di
questa impresa. Perciò ci accontentiamo di forze limitate e inesperte, ma
fino in fondo disinteressate e impegnate, scontando difetti e lacune certe.
In fin dei conti, non ci affidiamo ad altro che a un lavoro collettivo: a
una passione militante: a ciò che molti chiamano utopia estremismo e noi
fiducia nelle masse e tranquilla coscienza: al sostegno di chiunque
riconoscerà in queste pagine un impegno comunista e questo impegno vorrà
condividere.