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Editoriali di Pintor
- Subject: Editoriali di Pintor
- From: Daniele Barbieri <barbieri at carta.org>
- Date: Wed, 21 May 2003 10:05:26 +0200
Carissime/i, per chi li avesse persi, ecco l'ultimo e il primo editoriale di Luigi Pintor sul "manifesto" (sono sul sito, con altre cose). tempi diversi, la stessa strada (la nostra) forse sono da far leggere come tutti i suoi libri (anche ai più giovani) mario --------------------------------------- il manifesto - 24 Aprile 2003 prima pagina editoriale Senza confini LUIGI PINTOR La sinistra italiana che conosciamo è morta. Non lo ammettiamo perché si apre un vuoto che la vita politica quotidiana non ammette. Possiamo sempre consolarci con elezioni parziali o con una manifestazione rumorosa. Ma la sinistra rappresentativa, quercia rotta e margherita secca e ulivo senza tronco, è fuori scena. Non sono una opposizione e una alternativa e neppure una alternanza, per usare questo gergo. Hanno raggiunto un grado di subalternità e soggezione non solo alle politiche della destra ma al suo punto di vista e alla sua mentalità nel quadro internazionale e interno. Non credo che lo facciano per opportunismo e che sia imputabile a singoli dirigenti. Dall'89 hanno perso la loro collocazione storica e i loro riferimenti e sono passati dall'altra parte. Con qualche sfumatura. Vogliono tornare al governo senza alcuna probabilità e pensano che questo dipenda dalle relazioni con i gruppi dominanti e con l'opinione maggioritaria moderata e di destra. Considerano il loro terzo di elettorato un intralcio più che l'unica risorsa disponibile. Si sono gettati alle spalle la guerra con un voto parlamentare consensuale. Non la guerra irachena ma la guerra americana preventiva e permanente. Si fanno dell'Onu un riparo formale e non vedono lo scenario che si è aperto. Ciò vale anche per lo scenario italiano, dove il confronto è solo propagandistico. Non sono mille voci e una sola anima come dice un manifesto, l'anima non c'è da tempo e ora non c'è la faccia e una fisionomia politica credibile. E' una constatazione non una polemica. Noi facciamo molto affidamento sui movimenti dove una presenza e uno spirito della sinistra si manifestano. Ma non sono anche su scala internazionale una potenza adeguata. Le nostre idee, i nostri comportamenti, le nostre parole, sono retrodatate rispetto alla dinamica delle cose, rispetto all'attualità e alle prospettive. Non ci vuole una svolta ma un rivolgimento. Molto profondo. C'è un'umanità divisa in due, al di sopra o al di sotto delle istituzioni, divisa in due parti inconciliabili nel modo di sentire e di essere ma non ancora di agire. Niente di manicheo ma bisogna segnare un altro confine e stabilire una estraneità riguardo all'altra parte. Destra e sinistra sono formule superficiali e svanite che non segnano questo confine. Anche la pace e la convivenza civile, nostre bandiere, non possono essere un'opzione tra le altre, ma un principio assoluto che implica una concezione del mondo e dell'esistenza quotidiana. Non una bandiera e un'idealità ma una pratica di vita. Se la parte di umanità oggi dominante tornasse allo stato di natura con tutte le sue protesi moderne farebbe dell'uccisione e della soggezione di sé e dell'altro la regola e la leva della storia. Noi dobbiamo abolire ogni contiguità con questo versante inconciliabile. Una internazionale, un'altra parola antica che andrebbe anch'essa abolita ma a cui siamo affezionati. Non un'organizzazione formale ma una miriade di donne e uomini di cui non ha importanza la nazionalità, la razza, la fede, la formazione politica, religiosa. Individui ma non atomi, che si incontrano e riconoscono quasi d'istinto ed entrano in consonanza con naturalezza. Nel nostro microcosmo ci chiamavamo compagni con questa spontaneità ma in un giro circoscritto e geloso. Ora è un'area senza confini. Non deve vincere domani ma operare ogni giorno e invadere il campo. Il suo scopo è reinventare la vita in un'era che ce ne sta privando in forme mai viste. ------------------------------------------------------- il manifesto - 28 Aprile 1971 prima pagina editoriale Un giornale comunista LUIGI PINTOR Molti ci hanno domandato in queste settimane a volte con simpatia, altre volte con astio: ma perché fate un giornale quotidiano? Come pensate di riuscirci? E a che cosa potrà servire? Una nostra risposta a queste domande, ormai, sarebbe inutile e pedante. Una risposta seria potrà venire solo dalla vita stessa di queste quattro pagine, che da oggi non sono più un'idea ma una realtà esposta al giudizio di tutti. Ma le intenzioni che ci hanno mosso, ad ogni modo, non sono un mistero. Sono le stesse intenzioni che ci hanno spinto, trenta anni fa, a rompere con la tradizione borghese che ci aveva regalato il fascismo e la guerra. Sono le stesse che ci hanno animato nella lunga milizia nel partito e nella stampa comunista per la rivoluzione italiana. Sono le stesse che ci hanno fatto vedere nella ribellione operaia e studentesca di questi anni una nuova occasione storica per l'avanzata del comunismo. C'è chi ama la società in cui viviamo perché è al decimo posto nella produzione industriale mondiale. Per noi, è una società impastata di sfruttamento e di diseguaglianza, di cui sono vittime milioni di operai di fabbrica, le popolazioni meridionali prive di speranza, le giovani generazioni senza avvenire. C'è chi giudica democratico lo stato che abbiamo, solo perché non è fascista e non ha cancellato le libertà formali. Per noi, è uno stato fondato su leggi e strutture repressive dove polizia e istituzioni, scuola e cultura ufficiale, forze politiche e maggioranze al potere, sono modellate per colpire o ingannare gli sfruttati e gli esclusi. O ancora c'è chi vive a suo agio nel mondo contemporaneo, giudicandolo passabilmente pacifico. Per noi è invece un mondo odiosamente segnato dal genocidio imperialista, che solo un rilancio del processo rivoluzionario mondiale può mutare. Se dunque questo giornale dovesse soltanto servire a una protesta, a una battaglia ideale contro l'ordine di cose esistente, già questa non sarebbe una fatica sprecata. In fondo la stampa operaia ha sempre avuto prima di tutto questa funzione: di stabilire una linea di demarcazione, con animo che Gramsci chiamava partigiano, tra chi è contro l'ordine costituito e chi in esso si adagia. Ma questo non potrebbe bastare. Il quadro politico che abbiamo oggi di fronte esige molto più di un rifiuto. E' aperta nel nostro paese una partita dal cui esito può dipendere la sorte del movimento operaio per un intero periodo storico. Se non fosse questa la nostra convinzione, non ci saremmo impegnati in un lavoro e in una lotta che hanno per scopo ultimo la formazione di una nuova forza politica unitaria della sinistra di classe. E non faremmo, ora, questo giornale. Tutti ci accorgiamo, ogni giorno, di nuovi pericoli incombenti, di cui la ripresa del teppismo fascista è solo un sintomo. Padroni e governo Agnelli e Colombo, democristiani e presunti socialisti, moltiplicano gli sforzi per chiudere in gabbia il movimento delle masse, intrecciando repressione ed elemosine. L'imperialismo americano regola il nostro destino, secondo le leggi della divisione del mondo in sfere di influenza. Il quadro europeo che ci sta attorno è oscurato, come mai nel dopoguerra, dall'involuzione delle società dell'est e dall'azione controrivoluzionaria dei gruppi che vi esercitano il potere. E sulle grandi organizzazioni del movimento operaio pesa l'antica illusione del riformismo, l'illusione maledetta che cinquant'anni fa condusse a una tragica sconfitta. Ma anche ci accorgiamo ogni giorno delle grandi possibilità di riscossa esistenti. Si è da poco celebrata la ricorrenza di una gloriosa insurrezione armata che non ebbe solo una ispirazione antifascista, ma un'ispirazione anticapitalista e rivoluzionaria che ha formato la nostra generazione ed è tuttora viva nella coscienza di grandi masse. Abbiamo alle spalle un decennio straordinario di offensiva operaia e di rivolta giovanile, che ha dimostrato come le fortezze dell'occidente possono essere prese d'assalto e scosse nelle fondamenta. Ancora oggi duecentomila operai del più grande complesso produttivo nazionale riscendono in lotta contro il vero nemico, contro l'organizzazione capitalistica del lavoro e del consumo. Su scala mondiale, lo scontro di classe non cede il passo né alla ferocia della guerra imperialista né alle insidie della diplomazia delle grandi potenze, e anzi ritrova nuovo alimento nella crescita della rivoluzione cinese. In questa situazione, noi pensiamo che l'orientamento delle grandi organizzazioni politiche e sindacali della classe operaia, e per un altro verso i limiti e le divisioni dei gruppi della sinistra, non ridanno la forza necessaria a una prospettiva socialista, e neppure lasciano sperare in un esito vittorioso dello scontro in atto. Siamo convinti che c'è bisogno e urgenza di una forza rivoluzionaria rinnovata, di un nuovo schieramento, di una nuova unità della sinistra di classe, di un nuovo orientamento strategico complessivo. Pensiamo che solo per questa via sarà possibile mettere a frutto il patrimonio che le esperienze del passato e del presente hanno accumulato. Perciò ci siamo costituiti in gruppo politico, perciò vogliamo dar vita - con tutte le forze disponibili ma anche con le sole nostre forze - a un movimento politico organizzato come tappa di un processo più generale. Questo è il nostro programma, e non ci sfiora l'idea che un foglio stampato possa supplire a questo lavoro di costruzione politica. Ma se questo giornale potrà favorire e accelerare un tale lavoro, offrire uno strumento di conoscenza, di intervento, di mobilitazione, segnare una presenza e stabilire un punto fermo già in questa fase cruciale dello scontro di classe, allora la sua ragione d'essere e la sua verità saranno chiare. Questo è tutto. Ed è qualcosa che appare a noi così essenziale che nessun limite, nessun ostacolo e nessun rischio ci è sembrato proibitivo. Perciò usciamo con solo quattro pagine, senza null'altro che un notiziario politico, senza abbellimenti o manipolazioni, nella persuasione che uno sforzo di semplicità e di chiarezza può valere più di tutto il resto. Perciò usciamo senza altro denaro che quello che ci è venuto e ci verrà dai compagni e dai lettori, dai quali interamente dipende la vita o la morte di questa impresa. Perciò ci accontentiamo di forze limitate e inesperte, ma fino in fondo disinteressate e impegnate, scontando difetti e lacune certe. In fin dei conti, non ci affidiamo ad altro che a un lavoro collettivo: a una passione militante: a ciò che molti chiamano utopia estremismo e noi fiducia nelle masse e tranquilla coscienza: al sostegno di chiunque riconoscerà in queste pagine un impegno comunista e questo impegno vorrà condividere.
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